(Rough) Translator

25 dicembre 2021

Lo Speciale di Natale di Theropoda Blog: Hail to Dino-Riders, ovvero, perché eravate così preoccupati di poterne fare un film che non avete pensato che dovevate farlo

"Lord Kau e T.rex", fotomontaggio realizzato da Simone Maganuco (2003). Special guest star, Luca Burgazzi nel ruolo di Bitor.

Oggi è Natale. E a Natale siamo tutti più buoni. 

E quando dico "tutti", intendo anche il sottoscritto, il malvagio e sadico paleontologo senza cuore che senza motivo trolla gli appassionati di produzioni pop ispirate dalla paleontologia e demolisce tutto ciò che di bello e buono c'è nella loro sincera ed ingenua passione. E siccome oggi sono buono pure io, vi racconterò una storia dedicata proprio agli albori della Grande Dinomania di 30 anni fa. Una storia quindi ambientata tanto tanto tempo fa, in un tempo lontano lontano, chiamato Gli Anni Ottanta, quando tutto era incredibilmente pacchiano, sudato, metallizzato, glam e imbottito. Un tempo di innocenza ormai perduta, che oggi rivediamo come pericolosamente ingenuo, un tempo in cui tutti avevano le spalline, anche i bambini, e le auto erano progettate con l'accetta, il mondo era diviso in due blocchi pronti all'olocausto nucleare, un mondo nel quale d'inverno nevicava, il telefono era attaccato al muro e non faceva le foto. Un tempo senza Internet ma tantissima televisione spazzatura. 

Sì, perché tutte le emanazioni pop della paleontologia dei dinosauri che ci hanno saturato i neuroni negli ultimi 30 anni non sono niente altro che variazioni e figlie di un concetto nato alla fine degli anni '80. Un concetto geniale, ma che purtroppo ci è sfuggito di mano. 

Io me lo ricordo quel mondo. Perché allora ero un bambino delle scuole elementari, e come tutti quelli della mia generazione sono stato testimone, complice e vittima di un fenomeno unico nella storia del marketing, una genialata assoluta figlia del modo con cui si vendevano i giocattoli in quel tempo, genialata assoluta che ancora oggi non mi spiego come non sia stata sfruttata a dovere fino al midollo, finendo per essere soppiantata dalla sua versione snob e cervellotica, ovvero, Billy e il Clonesauro. Sì, perché se abbiamo Billy Park, Billy World, il Sacro Franchise e tutti i suoi più o meno discutibili emuli, lo dobbiamo anche all'impatto mediatico di una serie di giocattoli, con annessa serie di cartoni animati, prodotta nel 1988 e che per due anni ha dominato i desideri di tutti i bambini prima dell'arrivo delle isole costaricane con dinosauri clonati. Sto parlando dei

Dino-Riders

Il mitico logo della cosa più figherrima che potevi vedere in tv nel 1988 se avevi 10 anni


Per capire il fenomeno Dino-Riders occorre resettare la mente a come eravamo negli anni ottanta, 40 anni fa. Se non vi ricordate quel periodo, o non eravate ancora nati, ecco come dovete fare. Dovete rimuovere temporaneamente dal cervello tutte le applicazioni etiche create negli anni '90 e poi rese patologiche 20 anni dopo, quali il politicamente corretto, l'educativo, l'inclusivo ed il sostenibile, con cui oggi cerchiamo di contenere - invano - l'economia capitalistica dai propri eccessi, e impostare l'azione su un solo criterio: fare soldi, tanti soldi, un sacco di soldi, sfruttando le più basilari pulsioni umane... in modo divertente.

Eccoti resettato al 1987

Ora che siete resettati, siete pronti per amare, prima ancora che capire, la genialata alla base dei Dino-Riders. La genialata consiste nel prendere due temi apparentemente slegati e inconciliabili, e mescolarli nell'unico luogo in cui possono accoppiarsi e fruttare. I due temi devono essere spettacolari, esagerati e con poca attinenza con la vita di tutti i giorni. I due temi sono i dinosauri e le guerre stellari (molto di moda negli anni '80, sia al cinema che nelle simulazioni belliche tra Primo e Secondo Mondo, simulazioni a base di testate multiple termonucleari portate su missili balistici intercontinentali, tutta roba che in quel decennio era, assieme all'HIV, tema dei telegiornali come oggi lo sono covid e riscaldamento globale). 

Il luogo dove mescolare questi temi è - ovviamente - la testa dei bambini.

Immaginate di avere il cervello di un bambino di 10 anni e di ripetete 10 volte:

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

Dinosauri e Raggi Laser

DINOSAURI E RAGGI LASER

Tutto il resto viene di conseguenza.

Dino-Riders è una serie di giocattoli della Tyco (oggi parte di Mattel) che ha come protagonisti una serie di dinosauri armati con corazze di metallo [ma che figata!] e cannoni laser [ma che figata!], usati in una guerra tra due fazioni aliene [ma che figata!]: i buoni (buonisti, diremmo oggi) Valoriani [Boooo!!!!] ed i malvagi (ma più inclusivi etnicamente, dato che consistono di almeno 3 specie) Rulons [Rulons Rulez!]. Come altri casi analoghi, oggi abbastanza ovvi ma piuttosto innovativi a quel tempo, la serie di giocattoli era associata ad una serie di cartoni animati creata apposta per supportare i giocattoli (a differenza dei giocattoli dei robot anni '70, in cui era la serie di cartoni animati ad avere la precedenza e priorità logica rispetto al giocattolo).

Che figata!

