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Forse abbiamo sforato di poco... |
Mi rammarico del poco tempo che posso dedicare al blog in
questo periodo. Vari impegni, alcuni dei quali saranno ampiamente raccontati
sullo stesso blog, si prendono necessariamente tempo ed energie che avrei
dedicato volentieri a scrivere qui.
Un tema al quale ho dedicato molti post in passato è quello
relativo alle stime dimensionali dei theropodi, ed all’abuso che queste stime
hanno subìto divenendo feticci per insostenibili discussioni sulla lana caprina
che cresce nel mento degli angeli. Eppure, nonostante l’abbondante
mistificazione online, le stime dimensionali sono strumenti utili, se usate con
saggezza e moderazione.
In passato, ho spesso parlato delle stime dimensionali per Spinosaurus.
In quei post, ho rimarcato come molte stime ipertrofiche di quel taxon
derivassero da una grossolana estrapolazione di alcune caratteristiche corporee
di questo taxon così inusuale, in particolare la dimensione del cranio
deducibile da alcuni esemplari parziali noti esclusivamente per la regione
preorbitale. Se, come ritengo sia corretto, Spinosaurus avesse avuto un
muso molto allungato per gli standard theropodi, ne concludiamo che qualsiasi
stima delle dimensioni dell’animale basate sul suo muso tenderanno ad essere
eccessivamente grandi. Tenete a mente questo ultimo ragionamento.
Recentemente, Grillo e Delcourt (2016) hanno pubblicato uno
studio nel quale confrontano gli esemplari noti di Abelisauroidea, e producono
una serie di metodi per ottenere stime uniformi delle dimensioni corporee da
usare come metro di comparazione. Le conseguenze del loro studio sono una serie
di equazioni che stimano le dimensioni dei vari abelisauroidi in funzione di
differenti elementi ossei. Questo approccio è utile per i casi in cui due taxa
non siano preservati nelle medesime parti corporee. Ad esempio, come possiamo
confrontare Abelisaurus, noto solo dal cranio, con Xenotarsosaurus,
noto solo da elementi della gamba?
Le analisi di Grillo e Delcourt (2016) sanciscono quale sia
il più grande abelisauride noto.
No, non è Carnotaurus. No, non è Ekrixinatosaurus.
E non è nemmeno Abelisaurus.
Il più grande abelisauride noto è risultato essere l’olotipo
di Pycnonemosaurus.
Pycnonemosaurus è noto da resti frammentari: alcune
vertebre caudali ed una tibia sono le parti meglio conservate. Ammetto che
prima di vedere l’immagine che confronta le caudali e la tibia di Pycnonemosaurus
con quelle degli altri abelisauridi, non avrei scommesso su questo risultato.
Eppure, confrontato con gli altri taxa, questo abelisauride
brasiliano è effettivamente il più massiccio. Usando le formule da loro
sviluppate, Grillo e Delcourt (2016) stimano la lunghezza di quel esemplare in
quasi 9 metri. Per confronto, gli olotipi di Carnotaurus, Abelisaurus
ed Ekrixinatosaurus sono stimati essere lunghi circa un metro in meno.
Grillo e Delcourt (2016) menzionano il femore marocchino descritto di recente
da Chiarenza e Cau (2016), che noi interpretammo come appartenente ad un grande
abelisauride di dimensioni comparabili a quelle di Carnotaurus ed Ekrixinatosaurus.
Purtroppo, le loro formule non includono misure che siano ricavabili dall’esemplare
marocchino, tuttavia, siccome il femore in questione ha la stessa ampiezza alla
diafisi di Ekrixinatosaurus, si può ragionevolmente ipotizzare che anche
quel animale fosse lungo circa 8 metri.
Aldilà delle misure ottenute per i singoli esemplari e taxa,
è molto interessante l’approccio metodologico seguito da Grillo e Delcourt
(2016). Invece di proporre una singola formula per un singolo elemento “chiave”,
essi producono numerose formule per varie parti del corpo, dalle quali poi
ricavare una distribuzione di misure, all’interno delle quali stimare la
dimensione dell’animale.
Quale è il vantaggio di questo approccio? Oltre a quello,
accennato prima, di permettere di avere formule anche per animali noti da poche
ossa, esso permette di ridurre il rischio di stime “esagerate” basate su
elementi ossei anomali. Ad esempio, gli autori notano che usando le varie
formule ottenute dal loro metodo, la lunghezza corporea di Abelisaurus
risulta essere compresa tra 6.7 e 8.1 metri quando utilizzano alcune misure di
parti pre-antorbitali del cranio (lunghezza della zona iugale, lunghezza del
tetto cranio e altezza dell’orbita) mentre se utilizzano la lunghezza dell’intero
cranio, l’animale risulta avere la improbabile lunghezza corporea di 38 metri! Ovviamente,
questo ultimo valore è del tutto ridicolo e va scartato. Ma cosa ci può dire,
in generale sulla metodica di stima corporea? Innanzitutto, che la lunghezza nota
di quel cranio (che è in buona parte ricostruito) è probabilmente sbagliata, ma
anche che – qualora fosse una misura corretta - la lunghezza della testa in
questo animale è probabilmente fuorviante per stimare la sua dimensione
corporea totale. Infatti, il fatto che tutte le altre stime su elementi “conservativi”
della zona posteriore del cranio concordino verso un valore attorno a 7.4
metri, mentre la stima ottenuta includendo anche il muso risulti molto lontana
da quel valore, dimostra che utilizzare il muso come unico elemento per stimare
le dimensioni di un theropode può condurre a eccessive estrapolazioni.
Utilizzando molte stime da elementi disparati del corpo, e poi valutando la
distribuzione di questi valori, è quindi un modo saggio di stimare le
dimensioni di un animale estinto frammentario.
Bibliografia:
Chiarenza, A. A., and Cau, A. (2016). A large abelisaurid (Dinosauria, Theropoda) from
Morocco
and
comments on the Cenomanian theropods from North Africa. PeerJ, 4, e1754.
Grillo, O.N.,
Delcourt, R., Allometry and body length of abelisauroid theropods: Pycnonemosaurus
nevesi is the new king, Cretaceous Research (2016), doi: 10.1016/j.cretres.2016.09.001.