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27 febbraio 2023

PALEOART EXPERIMENT - volume 2

 Secondo episodio della serie degli esperimenti di paleoarte, dopo il primo avente come oggetto un mammifero.

Il cranio da ricostruire questa volta appartiene ad un uccello.



I partecipanti questa volta sono stati meno numerosi del primo episodio: non so se ciò sia dovuto ad una rapida disaffezione verso questo esperimento, o per la minore attrattiva del soggetto aviano. Ad ogni modo, ringrazio i partecipanti per avermi inviato le loro opere:




Anche in questo caso, ho misurato l'accuratezza stilando una lista di 16 caratteristiche anatomiche visibili nell'animale "in vivo". L'accuratezza delle ricostruzioni è mediamente superiore a quella ottenute nel primo esperimento, e si aggira tra il 50% e 82%, rispetto al 19%-60% risultato nell'esperimento precedente.

In un caso, è stato individuato con grande precisione il gruppo tassonomico di appartenenza del cranio: nondimeno, anche in quel caso, l'accuratezza non è stata assoluta (risultando comunque la massima, ovvero del 82%). Questo risultato è molto interessante, e conferma quanto discusso alla fine del precedente esperimento, ovvero che esista un "limite invalicabile" di accuratezza che non si avvicina mai al 100%.

Ecco, infine, l'animale reale: Aptenodytes forsteri, il pinguino imperatore, il più grande sfenisciforme vivente. 


Nel prossimo esperimento, ricostruiremo un rettile non-aviano.

Ringrazio i partecipanti: Andrea Morandini, Matteo Lietti, Pablo Ignacio De LaGrada, Dawid Studzinski, Lorentz WiSniewski e Marco Bianchini.

10 febbraio 2023

PALEOART EXPERIMENT - volume 1

Lo scorso mese, ho pubblicato un post in cui introducevo il concetto di "paleoarte sperimentale".

Il post ha avuto un buon riscontro, in particolare tra i follower della pagina Facebook del blog. Ne è risultata una discussione sulla fattibilità di un esperimento di paleoarte sperimentale, esperimento al quale hanno aderito alcuni lettori (in particolare, giovani paleoartisti).

Questo post descrive l'esito dell'esperimento.

Ho chiesto ai partecipanti di ricostruire l'aspetto in vita dell'animale proprietario di questo cranio:



Gli autori della ricostruzione erano inoltre invitati a includere una breve spiegazione della loro ricostruzione, sia come ispirazioni "tassonomiche" che "ecologiche". Nessuno degli autori, per partecipare, era a conoscenza della specie di appartenenza del cranio, sebbene molti abbiano intuito (o esplicitamente riconosciuto) il clade di appartenenza dell'animale. Questo fattore è stato quindi esplicitato al momento di inviarmi le opere, e ci aiuta a comprendere le differenti ricostruzioni. Il cranio, spero questo sia palese, appartiene ad un mammifero.

Non è mia intenzione fare una graduatoria "estetica" di queste ricostruzioni, anche perché non sono minimamente qualificato per giudicare l'estetica. Inoltre, lo scopo dell'esperimento non era di misurare chi fosse più esperto in ricostruzioni o nella identificazione di un cranio: nessuno nasce paleontologo, e nessuno deve sentirsi scoraggiato se la sua ricostruzione fosse poco accurata. Pertanto, non mi soffermo su commenti di tipo anatomico o naturalistico. Quale che sia la vostra valutazione delle opere, io ho apprezzato tutti i lavori e l'impegno di tutti i partecipanti. 

Tuttavia, per i fini stessi dell'esperimento, è necessario "quantificare" il grado di accuratezza (ovvero, aderenza al reale) di ogni opera. Pertanto, ho stilato una lista di 16 elementi anatomici che definiscono l'animale reale: ogni opera è stata quindi "valutata" in base al numero di elementi anatomici risultati corrispondenti a quelli della specie reale. Questa misura quindi non serve a fare una graduatoria di "scientificità" delle opere, ma solo a misurare il grado di accuratezza dell'intero campione dato dalle opere.