Per motivi che non mi spiego, negli anni '90 la serie a cartoni animati di Dino-Riders fu ri-doppiata nuovamente in italiano, sostituendo il doppiaggio italiano originale con dialoghi leggermente alterati e nuove voci di minore qualità. Si tratta questa di una pessima abitudine della televisione italiana degli anni '90, che aveva già fatto vittime illustri tra cartoni animati iconici degli anni '80, come Ken il Guerriero e la prima (ed unica decente) stagione di Dragon Ball. Di conseguenza, negli anni '90 si è formata una seconda generazione di "dino-ridersers" che, totalmente ignari del doppiaggio originale, ha scoperto questa breve serie di cartoni secondo un atroce e in certi casi fuorviante doppiaggio. Ripeto, non so il motivo di questo ri-doppiaggio, visto che la versione originale era ottima e il cartone non richiedeva qualche forma di censura rispetto alla versione per noi bambini degli anni ottanta. So solo che ha rovinato la visione a quelli che non conoscevano la primissima versione originale del doppiaggio italiano.

Detto questo, e volendo ignorare per altri cinque minuti la mia natura di paleontologo malvagio nemico dei dinomaniaci, penso che Dino-Riders potrebbe avere tutte le potenzialità per una trasposizione cinematografica, anche se, forse, i tempi non sono più quelli di una volta. Mi spiego: esattamente come Billy World è la versione bimbominkia e senza anima di Billy Park, così temo che qualsiasi riproposizione di Dino-Riders negli anni venti del XXI Secolo sarebbe un fallimento sul piano sia estetico che contenutistico. Ma proviamo per un attimo ad illuderci che sia possibile ricreare lo spirito dino-ridersiano delle origini, quello degli anni '80, e illudiamoci che un film del genere sia dato in mano al regista giusto, ovvero qualcuno che sia all'opposto di chi oggi gestisce il Sacro Franchise di Billy Park, qualcuno che abbia ben chiaro cosa siano i Dino-Riders, che li gestisca con intelligenza ma senza prendersi troppo sul serio (perché non puoi essere troppo serio con dinosauri corazzati con cannoni laser) e che non commetta l'errore madornale commesso dalla serie di film su Transformers (altra serie iconica di giocattoli-cartoni anni '80), ovvero di voler stravolgere l'estetica dei protagonisti secondo assurde istanze di realismo e ancor più assurde logiche da videoclip musicale. 

In quel caso, ma solo in quel caso, Dino-Riders potrebbe diventare la più grande genialata della storia del cinema, esattamente come lo fu, a livello di giocattoli, 33 anni fa.

Ovviamente, non succederà nulla di tutto ciò.

E con questo post senza alcun senso, vi (C)auguro Buon Natale 2021.

PS: io posso vantarmi di aver ricevuto in regalo per il mio undicesimo compleanno, dai miei amici, il set del T-Rex dei Dino-Riders. Quelli sono veri amici.



La Rivoluzione Piumata - Volume Quarto


In questi giorni, esce il Quarto Volume della serie "La Rivoluzione Piumata", dedicata ai dinosauri, alla loro evoluzione, ed al significato di questi fossili nel grande quadro della Storia della Vita sulla Terra.

Il Quarto Volume è dedicato ai dinosauri ornitischi, il gruppo che include fossili famosi e ormai divenuti icone preistoriche, come Iguanodon, Stegosaurus e Triceratops. Il Volume completa la serie sui grandi gruppi principali di Dinosauria, dopo Theropoda (Volumi Primo e Secondo) e Sauropodomorpha (Volume Terzo).

La filosofia che ha guidato la scrittura di questo Quarto Volume è la medesima dei precedenti: parlare di dinosauri ad un pubblico generale senza cadere nella banalizzazione del contenuto, senza piegarsi alla infantilizzazione del tema, e senza ammiccare ai soliti stereotipi cinematografici sui paleontologi. Io continuo a pensare che si possa parlare di paleontologia e, in particolare, di vertebrati fossili, con rigore scientifico anche senza abusare di tecnicismi, si possa spiegare i fossili e la paleontologia con la dignità e serietà che questi temi meritano, e che si possa accompagnare il lettore lungo una riflessione scientifica matura senza trattarlo come se fosse un bambino.

La Scienza è meravigliosa e non ha bisogno di effetti speciali o favolette.

Questa è anche una sfida personale, che si fonda unicamente sulla fiducia dei lettori. Se avete apprezzato i primi tre volumi, se ne condividete la filosofia, le intenzioni e gli obiettivi, apprezzerete anche questo quarto volume. 

Il riscontro positivo ed i commenti incoraggianti ricevuti in questi anni da tanti lettori mi hanno accompagnato durante la realizzazione dei precedenti volumi: a loro va quindi il mio ringraziamento, ed un arrivederci al Quinto Volume della serie.

Buona Lettura!

06 dicembre 2021

Borogovia Reloaded

Un Borogovia dà ad un giovane Tarbosaurus una lezione che non dimenticherà facilmente. Opera di Edyta Felcyn-Kowalska, basata su ardite speculazioni del vostro blogger* (credit: E. Felcyn-Kowalska, D. Madzia).

Più di 12 anni fa, scrissi un post su un theropode che mi ha sempre intrigato molto, Borogovia gracilicrus, dalla Formazione Nemegt del sud della Mongolia. Intrigato perché Borogovia è bizzarro e frammentario, quindi enigmatico. Intrigato perché è uno dei piccoli grandi tesori delle mitiche spedizioni polacco-mongole di mezzo secolo fa.

