Un teropode carcharugopso ha le seguenti caratteristiche anatomiche:
Le ossa craniche, in particolare, mascellare, premascellare, dentale e nasale, presentano una ricca elaborazione di rugosità esterne, che in vita doveva essere ricoperta, a sua volta, da una spessa struttura cornea.
La finestra antorbitale è ampia rispetto al mascellare, mentre la fossa omonima si riduce, mancando spesso di finestre supplementari.
L’orbita è ristretta ventralmente da processi lacrimali e/o postorbitali, e dorsalmente è sormontata da un ampio contatto tra lacrimale, prefrontale e postorbitale, spesso elaborati in rugosità e processi ossei ispessiti.
La regione frontale-parietale è fusa in un unico complesso osseo.
I denti sono marcatamente compressi labio-lingualmente, simili a lame seghettate.
Le vertebre presacrali presentano lamine accessorie tra le zigapofisi e si pneumatizzano lungo l’intera serie, spesso con doppi pleuroceli.
L’arto anteriore ha l’omero corto e robusto, con ridotta sigmoidalità.
Sebbene questa combinazione di caratteristiche potrebbe essere la diagnosi di un singolo clade monofiletico, essa compare due volte, indipendentemente, in due linee di teropodi. Curiosamente, ma forse non per caso, queste due morfologie si affermano con successo nella stessa regione dello spazio-tempo, il Gondwana (in particolare, Africa e Sudamerica) del Cretacico “medio”. Se siete quei due-tre che ancora non hanno capito di quali cladi parlo, essi sono Abelisauridae e Carcharodontosauridae (nella figura sopra, non in scala, Abelisaurus e Carcharodontosaurus, gli eponimi dei due cladi, con indicati, in rosso, i caratteri cranici “carcharugopsi”).
Le somiglianze tra carcharodontosauridi e abelisauridi sono tali che più volte è stata ipotizzata una loro stretta parentela: a volte, ipotizzando che i carcharodontosauridi fossero ceratosauri, altre volte ipotizzando che almeno Abelisaurus (ma non gli altri abelisauri) fosse in effetti un carcharodontosauride. Quest’ultima ipotesi, se verificata, renderebbe il nome “Abelisauridae” (e le sue derivazioni quali “Abelisauria” e “Abelisauroidea”) inadatto per definire un clade di neoceratosauri (che senso avrebbe chiamare Carnotaurus e affini col nome “abelisauri” se Abelisaurus non risultasse loro parente, bensì un allosauroide carcharodontosauride? Questo per evidenziare la necessità di ancorare i nomi di cladi derivati da un nome di genere proprio a quell’eponimo... e non a Carnotaurus o Shuvuuia... chi ha orecchie per intendere intenda).
Attualmente, la mole completa di dati morfologici esclude una stretta affinità tra le due linee “carcharugose”: Abelisauridae è un clade di Ceratosauria, mentre Carcharodontosauridae è incluso in Tetanurae. Pertanto, noi interpretiamo la condizione carcharugopsa come un’omoplasia, un caso di convergenza. Ma quale può essere stata la causa di tale convergenza, che ha prodotto nei due cladi crani così simili, con rugosità ed iperossificazioni estese, marcate protezioni dell’orbita e dentatura corta ma molto compressa e seghettata? Tale domanda sembra essere squisitamente adattativa, dato che le due linee coesistono per lungo tempo nel Gondwana.
Più volte sono stato tentato di rispondere trascinando nella mischia (non solo letteralmente) altri due cladi tipici del Gondwana Cretacico, e non rinuncerò anche questa volta a proporre questa idea: il mondo dei carcharugosi sembra abbondare, a differenza di Laurasia, di crocodylomorfi terricoli (Sebecosuchia, stupendi coccodrilli simili a terapsidi, in figura sotto una mia tavola su Uberabasuchus) e di titanosauri (Lithostrotia, i sauropodi più massicci e corazzati esistiti). Sarebbe un caso che sia i crocodylomorfi che i titanosauri fossero costruiti massicciamente e fossero rivestiti di estese ossificazioni dermiche? Indipendentemente dalle relazioni trofiche che volete ipotizzare, sembra plausibile che la violenza estrema abbia plasmato tutti questi animali, compresi i carcharugopsi, rendendoli massicci nella corporatura, corazzati e/o iperossificati a livello dermico.
Nella prossima puntata, ancora abelisauridi, questa volta alle prese con il più spettacolare scisma degli ultimi centocinquanta milioni di anni: la Frammentazione del Supercontinente di Gondwana.
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