[1] 'Concavità naso-fronte': in vista laterale, una flessione del muso al passaggio dalla fronte alla regione nasale.

[2] 'Bocca inclinata anteroventralmente': in vista laterale, l'angolo che la bocca chiusa descrive rispetto all'asse lungo della testa.

[3] 'Colore della zona nariale': se corrisponde o no con l'animale reale.

[4] 'Colore della zona boccale': se corrisponde o no con l'animale reale.

[5] 'Colore dell'occhio': se corrisponde o no con l'animale reale.

[6] 'Posizione dell'apice dei padiglioni auricolari': postura delle orecchie, se erette o cadenti.

[7] 'Padiglioni rivolti in avanti': direzione del padiglione, se anteriore, laterale o posteriore.

[8] 'Orecchie pelose': presenza o meno di pelliccia sui padiglioni.

[9] 'Colore  nuca': se corrisponde o no con l'animale reale.

[10] 'Colore guance': se corrisponde o no con l'animale reale.

[11] 'Colore della regione periorbitale': se corrisponde o no con l'animale reale.

[12] 'Pelo folto': densità della pelliccia.

[13] 'Assenza di criniera': presenza o meno di una criniera lungo nuca e collo.

[14] 'Naso protrude rispetto alle labbra': posizione dell'apice della zona nariale rispetto alla bocca.

[15] 'Vibrisse orali': presenza o no nella ricostruzione.

[16] 'Vibrisse occhi': presenza o no nella ricostruzione.

Ed ecco le opere che mi avete inviato:

Gli autori sono ringraziati a fine post




La maggioranza degli autori ha dichiarato di aver colto/riconosciuto/identificato nel cranio un marsupiale, e che questo elemento tassonomico ha inciso sulle loro ricostruzioni. Un autore ha prodotto due ricostruzioni, secondo due modelli alternativi di marsupiale. In generale, le ricostruzioni si differenziano per dettagli quali la colorazione, la posizione, forma e inclinazione dei padiglioni auricolari, per la lunghezza e densità della pelliccia. Due ricostruzioni azzardano una morfologia in parte simile a quella di un ungulato, pur mantenendo l'animale dentro fattezze generali da marsupiale. In alcuni casi, l'autore ha dichiarato che l'animale ricostruito abbia una ecologia terricola adatta a contesti aperti e relativamente asciutti. In un caso, l'animale è esplicitamente ricostruito con fattezze da macropodide terricolo (come il canguro rosso).

So che la vostra pazienza si sta esaurendo: è arrivato il momento di mostrare l'animale reale.

05 febbraio 2023

La abominevole biologia di "Teratitan maximus", il più grande dinosauro di tutti i tempi

 

(c) Mark Hallett

I sauropodi giganti ci intrigano assai. Essi sfidano le leggi della fisica e il nostro stesso senso della misura. Quanto potrebbe essere grande il più grande di tutti i dinosauri? A questo animale colossale, che probabilmente non troveremo mai conservato nella documentazione fossile, diamo qui il nome di Teratitan maximus, il super-sauropode massimo. Siccome è un nome di fantasia, privo di valore tassonomico, non lo scrivo in corsivo. 

Dato che tutti i dinosauri super-giganti sono sauropodi, anche Teratitan è ipotizzato appartenere a Sauropoda. In questo post, non ci interessa troppo stabilire a quale sottoclade di sauropode appartiene Teratitan: potrebbe essere un titanosauro, un brachiosauride, un diplodocoide oppure un mamenchisauride, poco importa per la nostra discussione teorica.

La prima questione da risolvere è quanto sia grande un adulto maturo di Teratitan, ovvero, quale sia il limite massimo teorico possibile per un super-sauropode.

Hokkanen (1986) discute le dimensioni massime teoriche negli animali di terraferma e stima che la massa di questi giganti sia all'interno del range 100-1000 tonnellate. Raffinando i calcoli, l'autore propone che il valore più accurato per tale massa sia di 140 tonnellate: tuttavia, in alcuni calcoli ammette possibili anche valori come 600 tonnellate o persino valori anche maggiori (alcune migliaia di tonnellate). In quei casi, fa notare l'autore, valori così estremi sono puramente teorici, dato che implicano un animale statico e del tutto immobile, incapace di muoversi.

