Prima di descrivere quei pregevoli fossili, in questa prima parte farò un excursus sulle opinioni relative all’assenza di piumaggio in altri maniraptori che sono discusse spesso in forum in rete; opinioni che io non condivido: per chi non lo sapesse, nonostante le evidenze portino ad attribuire il piumaggio a tutti i maniraptori, alcuni si ostinano (in maniera poco razionale, a mio avviso) a tentare di giustificare l’obsoleta iconografia “senza-penne” con argomenti deboli (per non dire poco intelligenti).
Le obiezioni alla presenza di penne in alcuni maniraptori attualmente privi di tracce di piumaggio sono di varia natura (per semplicità, fingeremo che il discorso sia rivolto a Deinonychus, un taxon del quale, attualmente, non è nota alcuna traccia di penne, ma che, nondimeno, ipotizziamo molto plausibilmente che fosse ricoperto di penne - sulla base di argomenti che esporrò nella seconda parte) :
Primo tipo di possibile obiezione:
“Non ci sono prove dirette di piumaggio in Deinonychus, quindi non si può affermare che avesse piumaggio”.
Questo ragionamento, se fosse veramente un valido criterio di interpretazione, distruggerebbe l’intera paleontologia dalle fondamenta. In base a questo stesso ragionamento, infatti, nessun dinosauro fossile dovrebbe avere dei reni, dato che non esiste alcun rene fossile, né alcun osso che possa conservare tracce indirette dell’esistenza dei reni. La stragrande maggioranza delle parti molli non lascia tracce fossili, tuttavia, noi inferiamo la presenza/assenza di tali parti molli sulla base di un protocollo operativo chiamato “phylogenetic bracketing” (PB), che valuta la distribuzione di caratteri non fossilizzati in base alla posizione filogenetica del taxon in questione, stabilendo un grado di plausibilità per le ipotesi relative alle parti non fossilizzate.
Esempio: Smilodon è un mammifero pleistocenico, del quale non è nota alcuna traccia di polmoni. Tuttavia, nessuno dubita che avesse polmoni. Come si fa ad essere così sicuri di ciò? In fondo, non esistono prove dirette di polmoni di Smilodon... Applichiamo il PB. Questi cinque animali attuali formano una sequenza filogenetica di parenti di Smilodon a lui sempre più lontani in successione: Panthera, Canis, Homo, Crocodylus, Musca. Dato che il gruppo (Panthera, Canis, Homo, Crocodylus) è caratterizzato dalla presenza di polmoni, e dato che Smilodon è interno a tale gruppo, l’ipotesi che esso avesse polmoni è più plausibile di quella che non ne avesse (ovvero, non occorre alcun argomento supplementare alla posizione filogenetica di Smilodon per affermare che avesse polmoni, mentre per giustificarne l’assenza sono necessari argomenti supplementari, per i quali non si disporrebbe di prove o argomentazioni teoriche: perciò preferiamo l’ipotesi “polmonata” a quella opposta).
Analogamente, dato che Deinonychus ha tra i suoi parenti noti (disposti in ordine di parentela decrescente con lui): Microraptor, Jinfengopteryx, Struthio, Caudipteryx, Crocodylus, e dato che la presenza di penne caratterizza il gruppo (Microraptor, Jinfengopteryx, Struthio, Caudipteryx), in assenza di prove contrarie l’ipotesi che anche Deinonychus avesse penne è la più plausibile interpretazione dei dati. Attenzione: ciò non ci dice nulla, per ora, sulla morfologia ed elaborazione del piumaggio in Deinonychus (dettagli meno noti della semplice questione “assenza vs. presenza”, per i quali non disponiamo di alcun argomento per discuterne).
Secondo tipo di possibile obiezione:
“Ok, ammetto che Deinonychus ha parenti piumati. Tuttavia, dato che esso è di taglia ben più grande dei teropodi piumati noti, come Microraptor, Jinfengopteryx o Caudipteryx, è possibile che abbia perduto le penne, non essendo più utili ad un animale della sua taglia”.
Questa obiezione è contraddittoria e, alla prova dei dati noti, molto debole. Primo: la funzione anatomica delle penne in Deinonychus, Microraptor, Jinfengopteryx e Caudipteryx è ipotetica in tutti e quattro (essendo tutti estinti), pertanto, non ha senso affermare di sapere che nel primo non erano utili e negli altri tre invece sì. L’unico possibile argomento potrebbe essere l’osservazione di analoghi attuali nei quali si osserva la perdita di penne in funzione della taglia. Questo argomento, tuttavia, non è di alcun aiuto per i fan dell’ipotesi “Deinonychus senza-penne”, per due ragioni. Primo: la massa di Deinonychus è analoga a quella di Struthio, il quale ha un abbondante rivestimento di piume, pertanto, l’obiezione basata sulla massa è falsificata dai dati.
