La convergenza evolutiva (la somiglianza tra specie non dovuta a parentela diretta) è una delle più evidenti manifestazioni dell’evoluzionismo darwiniano. Se, come ritiene la teoria darwiniana, l’ambiente è l’agente selettivo primario della morfologia animale, è chiaro che organismi sottoposti ad analoghe condizioni ambientali evolveranno morfologie simili, indipendentemente che essi siano imparentati o meno. Questa è la concezione teorica, riassunta all’osso. Gli “amanti delle convergenze-sempre-e-comunque” affermano che la filogenesi è poco importante, perché è sempre possibile che un’apparente somiglianza sia solo il prodotto della convergenza, e che quest’ultima, proprio in virtù della sua potenza plasmatrice, sia in grado di sovrastare la parentela nel costruire un organismo. Non occorre questo post per sottolineare che chi fa queste affermazioni è molto ingenuo. Si fa presto a riempirsi la bocca con delle argomentazioni da naturalista di serie B, il difficile è dimostrare, nella pratica, cosa sia una convergenza e come si possa stabilirne l’origine. Qui si dimostra il limite delle critiche che ho appena citato. Infatti, nella realtà dei fatti, nell’azione scientifica, come si può determinare un’eventuale convergenza evolutiva? Come stabilire se due specie animali molto somiglianti sono tali per convergenza? Se i fanatici delle convergenze sono così bravi a lodare l’onnipresenza della convergenza, quale metodo oggettivo hanno per determinarne la presenza? Anch’io riconosco la grande abbondanza delle convergenze, ma non come “assioma” col quale interpretare meccanicamente i dati, bensì come constatazione derivata dall’osservazione. Infatti, se siamo tutti bravi a dire che le pinne di squali e delfini sono convergenti, non siamo tutti così bravi a stabilire moltissimi altri casi, sia attuali che fossili.
Paradossalmente, il migliore metodo scientifico per stabilire quando avvenga la convergenza evolutiva è proprio quello che i “fanatici” delle convergenze odiano più di ogni altra metodologia: è l’analisi filogenetica. Un’analisi filogenetica, infatti, valuta la distribuzione di tutti i caratteri, senza curarsi (all’inizio del processo) di quali siano convergenze e quali invece siano dovute a parentela diretta. Tuttavia, proprio perché parte ignorando quali tratti siano convergenti e quali no, l’analisi filogenetica riesce a determinare le convergenze: infatti, se una medesima combinazione di caratteri compare in punti distinti e lontani dell’albero ottenuto dall’analisi, l’unica interpretazione sensata che possiamo dare a questo fenomeno è che sia il risultato di processi separati di evoluzione convergente. Il metodo filogenetico, invece di discutere a vuoto su come e quando possa avvenire la convergenza, evitando di creare delle inutili tautologie aprioristiche come le “nicchie ecologiche”, fa l’esatto opposto dei suoi critici: valuta i dati, costruisce modelli, ed interpreta i risultati.
In conclusione, una convergenza evolutiva non può mai essere invocata a priori, ma è sempre una conseguenza a posteriori di un’indagine filogenetica. Qualsiasi altro metodo per stabilire le convergenze è destinato a fallire, perché assumerebbe a priori ciò che invece deve individuare a posteriori.
Tornando ai nostri cari fossili, oggi parlerò di una simpatica storia di sviste e di bizzarre convergenze evolutive.
Chatterjee (1993) descrive un cranio di arcosauro dal Triassico Superiore del Nordamerica. Sulla base di una serie numerosa di caratteri derivati, tra cui l’assenza di denti e la morfologia della regione posteriore del cranio, egli attribuì il fossile ad un nuovo theropode, Shuvosaurus, che collocò in Ornithomimosauria. Tale ipotesi suscitò subito un acceso dibattito, in quanto, fino ad allora, nessun Ornithomimosauro era stato rinvenuto in strati più antichi del Cretacico. L’esistenza di un ornithomimosauro triassico, infatti, implicherebbe che numerose altre linee di theropodi imparentati con essi, tra cui tutte le linee principali di Coelurosauria, dovrebbero essersi differenziate nel Triassico, ovvero, almeno 70 milioni di anni prima della loro più antica traccia fossile. Per rendere l’idea di tale paradosso, l’enigmatico Shuvosaurus sarebbe inatteso come scoprire un fossile di Smilodon (la nota tigre dai denti a sciabola) nella fauna di Hell Creek (con Tyrannosaurus e Triceratops)!
Immediatamente, sorsero alcune interpretazioni del fossile, volte a spiegarne l’esistenza alla luce della grandissima quantità di dati contrari ad una presenza di coelurosauri derivati nel Triassico. Le due interpretazioni più plausibili furono quella di Rauhut (1997, 2003) che interpretò Shuvosaurus come una nuova forma di coelophysidae privo di denti per convergenza con gli ornithomimidi; e quella di Long & Murry (1995) che proposero di considerare Shuvosaurus (un cranio privo di corpo) come la testa mancante di Chatterjeea, un arcosauro imparentato con i coccodrilli, scoperto nella stessa formazione di Shuvosaurus. In entrambi i casi, veniva eliminato il paradosso temporale, ammettendo un fenomeno di convergenza evolutiva molto spinta tra un rettile triassico ed uno cretacico in seguito ad adattamenti alimentari simili. Tuttavia, in assenza di nuovi dati, non era possibile risolvere l’enigma, e, sopratutto, determinare a quale gruppo attribuire Shuvosaurus: un theropode primitivo simile ad un ornithomimide, oppure un bizzarro parente dei coccodrilli simile ad un theropode sdentato?