Consideriamo l'ipotesi di un sauropode di 140 tonnellate: è fantascienza? Forse no. Per semplicità, usiamo un sauropode per il quale è noto gran parte dello scheletro, ovvero Giraffatitan. Questo sauropode è conosciuto in particolare grazie a due esemplari, dai quali è stato tratto il celebre scheletro esposto a Berlino. I due animali sono di dimensioni simili, lunghi intorno ai 20-25 metri (in un secolo di discussioni su questo materiale, al brachiosauro berlinese sono state attribuite varie stime sia di lunghezza  che di massa, ma non ci interessa qui cavillare troppo sui valori precisi). Assumendo provvisoriamente che Teratitan abbia le medesime proporzioni corporee di Giraffatitan, i calcoli ci dicono che un animale di 140 tonnellate richiede un brachiosauride lungo circa 40 metri. Questo valore, per quanto enorme (è quasi il doppio lineare dell'esemplare berlinese) è comunque dentro il range delle stime proposte negli anni per alcuni celebri super-sauropodi, come Amphicoelias fragillimus e Seismosaurus. Quindi, Teratitan, per quanto incredibilmente gigantesco, non sembra essere troppo oltre valori che, almeno teoricamente, sono stati proposti in letteratura.

Per curiosità, se ammettiamo il limite teorico massimo della massa intorno a 600 tonnellate, ed usiamo il modello "Giraffatitan" come piano corporeo, otteniamo un animale con la spaventosa lunghezza di 65 metri, due volte un grande diplodocide!

Come Hokkanen (1986) rimarca alla fine del suo articolo, ci sono limiti biologici che rendono molto improbabile che sia mai esistito un super-sauropode pesante qualche centinaio di tonnellate. Un sauropode di 600 tonnellate sarebbe praticamente immobile, dato che le ossa degli arti sarebbero a malapena in grado di reggere il suo enorme peso. Tuttavia, per quanto corretto come motivazione contro un super-sauropode di quella taglia, tale vincolo fisico sarebbe percepito solamente nella fase matura della vita dell'animale, ma non alla nascita né durante buona parte della sua crescita, quando l'animale ha dimensioni più "normali".

Immaginiamo un ciclo biologico estremo per Teratitan, in sintonia con le sue dimensioni estreme: l'animale potrebbe essere stato un "sauropode classico" durante l'età giovanile e subadulta, per poi "rallentare" nelle prestazioni locomotorie mano a mano che cresceva, fino a diventare, da adulto, un animale "sessile", ovvero fisso in un punto, una sorta di gigantesca montagna di carne stazionaria. Avrebbe senso biologico questo tipo di animale? Potrebbe funzionare biologicamente, e sopravvivere?

Un sauropode di 600 tonnellate, lungo 65 metri, permanentemente fermo, avrebbe un problema di approvvigionamento alimentare non indifferente. Esso potrebbe restare immobile al centro di una foresta e foraggiare intorno a lui per un raggio di 20-30 metri (lunghezza del suo collo) consumando tutta la vegetazione circostante, creando una radura priva di piante attorno al suo corpo. Non spostandosi, tutti i suoi escrementi si accumulerebbero ai piedi della sua cloaca (posizionata a circa 15 metri da terra), realizzando rapidamente una colossale montagna di letame che sarebbe rapidamente invasa da insetti e altri piccoli animali coprofagi. Questa montagna di letame potrebbe quindi attirare una comunità animale che potrebbe "ripulire" la lettiera del gigante. Tuttavia, una volta "consumata" la zona vegetata attorno all'animale, questi non avrebbe più una fonte di cibo sufficiente per vivere. Possiamo quindi immaginare che, una volta raggiunta l'età adulta e uno stile di vita sessile, il nostro super-gigante cambi la propria biologia ed ecologia, ad esempio cambiando dieta? Se l'animale non può spostarsi per consumare nuovo cibo vegetale, potrebbe fare in modo che il cibo vada da lui? Non certo attirando il cibo vegetale, che è immobile come lo stesso Teratitan, ma forse del cibo mobile, ovvero animale? Teratitan potrebbe quindi essere una versione dinosauriana di una colossale pianta carnivora, che attira animali verso di sé per poi ucciderli e nutrirsene? Ad esempio, un enorme sauropode immobile potrebbe essere visto come qualcosa di molto attraente per orde di theropodi giganti (che comunque sarebbero 50-100 volte più piccoli dello stesso Teratitan). Sappiamo da molti bonebed che i grandi theropodi aggregavano in un medesimo punto se spinti dalla fame ed attirati da grandi accumuli di carcasse: potrebbero quindi questi predatori costituire una fonte di cibo per Teratitan se il sauropode simulasse di essere una montagna di carne morta? 

