(Rough) Translator
31 marzo 2009
I passeriformi combattono come Velociraptor
Gli Eudromaeosauri: istruzioni per non confondere i gradi morfologici con i cladi evolutivi
Sebbene sia un gruppo di comprovata natura monofiletica, non bisogna cadere nella facile generalizzazione che gli eudromaeosauri siano variazioni sul tema di un unico modello, quasi sempre plasmato su Deinonychus o Velociraptor. La diversità anatomica tra questi dromaeosauri è significativa, ed in particolare è possibile distinguere una serie di "gradi anatomici", tra forme con crani gracili ed allungati, denti aventi denticoli specializzati e unguali del piede molto falciformi e forme con crani più corti e robusti, denticoli semplici e unguali ridotti. L'immagine mostra come la disparità morfologica nei crani degli eudromaeosauri sia paragonabile a quella che nei moderni fissipedi distingue un canide (in questo caso, uno sciacallo) da uno ienide. Attualmente, confrontandole con le caratteristiche presenti negli altri deinonychosauri, è probabile che la morfologia "gracile" sia la condizione primitiva degli eudromaeosauri e che quella "robusta" si sia evoluta a partire dalla gracile. Esiste la possibilità che la condizione "robusta" sia comparsa indipendentemente più volte a partire dal tipo gracile: ciò può essere stabilito solamente da una dettagliata analisi filogenetica.
Pertanto, non cadete nella facile generalizzazione di distinguere frettolosamente tutti gli eudromaeosauri in "velociraptorini" e "dromaeosaurini", assumendo che i primi sono i "gracili" ed i secondi sono i "robusti": il gruppo gracile è quasi sicuramente un gruppo PARAFILETICO (cioè, un gruppo innaturale stabilito sulla base di caratteri primitivi condivisi dagli antenati comuni di tutti gli eudromaeosauri), ed il secondo, i robusti, potrebbe essere POLIFILETICO (cioè un gruppo innaturale comprendere linee evolutive distinte originate da forme gracili differenti, simili solo per convergenza).
Bibliografia:
Longrich N.R. & Currie P.J., 2009 - A microraptorine (Dinosauria–Dromaeosauridae) from the Late Cretaceous of North America, PNAS.
30 marzo 2009
Xenoraptor multispinus Xi et al., 2009
Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia. William Shakespear, da “Amleto”
Poco meno di due settimane fa, la pubblicazione di Tianyulong aveva aperto nuove prospettive sull’origine e l’evoluzione del piumaggio, rendendo concreta la possibilità che la condizione più primitiva del piumaggio, omologa allo stadio 1 della successione ontogenetica delle penne attuali, sia una caratteristica comparsa molto prima della differenziazione dei coelurosauri, probabilmente alla base dell’intero Dinosauria, se non prima. Oggi, un nuovo troodontide di grande taglia, Xenoraptor Xi et al. (2009) testimonia l’evoluzione di una forma inattesa di tegumento in un theropode interno al gruppo dei veri animali piumati, e molto prossimo agli uccelli. Per ora, posso solo dirvi ciò che è scritto nell’abstract di uno studio in fase di pubblicazione.
Xenoraptor proviene dal Hauteriviano (Cretacico Inferiore) della Cina. Sebbene sia fossilizzato in un sedimento che non permette la completa conservazione delle penne, esso è perfettamente articolato in posizione accucciata, simile alle posture nelle quali sono stati rinvenuti Mei e Sinornithoides.
L’aspetto più interessante e sconvolgente del fossile è la presenza di una serie di strutture coniche, simili a tubercoli spinosi, rinvenuti sulla superficie laterale e dorsale del cranio e lungo buona parte della coda. Purtroppo, non sappiamo se e quanto questo strano tegumento spinoso fosse distribuito nel resto del corpo. Tuttavia, è possibile che l’intero corpo di questo grosso troodonte (lungo circa 3,5 metri) avesse questa bizzarra copertura tubercolata. Aspetto ancora più interessante del fossile è che esso proviene da sedimenti di tipo salmastro-lagunare. Il fossile è associato a pterosauri e pesci, ed è quindi possibile che fosse un animale semiacquatico e piscivoro. Purtroppo, gli arti non si sono fossilizzati a sufficienza per stabilire se avesse qualche adattamento natatorio.
Purtroppo, non ho immagini del fossile, ma spero presto di averne qualcuna, dato che l’intero articolo sarà pubblicato domani sull’Acta Paleologica Sinica.
Bibliografia:
28 marzo 2009
L'età dei lettori di Theropoda
La classe più numerosa è stata quella dei ventenni (quasi il 40% dei votanti). La distribuzione è leggermente asimmetrica, per via del muro sinistro dell'età minima (che, ovviamente, non può essere valicato!) e di una lunga coda destra di over-30 che dimostra una popolazione di lettori sì giovane ma composta non solo da giovani. Di tutti i votanti, quello che mi ha sorpreso di più è stato l'unico ultrasessantenne: mi piacerebbe molto sapere chi sia!
Cosa penso di "Jurassic Fight Club"
Di solito, in questo blog, mi interesso solo di pubblicazioni scientifiche e di fossili reali. In questo caso, però, voglio parlare di un tema meno tecnico e più "mediatico", che ho scoperto di recente. Parlo della serie "Jurassic Fight Club". Per chi non sapesse di cosa sto per parlare, mi riferisco ad una serie di “documentari” (ma sarebbe meglio chiamarli “docu-fiction”) di History Channel, aventi a tema delle presunte battaglie tra dinosauri mesozoici. Sì... battaglie...
Potrei limitare questo post alla seguente frase:
Unica Regola del Jurassic Fight Club: NON GUARDARE IL JURASSIC FIGHT CLUB!
Ma penso sia doveroso dire altro.
