Esiste una pluralità di
linguaggi, e di modi di utilizzare tale linguaggi.
La paleontologia, ed in
generale la conoscenza scientifica, può essere comunicata con
innumerevoli modalità. Prendendo esempio dalla mia esperienza
personale, ho comunicato la paleontologia in:
- presentazioni per il pubblico generico (“dai 6 ai 99 anni”, per usare un sottotitolo di una di queste presentazioni)
- caffè scientifici
- interviste radiofoniche (quelle volte in cui mi è stato proposto, ho sempre rifiutato di andare in tv)
- interviste telefoniche per report giornalistici
- presentazioni in mostre tematiche
- post non-tecnici su blog
- post tecnici su blog
- lezioni e seminari per corsi di laurea
- workshop per corsi di dottorato di ricerca
- articoli scientifici divulgativi su riviste non soggetti a revisione paritaria
- articoli scientifici tecnici su riviste soggetti a revisione paritaria
Come vedete da questo non
completo elenco di modalità, grossolanamente ordinata per livello di
dettaglio tecnico, esiste una gamma molto eterogenea di contesti in
cui parlare di paleontologia. Ogni contesto ha i suoi modi e
linguaggi, leggi scritte e non scritte, convenzioni e attori. Sarebbe
ingenuo e riduttivo usare il medesimo approccio in ogni diverso
contesto, e difatti una obiezione che spesso rimprovero ad altri
“comunicatori” è la relativa monotonia linguistica e stilistica.
Non si può scrivere un post su un blog fingendo di preparare un
articolo per Nature, e non si deve parlare ad un pubblico generico
fingendo di essere ad un Congresso Internazionale di filogenetisti.
Non si può considerare “comunicatore scientifico” qualcuno che
si limita esclusivamente a riportare in modo semplificato delle
informazioni di seconda mano. Al tempo stesso, non è corretto ed
onesto sproloquiare in tecnicismi e forbite allusioni quando il
proprio interlocutore manca degli strumenti per apprezzare tale
messaggio: si riduce il monologo ad un soliloquio, ad una sublimata
autoreferenza mentale nella quale si vuole solo dare sfoggio della
propria erudizione. Sia chiaro, c'è chi concepisce i propri post e
conferenze in quel modo, e ne ha diritto: ma a quel punto dovrà
riconoscere che si è esplicitamente tagliato fuori dal “pubblico”,
dalla collettività e dall'agire in seno ad una comunità più ampia
e complessa. Il post tecnico ha come target un sottoinsieme di
lettori diverso da quelli a cui è rivolto il post non-tecnico: il
pluralismo linguistico e stilistico è quindi, a mio avviso, un
elemento necessario al comunicatore scientifico, anche se questi si
pone come “elitario”.
Questo bagaglio di
esperienza e conoscenza, ma anche di dote innata (non tutti sono
portati alla scrittura, o al tavolo di un “aperitivo scientifico”,
o alla platea di un congresso... e niente uccide un tema interessante
quanto una pessima esposizione frutto di incapacità comunicativa o
della scarsa “attitudine” a porsi verso gli ascoltatori e
lettori), è un carattere fondamentale che occorre al comunicatore
scientifico. Non basta “saper scrivere”, non basta “conoscere
la materia”; entrambe sono condizioni necessarie ma non sufficienti
alla comunicazione scientifica: bisogna anche avere un feeling
con il proprio pubblico, di qualunque livello esso sia (e di livelli
ne abbiamo tanti).
L'auto-referenza, il
parlare solo a sé stessi (o ad una ristretta cerchia di iniziati)
non porta alcunché alla società dentro la quale il ricercatore e
divulgatore è inserito e da cui trae la legittimazione e
motivazione.
La Scienza è un atto di
amore da condividere, non una pratica erotica autoreferenziale.
Molto interessante, ..e mi viene automatico domandare se quanto espresso sopra possa valere, in un certo qual modo, anche per il paleoartista: saper essere un "comunicatore" provvisto di pluralismo illustrativo e stilistico, al quale non basta "saper disegnare" e "conoscere la materia", ma necessita della dote innata e capacità di realizzare le sue opere per target differenti (insomma, più o meno..). Mi farebbe molto piacere una tua opinione a riguardo Andrea, te ne sarei grato! Grazie in anticipo. Fabio
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