Il super-sauropode potrebbe emettere un odore simile a quello della carne in putrefazione, per attirare grandi dinosauri carnivori, per poi ucciderli con un colpo della sua gigantesca coda lunga 20-30 metri. Che scena horror...

Per quanto l'idea di un sauropode gigantesco che si comporta come una colossale pianta carnivora, emanando un fetore di morte per attirare ignari theropodi giganti e producendo una montagna di letame appare come una delle immagini più abominevoli che la mia mente malata abbia mai prodotto, il mio lobo prefrontale scientifico solleva una obiezione teorica prima ancora che estetica contro tale scenario: come si riprodurrebbe Tetatitan?

Se l'animale è immobile, come fa a trovare un partner per accoppiarsi? Tralasciamo per ora la questione ed ammettiamo che ogni animale riesca a produrre uova "in autonomia", asessualmente, quindi che si riproduca per partenogenesi come in certe specie di lucertole (quindi, Teratitan sarebbe una specie composta da sole femmine): queste uova sarebbero comunque deposte sul posto (e per giunta, in mezzo alla montagna di letame!) rendendo la riproduzione di Teratitan, eufemisticamente, poco efficiente (il letame è un ambiente poco salubre sul piano chimico-biologico per garantire una sana maturazione delle uova). In alternativa, Teratitan potrebbe essere ovoviviparo (e partenogenetico), quindi trattenere le uova dentro l'ovidutto per poi generare prole viva che si allontanerebbe immediatamente dall'adulto subito dopo la nascita. Un Teratitan di 600 tonnellate potrebbe produrre migliaia di piccoli all'anno, ognuno del peso di una decina di chilogrammi: una simile strategia riproduttiva, per quanto raccapricciante, potrebbe funzionare in termini brutalmente darwiniani? In fondo, è così che si riproducono alberi, coralli e altri organismi poco mobili, generando un numero astronomico di piccolissimi discendenti mobili.

In alternativa, è possibile che Teratitan smetta di riprodursi una volta raggiunto lo stadio sessile, ovvero che la fine della mobilità corrisponda ad una "senilità sterile": l'animale si riprodurrebbe solo nell'età giovane (quando è grande come un "classico" sauropode gigante) e da adulto maturo si limiterebbe a mangiare e crescere di dimensioni. Dal punto di vista darwiniano, una simile strategia sarebbe evolutivamente fallimentare, dato che, a parità di energie riproduttive consumate, un sauropode che muore da giovane avrebbe un successo riproduttivo uguale a quello di un animale longevo: a quel punto, sarebbero selezionati individui che si riproducono nell'età giovanile e poi muoiono, rispetto ad individui che continuano a vivere e crescere, divenendo immobili ma senza più riprodursi. Pertanto, ho il sospetto che una strategia biologica da "gigante immobile", prima ancora che risultare raccapricciante in termini di produzione di escrementi e tecniche di caccia "da pianta carnivora" sarebbe fallimentare per questioni più squisitamente microevolutive: tutte le soluzioni adattative spese per mantenere in vita un adulto sterile sono alla lunga sfavorite rispetto a qualsiasi alternativa che aumenti il tasso di riproduzione nelle fasi giovanili mobili e feconde.