Ne avevo sentito parlare. Lessi alcune recensioni. Recentemente, ho avuto modo di vederne alcuni episodi (uno in cui Nanotyrannus è interpretato come genere distinto da Tyrannosaurus; uno con l’ormai superata ipotesi cannibalistica di Majungasaurus; uno spezzone di un episodio con alcuni dromaeosauridi squamati con freccette al posto delle penne; ed uno a dir poco imbarazzante con Allosaurus e Ceratosaurus), quindi ora posso esprimere un giudizio diretto.
Aldilà delle imprecisioni anatomiche, discutibili ma aggiornabili (posture di arti, tegumenti, taglie e muscolature), ciò che trovo molto negativo di questa serie è l’impostazione di fondo, ovvero, la concezione della paleontologia e dei dinosauri che viene diffusa.
Il programma segue un trend molto di moda in molte produzioni documentaristiche, ovvero la commistione di finzione e di dati scientifici, tutto mescolato da una massiccia dose di spettacolarizzazione. Tuttavia, dei due termini, è la finzione a dominare. La parte scientifica è solamente di facciata, un “cavallo di Troia” che serve ad ammorbidire lo scetticismo dello spettatore, inculcandogli subdolamente la sensazione che quello che sta osservando sia effettivamente il prodotto di un’indagine scientifica. In realtà, poco di quello che si vede in Jurassic Fight Club è scientifico. Spesso, la maniera sfacciata con cui delle vere e proprie invenzioni e speculazioni gratuite sono spacciate per “verità scientifiche” è stata talmente seccante e fastidiosa che ho cambiato canale, imprecando! Trovo queste scene un insulto verso chi fa ricerca paleontologica seria.
Ad esempio, nella puntata ambientata nella Formazione Morrison, con esemplari di Ceratosaurus e Allosaurus, gli animali mostrati sono delle palesi caricature di quelli deducibili dai fossili. Molti dettagli anatomici sono inventati (come la morfologia delle mani di Ceratosaurus), distorti (le differenze di taglia, posture e struttura cerebrale tra i due animali), o volutamente spettacolarizzati (dubito che in natura gli animali si scontrino come gladiatori in un’arena).
Inoltre, ed è qui che la scienza viene completamente sacrificata alla spettacolarizzazione della fiction, la fonte dei dati veri e propri, ovvero la determinata associazione fossile che dovrebbe essere la base di partenza di qualsiasi ipotesi, viene interpretata senza la minima considerazione delle condizioni tafonomiche, dovute alle condizioni paleoambientali, di fossilizzazione, di sedimentazione, che hanno generato l’associazione di alcuni scheletri di animali. Ovvero, l’impostazione paleontologica viene sostituita da un mix di biologia ingenua e mentalità da polizia scientifica: un fossile non è mai l’espressione precisa e letterale di un evento passato, e non può essere interpretato con la stessa mentalità di una associazione di cadaveri rinvenuti attualmente. Chi commette un simile errore ha già abbandonato la paleontologia, collocandosi nella fiction.
Ad esempio, nel “documentario” citato prima, la compresenza di scheletri di animali di specie differenti in uno stesso sito viene presentata come prova indiscutibile di una interazione in vita tra quegli animali, un’ipotesi che qualsiasi analisi tafonomica potrebbe smentire, o, perlomeno, ridimensionare, collocandola all’interno di una gamma di altre alternative egualmente possibili.
In conclusione:
La paleontologia che viene propagandata in questi “documentari” è una pessima mistificazione della vera paleontologia:
1- I dati geologici e paleontologici vengono presentati come evidenze univoche di comportamenti biologici impossibili da dimostrare. In realtà, molto spesso non è possibile dedurre alcun dato comportamentale da un’associazione fossile, se non altro perché lo scheletro di un animale morto non rappresenta alcun comportamento da vivo.
2- La speculazione e l’abuso delle analogie etologiche con animali attuali sono presentate come ovvie implicazioni, quasi come necessarie conseguenze logiche. In realtà, come ho mostrato in molti post, molto spesso le interpretazioni etologiche di un’associazione fossile sono molto più l’espressione dei desideri e dei pregiudizi di chi osserva il fossile che l’emanazione dei dati oggettivi.
Ma sopratutto, ed è questo l’aspetto che più mi dispiace di questi programmi:
3- I dinosauri sono presentati come esseri innaturali, caricature stereotipate di mostri cinematografici. Purtroppo, l’influsso del cinema (compreso Jurassic Park) è diventato così potente che i dinosauri ormai non possono essere visti secondo una luce puramente naturalistica. I dinosauri di questi presunti “documentari” sono fantocci da videogioco, ultra-semplificati oggetti di uno spettacolo fortemente antropomorfico. I dinosauri vengono mostrati come caricature di “ruoli” narrativi: il predatore protagonista, l’antagonista, l’eventuale oggetto della loro contesa (generalmente un dinosauro non-theropode). Tutto ciò è una finzione, fortemente diseducativa, che non aiuta lo spettatore a comprendere la vita mesozoica più di quanto le contese tra gli dei omerici ci insegnino della vita quotidiana della Grecia Antica.
Quando riusciremo a vedere i dinosauri come organismi reali, strutture organiche auto-referenti, e non come spettacolarizzazioni thero-morfe delle passioni umane?
27 marzo 2009
Occhio e caratteri
22 marzo 2009
Trentamila! (ed un Indovina Chi...)
GRAZIE A TUTTI I MIEI LETTORI!
20 marzo 2009
Shanweiniao O'Connor et al.(2009) ed i bizzarri rostri dei Longipterygidi
Ad ogni modo, io adoro tutti i theropodi, ed oggi parlerò di un nuovo enantiornite. Spero che qualcuno dei miei lettori scopra quanto siano belli questi microtheropodi, che non hanno nulla da invidiare ai loro cugini giganti. Ringrazio Jingmai O'Connor
Bibliografia:
O'Connor J.K., Wang X., Chiappe L.M., Gao C., Meng Q., Cheng X., & Liu J., 2009 - Phylogenetic support for a specialized clade of Cretaceous enantiornithine birds with information from a new species. Journal of Vertebrate Paleontology 29(1):188-204.
