Mi capita di parlare con appassionati di scienze naturali sulla rivoluzione concettuale che sta dietro la "nuova" terminologia filogenetica. Spesso, le discussioni vertono sulla critica, da parte dell'interlocutore, nei confronti delle "riforme terminologiche". Perché dovremmo abbandonare certi nomi tradizionali che usiamo comunque nel linguaggio colloquiale, per usare questi nuovi, astrusi ed apparentemente bizantini termini del linguaggio "cladistico"? Perché non dovremmo continuare a usare la parola "rettile" per i dinosauri del Mesozoico, e lasciare gli uccelli fuori da quel termine? Perché complicarci la vita, perché creare termini astrusi come "dinosauro aviano", "coelurosauro non-aviano", "aviale non-aviano", che sono solo paroloni modaioli ma che di fatto non hanno portato alcuna novità o miglioramento concreto alla disciplina? Dopo tutto, un dinosauro resta un dinosauro, sia che lo chiamiamo "dinosauro" che "stem-Aves".
La risposta è che la rivoluzione terminologica è una conseguenza di una rivoluzione concettuale, e non il contrario. Purtroppo, come spesso accade, le trasformazioni più appariscenti sono quelle secondarie e derivate, non quelle "concrete". E da ciò nasce la risposta "conservatrice" dei mie interlocutori, che criticano la scorza colorata senza vedere l'interno della costruzione.
Per capire il senso del cambiamento concettuale epocale, partiamo dalla differenza tra "Reptilia" tradizionale e "Reptilia" filogenetico (cladistico).
"Reptilia" filogenetico è un clade, ovvero un insieme di specie discendenti da un antenato comune, ricavato da un'indagine di tipo filogenetico, un insieme comprendente tutti i discendenti di quell'antenato, senza arbitrarie definizioni di chi e come debba essere incluso o escluso da quel gruppo.
"Reptilia" tradizionale è un grado, ovvero un insieme di specie imparentate accomunate da una combinazione di caratteristiche scelte in modo arbitrario e dal non presentare altre caratteristiche scartate in modo arbitrario.
Perché "Reptilia" tradizionale sarebbe da evitare? Dopo tutto, i nomi sono comunque categorie arbitarie, forgiate dall'uomo per le sue esigenze di comunicazione: e se quel mix di caratteri usato per stabilire la categoria risponde alle nostre esigenze linguistiche, perché abolirlo?
Il motivo è che le parole sono "vive" ed "attive", almeno nella mente umana. Le parole acquistano potere e possono forgiare le menti, plagiare i modi di vedere e quindi agire come "realtà". Pertanto, una parola non è solamente uno strumento passivo, ma è anche e sopratutto una creatura che interagisce con i suoi simili in quell'ambiente virtuale avente i cervelli umani come hardware. E come un virus informatico fa impallare il computer, un "virus concettuale" può impallare le menti, rendendole inoperative o limitandone le prestazioni. O, peggio, inducendole verso comportamenti negativi.
Torniamo al "Reptilia" tradizionale. Il nome "grado" che definisce proprio le categorie tradizionali, contrapposto a "clade", non è scelto a caso. "Grado", infatti, è etimologicamente e concettualmente legato a "gradino", il quale è una parte di un sistema più ampio, e più chiaramente strutturato, chiamato "scala". Se "Reptilia" tradizionale è accettato come un grado naturale, allora la sua accettazione implica l'accettazione, più o meno inconscia, dell'intera serie dei gradini: la Scala Naturae.
La Scala Naturae altro non è che la manifestazione tassonomica dell'antropocentrismo e dello sciovinismo insito nella natura umana. La Scala Naturae afferma (e conferma) la superiorità umana in base ad una forzatura interpretativa dei dati. La Scala Naturae è una forma di riduzionismo finalista che colloca ogni forma vivente lungo una singola traiettoria dispiegata linearmente in uno spazio virtuale ed arbitrario ordinato sulla base di una semplice relazione, la quale, fuori dall'ipocrisia, è traducibile come: esiste una "complessità" intrinseca nei viventi la cui misura è data dalla somiglianza con l'uomo. Tanto più una forma è simile all'uomo (meglio se maschio caucasico), tanto più quella forma è in "alto" lungo la Scala Naturae, è "migliore", è "superiore".
Pertanto, la Scala Naturae non è una rappresentazione oggettiva della diversità vivente ma una espressione soggettiva di un desiderio di ordine consolatorio che ci pone all'apice della serie da noi stessi definita. La Scala Natura è quindi una costruzione ideologica, particolarmente violenta (non solo sulle categorie concettuali), perché forza la molteplicità nella linearità.
L'abbandono della Scala Naturae, e quindi di una visione soggettiva della diversità naturale, conduce alla sistematica filogenetica, nella quale la scala viene abbandonata, e quindi i gradini abbandonati, e quindi i Gradi abbandonati.
Questo è il motivo profondo per cui è bene abbandonare la nomenclatura tradizionale gradista (quindi antropocentrista e finalista) per una visione cladista: per liberare noi stessi dalla autoreferente e consolatoria illusione di essere i primi della classe... in base a criteri da noi stessi definiti per risultare tali. In breve, abbattare la Scala (e i gradini che la formano) è un atto fondamentale, anche solo concettuale, per diventare più maturi e responsabili (non solo verso la Natura, ma anche verso noi stessi), qualcosa di cui si ha sempre più bisogno.