In conclusione, forse, più che i vincoli biomeccanici (che sono di solito invocati in questo tipo di discorsi teorici) sono le motivazioni evoluzionistiche (riproduttive e popolazionali) ad impedire il raggiungimento di dimensioni estreme (sopra le 100 tonnellate) nei sauropodi massimi.


23 gennaio 2023

Paleoarte sperimentale

La Paleoarte è l'insieme delle rappresentazioni iconografiche di specie ed ambienti del passato paleontologico. La parola unisce il termine paleo (che rimanda alla paleontologia, quindi alle scienze naturali, quantitative e sperimentali) e arte (che rimanda alla libertà creativa, all'estro e alla maestria dell'esecuzione). 

Le opere di paleoarte sono per me tutte, ed in particolare lo sono quelle realizzate da artisti dall'indiscutibile talento esecutivo, fonte di frustrazione, perché non avremo mai modo di verificare se ciò che hanno rappresentato sia effettivamente una fedele ricostruzione dei soggetti paleontologici.

Qualcuno dirà che comunque la paleontologia sta facendo progressi enormi nell'analisi e interpretazione dei fossili, e che mai come oggi abbiamo un'immagine scientificamente solida delle specie fossili. Sì, è vero, i progressi della paleontologia hanno fornito informazioni che fino a pochi anni fa parevano impossibili da determinare, come la presenza di piumaggio e la stima di alcune (ma non tutte!) le tonalità della pelle di alcune specie, e questo ha permesso ai paleoartisti di raffinare le loro opere, e di aggiungere elementi di "solida oggettività" a dettagli che prima parevano condannati in eterno al puro estro soggettivo dell'artista. Ma ciò non cambia la sostanza: la grande maggioranza dei dettagli di un animale estinto è andata perduta, e noi non potremo mai sapere se e quanto le nostre rappresentazioni si avvicinino all'originale vissuto milioni di anni fa.

Non disponendo di una macchina del tempo, non possiamo andare nel Mesozoico per verificare se il dinosauro da noi illustrato fosse effettivamente con quella postura, con quel tegumento, con quel colore, con quella corporatura, né se il suo occhio fosse acceso, oppure spento, vivo, oppure apatico, freddo, oppure emotivo, feroce oppure ottuso, né possiamo sapere se e come correggere errori che se fossero commessi nell'illustrare un animale vivente considereremmo piuttosto grossolani.

Per un ricercatore con una formazione scientifica come me, questo elemento di "non testabilità" della paleoarte è molto frustrante, specialmente nei casi di opere molto ben eseguite, così dette "accurate" e accattivanti da illuderci di essere "reali". Mi domando, quanto è effettivamente realistica una rappresentazione "iper-realistica"? Esiste un modo per testare il grado di "affidabilità" di una ricostruzione paleoartistica se non abbiamo modo di osservare l'oggetto della rappresentazione?

Ripeto, dal mio punto di vista, tutto questo è molto frustrante. E proprio riflettendo su quello che appare come un limite invalicabile e insuperabile della paleoarte mi sono domandato se sia possibile simulare la paleoarte in modo da "testarne" l'accuratezza in modo indiretto. Ovvero, mi sono chiesto se esista un modo per testare la capacità predittiva e la potenziale accuratezza della paleoarte, un modo che ci permetta di confrontare la ricostruzione con l'oggetto della ricostruzione. Badate bene, questa non è solo una domanda astratta e teorica, perché qualora fosse possibile realizzare questo tipo di "test", ne ricaveremmo un utile strumento per identificare i nostri limiti e per correggere eventuali errori ricorrenti.

Alla fine di questa riflessione, ho realizzato che un modo per testare la paleoarte esiste, ed è molto meno astratto e astruso di quanto si possa pensare: molto semplicemente, se applicassimo l'approccio paleoartistico ad uno scheletro di animale ancora esistente, senza conoscere le fattezze "in vita" dell'animale, avremmo simulato la tecnica paleoartistica e la nostra "qualità paleoartistica" su un soggetto biologico reale, quindi verificabile.