19 marzo 2009
L’Ipotesi del GDSP, ovvero: Tianyulong (Zheng et al., 2009) e la necessità di abbattere la falsa dicotomia “piume vs. scaglie”
Settimana di serendipità paleontologica. Lo scorso lunedì, durante la seconda conferenza di J. Horner, uno dei presenti chiese un’opinione sulla presenza e distribuzione del piumaggio nei dinosauri. Horner rispose di non avere alcun problema ad immaginare un ornithischio ricoperto da piumaggio (qui inteso probabilmente come strutture filamentose cave internamente, come in Sinosauropteryx e Dilong, non certamente le penne con rachide e vessillo presenti solo in Paraves e Oviraptorosauria). Come scrissi a proposito delle nuove evidenze di tegumento in Beipiaosaurus, non è azzardato ipotizzare che una forma di proto-piumaggio, equivalente al primo stadio dello sviluppo embrionale delle penne degli uccelli, sia una caratteristica condivisa da tutti i dinosauri e dagli pterosauri. Come saprete, un nuovissimo ornithischio cinese, Tianyulong (Zheng et al., 2009) mostra strutture tegumentarie che confermano proprio questo scenario. Dato che questo blog parla di Theropodi, non mi soffermerò molto su questo interessantissimo nuovo ornithischio (che comunque è notevole anche senza citare il tegumento: è il primo heterodontosauridae asiatico, e conferma le ipotesi che estendevano la durata di questo clade di ornithischi prettamente Triassico-Liassici fino all’inizio del Cretacico). Quello che conta è che esso è un ornithischio basale con evidente rivestimento filamentoso. Gli autori forniscono prove che queste strutture sono molto probabilmente epidermiche e tubolari, cioè cave internamente, pertanto, esse sarebbero omologhe alle penne: ovvero, proto-penne, ad uno stadio evolutivo simile a quello delle nuove strutture tegumentarie di Beipiaosaurus.
Ciò solleva la questione di come interpretare l’intero record fossile a noi noto per le strutture tegumentarie. Molti sono riluttanti a valutare l’evoluzione del piumaggio nei dinosauri perché ciò parrebbe entrare in conflitto con le chiare evidenze di squame e osteodermi in alcuni taxa (negli ornithischi Thyreophori e nei titanosauri Lithostroti). In realtà, come evidenziato da più punti di vista, il problema si dissolve se si abbandona la falsa dicotomia “squame vs. penne” e si assume un paradigma dinamico, che ammette la coesistenza delle due strutture anatomiche non solo all’interno del modello standard dell’evoluzione dei dinosauri, ma anche all’interno dei singoli animali, sia durante la loro ontogenesi che durante la loro morfologia adulta. Un uccello moderno illustra bene questo concetto, che io chiamo “Gradiente Dinamico Squame-Penne”, GDSP: l’estremità degli arti posteriori è squamata, mentre il resto del corpo è pennuto. La compresenza di questi due tegumenti, potrebbe essere stata la norma nella maggioranza dei dinosauri, ovviamente con un differente gradiente per ogni forma, a volte spostato più verso le penne (nei Coelurosauri), a volte spostato più verso le squame (negli ornithischi corazzati e nei titanosauri lithostroti): animali come Epidexipteryx, Juravenator, Psittacosaurus e Tianyulong dimostrano l’esistenza di numerose alternative intermedie, con corpi parzialmente squamati e piumati, a volte prettamente squamati, a volte prettamente piumati. Purtroppo, spesso penne e squame fossilizzano in condizioni differenti, e non ci danno un quadro letterale della distribuzione di queste strutture: per questo è fondamentale inserire i dati all’interno di una cornice evolutiva e filogenetica che colleghi i dati e colmi le lacune, e non limitarsi ad annotare chi ha penne o chi ha squame, per poi creare false categorie di “squamati vs. pennuti”.
Credo che il paradigma GDSP sia la spiegazione più elegante e semplice dell’enorme diversità tegumentaria che sta emergendo dai fossili: esso è un modello testabile e verificabile, che sarà sempre vincolato ai dati, gli unici veri giudici della validità delle nostre ipotesi.
Bibliografia:
18 marzo 2009
Settimana Super Paleontologica!
E questo è solo l'antipasto...
ORNITHISCHIO CON PROTO-PIUMAGGIO!
17 marzo 2009
Hesperonychus (Longrich & Currie, 2009): un piccolo theropode che vale 45 milioni di anni ed un intero continente!
La paleontologia è un puzzle multidimensionale del quale non vi è stata data la scatola completa di tutti i pezzi, né tantomeno una bella immagine sul coperchio come riferimento. I pezzi sono sparsi casualmente, e moltissimi sono andati perduti. Nondimeno, abbiamo dei cervelli muniti di incastri multidimensionali, capaci di legare anche pezzi lontani. Parodiando un brano della conferenza di John Horner che ho visto lunedì (tranquilli, a breve ne parlerò), i tasselli possono essere incastrati dal lato stratigrafico, da quello ontogenetico e da quello filogenetico. A volte, scopriamo che gli incastri filogenetici erano in realtà solo sfaccettature dell’incastro ontogenetico (come nel caso di Nanotyrannus, Stygivenator e Dinotyrannis, tutti e tre riconducibili a sinonimi giovanili di Tyrannosaurus), altre volte, invece, rinveniamo piccoli pezzi in grado di collegare aree fino allora distinte del nostro puzzle in crescita. Il post di oggi parla proprio di uno di questi casi: un singolo esemplare, molto frammentario, ma nondimeno fortemente significatico, perché ha aperto squarci filogenetici, paleogeografici ed ecologici fino a quel momento sconosciuti: Hesperonychus elizabethae Longrich & Currie, 2009, è un nuovo dromaeosauridae dalla Formazione Dinosaur Park, del Cretacico Superiore del Canada. Sebbene l’unico esemplare noto consista solamente in un cinto pelvico incompleto (mancano entrambi gli ischii e buona parte della zona craniale degli ilei) esso è notevole per numerosi aspetti (appunto, è un pezzo chiave di quel puzzle multidimensionale chiamato “Theropoda del Mesozoico”):
1- presenta inequivocabili apomorfie dei Microraptoria, ed è partanto attribuibile a quel gruppo. Questo risultato, che alla mente mediocre potrebbe apparire solamente come un dettaglio nozionistico, ha delle profonde ricadute evoluzionistiche:
Prima della scoperta di Hesperonychus, tutti i Microraptoria provenivano dal Cretacico Inferiore della Cina: questa nuova scoperta non solo dimostra la presenza di microraptori anche in Nordamerica, ma estende il range cronologico di questo gruppo di ben 45 milioni di anni! Ora abbiamo la prova che i microraptori non furono un gruppo bizzarro dell’inizio del Cretacico cinese, bensì uno dei cladi di theropodi di maggior successo del Cretacico della Laurasia intera.