Secondo: dato che non conosciamo nessun uccello gigante senza penne, non possiamo sapere se e a quale dimensione corporea le penne erano eventualmente perse: l’animale piumato più grande che l’uomo abbia mai incontrato è Aepyornis (estinto da alcuni secoli), il quale raggiungeva i 300 kg: qualsiasi affermazione sulla presenza o assenza di penne in animali sopra quella taglia non è avvalorata da alcun dato, quindi è solamente una congettura vana come può esserlo discutere del colore della pelle di Triceratops. Dire, come si fa per Tyrannosaurus, che non fosse piumato perché aveva la stessa taglia di un elefante (il quale, a differenza di molti altri mammiferi, non ha pelliccia) è un argomento puramente teorico, privo di prove né di sostegni basati sul PB, che estrapola una tendenza dei mammiferi senza avere prove che fosse valida anche per i teropodi. In base a questa stessa obiezione, se non avessimo alcuna prova dell’esistenza di sauropodi giganti (sopra le 40t, come Argentinosaurus ed altri) saremmo costretti a dire che essi non potrebbero esistere, dato che nessun mammifero terrestre noto (sia attuale che fossile) ha mai raggiunto quella taglia.
“Non trovo alcun motivo adattativo per cui Deinonychus dovrebbe essere piumato. Cosa se ne faceva delle penne un predatore bipede di quella taglia?”.
Questa obiezione è la più debole ed ingiustificata, sebbene sembri la più diffusa. Essa è debole e contraddittoria perché si basa su una serie di presunte assunzioni teoriche su “come” avvenga l’evoluzione. Primo: un carattere anatomico non esiste sempre e comunque per una funzione “adattativa”, ma spesso è un “effetto secondario” di altri caratteri ai quali è legato geneticamente o strutturalmente. Ad esempio, non esiste alcun motivo adattativo legato alle caratteristiche “umane” per il quale la nostra mano ha cinque dita invece che quattro o sei: è una contingenza derivante dalla nostra storia evolutiva, che ha “fissato” il numero di dita a 5 durante il Devoniano, ai tempi dell’origine dei primi vertebrati terrestri (i quali ne avevano anche 7-8, oppure le ridussero a 4 o meno in linee non imparentate con noi). In ogni caso, affermare che un animale estinto non potesse avere una particolare struttura anatomica perché noi non sapremmo come giustificarne l’esistenza (in termini adattativi analoghi con animali attuali) è meramente ridicolo: se un carattere è noto ha senso cercarne una spiegazione adattativa (poi non è detto che si trovi), ma se non è (ancora) noto, non ha senso negarne l’eventuale esistenza solo perché non sapremmo trovarne un motivo: se così fosse, allora dovremmo negare l’esistenza delle placche dorsali di Stegosaurus, dato che, a ben vedere, non sembrano avere una qualche spiegazione riconducibile ad analoghi attuali che conosciamo.
Secondo, e non smetterò mai di sottolinearlo: un animale fossile non è un animale attuale, che può essere analizzato sotto molti punti di vista (anatomico, filogenetico, ecologico, etologico). Il fatto che noi non riusciamo a capirne alcune caratteristiche, né ad inquadrarlo in un nostro modello ecologico, non significa che esso, da vivo nel suo ambiente, non fosse assolutamente plausibile e funzionante. Ovvero, l’ecologia e l’etologia di un fossile (aspetti che lasciano scarsissime tracce) non possono mai precedere l’anatomia e la filogenesi (aspetti per i quali abbiamo dati più robusti), pertanto, non si può negare un’evidenza anatomica o un’inferenza filogenetica sulla base di presunte obiezioni teoriche di tipo ecologico-etologico.
Ad esempio: sappiamo che alcuni uccelli palustri attuali utilizzano le ali per creare un’ombra sull’acqua che attira i pesci, agevolandone la cattura col becco. Ovviamente, tale aspetto etologico non è deducibile direttamente dall’anatomia dell’uccello (il quale non ha ali modificate rispetto a specie che non praticano questo tipo di pesca), pertanto, non lascerà alcuna traccia fossile. Ribaltando l’ottica: il fatto che noi non possiamo dedurre questo comportamento dai fossili implica forse che esso sia impossibile, e che, pertanto, le strutture anatomiche ad esso correlate che non si fossilizzano siano da escludere a priori? Ovviamente, la risposta è: “no”.
Spero che questo post abbia tolto dei dubbi a coloro che criticano su basi “teoriche” l’ipotesi che i maniraptoriani fossero pennuti, ipotesi che, oltre ad avere numerosi dati a sostegno (come descriverò nella seconda parte), è la più probabile interpretazione anche per quei taxa maniraptoriani per i quali attualmente non disponiamo di tracce tegumentarie.
Ripeto: essa è l’ipotesi più plausibile con i dati attuali (a differenza dell’idea che alcuni non fossero piumati), ma potrà essere smentita per futuri fossili di maniraptoriani “nudi”. In attesa di trovarli, ammesso che ne siano mai esistiti, consiglio caldamente di evitare di proporre dromeosauri squamati, tyrannosauri nudi o uccelli implumi.
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