Dato che l'olotipo di Borogovia è conservato a Varsavia, nella medesima collezione che comprende Hulsanpes, taxon che ridescrissi alcuni anni fa assieme a Daniel Madzia, era inevitabile che parlassi con Daniel anche della possibilità di visionare e rivalutare Borogovia. Dopo la descrizione originaria del 1987 da parte della Osmólska, nessuno aveva rimesso mano sul materiale, e non esisteva finora una analisi quantitativa rivolta esplicitamente a testare le affinità di questo enigmatico theropode. Alla luce della enorme quantità di nuovi maniraptori scoperti negli ultimi 30 anni, ho pensato fosse il caso di scrivere uno studio sul fossile, che integrasse la descrizione originaria del 1987, in particolare analizzandolo filogeneticamente per cercare di dare una interpretazione delle sue bizzarre caratteristiche. Inoltre, era ancora irrisolta la questione se Borogovia fosse o no un taxon distinto da un altro troodontide del Nemegt, Zanabazar

[Notare che in caso di sinonimia tra B. gracilicrus e Z. junior, il genere Borogovia - del 1987 - vince sul genere Zanabazar - del 2009 -, mentre la specie junior - del 1974 - vince sulla specie gracilicrus - del 1987 -: c'è quindi un potenziale groviglio tassonomico che merita di essere risolto: se i due fossero sinonimi, dovremmo usare la combinazione "Borogovia junior"]

Esce oggi un articolo** che ho scritto con Daniel Madzia (Cau e Madzia, 2021) dove analizziamo Borogovia, soffermandoci sugli elementi filogeneticamente significativi, illustriamo per la prima volta a colori e nel dettaglio gli elementi più importanti del fossile, e ne testiamo le affinità evolutive. In pratica, questo articolo si propone di risolvere i punti che avevo sollevato nel mio post del 2009.

Innanzitutto, il nostro studio conferma che Borogovia è distinto da Tochisaurus (altro troodontide del Nemegt), come già notato da precedenti autori, ma soprattutto, dimostra che esso è distinguibile anche da Zanabazar. Tre elementi della morfologia dell'astragalo lo differenziano da Zanabazar, e due elementi della morfologia del metatarso lo differenziano da Tochisaurus. Inoltre, l'analisi filogenetica che abbiamo sviluppato mostra che i tre taxa non risultano sister-taxa. Borogovia risulta in tutte le differenti analisi (svolte tarando il peso implicito dei caratteri in modo differente in funzione della omoplasia) un membro di Troodontidae, in particolare interno alla linea che conduce a Troodontinae, di cui potrebbe essere il sister taxon. A questo proposito, abbiamo testato, per la prima volta, lo status dell'olotipo di Troodon formosus (un dente) per stabilire in modo non-ambiguo se il gruppo dei "troodonti" meriti di avere il nome ancorato a quel dente (ovvero, Troodontidae): l'analisi ha dato esito positivo. Ciò significa che indipendentemente dal destino del nome Troodon rispetto ad altri taxa nordamericani, quel clade merita quel nome.

Le nostre analisi confermano pienamente l'interpretazione generale della Osmólska su questo troodontide, come forma "aberrante" all'interno del clade. Dato che nello studio del 1987 si analizza anche la questione della omologia o meno del secondo dito falciforme di troodontidi e dromaeosauridi, abbiamo testato l'evoluzione di questo adattamento nei paraviani e lungo la linea che conduce a Borogovia.

In particolare, abbiamo analizzato la peculiare morfologia del secondo dito del piede di Borogovia, che si differenza da quella degli altri troodontidi nel non presentare l'ungueale "falciforme" tipico di dromaeosauridi e troodontidi. Abbiamo inoltre introdotto il termine "condizione falciforana" per indicare il secondo dito del piede modificato per portare l'artiglio falciforme. 

Notare che "falciforan condition" non è un sinonimo di "sickle-clawed", termine usato per riferirsi a quei taxa dotati della condizione falciforana, né a "sickle-claw", che si riferisce alla peculiare forma dell'unguale in questi taxa. La condizione falciforana è una morfologia più complessa della semplice presenza di un ungueale falciforme nel secondo dito del piede, e coinvolge una decina di elementi anatomici a livello del secondo metatarsale e di tutte e tre le falangi del secondo dito. 

Piede di Deinonychus in vista mediale (da Ostrom, 1969), con indicati gli elementi che formano la condizione falciforana "completa".

La nostra analisi dimostra che Borogovia non è del tutto privo della condizione falciforana (nonostante sia privo dell'ungueale falciforme: notate quindi come i due termini non siano sinonimi), ma che piuttosto deve essere interpretato come portatore di una modificazione della condizione falciforana "classica" presente negli altri troodontidi. La condizione "post-falciforana" di Borogovia potrebbe essere legata a specializzazioni locomotorie ed alimentari, ma ciò richiederà la scoperta di nuovi resti di questo dinosauro, in particolare resti del cranio.

Ringrazio Daniel per l'ennesima collaborazione, ed Edyta Felcyn-Kowalska per aver così egregiamente illustrato la mia speculazione di dare a Borogovia una parvenza "da casuario arrabbiato".

Note

* Una nota sull'immagine che apre il post: si tratta di una speculazione puramente ipotetica su un comportamento difensivo di Borogovia, capace di scalciare contro eventuali aggressori. L'ipotesi è puramente speculativa, non basandosi su alcuna evidenza diretta né su analisi biomeccaniche. 

** Questo è il Contributo Numero 3 (dopo Halszkaraptor e Hulsanpes) della mia "serie osmolskiana", con la quale rendo omaggio postumo alla grande paleontologa polacca scomparsa nel 2008.

Chiosa personale

Il 6 Dicembre è davvero la "mia" giornata paleontologica. Il 6 dicembre 2014 ero nel sud tunisino e partecipai alla scoperta di Machimosaurus rex. Il 6 dicembre 2017 pubblicai Halszkaraptor. Ed oggi aggiungo un altro episodio paleontologico alla lista dei miei "sei di dicembre".


Bibiliografia:

Cau A., Madzia D. 2021 - The phylogenetic affinities and morphological peculiarities of the bird-like dinosaur Borogovia gracilicrus from the Upper Cretaceous of Mongolia. PeerJ  9-e12640: 1-25. http://doi.org/10.7717/peerj.12640.  