2- con una massa stimata in circa 1-2 kg, Hesperonychus è il più piccolo theropode non-aviano del Nordamerica. Inoltre, esso espande il limite inferiore del range eco-morfologico dei theropodi predatori delle ricche faune del Cretacico Superiore canadese, dimostrando l’esistenza di predatori di piccola taglia in ecosistemi dove non parevano esserci tracce. Questo aspetto mostra quanto ancora siano ignoti i piccoli theropodi (i quali, in accordo con le leggi generali dell’ecologia, dovevano essere più abbondanti di quelli di grande taglia, sebbene siano meno facili da fossilizzare), persino nelle formazioni apparentemente meglio conosciute.
Lo studio di Longrich & Currie si sofferma anche su nuove ipotesi filogenetiche tra i dromaeosauridi più grandi, ma di tutto ciò, parlerò in un futuro post...
Bibliografia:
Longrich N.R. & Currie P.J., 2009 - A microraptorine (Dinosauria–Dromaeosauridae) from the Late Cretaceous of North America, PNAS.
http://www.physorg.com/news156442649.html15 marzo 2009
Variraptor Le Loeuff & Buffetaut, 1998 - Seconda Puntata
Nel precedente post ho parlato dell’olotipo di Variraptor. In questo, parlerò di altri resti attribuiti a Variraptor ma che, probabilmente, non appartengono a quel taxon. In particolare, un omero ed una vertebra cervicodorsale (posta nella zona di transizione tra collo e regione pettorale) sono stati attribuiti da Le Loeuff & Buffetaut (1998) a Variraptor senza una chiara giustificazione, né in base a caratteri condivisi inequivocabilmente dai resti. Pertanto, piuttosto che discutere di una possibile chimera, preferisco considerare questi resti separatamente.
L’omero, MDE-D158, è lungo circa 195 mm ed è quasi completo, mancando solamente parte della cresta deltopettorale e della superficie distale. Per quanto compresso dalla fossilizzazione, è ben conservato. La forma del tubercolo interno, trapezoidale, indica che esso è maniraptoriano. Gli autori lo confrontino principalmente con Deinonychus, ed effettivamente, la forma ricorda quella dei dromaeosauridi di taglia medio-grande. Un particolare, molto interessante, è la presenza di una marcata cresta sul margine prossimo-caudale della diafisi. Questo carattere è noto solamente negli unenlagiini, e potrebbe indicare che questo omero appartiene ad un unenlagiino europeo! Tuttavia, è necessaria un'analisi più dettagliata del reperto per poter confermare questa ipotesi.
La vertebra cervicodorsale, MDE-D01, è molto interessante. Essa mostra una pronunciata ipoapofisi ventrale, delle marcate epipofisi, due pleurocoeli allineati verticalmente, un ampio canale neurale e una fossa/finestra ventrale alla lamina prezygodiapofiseale. Questa combinazione di caratteri pare unica, e potrebbe essere diagnostica di un nuovo taxon. L’assenza di fosse lateralmente al canale neurale nella faccetta craniale dell’arco neurale mi porta a dubitare che sia attribuibile a Variraptor (nella dorsale dell’olotipo sono presenti delle fosse in quella posizione). Immesso in Megamatrice, MDE-D01 risulterebbe un Alvarezsauria basale! Se ciò fosse confermato, sarebbe il secondo possibile alvarezsauro europeo (ne parlerò in futuro). Ammetto che i caratteri che avvalorano tale ipotesi sono pochi (essendo basati solo su una vertebra cervicodorsale) e relativamente omoplastici in Maniraptora (ampio canale neurale, posizione dell'epipofisi, ipertrofia dell'ipoapofisi): dato che non sono così convinto che questa posizione si manterrà con l'aggiunta di nuovi dati, preferisco attribuire provvisoriamente anche questa vertebra a Maniraptora incertae sedis.
Bibliografia:
Le Loeuff J. & Buffetaut E., 1998 - A new dromaeosaurid theropod from the Upper Cretaceous of southern France. Oryctos 1:105-112.
NOTA AGGIUNTA IL 13/06/2009: Nuovi dati hanno modificato parte di questa interpretazione: http://theropoda.blogspot.com/2009/06/ce-la-patagonia-nel-sud-della-francia.html
14 marzo 2009
Variraptor Le Loeuff & Buffetaut, 1998 - Prima Puntata
L’olotipo consiste in una vertebra dorsale caudale (prossima al sacro) ed una colonna sacrale quasi completa. Oltre a questi resti, gli autori attribuiscono a Variraptor una vertebra cervicodorsale, un omero, una vertebra sacrale ed un frammento di femore, tutti provenienti dalla stessa formazione. Tuttavia, a parte la vertebra sacrale, molto simile all’omologa dell’olotipo, queste attribuzioni non sono basate su una diretta associazione dei resti con l’olotipo. Dato che non ritengo queste motivazioni sufficienti, preferisco seguire un’impostazione prudente, ed includere in Variraptor solamente l’olotipo (la dorsale caudale ed il sacro). Gli altri resti saranno discussi separatamente nella seconda parte di questo post doppio.