Non potendo chiedere a colleghi paleoartisti di sprecare il loro tempo nello svolgere un simile test, ho deciso di "testarlo" su me stesso. Ovvero, usando me stesso come "cavia paleoartistica" (pur non essendo io un vero paleoartista) ho scelto tre crani di tetrapodi viventi, da un archivio online, senza verificare a quale specie appartengano né cercando foto delle specie in vita. Partendo da queste tre foto di crani, e niente altro, ho realizzato tre ricostruzioni "pseudo-paleoartistiche" di queste specie. Ripeto: mentre realizzavo le ricostruzioni non avevo la minima idea a quali animali le specie appartenessero. Sì, ho colto a grandi linee i gruppi di appartenenza, ma non sono in grado di risalire alle loro specie (cosa che, sospetto, sia competenza solo degli zoologi specializzati proprio su quelle specie). 

Infine, una volta realizzate le "ricostruzioni", ho controllato a quale specie appartenevano i tre crani e ho confrontato le mie opere con le immagini reali di questi animali.

Questi sono i tre crani:

Tre crani di tetrapodi "misteriosi": quale era il loro aspetto in vita? (fonte: Digimorph)


Ecco i risultati:

Il primo cranio appartiene ad uno squamato, Pogona vitticeps


Notare che nella mia ricostruzione ho sottostimato le dimensioni di narice e meato auricolare, e non abbia considerato la possibilità che la pelle fosse "spinosa", mentre ho speculato una colorazione più vistosa di quella reale.


Il secondo appartiene ad un anfibio ceciliano, Typhonectes natans:


Qui devo lamentarmi solo con me stesso, perché pur avendo riconosciuto che l'animale avesse occhi ridotti (come tutti i ceciliani) ho voluto dargli un occhio "funzionale" a differenza dell'occhio vestigiale dell'animale reale. Anche la pelle appare più "rettiliana" che da anfibio. In complesso, ho dato all'animale un aspetto troppo da serpente e poco da anfibio.


Il terzo appartiene ad uno squamato, Rhacodactylus auricolatus:


In questo caso, ho sottostimato le dimensioni del bulbo oculare (e non ho considerato la possibilità di una pupilla verticale), ho immaginato una qualche ornamentazione nasale, ma non ho immaginato le creste della zona postorbitale che danno alla specie il nome "auricolatus", ed ho immaginato una sacca golare inesistente. Come nel primo squamato, ho sottostimato le dimensioni del meato acustico. Notare che anche questo, come l'altro squamato, ha una geometria delle squame differente rispetto all'originale.


Che conclusioni trarne? Mi pare presto per trarre conclusioni. Il numero di "test" è troppo piccolo per fare delle generalizzazioni, ed inoltre tutte le opere sono state realizzate dalla stessa persona (il sottoscritto) quindi non è chiaro quanto di questi risultati sia manifestazione di "bias" personali tipici di Andrea Cau e quanto sia invece una genuina tendenza generale della paleoarte attuale. Ad esempio, la ricostruzione dell'anfibio potrebbe essere in parte "viziata" dal fatto che io non sono abituato a ricostruire anfibi, e quindi tendo più o meno consciamente a "rettilizzare" ogni specie. Cosa sarebbe successo se il test fosse stato svolto da altri?

Sarebbe molto interessante avere altri test, realizzati da altri autori (sia paleoartisti professionisti che non) così da avere un qualche campione diffuso da cui poter ricavare qualche informazione interessante.

Se qualcuno vuole cimentarsi, è benvenuto: vi basta ripetere l'esperimento su voi stessi, ovviamente usando crani di altre specie (e comunque, specie che non possiate associare immediatamente ad un aspetto in vita, altrimenti il risultato sarebbe falsato). L'importante è non barare, non è una gara a chi ricostruisce in modo più corretto, ma piuttosto un modo per individuare eventuali bias ricorrenti nelle nostre rappresentazioni.