Osmólska H. 1987 - Borogovia gracilicrus gen. et sp. n. a new troodontid dinosaur from the Late Cretaceous of Mongolia. Acta Palaeont. Polonica 32:133-150.

Ostrom J.H. 1969 - Osteology of Deinonychus antirrhopus, an unusual theropod dinosaur from the Lower Cretaceous of Montana. Peabody Museum of Natural History Bulletin 30:1-165. 

29 novembre 2021

Riflessioni per una Avanguardia Paleoartistica

 L'idea dominante sulla Paleoarte è che essa debba essere una rappresentazione iper-realistica e didascalica della vita del passato.

Tralasciando il fatto che la Paleoarte non rappresenta la "vita del passato" bensì ipotesi paleontologiche storicamente determinate, mi domando se non sia arrivato il tempo di portare la Paleoarte fuori dal ridotto recinto dell'iper-realismo e della didascalica.

Ad esempio, includere nella Paleoarte anche le suggestioni, le emozioni e le istanze private del paleontologo, le sue riflessioni filosofiche, l'intera paleontologia e non solo la parte ricostruttiva.

Può esistere una Paleoarte astratta?

Andrea Cau, 2021 - Tafonomia dell'olotipo di Halszkaraptor escuilliei


07 novembre 2021

Indiana Jones ed il commercio dei fossili

 


Su Internet tutto è estremizzato. "Bianco vs Nero", senza sfumature di grigio, perché "Grigio" significa automaticamente il colore nemico al tuo. Oppure "Buoni vs Cattivi", che generalmente è una forma ipocrita per dire "Noi vs Loro". 

Io sono abbastanza anarchico e senza-dio per poter esprimere le mie opinioni con distacco e leggerezza, dato che non ho una squadra da difendere né un partito da supportare. Sì, sono un paleontologo, termine che per certa gente online significa "uno di quelli che sta nella Torre d'Avorio e tratta i comuni mortali con disprezzo", mentre a casa mia la parola significa "uno che passa un sacco di tempo ad aggiustare un manoscritto su materiale fossile dopo che Reviewer #2, ovviamente anonimo, mi ha chiesto di includere inutili citazioni di un autore che sospetto essere proprio Reviewer #2". Ma non ho la tessera del "Partito dei Paleontologi", qualunque cosa esso possa essere.

Tra le innumerevoli guerre più o meno futili che si combattono online nel nome della "giustizia sociale" (e che nel 90% dei casi non hanno alcuna attinenza con i problemi del mondo fuori da internet), c'è la Guerra Santa dei Paleontologi Duri e Puri contro i Miscredenti Venditori di Fossili. Una guerra talmente ridicola che merita di essere oggetto di un post in questo blog.

Come ho accennato sopra, io sono un paleontologo. Quindi, per quel meccanismo perverso che ci porta a ridurre gli individui alla categoria a cui appartengono, io dovrei essere dalla parte dei Duri e Puri e combattere i Miscredenti. Ma, grazie al Mesozoico, io non ho alcun interesse a partecipare alla "Guerra Santa", per la semplice ragione che non esiste alcuna Guerra Santa tra le forze del Bene e quelle del Male. In realtà, c'è solo una polemica marginale e un pochino pretestuosa tra un certo numero di paleontologi ed un certo numero di commercianti di fossili. Ma siccome su Internet tutto è estremizzato, ecco che il battibecco personale tra una manciata di soggetti viene trasfigurato come se fosse Ragnarok.

Prima che qualcuno legga questo post come "Grigio", ovvero "il colore del mio Nemico", e mi accusi di tradimento, eresia e qualche altra scemenza, chiariamo alcuni punti.

1. I fossili sono solo pezzi di roccia. Se nessuno raccoglie un fossile, esso è destinato ad essere distrutto dall'erosione o dal metamorfismo. Onestamente, se devo scegliere tra un fossile che diventa polvere a causa dell'erosione oppure lo stesso fossile che può dare da lavorare ad un onesto commerciante, preferisco la seconda opzione. So benissimo che c'è invece chi pensa l'esatto opposto, e preferisce un fossile polverizzato dal vento piuttosto che dare da lavorare a qualcuno... ma io continuo a pensare che una persona sia più importante di un pezzo di roccia. 

2. I fossili non hanno diritti naturali inalienabili, non sono persone, ma sono oggetti il cui destino è regolato dalla legislazione pertinente la località di raccolta del fossile. In certi stati, la gestione dei fossili è regolata da certe leggi, in altri stati da leggi differenti, ed in altri stati ancora da nessuna legge. Non esiste una "legge mondiale" sui fossili, quindi se qualcuno pensa di avere la risposta assoluta e definitiva alla faccenda, si sbaglia: sta solamente amplificando il valore della propria opinione personale. Ogni caso, difatti, è diverso, perché diversa è la legge del luogo, il contesto culturale e politico, così come la situazione particolare. Ovvero, se qualcuno ha dei problemi sul destino dei fossili in un determinato stato o nazione, deve risolverla sul piano locale, perché il problema è politico, non etico. Se davvero si ha a cuore il destino di certi fossili, allora si agisca nel modo in cui quello stato legifera per cambiare la legislazione sul materiale fossile. Fare crociate online senza poi approdare al legislatore locale, è stupido.

3. Io sono pragmatico, non moralista. Penso che trovare soluzioni pratiche e tradurle in leggi (sia nazionali che internazionali) sia molto più utile che fare delle crociate moraleggianti sui fossili. Anche perché, onestamente, nessuno può rivendicare una qualche superiorità etica o morale stando seduto davanti ad un computer o smanettando dal proprio smartphone. L'etica è sempre pratica.