Sebbene non paia mostrare caratteri diagnostici, l’olotipo è comunque distinguibile da altri taxa per la combinazione unica dei caratteri presenti, in particolare a livello delle laminazioni della vertebra dorsale: un possibile carattere diagnostico potrebbe essere la fossa posta dorsalmente alla lamina prezygodiapofiseale.
Anche solamente usando l’olotipo, a quale clade attribuire Variraptor? Gli autori riferiscono Variraptor a Dromaeosauridae, sulla base della combinazione unica di caratteri maniraptoriani e sulla plesiomorfica presenza di 5 sacrali. Va notato che tale ipotesi è stata basata su tutti i resti ossei, anche quelli che non ritengo si possano attribuire con certezza a questo taxon (in particolare, la vertebra cervicodorsale, molto apomorfica). Nondimeno, anche usando solo i resti dell’olotipo (la dorsale ed il sacro) appaiono degli evidenti caratteri maniraptoriani e dromaeosauridi (forma dell’iposfene, costrizione trasversale delle sacrali intermedie, pleurocoeli, solco ventrale sacrale).
Infatti, immesso in Megamatrice, l’olotipo di Variraptor risulta un Dromaeosauridae Dromaeosaurinae, che forma un clade con Saurornitholestes e Adasaurus (oltre che col femore Koreano, omesso dalla visualizzazione dello strict consensus finale assieme ad altre forme frammentarie, per meglio risolvere le relazioni tra gli altri taxa).
Aspetto interessante dell’analisi, Variraptor non risulterebbe sinonimo di Pyroraptor (omesso dalla visualizzazione per lo stesso motivo del femore Koreano): anch’esso del Cretacico Superiore della Francia meridionale, quest’ultimo taxon risulta un Dromaeosauridae più basale di Variraptor, in quanto occupa una posizione irrisolta tra Tsaagan, Bambiraptor ed il nodo “Velociraptor mongoliensis + Dromaeosaurinae”.
Se confermato, questo risultato dimostrerebbe l’esistenza contemporanea di due generi di Dromaeosauridae alla fine del Cretacico della Francia meridionale.
Nella prossima puntata, vedremo cosa sono gli altri esemplari attribuiti a Variraptor, in particolare, l’omero e la vertebra cervicodorsale.
Bibliografia:
Le Loeuff J. & Buffetaut E., 1998 - A new dromaeosaurid theropod from the Upper Cretaceous of southern France. Oryctos 1:105-112.
Piccolo fuori-tema...
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09 marzo 2009
Allosauroidea Strikes Back
I miei lettori più fedeli ricorderanno l’ipotesi "brontofagica" di Bakker (2000). Effettivamente, esistono delle interessanti analogie tra le specializzazioni craniche degli allosauroidi (in particolare Allosaurus) e alcuni mammiferi “dai denti a sciabola”: entrambi i gruppi hanno ridotto la muscolatura temporale preposta alla chiusura della mandibola; hanno ampliato l’apertura boccale ed al tempo stesso hanno sviluppato meccanismi che prevengono il dislocamento della mandibola in fase di apertura; hanno modificato le inserzioni muscolari nella regione occipitale per potenziare le leve preposte all’abbassamento della testa. Tuttavia, i due gruppi differiscono proprio nell’aspetto più appariscente: i mammiferi dai denti a sciabola hanno canini ipertrofici, mentre negli allosauroidi i denti mascellari sono, in rapporto alle dimensioni del cranio, i più corti tra i grandi theropodi. Un caso interessante, che contrasta con gli allosauroidi, è quello dei tyrannosauridi: anche se il loro cranio non mostra le stesse specializzazioni “brontofagiche”, i loro denti mascellari della regione immediatamente caudale all’articolazione con il premascellare sono espansi, e ricordano dei canini mammaliani. Se allosauroidi e mammiferi dai denti a sciabola svilupparono così tante similitudini craniche, perché le dentature non si assomigliano? Una spiegazione potrebbe essere che negli allosauroidi l’intera schiera dentaria funziona come un unica sciabola seghettata. Per quanto intrigante, questa spiegazione potrebbe essere corretta solo a metà. Un’altra possibile spiegazione è che le modifiche craniche negli allosaurodi assomiglino a quelle dei mammiferi dai denti a sciabola solo nella forma, ma non nella funzione. Mi spiego.
Un animale munito di canini molto allungati deve evolvere un meccanismo che permetta di utilizzarli come armi efficaci, ovvero, che permetta di far penetrare i denti con l’angolo giusto rispetto al corpo della preda. Per far ciò, il cranio evolve aperture boccali enormi, che tengano conto dell’espansione dei denti (altrimenti, se si mantenesse un’apertura boccale “normale”, i super-canini sarebbero solamente di impaccio). Ora, se un allosauroide non presenta denti ipertrofici, ma anzi, relativamente corti, per quale motivo avrebbe sviluppato una così ampia apertura boccale? La spiegazione più ovvia è che l’apertura boccale sia commisurata alla forma del target verso cui è rivolta. Se la preda è ridotta, ed ha parti con una marcata convessità, non è necessario avere una grande apertura boccale per afferrare e mordere con successo. Al contrario, prede aventi dimensioni elevate (o superfici relativamente poco convesse) richiedono aperture boccali espanse per praticare dei morsi efficaci, capaci di ferire, strappare o di rimanere fissati.