Recentemente, la descrizione di un nuovo rettile dal Triassico Superiore del Nordamerica ha risolto l’enigma: Effigia (Nesbitt & Norell, 2006). Il cranio di Effigia è molto simile a quello di Shuvosaurus, a dimostrazione che i due animali sono parenti molto stretti. Tuttavia, a differenza di Shuvosaurus, Effigia è noto anche per quasi tutto il resto dello scheletro, il quale si è rivelato essere molto bizzarro. Effigia ha un curioso mix di caratteri da theropode (in particolare da ornithomimidae) al livello del cranio e del collo, e da crurotarso (il gruppo di arcosauri che comprende i coccodrilli) sopratutto nelle vertebre e negli arti, che ne fa una strana creatura bipede, senza denti, con arti anteriori ridotti ed ossa cave.
A quale gruppo di animali appartiene Effigia? Era un theropode primitivo, simile ad un coccodrillo, che stravolge le nostre idee sull’origine dei theropodi, oppure un bizzarro coccodrillo simile ad un theropode?
L’analisi filogenetica avvalora potentemente la seconda ipotesi: anche se presenta una serie molto affascinante di somiglianze con alcuni theropodi, Effigia conserva, nella maggioranza del suo scheletro, i tratti tipici dei crurotarsi triassici. La totalità dei caratteri considerati, non solo quelli a favore di una affinità con qualche gruppo particolare, va a favore di una parentela con i crurotarsi. Pertanto, Effigia è un crurotarso divenuto simile agli ornithomimosauri per convergenza. Ipotizzare che sia un bizzarro ornithomimide simile ad un coccodrillo implicherebbe invece un numero molto più elevato di processi di trasformazione evolutiva e di perdita secondaria di tratti tipici dei dinosauri, e creerebbe un enorme paradosso temporale (discusso all’inizio del post), difficilmente giustificabile con i dati attuali.
L’interpretazione più parsimoniosa, basata sull’analisi filogenetica, oltre a concordare con l’età del fossile, è a favore della convergenza evolutiva tra il crurotarso Effigia e gli ornithomimidi, probabilmente per adattamento a simili pressioni alimentari, e rende altamente improbabile una parentela diretta tra i due tipi di animali.
Questo episodio dimostra che non è vero, come pensano alcuni, che le analisi filogenetiche non tengano in considerazione le convergenze, o che i due approcci siano in contrasto: l’analisi filogenetica è invece il metodo principale per l’individuazione rigorosa delle convergenze. Ovviamente, una volta determinate in modo rigoroso, è compito di altre branche della zoologia (ecologia, e biologia dello sviluppo in particolare) stabilire come e perché siano comparse queste straordinarie somiglianze in animali non imparentati.
Bibliografia:
Chatterjee, S. 1993 Shuvosaurus, a new theropod. Natl Geogr. Res. Explor. 9, 274–285.
Long, R. A. & Murry, P. A. 1995 Late Triassic (Carnian and Norian) tetrapods from the Southwestern United States New Mexico. Mus. Nat. Hist. Sci. Bull. 4, 1–254.
Nesbitt, S.J., and M.A. Norell. 2006. Extreme convergence in the body plans of an early suchian (Archosauria) and ornithomimid dinosaurs (Theropoda). Proceedings of the Royal Society of London B 273: 1045–1048.
Rauhut, O. W. M. 1997 Zur schadelanatomie von Shuvosaurus inexpectatus. In Treffen der deutschsprachigen palaeoherpetologen (ed. S. Sachs, O.W. M. Rauhut & A.Weigert), pp. 17–21. Germany: Alfred-Wegener-Stiftung.
Rauhut, O. W. M. 2003 The interrelationships and evolution of basal theropod dinosaurs. Spec. Pap. Palaeontol. 69, 1–215.
Bravissimo andrea davvero, se c'è 1 cosa che ho imparato da te e theropoda è proprio il concetto di "parsimonia" e di "non ipotizzare più del necessario"
RispondiEliminaOvvero a la spiegazione migliore è quella che ha bisogno di meno spiegazioni aggiuntive
Putroppo penso che questo post cadrà nel vuoto e che certe persone continueranno nelle loro idee contorte
Continua così!^^
Comunque grandissimi gli shuvosaurini (ma anche tutti i rauisuchi)
Wait, no, I've got it! Shuvosaurus and Effigia have shown that theropods ARE convergent on birds, and that birds clearly evolved from poposaurid crurotarsians in the Late Triassic!
RispondiEliminaZach,
RispondiElimina;-)