4. Non esistono "Buoni vs Cattivi", ma solo situazioni contingenti e particolari. Dipingere la faccenda come una battaglia di tipo manicheistico, con i Paleontologi "tutti Buoni" e i Commercianti di fossili "tutti Cattivi", è una favola che può funzionare per far addormentare i bambini, ma che descrive la realtà con la stessa accuratezza di un cladogramma di Dave Peters. Io conosco numerosi ottimi paleontologi, ma anche paleontologi bastardi a cui non affiderei nemmeno il mio bidone della indifferenziata, e conosco commercianti di fossili che sono persone veramente professionali e generose, così come ci sono i trafugatori di siti paleontologici che piazzano la dinamite dopo che hanno scavato in un sito. Prima la facciamo finita con la divisione del mondo in "Buoni [noi]" e "Cattivi [loro]" e prima aiuteremo le persone di buona volontà in ambo i fronti a far piazza pulita delle rispettive mele marce.

5. Regolare il commercio dei fossili è una fonte di opportunità anche per i paleontologi. In primo luogo, è tempo che si dicano le cose come stanno: non è possibile dare da lavorare nell'Accademia a tutti quelli che si laureano in paleontologia. I posti di ricercatore, docente, curatore sono sempre meno, e la competizione per trovare uno straccio di posizione nel mondo accademico è talmente feroce da essere analoga a quella che esiste nel resto del mondo lavorativo. E allora, invece di creare nuovi dottori disoccupati e cui si fa credere che il paleontologo serio può solo stare dentro l'Università, perché non incentivare la collaborazione tra mondo scientifico e "mondo commerciale", così da dare nuove opportunità di lavoro a tutti quelli che in ogni caso non potranno mai fare il "paleontologo accademico"? 

6. Non tutti i fossili meritano di essere studiati. Ovviamente, il primo esemplare di una specie fossile deve essere protetto e curato in un museo. E lo stesso vale per qualsivoglia esemplare che onestamente arricchisce la conoscenza scientifica. Ma questo argomento è valido con qualsiasi fossile? Che dire di quelle tonnellate e tonnellate di materiale fossile che non apporta alcun reale contributo al progresso scientifico? Esistono fossili molto abbondanti e che nessuno si sogna di studiare scientificamente, proprio perché nessuno di noi li ritiene meritevoli del lavoro che dedichiamo per analizzare i fossili "fighi". Non facciamo gli ipocriti: se non li studiamo è perché sappiamo che non valgono nemmeno la fatica di metterli sotto un microscopio! Ha senso tenere quel materiale nei musei? Ha senso impedire un uso commerciale di quel materiale? Qualcuno potrebbe dirmi che forse in futuro quel materiale, oggi privo di utilità, potrà diventare utile se analizzato con nuovi metodi che non abbiamo ancora inventato. Forse è così, ma mi pare piuttosto una arrampicata sugli specchi per non ammettere che, oggi, quel materiale è del tutto privo di valore scientifico mentre già ora esso ha un buon potenziale economico. 

Concludendo, la "guerra" tra paleontologi e commercianti di fossili sarebbe conclusa da tempo se si mettesse da parte il moralismo astratto e si usasse un sano pragmatismo. Regolare il commercio dei fossili in modo esplicito, sia a livello locale che internazionale, può dare opportunità di lavoro a tanti paleontologi che non trovano occupazione accademica (o che, onestamente, preferiscono andare a scavare - anche a pagamento - piuttosto che passare il tempo a scrivere post e articoli tecnici), può creare una rete di relazioni tra diverse professionalità, può incentivare una più razionale gestione dei siti fossiliferi, può arginare e combattere in modo virtuoso la depredazione da parte dei tombaroli. 

Io non vedo dove sia il problema che, almeno online, certi miei colleghi sembrano dipingere con i toni della tragedia.

05 novembre 2021

Lettera Aperta ai Puffi

source: https://smurfs.fandom.com/


Tra articoli, libri e conferenze da preparare, ho poco tempo per il blog. Quindi, faccio quello che fa la RAI in estate, ovvero, vado di grandi classici del blog, o del suo precursore ultrazionale, e ri-posto quelli più simpatici (almeno per me, che mica conosco i vostri gusti e comunque difficilmente potrei soddisfarli tutti). Ho ritrovato un vecchio post del 2010, scritto nell'altro blog che ormai non uso più, e noto che in 11 anni certe cose non sono cambiate per niente. Anzi, sono pure peggiorate...

23 ottobre 2021

Homo sapiens (ricetta originale)

 Riposto un mio vecchio scritto di 13 anni fa (di epoca ultrazionale).

Homo sapiens (ricetta originale)

Ecco una ricetta facile e sfiziosa con la quale stupire le vostre divinità ospiti da altri universi.
Ingredienti:

Una stella di tipo G, ancora nella sequenza principale. Un pianeta con asse di rotazione inclinato di una ventina di gradi sull’eclittica, geodinamicamente attivo e con una crosta solida. Acqua in abbondanza. Una manciata scarsa di asteroidi di media grandezza (evitate le comete, tendono a lasciare il piatto troppo umido). Un pesce polmonato con attitudine alle acque basse e limacciose (non usate Eusthenopteron o Acanthostega, troppo derivati).

Tempo di cottura:
350 milioni di anni.