Pertanto, anche se entrambi i metodi convergono nelle potenzialità brontofagiche, le spinte evolutive di allosauroidi e mammiferi dai denti a sciabola hanno seguito strade differenti: i primi potenziarono l’apertura boccale e la capacità di spingere ventralmente il morso per adattarsi a obiettivi voluminosi (come il fianco di un sauropode) nei confronti dei quali praticare morsi in grado di strappare porzioni rilevanti di tessuti molli, i secondi invece per permettere ai canini ipertrofici di penetrare con precisione sul collo o il ventre delle prede, per lacerare vasi ed organi interni.
Come hanno mostrato Anton et al. (2003) la strategia di caccia per il cranio di Allosaurus più plausibile sulla base delle sue caratteristiche anatomiche e biomeccaniche (ovvero, che rispecchi i punti di massimo scarico delle forze deducibili dalla geometria delle sue articolazioni) è quella di un morso ampio e penetrante, rivolto ad ampie superfici (probabilmente di prede voluminose) dalle quali veniva strappato una grande porzione di tessuto grazie all’azione lateroventrale dei muscoli cervicali ed occipitali. Al contrario, l’ipotesi del cranio usato per sferrare una “sciabolata” con l’intera bocca aperta non pare completamente compatibile con l’intera anatomia di questi dinosauri.
Anton M., Sanchez I.M., Salesa M.J. & Turner A., 2003 - The Muscle-Powered Bite of Allosaurus (Dinosauria; Theropoda): an Interpretation of Cranio-Dental Morphology. Estusios Geol. 59:313-323.
Bakker R.T., 2000 - Brontosaur killers, Late Jurassic allosaurids as sabre-tooth cat analogues. Gaia, 15: 145-158.
05 marzo 2009
Un nuovo sito icnologico dimostra che i theropodi si accucciavano come... (Milner et al., 2009)
Che postura assumevano i theropodi quando si sedevano o sdraiavano a terra? Si adagiavano al suolo appoggiandosi con tutti e quattro gli arti distesi, con i palmi di mani e piedi che contattavano il terreno, come ad esempio un coccodrillo; oppure si sedevano alla maniera degli uccelli, tenendo la mani rivolte verso il corpo? In passato, i theropodi venivano ricostruiti con le mani in grado di pronare e supinare, e quindi, capaci di appoggiare i palmi al suolo. Tuttavia, da almeno un decennio, l’anatomia del polso dei theropodi è stata analizzata nel dettaglio, rivelando una limitata capacità di pronazione e supinazione: le ossa della mano erano tenute prevalentemente parallele alle ossa dell’avambraccio, e, pertanto, con i palmi paralleli al fianco laterale del corpo. Questa postura è la stessa che assumono le mani degli uccelli quando raccolgono l’ala.
Uno studio icnologico appena pubblicato (Milner et al., 2009) dimostra che questo comportamento è molto più antico di quanto si sospettasse, essendo risalente almeno al Giurassico Inferiore. Una pista fossile depositata su una pista fangosa documenta un theropode di taglia media, forse di grado coelophysoide, che percorse la distesa, si accucciò, spostandosi leggermente in avanti in quella postura, per poi rialzarsi e riprendere a camminare. La postura accucciata è dimostrata dalle tracce di parte dei metatarsi (assenti nelle orme “normali” dovute a camminata digitigrada), tracce della superficie ventrale di parte della coda, tracce della callosità del piede ischiatico, sulla quale l’animale si appoggiava da seduto, e impronte delle mani. Le impronte delle mani sono orientate medialmente, esattamente come ipotizzato dalle recenti interpretazioni scheletriche: sono visibili le orme di due dita artigliate, probabilmente il secondo ed il terzo (il quarto dito, se presente, probabilmente era ridotto a un metacarpo con al più una falange vestigiale, il tutto inglobato nella aponeurosi carnosa del polso), leggermente inclinati per aderire al substrato. Il primo dito, più sviluppato, probabilmente non lasciava tracce sul substrato, essendo parallelo alle altre dita ma dorsalmente ad esse.
Dato che questa pista risale al Giurassico Inferiore, intervallo apparentemente dominato da theropodi basali (coelophysidi e dilophosauridi), è probabile che questa pista sia da attribuire ad uno di questi due gruppi: ciò dimostra che anche i theropodi più primitivi assumevano una postura di riposo “da uccello” e non “da coccodrillo”, confermando ulteriormente che la maggioranza dei tratti che oggi noi vediamo solo negli uccelli sono in realtà tratti tipici di tutti i theropodi.
Bibliografia:
Milner A.R.C., Harris J.D., Lockley M.G., Kirkland J.I., Matthews N.A., 2009 - Bird-Like Anatomy, Posture, and Behavior Revealed by an Early Jurassic Theropod Dinosaur Resting Trace. PLoS ONE 4(3): e4591. doi:10.1371/journal.pone.0004591
04 marzo 2009
Rivalutare l'ipotesi della caccia di gruppo in Deinonychus
Questa è la storia di uno dei dinosauri più noti al grande pubblico, almeno dal 1993, quando, camuffato sotto il più commerciale nome di un suo parente stretto, divenne, purtroppo, una sorta di emblema della dinosaurologia dell’età dei computer. Deinonychus (letteralmente "il terribile artiglio") si può considerare, senza esagerazione, la più importante scoperta del XX secolo nell’ambito dei dinosauri. La sua importanza sta nella rivoluzione concettuale che produsse la sua monografia descrittiva, pubblicata nel 1969 dal recentemente scomparso J. Ostrom.
Tuttavia, non dobbiamo credere di aver raggiunto una verità completa ed esaustiva su tutti gli aspetti della biologia dromaeosauridae: con la sola apologia dell’attuale ortodossia mesozoica sarei giustamente catalogabile alla stessa stregua dei fedeli e devoti adoratori delle religioni e delle ideologie, e quindi, sembrerei un bieco ipocrita, che critica il pensiero zelante e fanatico degli altri senza accorgersi del proprio. Anche nella ricerca obiettiva della conoscenza la soggettività umana gioca un ruolo fondamentale, imponendo punti di vista, accentuando impostazioni alternative o precludendone altre, spesso a danno dell’oggettività. Come detto all’inizio, anche gli scienziati sono uomini, e come ogni uomo bramoso di conoscenza, essi sono costantemente sotto il tiro del proprio pregiudizio e tentati dalla caduta nella mitologia acritica (se non, a volte, nel dogmatismo: l’anti-scienza per definizione). Quindi, non dovremmo stupirci ingenuamente se ciò accade, ma nemmeno usare la debolezza (umanità) degli scienziati come pretesto per una critica della scienza come metodo di conoscenza. Dato che questo post vuole rimarcare la potenza (che non è onnipotenza) della scienza, la sua capacità di fortificarsi dall’errore, di avere nel proprio metodo gli anticorpi difensivi contro la tendenza dogmatista, è bene che il commentatore freni la mano e non faccia una prematura obiezione stizzita.
Tornando a Deinonychus, in paleontologia esso è ricordato e citato in tre ambiti: come detto sopra per aver indotto la "rinascita mesozoica", nella diatriba sulle origini degli uccelli ed infine per la possibilità che questo animale fosse un predatore sociale, un cacciatore di gruppo. Questa ultima ipotesi si basa sullo stesso ritrovamento originario descritto nel 1969, e su un secondo sito descritto in seguito. Nel primo caso, i resti di almeno 3-5 Deinonychus furono rinvenuti assieme a quelli di un dinosauro erbivoro di taglia media del genere Tenontosaurus. Nel secondo caso, uno scheletro di un giovane Deinonychus fu ritrovato tra i resti di almeno 18 Tenontosaurus, assieme ad alcuni denti di altri Deinonychus adulti. Le evidenze a supporto della socialità predatoria di Deinonychus parvero dunque così schiaccianti, basandosi appunto su ben due siti che evidenziavano sia la socialità del predatore, sia la tendenza di quest’ultimo a cacciare Tenontosaurus, da portare non solo Ostrom e tutti gli altri paleontologi a non ipotizzare una spiegazione alternativa, ma anche ad estendere il modello del "branco di lupi" all’interpretazione di molti altri theropodi.
Dalla comunità scientifica, la teoria del "branco" si estese rapidamente all’ambito degli appassionati ed alla cultura popolare. Grazie all’enorme successo di "Jurassic Park", l’ipotesi che Deinonychus fosse un cacciatore spietato ed efficiente che cacciava in branco (con "tattiche d’assalto ben coordinate!". Addirittura nel film il paleontologo protagonista descrive la modalità di caccia, come se ciò fosse rintracciabile nei fossili... miracoli della celluloide) è diventata dogma divulgativo (nel film di Spielberg è chiamato con il nome di un suo parente stretto, ma posso assicurare da che il "raptor" del film è Deinonychus - tralascio i dettagli del perché, se qualcuno li vuole chieda pure).
Non si può negare che l’ipotesi sia emotivamente molto forte e suggestiva: oltre che affascinante, essa ben si adatta all’immagine di animali attivi ed evoluti derivante dagli studi anatomici, fisiologici e filogenetici della "rinascita mesozoica". Ma è altrettanto forte "oggettivamente"? Le evidenze che la supportano sono così chiare e incontrovertibili?
Recentemente, due paleontologi hanno criticato il modello del "branco di lupi", e, proprio sulla base di una più attenta analisi scientifica dei dati presenti, e con una dettagliata comparazione con gli animali attuali, essi giungono ad un’interpretazione differente (e probabilmente più corretta) della socialità di Deinonychus (e degli altri theropodi).
Dato che il modo col quale essi hanno smontato la "favola del branco" è squisitamente scientifico, la tratterò nel dettaglio.
Essi fanno notare che attualmente la caccia coordinata tra membri di uno stesso gruppo si osserva esclusivamente in alcuni canidi (lupi e licaoni) ed al più anche in un felide (il leone), mentre è assente nella maggioranza dei mammiferi carnivori e, sopratutto, nei diapsidi (come uccelli, coccodrilli e lacertiliani). Pertanto, come ipotesi di partenza, è più prudente assumere che Deinonychus (e gli altri theropodi) si comportassero come gli altri diapsidi, quindi non cacciassero come lupi. In mancanza di prove, affermare che essi cacciassero in gruppi coordinati è un’ipotesi superflua.
Ma esistono delle prove che Deinonychus cacciasse in gruppo? I due siti citati sopra, cosa mostrano? Nel primo, abbiamo i resti di quattro giovani Deinonychus sparsi tra le ossa di un Tenontosaurus. L’analisi geologica del sito fa scartare subito l’ipotesi che i resti furono deposti assieme da agenti fisici (inondazioni o trappole naturali). Quindi è plausibile che gli animali morirono in quel luogo. Ma morirono tutti nello stesso momento? La presenza di quattro predatori con un erbivoro fa subito pensare ad una cruenta battaglia, nella quale i Deinonychus ed il Tenontosaurus si uccisero vicendevolmente: ciò, almeno a me, appare molto irrealistico, sopratutto perché nel sito sono presenti alcuni denti di Deinonychus, apparentemente caduti da animali di taglia maggiore di quella dei quattro scheletri. Molti Deinonychus (si stima almeno dieci) erano presenti, ed almeno quattro morirono presso il Tenontosaurus: se fu una battuta di caccia, i predatori dovettero pagarla a caro prezzo. Considerando la rarità con la quale si preservano eventi di caccia nella documentazione fossile, appare molto insolito che un evento apparentemente inconsueto come una battuta di caccia finita con quattro predatori uccisi si sia conservato fino ad oggi: ciò sarebbe plausibile solo ammettendo che un simile tasso di mortalità fosse la norma nelle battute di caccia dei Deinonychus. Confrontato con i tassi di mortalità nelle battute di caccia osservate oggi, una mortalità simile è spaventosamente alta: anche per chi, come me, non ha problemi a immaginare una spietatissima competizione darwiniana durante il mesozoico (che produsse animali supercorazzati, "fortezze-viventi" e predatori giganteschi armati di tutto punto), ciò sembra molto improbabile, e suggerisce di cercare scenari alternativi più credibili. A parte ipotesi poco realistici (come quella che vede i quattro Deinonychus schiacciati dal corpo del Tenontosaurus ferito mortalmente), la spiegazione può derivare osservando il comportamento di diapsidi attuali che banchettano su una stessa grande carcassa. Sia gli uccelli, come avvoltoi, corvidi e vari tipi di rapaci, sia i varani, quando si aggregano su una carcassa tendono a combattere tra loro per stabilire la gerarchia per lo sfruttamento della preda, sia tramite comportamenti ritualizzati, sia con vere e proprie lotte. In questi casi, gli esemplari più grandi e maturi tendono ad avere la meglio, e, quando lo sconfitto è anche ferito mortalmente, i combattimenti possono sfociare nel cannibalismo.