Ricetta:
Togliete il pesce dall’acqua. Ripulitelo bene, sollevatelo in modo che sia tetrapode quanto basta, tirategli il collo (che avete precedentemente formato), togliete lepidotrichi e linea laterale, farcitelo con una fecondazione interna ed annessi embrionali. Tenetelo in umido una settantina di milioni di anni (possibilmente in un forno alimentato a carbonifero).
Allontanate il pesce dalle fascia equatoriale e portatelo in glaciazione per una trentina di milioni di anni. Aprite una finestra sul cranio e stendete la muscolatura del dorso, in modo che smetta di muoversi come un pesce fuor d’acqua. Eliminate le ossa della mandibola in eccesso, riducete la taglia e insaporitelo con un ricoprimento pilifero.
Prendete il pesce e mettetelo a riposare in ombra per circa duecento milioni di anni. Nel frattempo, godetevi il paesaggio.
Quando vedrete che il pesce ha smesso di fare uova, prendete un asteroide e scagliatelo sulla teglia. Attendete che l’asteroide abbia rosolato bene il resto della teglia, ripulitela da penne e scaglie in eccesso e ripassate il pesce nel microonde con una buona dose di radiazioni adattative.
Prendete il pesce e guarnitelo con qualche ramo. Appena il pesce avrà fatto una presa opponibile con i rami, farcitelo con frutta e foglie. Lasciate il tutto rampicare per una cinquantina di milioni di anni. Dopodiché, togliete rami e foglie, stendete il pesce al suolo, sollevatelo in verticale e fatelo seccare all’aperto. Nel frattempo, ripulitelo dal pelo in eccesso e farcite il cranio con cervella e frattaglie mentali assortite.
Prendete il pesce e istruitelo a sufficienza. Non è necessario farlo con spezie pregiate (arte, miti e filosofia), anche una buona dose di calcio e politica andranno bene ai nostri scopi. Battezzatelo e dategli un obiettivo. Non appena l’obiettivo avrà fatto la crosta, sopprimete il pesce con la sua stessa tecnologia e seppellitelo con un rito funebre, senza fossilizzarlo.

Il piatto va servito caldo, appena soppresso, così che il ricordo della sua evoluzione dia un pizzico di gusto in più ad un’esistenza troppo spesso sottovalutata.

Buon appetito!

05 ottobre 2021

Compsognathidi vs Ceratosuchopsini

 


Vi segnalo la mia recente chiacchierata con Willy Guasti di Zoosparkle, durante la quale abbiamo parlato di theropodi italiani, "compsognathidi" e dei nuovi spinosauridi inglesi.

Il video sarà visibile al link per un periodo limitato, per poi essere visibile sulla pagina YouTube di Zoosparkle.

29 settembre 2021

L'origine degli Spinosauridi e l'ascesa dei Ceratosuchopsini


Nell'ambito della paleontologia dei dinosauri, l'Isola di Wight è ricordata soprattutto per le ricche faune della prima metà del Cretacico Inferiore, note fin dalla fine dell'Ottocento, e che includono forme come il tyrannosauroide Eotyrannus, l'allosauroide Neovenator, vari resti isolati riferibili a spinosauridi, oltre a taxa di dimensioni medio-piccole (alcuni in fase di revisione). Oggi è pubblicato un nuovo studio, di cui sono uno degli autori (Barker et al. 2021), nel quale descriviamo resti di theropodi dalla Formazione Wessex dell'isola di Wight (Barresiano-Barremiano), scoperti di recente. 
Lo studio introduce due nuovi spinosauridi:

Ceratosuchops inferodios e Riparovenator milnerae*.

Ricostruzione in vivo di Riparovenator (il nero) e Ceratosuchops (il bianco), basate sulle ricostruzioni scheletriche di Dan Folkes incluse in Barker et al. (2021).


* la specie R. milnerae onora la paleontologia britannica Angela Milner, recentemente scomparsa, autrice di innumerevoli studi sui dinosauri, tra cui la descrizione di Baryonyx walkeri

Ceratosuchops è basato su resti disarticolati ma associati del cranio di un esemplare, comprendente i due premascellari fusi tra loro, buona parte del tetto cranico e della scatola cranica. Riparovenator comprende resti sia del cranio che postcraniali, tra cui i due premascellari fusi tra loro, parte del tetto cranico e della scatola cranica (sebbene meno preservati dei resti di Ceratosuchops) e una serie semi-articolata di vertebre della coda.

Elementi ossei più significativi dei due nuovi spinosauridi. Ricostruzioni scheletriche di Dan Folkes (modificato da Barker et al., 2021).

Ceratosuchops e Riparovenator si differenziano tra loro e dall'altro spinosauride britannico, Baryonyx, per numerosi tratti anatomici a livello del premascellare, del tetto cranico e della regione basisfenoidea e occipitale. In particolare, Ceratosuchops si distingue da Baryonyx poiché presenta una tuberosità sul margine anteriore della narice esterna, una diversa inclinazione dei processi paroccipitali e per una serie di modifiche nel basisfenoide correlate con l'inserzione di prominenti muscoli della base del collo. Riparovenator si distingue dagli altri spinosauridi per presentare una marcata incisione a livello della regione orbitale del frontale, per la peculiare posizione del VII nervo cranico e per alcuni caratteri della regione del basisfenoide. L'esemplare di Riparovenator è leggermente più grande e robusto di quello di Ceratosuchops, ed entrambi sono comunque comparabili alle dimensioni dell'olotipo di Baryonyx. Le differenze morfologiche tra i tre taxa non paiono quindi legate a differenze di dimensione o eventualmente ad un diverso stato di crescita degli esemplari. 

Caratteristiche del cranio che distinguono i due nuovi spinosauridi (descrizione in Barker et al. 2021).

Una volta confrontati con gli altri spinosauridi noti, sia Ceratosuchops che Riparovenator sono collocabili in Baryonychinae, sebbene non strettamente affini a Baryonyx: piuttosto, essi mostrano una maggiore affinità con i baryonychini del Niger (la cui tassonomia è in parte controversa, e che sono stati variabilmente riferiti a Cristatusaurus e/o Suchomimus: per comodità, noi usiamo il nome Suchomimus per tutti questi esemplari, in attesa di una revisione del materiale). A questo clade, comprendente i due nuovi spinosauridi dell'Isola di Wight e Suchomimus, abbiamo dato il nome di Ceratosuchopsini.

Applicando modelli paleobiogeografici alla filogenesi dei tetanuri da noi ottenuta mostriamo che probabilmente gli spinosauridi compaiono tra la fine del Giurassico e l'inizio del Cretacico nell'arcipelago europeo, per poi espandere il proprio areale in Africa, Asia e Sud America nel corso del Cretacico Inferiore. La nostra analisi mostra inoltre che attualmente non è possibile distinguere statisticamente l'ipotesi "lumper" (= tutti i resti appartengono ad una singola specie) e quella "splitter" (= i resti sono riferibili a più specie) sugli spinosaurini del Cenomaniano del Nord Africa: ambo gli scenari sono una descrizione plausibile delle evidenze note.

Filogenesi Bayesiana calibrata nel tempo ed analisi paleobiogeografica di Spinosauridae. In rosso, i ceratosuchopsini.


La risoluzione stratigrafica che abbiamo per questi esemplari non è sufficientemente fine per permettere di stabilire se le due specie battezzate fossero "contemporanee" (nel senso "neontologico" del termine, quello con cui discutiamo delle specie viventi) o se, piuttosto, essi documentino due momenti differenti del range di tempo rappresentato dalla Formazione Wessex (la quale nell'Isola di Wight si estende per circa 5 milioni di anni: un tempo pari all'intero Plio-Pleistocene!): pertanto, dilungarsi a discutere se i due taxa siano parte di una stessa serie anagenetica (di cui, per ora, non c'è alcune evidenza dalla loro morfologia), oppure siano membri di due linee imparentate ma distinte che coesistettero (per una durata anche questa non determinabile) è del tutto inutile (e fuorviante). Ciò che invece è interessante notare è che sta emergendo un quadro abbastanza regolare in merito alla diversità degli spinosauridi: quando si analizza la diversità morfologica in seno ad una medesima formazione geologica, nel campione si osservano spesso due (o più) morfotipi. Ciò suggerisce che la diversità degli spinosauridi sia più alta di quanto ritenuto in passato, e che sovente più di una linea evolutiva (specie? clade?) occupava la medesima regione spazio-temporale (alla risoluzione stratigrafica disponibile: ripeto, tranne in casi di scheletri chiaramente depositati assieme, o di linee evolutive di cui possiamo dimostrare una sovrapposizione stratigrafica, non è possibile stabilire se due taxa fossili siano stati veramente "contemporanei"). 

Lo studio appena pubblicato è una nota preliminare, prettamente tassonomica: i colleghi britannici stanno preparando una monografia che descrive nel dettaglio questo materiale. Qui, mi limito ad un paio di commenti - non discussi nello studio - su alcune interessanti caratteristiche dei nuovi taxa.

La curiosa tuberosità nel margine anteriore della narice esterna di Ceratosuchops è molto intrigante. 

La tuberosità nel margine anteriore della narice esterna di Ceratosuchops, assente in Baryonyx. Le frecce rosse indicano la direzione anteriore del muso.

La tuberosità potrebbe essere parte di una ornamentazione della zona nariale, o una qualche protezione per impedire l'ingresso di corpi estranei nella narice. In alternativa, essa potrebbe essere un sito di ancoraggio per una valvola deputata alla chiusura della narice carnosa, un adattamento tipicamente associato ad uno stile di vita che comporti l'immersione in acqua: per quanto speculativo, ciò suggerirebbe un qualche adattamento acquatico in Ceratosuchops.

Un secondo elemento peculiare di Ceratosuchops rispetto a Baryonyx (la condizione in Riparovenator è meno chiara, a causa della peggiore preservazione) è la diversa inclinazione dei processi paroccipitali nella parte posteriore del cranio, condizione che in Ceratosuchops è associata alla presenza di fosse molto marcate sulle superfici del basisfenoide, zone che sono deputate per l'inserzione di alcuni muscoli che collegano il collo alla base della testa. 

Ceratosuchops ha delle fosse per l'inserzione di alcuni muscoli che collegano la base del cranio al collo, e i processi paroccipitali proiettati posteriormente (linee gialle): due condizioni assenti in Baryonyx e legate al sistema di leve che muovevano testa e collo.

Tutti questi elementi suggeriscono che Ceratosuchops avesse una conformazione della muscolatura del collo differente rispetto a Baryonyx, e che quindi i due animali si differenziassero per la postura e/o mobilità del collo e della testa. Queste differenze potrebbero essere legate a differenze negli stili di vita o nelle strategie predatorie tra questi baryonychini, differenze ecologiche che - a loro volta - ridurrebbero la competizione e avrebbero permesso la coesistenza di differenti taxa durante la prima metà del Cretacico Inferiore nella zona oggi rappresentata dalle isole britanniche.

Infine, le vertebre della coda di Riparovenator mostrano delle spine neurali alte e strette a livello della parte intermedia della coda, che ricordano, sebbene non raggiungano quella forma estrema, la condizione di Spinosaurus. Questo suggerisce che la bizzarra coda di Spinosaurus si sia evoluta a partire da una condizione che comunque era già incipiente anche negli altri spinosauridi.

La scena guarda a nord verso gli altopiani che costeggiano la pianura alluvionale documentata dalla Formazione Wessex e mostra un Ceratosuchops ed un Riparovenator che si contendono una carcassa di ornitopode che è stata depositata in una depressione a seguito di un'alluvione. Il materiale accumulato a seguito di tali inondazioni avrebbe in seguito formato i "letti di detriti vegetali" trovati in tutta la formazione. Opera realizzata da Anthony Hutchings.

Potete leggere la storia dei nuovi spinosauridi anche su:

ArchosaurMusings

TetrapodZoology

O ascoltare il podcast di Terrible Lizards.


Bibliografia:

Barker C.T., Hone D.W.E., Naish D., Cau A., Lockwood J.A.F., Foster B., Clarkin C.E., Schneider P., Gostling N.J. 2021. New spinosaurids from the Wessex Formation (Early Cretaceous, UK) and the European Origins of Spinosauridae. Scientific Reports 97870:1-15. 

https://www.nature.com/articles/s41598-021-97870-8

26 settembre 2021

La pupilla dei dinosauri

Stellasaurus, opera di Andrey Atuchin. Notare che l'artista ha fornito questo dinosauro di pupille orizzontali.


Nel precedente post, ho parlato dell'occhio dei dinosauri, e di ciò che possiamo dedurre sulle sue caratteristiche, in particolare servendoci dell'inferenza filogenetica.

Istigato da un commento sulla pagina Facebook del blog, scrivo questo secondo post in cui analizzo in modo più ampio un dettaglio dell'occhio dei dinosauri, apparentemente impossibile da determinare dai fossili, ma forse deducibile - in parte - assumendo che i dinosauri fossero soggetti alle medesime leggi generali che influiscono sulla morfologia degli animali attuali (e non ho motivo di negare ciò).

Avvertenza: non abbiamo alcun modo di verificare queste ipotesi, dato che non potremo mai osservare una pupilla fossilizzata (sì, lo so, mai dire mai...), e inoltre non possiamo escludere che innumerevoli fattori - a noi sconosciuti - incidano sull'origine della forma particolare della pupilla in un qualche taxon estinto: questo significa che questo post non si pone come "risposta definitiva" alla questione, ma solo come applicazione logica, quasi come gioco, ispirato da uno studio effettuato sulle specie viventi oggi.

Partiamo quindi dagli animali odierni.

Nei vertebrati terrestri, abbiamo specie con pupilla circolare (come noi), specie con pupille verticali più o meno strette (come i gatti ed i gechi), e specie con pupille di forma rettangolare, allungate in orizzontale (come mucche e capre). Queste forme si distribuiscono a caso nelle specie? Sono caratteristiche di certi cladi, oppure sono legate a qualche stile di vita o ecologia particolare? 

Banks et al. (2015) analizzano un campione di vertebrati terrestri viventi e cercano di identificare quali fattori influiscano sulla forma della pupilla. 

Essi dimostrano che esiste una forte relazione tra la dieta e la forma della pupilla orizzontale, la quale è unicamente presente nelle specie vegetariane. Attenzione! Non tutte le specie vegetariane hanno pupilla orizzontale, ma tutte quelle con pupilla orizzontale sono vegetariane. Ovvero, i predatori non presentano mai pupilla orizzontale.  Risultato simile per le pupille verticali: esse sono praticamente esclusive delle specie carnivore. Anche in questo caso, non tutte le specie carnivore hanno pupilla verticale, ma (praticamente) tutte quelle con pupilla verticale sono carnivore.

Già questo ci permette di fare delle plausibili ipotesi sui dinosauri: i predatori avevano pupille circolari oppure verticali, mai orizzontali, mentre le specie vegetariane avevano probabilmente pupilla orizzontale o al più rotonda, ma mai verticale.

Inoltre, la pupilla verticale è più diffusa nelle specie notturne che diurne. Questo particolare è meno utile per il paleontologo dato la tendenza ad essere un animale notturno o diurno può solo essere dedotta indirettamente (ad esempio dalle dimensioni dell'anello sclerotico) ma resta sempre ipotetica.

Gli autori analizzano poi i fattori ottici che possono indurre la selezione naturale a favorire un tipo di pupilla rispetto ad un altro, e notano che la pupilla orizzontale è utile per aumentare il campo visivo ma non è particolarmente utile per focalizzarsi su un dettaglio, mentre il discorso opposto vale per la pupilla verticale. Ciò spiega come mai la pupilla verticale non sia presente nei vegetariani e sia diffusa nei predatori che cacciano sfruttando agguati, e viceversa, come mai i vegetariani, specialmente con occhi posizionati lateralmente, tendano ad avere pupille orizzontali.

Infine, gli autori notano che il grado di "verticalità" della pupilla è legato all'altezza dal terreno tenuta normalmente dalla testa (e quindi dagli occhi). Più l'animale predatore ha la testa a livello del terreno, più la pupilla tende ad essere verticale e stretta. Ad esempio, un geco ha pupilla più stretta di un gatto, che ha pupilla più stretta di una lince, che ha pupilla più stretta di un ghepardo. Apparentemente, animali che tengono la testa abitualmente sopra il mezzo metro da terra tendono ad avere solamente pupille rotonde. Gli uccelli, che volando possono andare ben sopra il mezzo metro dal suolo, hanno praticamente tutti la pupilla orizzontale, e l'unico caso di pupilla verticale è un uccello che abitualmente pesca volando a pelo d'acqua.



Se applichiamo questi principi generali ai dinosauri, concludiamo che probabilmente la maggioranza dei sauropodomorfi e degli ornitischi aveva pupille rettangolari orizzontali, mentre nei theropodi avevamo sia pupille rotonde che verticali. Se la regola "del mezzo metro" vale anche nel Mesozoico, dobbiamo concludere che tutti i grandi theropodi avevano pupilla circolare. Tyrannosaurus, Allosaurus e Carnotaurus avevano pupille rotonde. La pupilla verticale era probabilmente presente nelle specie di dimensioni più ridotte, come gli anchiornitidi, gli halszkaraptorini (!), i parvicursorini e i troodontidi di dimensioni più piccole. Alcuni dromaeosauridi, come Velociraptor, sono proprio nella "fascia intermedia" di altezza e forse avevano pupille dritte ed ovali ma non troppo strette, come nelle linci e nelle volpi.

Aldilà di queste ipotesi suggestive, chiudo con questa provocazione: dato che tutti i theropodi nascevano non più grandi di polli, anche quelli con dimensioni adulte gigantesche, dobbiamo quindi immaginare che da pulcini avessero occhi da gatto e che crescendo la forma della pupilla cambiasse progressivamente, per diventare, da adulti, rotonda?