Il cannibalismo è più diffuso di quanto si pensi di solito, ed è uno dei principali fattori di equilibrio demografico tra i predatori diapsidi, sia uccelli che coccodrilli che lacertiliani.
A questo proposito, è interessante notare che i quattro esemplari di Deinonychus sono tutti dei giovani: furono le vittime dei combattimenti contro gli adulti per la gerarchia per il possesso della carcassa? Inoltre, proprio in uno dei quattro malcapitati di sopra è stato rinvenuto all’interno dell’astuccio di tendini che ricopriva la coda (caratteristico della famiglia di Deinonychus) l’artiglio del piede di un altro Deinonychus, a riprova che questi theropodi combattevano con membri della loro stessa specie (evidentemente anche l’altro Deinonychus, proprietario dell’artiglio, deve aver fatto una brutta fine). Se questo scenario può sembrare esageratamente cruento, esso è comunque più plausibile di quello che vede i quattro morti durante una battuta di caccia di gruppo, perché ha degli analoghi attuali che fanno da plausibile metro di paragone. Chiunque abbia visto la calca di avvoltoi sopra un grosso erbivoro morto (spesso composta da decine di esemplari stipati in una massa di penne e becchi esaltata dal sangue) avrà notato con quanta aggressività gli esemplari più grandi scaccino i più piccoli: estrapolando questi comportamenti su animali pesanti anche settanta chilogrammi, armati di tre artigli a falce su tutti i quattro arti e da decine di denti seghettati, non sorprende che gli scontri potessero risultare fatali per gli esemplari più giovani o indeboliti. L’analisi degli scheletri dei quattro Deinonychus è un ulteriore indizio che questa sia la strada interpretativa più corretta: non tutte le ossa del corpo sono presenti, ma principalmente quelle delle parti anatomiche dotate di minore massa muscolare (coda e piedi): è la prova che i cadaveri dei Deinonychus furono mangiati dagli altri (più grossi) esemplari, i quali lasciarono sul terreno solo le parti più indigeste ed "ossute"?
Il secondo sito (quello con un Deinonychus e almeno 18 Tenontosaurus) offre ulteriori indizi a sostegno di questa ipotesi. Il fatto che siano presenti decine di prede, molte intatte, implica che non si tratta dei resti di una battuta di caccia (nessun animale -tranne l’uomo- uccide più prede di quante ne possa mangiare). Dall’analisi geologica e tafonomica del sito, si tratta probabilmente di un gruppo di erbivori decimato da una stagione particolarmente secca. Un indizio indiretto di ciò è dato dal differente grado di preservazione degli scheletri: il Deinonychus presente è molto frammentario e disarticolato, e, come nel primo sito, conserva sopratutto ossa della coda e degli arti; gli adulti di Tenontosaurus sono parzialmente disarticolati e smembrati; mentre l’esemplare più piccolo di Tenontosaurus è molto più articolato e completo. La spiegazione migliore di questa differenza di conservazione (non legata alla taglia degli animali, dato che l’esemplare giovanile di Tenontosaurus e il Deinonychus hanno pressapoco la stessa taglia ma opposti gradi di preservazione) può essere uno scenario simile a quello del primo sito: la differente modalità di preservazione tra i Tenontosaurus è spiegabile con il grado di disidratazione dei cadaveri nel momento della scoperta da parte dei predatori: gli adulti, più massicci e ricchi di fluidi, erano meno disidratati del giovane Tenontosaurus, e quindi risultarono più appetibili e subirono lo smembramento delle parti ancora commestibili. Il giovane Deinonychus fu probabilmente preda incauta di altri theropodi più grandi, probabilmente altri Deinonychus, dei quali si rinvengono alcuni denti.
Concludendo, l’ipotesi della caccia di gruppo, così affascinante ed accattivante perché apparentemente in linea con la generale rivalutazione dei dinosauri, si è rivelata un’estrapolazione mitologica: i dati, se analizzati nel dettaglio, non necessitano di un’ipotesi poco sostenibile dal punto di vista filetico e paleontologico. I theropodi, come tutti gli altri diapsidi (dagli uccelli moderni ai varani) tendono ad essere predatori opportunisti e solitari, fortemente gerarchici e tendenzialmente cannibali. Quello è il loro modo di essere ciò che sono, e sarebbe anti-scientifico (e probabilmente antropocentrico) cercare di forzarli ad essere delle versioni mesozoiche dei nostri due o tre modelli mammaliani preferiti.
Anche se nei primi anni della rivalutazione dei dinosauri ciò è stato fatto (e da alcuni è sostenuto ancora), non è necessario estrapolare isolati modelli etologici di alcuni mammiferi per spiegare la grande radiazione adattativa del Mesozoico, anche perché, dopo quaranta anni di consolidato successo, il Rinascimento Mesozoico non ha più bisogno di scimmiottare le produzioni cenozoiche per risultare credibile.
Bibliografia: