(Rough) Translator

21 luglio 2021

Ascelle theropodi

Un tema "extra-scientifico" legato ai dinosauri che mi appassiona molto è la persistenza di tutta una serie di dettagli nell'iconografia di questi animali, dettagli a prima vista secondari, ma che invece manifestano il sistema culturale in cui sono immersi gli autori di quelle iconografie. Dettagli che, non avendo mai visto questi animali dal vivo, gli autori delle opere devono necessariamente trarre da qualche concetto o immagine del mondo di oggi, e che sovente sono ripetuti meccanicamente e acriticamente.

Prendiamo un dettaglio sicuramente secondario, ma che inevitabilmente ogni rappresentazione in vivo di un dinosauro deve in qualche modo affrontare: come era fatta la zona del torace a ridosso dell'articolazione della spalla, tra l'attaccatura dell'omero e la regione pettorale? Nell'essere umano, questa zona è l'ascella, termine che però è improprio usare in un dinosauro. In breve, come era fatto l'omologo dinosauriano della zona ascellare?

Ve lo siete mai chiesti, specialmente se siete disegnatori di dinosauri? La domanda parrebbe un cavillo, ma non lo è, dato che durante la loro storia i dinosauri hanno subito molte e varie trasformazioni anatomiche a livello dell'articolazione della spalla, trasformazioni che hanno sicuramente inciso sul modo con cui, esternamente, doveva apparire la regione "ascellare". Già solo le innumerevoli evoluzioni dal quadrupedismo al bipedismo (e viceversa), che caratterizzano varie linee di dinosauri, così come l'evoluzione dell'ala, del piumaggio o la mera riduzione dimensionale delle braccia in vari gruppi, insomma, un numero non indifferente di episodi evolutivi ha coinvolto questa zona del corpo, e di conseguenza ha plasmato l'esteriorità di questo (solo apparentemente secondario) dettaglio anatomico. Pensare che tutti i dinosauri fossero fatti allo stesso modo in quella zona anatomica è quindi molto improbabile.

Nel disegno qui sotto, vi mostro come la nostra idea di "zona ascellare" può impattare l'iconografia dello stesso animale. In (A) abbiamo lo scheletro dell'animale, in (B) l'iconografia "classica" che più o meno tutti gli autori di ricostruzioni tendono a seguire in modo più o meno automatico (ovvero, con la zona ascellare a ridosso del glenoide pettorale, con al massimo la zona deltopettorale dell'omero inclusa nella parte ricoperta da muscoli e pelle della "ascella", ed il resto del braccio esposto e non incluso nella zona "toracica"), in (C) una versione alternativa, ma non per questo a priori meno legittima, in cui una quota importante di tessuto muscolare e cutaneo "sposta" la localizzazione della "zona ascellare" più distalmente lungo l'arto, di fatto inglobando buona parte dell'omero dentro i tessuti molli della zona toracico-ascellare. 



Sono sicuro che la grande maggioranza di voi non ha mai valutato neanche la possibilità di (C), dando per scontato che (B) sia la sola ed unica opzione. Anzi, penso che quasi nessuno si sia mai seriamente posto la questione, immaginando automaticamente le cose come in (B). Eppure, ripeto, non avendo mai visto un dinosauro dal vivo, nessuno di noi può dire a priori quale delle due opzioni sia più valida.

Dimentichiamoci per un attimo l'iconografia, e ragioniamo unicamente su un piano anatomico. Ovvero, combiniamo le informazioni date dalle inserzioni muscolari sulle ossa, le posizioni e direzioni di moto delle articolazioni, e le caratteristiche negli omologhi attuali, e proviamo a dedurre in modo rigoroso una rosa di opzioni possibili per l'anatomia di quella zona. Siamo così sicuri che (B) sia più valida di (C)? In assenza di un'analisi rigorosa e motivata delle parti molli coinvolte, la versione (B) è valida solamente per tradizione, per consuetudine o per pigrizia intellettiva. Non sto dicendo che la (C) sia quella valida, sto solo invitando gli autori di ricostruzioni anatomiche ad essere meno meccanici nelle proprie opere e più aperti a riflettere in modo scientifico su questi dettagli, che non sono marginali.

19 luglio 2021

Halszkaraptor Strikes Back! – Episodio 4: L'origine della furcula (e del bauplan theropode)

Siamo arrivati alla conclusione di questa serie dedicata alle nuove scoperte legate ad Halszkaraptor. Per leggere i precedenti post della serie, in ordine crono-logico: Ep.1, Ep. 2, Ep. 3
Il significato generale di queste scoperte va ben oltre la descrizione della bizzarra anatomia di un theropode, e ci permette di riscrivere un capitolo importante della storia dei precursori degli uccelli.

Ho realizzato questo abstract animato, che spero sia di aiuto nella comprensione del post.


Nel primo volume de "La Rivoluzione Piumata" ho parlato dell'acquisizione della funzione predatoria nell'arto anteriore come il "processo fondativo" dei theropodi. Esso è l'adattamento chiave che porta alla comparsa di un nuovo tipo di dinosauro, spiccatamente specializzato nella predazione e dotato di un organo esplicitamente dedicato alla presa della preda, la coppia degli arti anteriori, organo che coadiuva l'apparato boccale nell'alimentazione basata su prede di dimensioni medio-grandi. Tra gli elementi principali del complesso sistema muscolo-scheletrico a "tenaglia" rappresentato dalle braccia nei theropodi, spicca la furcula. In quel libro, scritto un paio di anni fa, l'ipotesi seguita è che la furcula sia omologa alle clavicole, che sarebbero fuse tra loro, ipotesi che richiede che l'interclavicola scompaia presto nella storia evolutiva dei dinosauri carnivori. Ovvero, quel volume era ancora ispirato dall'ipotesi clavicolare per l'origine della furcula, uno scenario che, come ho mostrato nei precedenti episodi di questa serie, ora penso sia da abbandonare.

Lo scenario che la sostituisce, l'ipotesi interclavicolare per l'origine della furcula, discussa nel precedente episodio di questa serie e supportata dalla peculiare anatomia pettorale di Halszkaraptor, incide in modo significativo sulla nostra interpretazione dell'evoluzione adattativa di questo osso, e, di conseguenza, anche sullo scenario che ho descritto ne "La Rivoluzione Piumata" a proposito dell'origine del modello anatomico theropodiano?

In parte sì, migliorando quello scenario e dandogli maggiore consistenza e robustezza. Difatti, l'ipotesi clavicolare (classica) sull'origine della furcula ha il limite di risultare piuttosto ad hoc in merito alle trasformazioni avvenute nello scheletro pettorale dei proto-theropodi durante l'evoluzione della funzione predatoria nel braccio. Cosa intendo per "ipotesi ad hoc"? Intendo uno scenario che si assume "a posteriori", e che è una mera descrizione delle trasformazioni anatomiche dedotte dall'analisi filogenetica: una narrazione dei fatti evolutivi così come ci appaiono nella documentazione fossile ma che è relativamente debole sul senso "adattativo", sul perché questi eventi siano effettivamente avvenuti. La debolezza dello scenario sta proprio nella sua scarsa capacità di rispondere alla domanda sul perché le cose siano andate proprio così. Ovvero, l'ipotesi classica assume che ad un certo punto i proto-theropodi perdano l'interclavicola e che le loro clavicole si fondano diventando la furcula. Punto. Ma perché questo dovrebbe avvenire? In particolare, se le clavicole si fondono per diventare un osso impari, prendendo di fatto il ruolo dell'interclavicola, perché questa ultima è scomparsa? Se la fusione delle clavicole per rinforzarne la connessione reciproca può avere una sua logica, non si capisce quale sia il motivo per cui l'interclavicola - osso che a maggior ragione forma già un ponte rigido tra i due lati del cinto pettorale - scompaia. L'ipotesi clavicolare, assumendo che la furcula sia omologa alle clavicole, deve assume come "dato di fatto" la scomparsa dell'interclavicola, perché è quello che osserva nei fossili, ma non lo "spiega".

L'ipotesi interclavicolare per l'origine della furcula invece spiega elegantemente le varie trasformazioni avvenute lungo la storia evolutiva dei theropodi a livello della regione pettorale, inclusa - in questo caso - la scomparsa delle clavicole. Non solo, lo scenario che propone funziona ben oltre il momento in cui compare la furcula, e spiega anche i momenti successivi, lungo la serie di theropodi che porta agli uccelli, nei quali la furcula si è modificata.

Possiamo distinguere quattro passaggi della sequenza, che parte coi proto-dinosauri triassici e arriva ai proto-ornithurini cretacici antenati degli uccelli moderni.

Il primo stadio della serie è rappresentato da un pan-aviano molto basale (inizio del Triassico Medio). Questo animale è quadrupede, quindi si sposta utilizzando sia gli arti posteriori che quelli anteriori. I due distretti pettorale e pelvico quindi sono parte di un medesimo "blocco funzionale", detto "modulo locomotorio", e agiscono di concerto. Questa concertazione richiede che il sistema pettorale e quello pelvico siano in qualche modo connessi e "comunicanti", affinché la locomozione eretta degli arti posteriori (già acquisita nei proto-dinosauri) risulti efficiente. Possiamo immaginare che il proto-dinosauro quadrupede sia analogo ad un'automobile, e che per mantenere una efficiente coordinazione tra le ruote anteriori e quelle posteriori, sia necessario disporre di un asse centrale che connette il treno di ruote anteriori con il treno posteriore. Questo asse deve permettere al lato destro degli arti di muoversi indipendentemente da quello sinistro (per permettere l'alternanza del passo) ma al tempo stesso deve mantenere la connessione tra metà anteriore e metà posteriore del sistema. L'asse nel nostro proto-dinosauro è dato dalla connessione tra interclavicola, sterno, gastrali e pube, connessione che è la condizione ancestrale di tutti i rettili diapsidi, e che si conserva nei primi dinosauri. In questo stadio, quindi, è utile avere una articolazione relativamente mobile tra lato destro e sinistro della regione pettorale, e quindi un contatto non saldato tra clavicole e interclavicola, ma anche un asse rigido tra interclavicola e sterno.

Il secondo stadio di questa serie è rappresentato dai primi dinosauri bipedi, precursori dei theropodi (inizio del Triassico Superiore). In questi animali, gli arti anteriori smettono di essere parte del sistema locomotorio, che ora è gestito unicamente dal sistema pelvico e dagli arti posteriori. La liberazione degli arti anteriori dalla partecipazione al modulo locomotorio ha permesso ad alcuni dinosauri, gli antenati dei theropodi veri e propri, di utilizzare questo paio di zampe anteriori "libere" per svolgere nuove funzioni. Con la rapida transizione dai primi dinosauri bipedi che non usavano le mani nella predazione ai proto-theropodi che includono le mani tra gli organi deputati alla presa della preda, il sistema pettorale viene selezionato per sopportare un tipo di sollecitazione meccanica diversa rispetto a quella che vincolava i dinosauri quadrupedi: ora non è più necessario mantenere una coordinazione di movimento tra arto anteriore e corrispondente arto posteriore, ma serve piuttosto mantenere una connessione rigida tra braccio dentro e sinistro quando entrambi si stringono contro la preda. Questa pressione selettiva quindi porta a rilassare il contatto tra interclavicola e sterno e contemporaneamente a rafforzare quello tra interclavicola e le due articolazioni della spalla. Il risultato è che i rami laterali dell'interclavicola si rafforzano mentre il ramo posteriore si riduce, perdendo la connessione con lo sterno. Le clavicole, elementi liberi adiacenti ai rami laterali dell'interclavicola, a questo punto risultano superflue, dato che non aggiungono stabilità all'asse destra-sinistra che è già adeguatamente sostenuto dai due rami laterali dell'interclavicola. Ovvero, la pressione selettiva all'uso delle braccia in un predatore bipede porta alla perdita della connessione tra cinto pettorale e scheletro della regione ventrale (ovvero, il sistema sterno-gastrali) ma porta anche alla scomparsa di quella coppia di elementi mobili quali erano le clavicole. Il risultato di questa pressione selettiva è la scomparsa delle clavicola e del ramo ventrale dell'interclavicola. Rimangono solamente l'interclavicola, dotata di una coppia di robusti rami laterali più un abozzo vestigiale del ramo ventrale, da cui parte un legamento elastico che si collega allo sterno: è nata la furcula!

Notate l'eleganza dello scenario: la perdita delle clavicole e la trasformazione dell'interclavicola in furcula non sono più "dati di fatto" particolari che dobbiamo solamente descrivere (come avveniva nello scenario basato sull'ipotesi clavicolare), ma sono tappe logicamente funzionali di un adattamento generale che coinvolge l'intera anatomia dei proto-theropodi: l'evoluzione di un predatore bipede che usa le braccia nella predazione, e nel quale, quindi, l'arto anteriore si svincola funzionalmente dal posteriore e acquisisce un proprio "asse portante" autonomo, tramite il "riciclo" dell'interclavicola, l'osso che, nell'impianto originario, era quello con la maggiore potenzialità di svolgere tale funzione.

Il terzo stadio di questa sequenza ci porta alla base dei maniraptori (inizio del Giurassico Medio). Una peculiarità di questi theropodi rispetto agli altri è che il coracoide (uno degli elementi dell'articolazione della spalla) ha una forma più squadrata e quadrangolare rispetto alla forma "ellittica" o a "mezzaluna" tipica degli altri theropodi. Questa forma è legata all'acquisizione di una più stabile articolazione con lo sterno, che si modifica sviluppando delle faccette per il coracoide più definite rispetto allo sterno degli altri dinosauri. Questa trasformazione della regione pettorale è stata spesso considerata alla luce dell'evoluzione di una muscolatura del braccio di tipo "aviano", ma poco è stato discusso su quanto e come la furcula abbia partecipato a tale innovazione. La presenza in Halszkaraptor di una faccetta tra sterno e furcula, e la condizione analoga che si osserva anche negli oviraptorosauri e in molti uccelli mesozoici, suggerische che anche l'interclavicola abbia partecipato alla innovazione pettorale che distingue i maniraptori dal resto di Theropoda. Ciò significa che, nell'impianto generale, la peculiare morfologia di Halszkaraptor non sia una aberrazione fuori dal mondo, ma sia l'espressione di una tendenza generale di tutti i maniraptori derivati. L'ipotesi che sosteniamo nel nostro studio è che l'acquisizione di un contatto tra furcula e sterno nei maniraptori sia legato al rafforzamento della regione pettorale sottoposta a nuove pressioni selettive a livello dell'arto anteriore. In particolare, l'uso del braccio nel volo e nel nuoto potrebbe aver spinto verso un ritorno ad un contatto diretto tra interclavicola e sterno (contatto che era andato perduto con i primi theropodi bipedi), non più in relazione ad una locomozione quadrupede, ma in funzione di un potenziamento della muscolatura pettorale e della base del collo.

L'ultimo stadio di questa sequenza è localizzato alla base degli uccelli ornithothoracini, gli unici dinosauri dotati di volo battuto (inizio del Cretacico Inferiore). In questo ultimo stadio, a ridosso dell'origine della linea che porterà in seguito anche agli uccelli moderni, il cinto pettorale si modifica specificatamente per supportare il complesso sistema muscolare che produce il volo attivo. La furcula diventa un meccanismo di rilascio elastico della energia meccanica prodotta dai pettorali, e assieme a scapola e coracoide partecipa alla formazione di un canale, il canale triosseo, dentro cui scorre un legamento che collega il muscolo sopracoracoideo allo sterno: questo legamento permette al muscolo di risollevare l'ala durante la fase di ritorno del battito.

Il modello qui descritto, e proposto nel nostro nuovo studio (Cau et al. 2021), delinea quindi l'evoluzione della furcula come un progressivo adattamento a differenti modelli locomotori, fin dalla sua comparsa. Il pregio di questo scenario, coerente con l'ipotesi interclavicolare, è che spiega tutta la storia di questo osso, dalla sua origine nei primi theropodi, al suo uso nei grandi predatori bipedi, alla sua partecipazione in nuovi modelli locomotori nei maniraptori, tra cui il volo battuto degli ornithothoracini e il possibile nuoto tramite l'arto anteriore in Halszkaraptor.

In conclusione, possiamo quindi considerare la furcula, o meglio, le peculiare conformazione dell'interclavicola neotheropode, come una delle innovazioni chiave per il successo del modello biologico dei dinosauri predatori.

Bibliografia:

Cau A., Beyrand V., Barsbold R., Tsogtbaatar K., Godefroit P. 2021 - Unusual pectoral apparatus in a predatory dinosaur resolves avian wishbone homology. Scientific Reports DOI: 10.1038/s41598-021-94285-3 www.nature.com/articles/s41598-021-94285-3

Halszkaraptor Strikes Back! – Episodio 3: Una faccetta inaspettata

Nei precedenti episodi di questa serie (Ep.1 ed Ep. 2), ho introdotto tutti gli elementi della diatriba sull'omologia della furcula aviana (e theropodiana). Questi elementi ora vi aiuteranno a comprendere il mio stupore quando, una volta analizzate le scansioni tomografiche delle nuove ossa scoperte nella regione pettorale di Halszkaraptor, vidi questo:

Vista ventrale (superficie esterna) e dorsale (superficie verso la cavità toracica) della furcula e dello sterno di Halszkaraptor ricavate dalle scansioni tomografiche. Le parti con l'esclamazione non si erano mai viste prima in un dinosauro!


Si tratta della scansione della furcula e dello sterno: a sinistra, visti dalla prospettiva ventrale (ovvero, come apparirebbero se osservati da sotto la pancia dell'animale), a destra, visti "dall'interno" della cavità toracica di Halszkaraptor. Si vede chiaramente che la furcula è a forma di “V” (il ramo destro è conservato solo in parte: in generale, la parte destra dell'arto anteriore è conservata peggio di quella sinistra). Nel suo apice posteriore - rivolto verso lo sterno - la furcula si proietta con un processo allungato, una “linguetta” che scorre proprio sotto lo sterno. Questo processo allungato è presente anche in altri theropodi e in molti uccelli odierni, e prende il nome di ipocleido. La particolarità dell'ipocleido di Halszkaraptor è che esso non si limita a proiettarsi verso lo sterno, ma è letteralmente alloggiato tra le due piastre dello sterno. Non solo, ma se osserviamo la furcula dal lato opposto a quello ventrale (ovvero, dall'interno della cavità toracica) vediamo che la regione posteriore dell'osso, incluso l'ipocleido, è scavata da una fossa a forma di cuore (è "bilobata"), posizionata al centro lungo l'asse lungo dell'ipocleido. 

Inizialmente, ritenevo che questa fossa fosse di natura pneumatica, ovvero fossa la prova che Halszkaraptor fosse munito del sacco aereo clavicolare, un diverticolo del sistema respiratorio che negli uccelli moderni (e forse in altri theropodi) pneumatizza la furcula. Quando però visualizziamo contemporaneamente sia la scansione della furcula che quella dello sterno, l'ipotesi “pneumatica” per quella fossa viene smentita: sebbene la piastra sternale destra sia in parte erosa, la sinistra mostra chiaramente che le estremità anteriori delle due piastre dello sterno alloggiano dentro le due metà destra e sinistra della fossa della furcula! La fossa non è un recesso pneumatico bensì una faccetta articolare, il punto di giunzione tra ossa distinte: ovvero, in Halszkaraptor, le due piastre dello sterno si “agganciano” alla furcula a livello dell'ipocleido!

Nessun altro theropode ha la furcula "agganciata" allo sterno! La scoperta era così significativa che abbiamo deciso di preparare ulteriormente il fossile, ovvero di rimuovere meccanicamente parte della matrice rocciosa ancora presente nel blocco, così da esporre la furcula per confermare "dal vivo" quanto appariva dalle scansioni tomografiche. E così è stato (fa davvero una sensazione strana vedere ad occhio nudo elementi di Halszkaraptor che finora avevamo solo "elaborato" digitalmente dalle micro-TAC).


La furcula vede la luce per la prima volta in 75 milioni di anni. E si conferma articolata allo sterno (freccia)! (Foto di T. Hubin)

A questo punto, uno potrebbe fermarsi qui e considerare la furcula di Halszkaraptor come una della sue tante bizzarre specializzazioni. In effetti, è plausibile che la particolare articolazione tra sterno e furcula possa essere legata ai peculiari adattamenti di questo dinosauro, come l'allungamento del collo e l'eventuale uso dell'arto anteriore nel nuoto. Queste spiegazioni adattative sono sicuramente pertinenti per comprendere la particolare morfologia di Halszkaraptor, ma non sono sufficienti. Per comprendere quanto inattesa sia la scoperta di una articolazione tra furcula e sterno in un theropode, occorre fare una comparazione che vada oltre i theropodi. Infatti, il modo con cui furcula e sterno articolano tra loro ci trasmette un messaggio che va ben oltre i dinosauri predatori. Un messaggio che ha implicazioni generali sulla genesi stessa della furcula!

Facciamo un passo indietro, e torniamo al precedente post in cui ho illustrato le varie ipotesi sull'omologia (ed origine) della furcula. Colleghiamo i concetti presentati in quel post con le osservazioni esposte in questo. Se dovessimo descrivere la furcula di Halszkaraptor ignorando per un attimo le altre furcule dei theropodi e degli uccelli, ma basandoci sull'impianto generale del sistema pettorale dei rettili, come interpreteremmo la sua morfologia? Diremmo che la furcula di Halszkaraptor è un osso singolo, mediano, che si biforca per articolare con le due scapole e che si proietta posteriormente tramite un processo mediano che “scorre” ventralmente alla regione anteriore delle piastre sternali, con le quali è in contatto.

Se chiedete ad un biologo esperto in anatomia dei rettili a quale osso corrisponda la definizione in grassetto qui sopra, il biologo non avrebbe dubbi nel commentare che quella è la descrizione dell'interclavicola. L'interclavicola è difatti un osso mediano, che si biforca che contattare le scapole, e che presenta un processo posteriore che si proietta ventralmente alla parte anteriore dello sterno, con cui è in contatto. Ovvero, vista dalla prospettiva più ampia dell'anatomia comparata dei rettili, la furcula di Halszkaraptor è equivalente - sia come posizione che come relazione con le altre ossa - all'interclavicola rettiliana. Ma tale equivalenza, in anatomia comparata, è la base della omologia primaria, il criterio con cui noi stabiliamo che gli organi di due animali differenti sono manifestazioni evolutive della "medesima" struttura anatomica. Le implicazioni generali della scoperta della furcula in Halszkaraptor è che per la prima volta il fossile di un theropode supporta direttamente l'ipotesi che la furcula non sia omologa alle clavicole (come sostenuto dalla maggioranza dei paleontologi negli ultimi decenni) bensì sia omologa all'interclavicola (come sostenuto principalmente dagli studiosi dell'embriogenesi degli uccelli).

Il sistema furcula-sterno di Halszkaraptor combina elementi del sistema "rettiliano" (a sinistra) e di quello aviano (a destra) secondo l'ipotesi interclavicolare per l'omologia della furcula.

Le implicazioni di questa scoperta sono innumerevoli. In un articolo, pubblicato in questi giorni (Cau et al. 2021), descriviamo la regione pettorale di Halszkaraptor e la confrontiamo sia con gli uccelli che con i rettili moderni. Dall'omologia con l'interclavicola, sosteniamo un nuovo scenario per l'origine e l'evoluzione della furcula, ed identifichiamo la “causa adattativa” di questo osso, il processo che ne ha plasmato la forma ben prima dell'origine del volo.

Questo scenario sarà l'oggetto del prossimo post di questa serie.

[Nota: i 4 episodi di questa serie sono pubblicati simultaneamente, in sequenza: Episodio 4]


Bibliografia:

Cau A., Beyrand V., Barsbold R., Tsogtbaatar K., Godefroit P. 2021 - Unusual pectoral apparatus in a predatory dinosaur resolves avian wishbone homology. Scientific Reports DOI: 10.1038/s41598-021-94285-3 www.nature.com/articles/s41598-021-94285-3

Halszkaraptor Strikes Back! – Episodio 2: L'osso dei desideri inespressi

Come accennato nell'episodio precedente di questa serie, lo scheletro della regione pettorale dei theropodi (scheletro che, nel suo impianto generale, si conserva negli uccelli odierni) consta di due parti, una destra ed una sinistra, che “appoggiano” sulla gabbia toracica senza una vera e propria articolazione diretta (a differenza dello scheletro pelvico, che è saldato alle vertebre sacrali), e convergono nella parte ventrale del torace, dove si collegano tra loro e, più o meno direttamente, alle ossa della gabbia toracica.

Lo scheletro pettorale dei theropodi (inclusi gli uccelli) si differenzia da quello degli altri rettili diapsidi (inclusi gli altri dinosauri) per la presenza della furcula. Questo osso è assente negli altri rettili, i quali invece presentano altre ossa nella regione pettorale, che non troviamo nei theropodi. Queste ossa sono una coppia di ossa pari, le clavicole, ed un osso mediano impari, l'interclavicola. Non tutti i rettili hanno la medesima architettura della regione pettorale, ed in certi casi sono privi di una o più di queste ossa. Ad esempio, i coccodrilli hanno l'interclavicola ma sono privi di clavicole, mentre la maggioranza degli arcosauri triassici ha ambo i tipi di ossa (ciò implica che la condizione che osserviamo nei coccodrilli odierni è una specializzazione e non rappresenta la morfologia ancestrale da cui trae origine quella degli uccelli).

Confronto tra lo scheletro pettorale di un rettile non-aviano e di un uccello. In entrambe le figure, lo scheletro pettorale è mostrato in vista ventrale (sinistra) e laterale (destra). Nello scheletro aviano, la scapola è omessa per motivi di spazio. Notare che nel rettile abbiamo clavicole e interclavicola ma non la furcula, mentre nell'uccello abbiamo la furcula ma non le clavicole né l'interclavicola.


Se confrontiamo l'impianto generale “classico” di un rettile diapside con quello di un uccello, notiamo che clavicole ed interclavicola nel rettile occupano la medesima zona occupata dalla furcula nell'uccello. Le clavicole di solito sono adagiate ai lati dell'interclavicola ma non si toccano tra loro, mentre l'interclavicola, lo dice il nome, è posta tra le due clavicole, ma, a differenza di queste ultime, essa si proietta posteriormente e raggiunge lo sterno, portandosi sotto la superficie ventrale della parte anteriore delle piastre sternali.

La corrispondenza di posizione tra l'impianto aviano e quello rettiliano, ma che si esclude a vicenda, alla pari di una relazione tra super-eroe e suo alter-ego, ha sempre fatto sospettare che la furcula degli uccelli (e dei theropodi) sia “equivalente” (ovvero, l'alter-ego, l'omologo) alle ossa che occupano la medesima posizione nei rettili.

Sebbene tutti concordino su questa relazione, non è universalmente riconosciuto a cosa, in particolare, la furcula abbia “preso il posto”: alle clavicole oppure all'interclavicola?

Gli evoluzionisti hanno discusso tra possibili scenari alternativi per l'origine della furcula.

L'ipotesi clavicolare: la furcula discenderebbe dalle clavicole.

Se questo scenario è valido, allora dobbiamo ammettere che durante l'evoluzione dei precursori degli uccelli, le clavicole si sono saldate medialmente (diventando un singolo osso impari) e che l'interclavicola sia scomparsa.

L'ipotesi interclavicolare: la furcula discenderebbe dall'interclavicola.

Se questo scenario è valido, allora dobbiamo ammettere che durante l'evoluzione dei precursori degli uccelli, le clavicole siano scomparse e che l'interclavicola abbia perso il contatto diretto con lo sterno.

L'ipotesi mista: la furcula discenderebbe sia dalle clavicole che dall'interclavicola.

Questo scenario combina elementi delle due ipotesi precedenti e suppone che la parte laterale della furcula sia omologa alle clavicola mentre la parte centrale sia omologa all'interclavicola. Se questo scenario è valido, allora dobbiamo ammettere che durante l'evoluzione dei precursori degli uccelli, le clavicole si siano fuse all'interclavicola e che questa abbia perso il contatto diretto con lo sterno.

Notate che le tre ipotesi si differenziano per la sequenza di stadi evolutivi che conducono alla furcula partendo dalla condizione rettiliana classica, oltre che per le differenti “tracce di sé” che questi processi dovrebbero lasciare visibili nello sviluppo embrionale degli uccelli. Questo secondo elemento è il motivo per cui l'ipotesi “mista” sia quella considerata meno plausibile: essa non è avvalorata dall'analisi dello sviluppo embrionale degli uccelli: se l'ipotesi mista fosse valida, ci aspetteremmo che all'inizio dello sviluppo embrionale la furcula sia composta da tre parti distinguibili tra loro (i precursori embrionali delle due clavicole non saldate e dell'abbozzo di interclavicola), cosa che non pare risultare dall'analisi degli embrioni aviani.

La diatriba sull'omologia delle furcula quindi si svolge principalmente tra le altre due opzioni: l'ipotesi clavicolare (che è quella maggioritaria tra i paleontologi) e l'ipotesi interclavicolare (che pur essendo minoritaria tra i paleontologi ha ricevuto di recente maggiore supporto sul piano embriologico). Attualmente, combinando fossili ed embrioni, non abbiamo una risposta univoca: alcuni studi potrebbero supportare l'ipotesi clavicolare, altri quella interclavicolare. Sul fronte paleontologico, i fossili dimostrano in modo netto che i theropodi avevano la furcula, ma non ci hanno ancora mostrato una specie dotata di una condizione “di transizione” tra l'impianto rettiliano classico e quello dei theropodi. Dato che nei theropodi noti finora la regione pettorale è già “perfettamente aviana” sia nella forma generale che nell'impianto (ovvero, consta già di furcula e non ha alcuna traccia di clavicole o dell'interclavicola), si ritiene che i fossili utili a chiarire la controversia sull'omologia della furcula vadano cercati tra i rettili non-theropodi, in particolare i dinosauri triassici e i loro parenti prossimi. Purtroppo, questi tanto attesi dinosauri triassici dotati di una condizione intermedia tra quella rettiliana classica e quella theropodiana/aviana per ora non sono stati scoperti. Siamo quindi fermi, in una fase di stallo, e non sembrano esserci elementi utili a risolvere l'enigma.

Forse, stiamo guardando il problema dalla prospettiva sbagliata? La risposta nel prossimo episodio di questa serie. 

[Nota: i 4 episodi di questa serie sono pubblicati simultaneamente, in sequenza: Episodio 3]

Halszkaraptor Strikes Back! – Episodio 1: Nuovi elementi del puzzle

Nel Dicembre del 2017, fui tra gli autori dello studio che introduceva, descriveva e interpretava il bizzarro dinosauro paraviano Halszkaraptor escuilliei (Cau et al. 2017). Associati alla pubblicazione tecnica, realizzammo una serie di elementi multimediali divulgativi, tra cui una animazione digitale assemblata a partire dalle scansioni microtomografiche usate per lo studio. Poco dopo la nostra pubblicazione, Paul Tafforeau, co-autore nello studio del 2017 e autore della animazione ufficiale caricata, mi inviò una serie di scansioni ricavate durante la realizzazione della animazione. In una delle slide, apparivano chiaramente delle ossa che non avevamo notato durante le analisi precedenti, ossa in gran parte ancora celate dentro il blocco di roccia, parzialmente disarticolate ma comunque identificabili per la loro forma e posizione. Le ossa erano distribuite tra la zona dello sterno e la base del collo, ovvero, nella regione dove in vita sono posizionate le ossa della regione pettorale. Questa scoperta era molto intrigante, perché la zona pettorale era proprio una delle poche parti dello scheletro che non avevamo potuto ricostruire nel 2017, se non in modo molto approssimativo. Tutto quindi ci portava a ipotizzare che quelle nuove ossa emerse dalla scansione tomografica fossero proprio le ossa mancanti della regione pettorale.

Lo scheletro pettorale dei theropodi consiste in quattro elementi (colorati nella figura sotto): tre ossa pari (ovvero, che sono presenti in coppia, una sul lato dentro ed una sul lato sinistro) più un osso impari (ovvero, singolo e posizionato lungo la linea mediana del corpo). Le ossa pari sono, partendo dalla regione dorsale e scendendo ventralmente: la scapola (arancione), il coracoide (giallo) e lo sterno (blu). Scapola e coracoide partecipano nella formazione dell'articolazione della spalla (dove si inserisce l'omero dell'arto anteriore), mentre lo sterno (che in molti casi si fonde col suo corrispondente pari per formare un'unica piastra sternale centrale) articola con il coracoide e con una serie di coste dorsali (rosa) e coi primi gastrali (rosa). Il quarto osso, quello impari, è la furcula (rosso).

Scheletro della regione pettorale di un theropode in vista laterale sinistra.


Già nel primo studio del 2017 avevamo identificato frammenti di una scapola, quella sinistra, e buona parte delle due piastre dello sterno, che emergevano dalla superficie del blocco. Le nuove ossa identificate dalle scansioni erano perciò buoni candidati per rappresentare le parti mancanti dello scheletro pettorale. Un osso stretto ed allungato, che dalle scansioni appare giacere sotto il livello dello sterno, è chiaramente la scapola destra, molto più completa di quella sinistra. Adiacente alla scapola destra, e posizionato perpendicolarmente a questa, appena davanti, si osserva un osso incompleto ed allungato, vagamente cilindrico. Forma e posizione sono compatibili con il coracoide destro. Infine, dalle scansioni appare un osso a forma di arco, posizionato proprio di fronte alle due piastre dello sterno. Un segmento di quello stesso osso emerge dalla superficie del blocco di roccia, ma trovandosi vicino ai resti delle coste era stato inizialmente considerato un frammento di costa, ovvero parte della gabbia toracica. Ora, invece, appariva chiaro che si trattava di un osso ben più grande, impari, a forma di “U”, adagiato proprio lungo la linea mediana del corpo. L'unico osso mediano, con quella forma e posizione, anteriormente allo sterno, è la furcula. Quindi, l'olotipo di Halszkaraptor conserva praticamente l'intero scheletro pettorale, sebbene in parte disarticolato, inclusa la furcula!

Un primissimo risultato della scoperta di questi ulteriori elementi nello scheletro di Halskzaraptor è stato l'aggiornamento della sua ricostruzione scheletrica dell'animale. Assieme a Marco Auditore, ho discusso come questi elementi siano da integrare nella ricostruzione aggiornata. Il risultato è una regione pettorale che ricorda più gli uccelli volatori che i troodontidi basali (questi ultimi erano stati il modello seguito nella ricostruzione del 2017). In primo luogo, a causa della peculiare proporzione del coracoide, dobbiamo posizionare lo sterno ben al di sotto dell'articolazione della spalla. Questa interpretazione è confermata dalle inusuali ed inattese caratteristiche della furcula. 

La furcula di Halszkaraptor non smentisce ciò che avevamo già imparato (ad apprezzare) a proposito di questo animale. Al pari del resto dello scheletro, anche la furcula è qualcosa di originale ed inatteso, se confrontata con gli altri dinosauri prossimi agli uccelli. Oltre che bizzarra, la furcula di Halszkaraptor però ci comunica anche un messaggio più generale, che impatta con alcuni concetti consolidati in merito all'evoluzione dell'anatomia degli uccelli. Per comprendere il significato e la portata di queste caratteristiche inusuali, è però necessario fare una digressione generale sulla furcula, digressione che sarà l'oggetto del prossimo post di questa serie. 

[Nota: i 4 episodi di questa serie sono pubblicati simultaneamente, in sequenza: Episodio 2]

17 luglio 2021

Halszkaraptor Strikes Back! – Prologo

 

Ricostruzione in vivo di Halszkaraptor escuilliei [(c) E. Willoughby] e dettaglio della ricostruzione scheletrica [(c) M. Auditore]

L'anatomia degli uccelli è bizzarra e in certi casi enigmatica. Buona parte dello scheletro degli uccelli moderni è plasmato per il volo attivo, un tipo di locomozione alimentato dalla spinta propulsiva dell'enorme muscolatura pettorale e manovrato grazie a sofisticati meccanismi di controllo della superficie alare a livello della mano e della coda. Moltissimi elementi di questo raffinato sistema muscolo-scheletrico non si sono originati direttamente in funzione del volo ma furono “rielaborati” a partire da elementi anatomici comparsi nei precursori non-volanti degli uccelli, in particolare tra i dinosauri theropodi triassici e giurassici.

Alla lunga e complessa storia del modello anatomico degli uccelli, di come e quando si sia sviluppato, ho dedicato due decenni di studio, la tesi di laurea, parte di quella del dottorato, decine di pubblicazioni scientifiche e una serie di libri.

Non tutto ciò che caratterizza la biologia degli uccelli ha ancora ricevuto una adeguata spiegazione evoluzionistica. Enigmi e controversie persistono. In alcuni casi, la controversia è alimentata dal messaggio, apparentemente contraddittorio, che si ricava dai diversi ambiti di ricerca. Ad esempio, l'analisi dello sviluppo embrionale degli uccelli può supportare uno scenario particolare che però può non ricevere supporto dall'analisi dei fossili, e viceversa. Il caso più discusso, per decenni, è stato il modello di sviluppo della mano nell'embrione degli uccelli, usato come argomento per negare il messaggio dato dai fossili a sostegno del legame tra uccelli e dinosauri predatori. Varie spiegazioni, sia embriologiche che paleontologiche, sono state proposte per riconciliare le due prospettive, e nuovi esperimenti e scoperte hanno contribuito a raffinare ambo le posizioni.

A volte, un fossile può – inaspettatamente – dare un contributo alla soluzione di una diatriba tra embriologi e paleontologi. Le ricerche che preferisco sono proprio quelle in cui i fossili di dinosauro hanno portato nuove informazioni per comprendere la biologia moderna degli uccelli, per risolvere enigmi e portare nuova linfa a questioni che parevano ad uno stallo. Alcuni dei miei studi si inseriscono in questo esaltante filone di ricerca. Le scoperte tratte da dettagli come la mano di Saltriovenator o l'ischio di Tataouinea sono tra le più emozionanti, proprio per il contributo del tutto inatteso che esse hanno dato alla comprensione della “anima” dinosauriana ancora presente negli uccelli.

Eppure, nonostante tutte queste esaltanti scoperte, a nessun fossile sono più affezionato quanto alla “piccola Halszka”. Paradossalmente, Halszkaraptor è talmente bizzarro e inusuale che, nonostante abbia molti caratteri che ricordano gli uccelli, esso non mi è mai sembrato particolarmente pertinente in relazione alla grande storia che conduce agli uccelli di oggi. Sì, Halszkaraptor è un paraviano, quindi un dinosauro parente molto prossimo degli uccelli, e il suo aspetto generale ricorda molto un uccello acquatico, ma il suo legame evolutivo con gli uccelli non è né più né meno significativo di quelli di Microraptor o Deinonychus, due fossili ormai diventati iconici in virtù del loro contributo "storico" al progresso di quella che chiamo la "teoria fondamentale dell'ornitologia". Dopo tutto, Halszkaraptor non solo è molto peculiare, ma è vissuto quasi 100 milioni di anni dopo i precursori degli uccelli, quindi non parrebbe essere particolarmente pertinente al tema dell'origine della biologia aviana. Quindi, per quanto notevole come scoperta, da un punto di vista “macroevolutivo”, Halszkaraptor non risultava poi tanto speciale, perlomeno nell'ottica di chi studia i dinosauri estinti per capire quelli viventi.

Mi sbagliavo?

Sì, mi sono dovuto ricredere.

Il caso ha voluto che la piccola Halszka ci abbia riservato una sorpresa, tenuta celata nel suo sarcofago di roccia, un piccolo grande regalo che non avevamo colto durante il primo studio i cui risultati pubblicammo alla fine del 2017.

Ne parlerò, prossimamente, in esclusiva su Theropoda!



11 luglio 2021

Questi paleontologi hanno misurato il morso di Giganotosaurus e di Tyrannosaurus: quello che è risultato ti lascerà di stucco!

 


Ok, il titolo è pacchianamente un tentativo spudorato di attirare l'attenzione facendo leva sul bimbominkia dinomaniaco che è in te (anche se non lo sai, egli c'è). E vedo che, se stai ancora leggendo, la cosa ha funzionato.

In realtà, lo studio di cui parlo in questo post è interessante a prescindere dalla presenza nell'analisi dei due mega-theropodi menzionati nel titolo (che comunque, ci sono).

Therrien et al. (2021) analizzano la ricca documentazione di mandibole dei tyrannosauridi Albertosaurinae canadesi per stimare la meccanica del morso in questi animali, in particolare al variare delle dimensioni dell'animale. Sulla base di modelli biomeccanici relativamente semplici, e quindi applicabili anche su esemplari frammentari, gli autori calcolano la resistenza alla torsione in vari punti della mandibola di una serie di theropodi ipercarnivori di taglia variabile (in particolare, Dromaeosauridae, Ceratosauria, Allosauroidea, Spinosauridae e Tyrannosauridae) e la comparano con le dimensioni della mandibola stessa e con la morfologia dei denti.

Lo studio mostra che le prestazioni meccaniche delle mandibole di Tyrannosauridae seguono una curva distinta da quella degli altri theropodi. Tuttavia, i valori delle due curve si sovrappongono senza sostanziali differenze per dimensioni della mandibola sotto i 50 cm (corrispondente ad animali lunghi 5-6 metri): sopra quel valore, la curva dei tyrannosauridi devia nettamente da quella degli altri theropodi, producendo resistenze alla torsione 3-4 volte superiori a quelle ottenute da animali della stessa taglia.

Questo risultato è molto interessante, perché suggerisce che il "modello di morso tyrannosauride" non differisca da quello degli altri theropodi quando gli animali hanno dimensioni medio-piccole (ovvero, quando sono giovani e, teoricamente, nelle specie ancestrali di tyrannosauride di dimensioni medie). Ciò non sorprende se prendiamo in considerazione la dentatura dei tyrannosauridi lungo la crescita. Nelle forme giovanili, essa è di tipo "zifodonte", composta da denti relativamente stretti ed affilati, molto simile a quella degli altri theropodi (ad eccezione degli spinosauridi) e ben adatta a lacerare e tagliare tessuti molli. Negli adulti, invece, i denti cambiano forma e si "ispessiscono", passando da una sezione trasversale affilata ad una "incrassata", che ricorda più una banana che un coltello. Questa tipologia di dente è considerata un adattamento per sopportare sollecitazioni meccaniche molto intense, in particolare durante morsi che possono spezzare le ossa. Essa è, ovviamente, meno adatta a lacerare e tagliare i tessuti molli. Dato che il passaggio dai denti zifodonti a quelli incrassati è un momento chiave della crescita dei tyrannosauridi, non sorprende che l'analisi di Therrien et al. (2021) identifichi nel medesimo passaggio di crescita anche una deviazione nelle prestazioni meccaniche del morso: la mandibola si irrobustisce per sopportare le nuove sollecitazioni meccaniche per le quali ha senso dotarsi di denti incrassati.

Questo studio biomeccanico quindi conferma che durante la crescita i tyrannosauridi non solo aumentavano di dimensione, ma mutavano la dieta, puntando nettamente verso prede di dimensioni e robustezza maggiori rispetto alle prede consumate durante la giovinezza.

L'analisi ha inoltre mostrato che i profili meccanici dei Tyrannosaurinae non differiscono da quelli degli Albertosaurinae: da questo punto di vista, le prestazioni estreme di Tyrannosaurus rex rispetto agli altri tyrannosauridi sono una mera conseguenza delle sue maggiori dimensioni corporee, e non il risultato di qualche speciale adattamento anatomico. 

Inoltre, è interessante notare che se rapportiamo la prestazione meccanica alle dimensioni della mandibola, il valore massimo di resistenza alla torsione non sia nei tyrannosauridi ma negli abelisauridi. Chissà che valori otterremmo se, un giorno, trovassimo un abelisauride con un cranio grande come quello di un grande tyrannosauride... 

05 luglio 2021

Dinosauri di Montagna

 

Dettaglio del celebre murale di R. Zallinger - l'iconografia classica del Mesozoico

Nelle rappresentazioni classiche delle faune a dinosauri mesozoici, gli animali sono inseriti in un contesto climatico e ambientale abbastanza definito: una bassa pianura alluvionale, generalmente prossima al mare o a un grande specchio d'acqua, e con clima tropicale-subtropicale.

Poi è arrivata il Rinascimento dei Dinosauri, negli anni '70-80, e l'iconografia classica dell'ambientazione è cambiata lievemente. I dinosauri non erano più impantanati nelle paludi, bensì erano efficienti camminatori di radure subtropicali, semi-aride ma pur sempre a bassa quota. Pur rimuovendo la palude in primo piano, le montagne restavano al massimo una remota silhouette di sfondo.

(c) G.S. Paul


La scoperta delle faune di dinosauri alle alte latitudini, in Australia e Alaska, fin dagli anni '90, e le indicazioni di un clima temperato freddo per quelle regioni, non pare essersi imposta molto nell'immaginario iconografico dinosauriano. Quelle erano pur sempre condizioni estreme, casi limite della vita dinosauriana, non la "normalità". In ogni caso, anche in quei contesti, i dinosauri erano pur sempre collocati in scenari di pianura, a ridosso del mare, o lievemente collinare, con le alte montagne sullo sfondo.

(c) J. Lacerda


Pare che l'idea di avere dinosauri in ambienti montani veri e propri, sia quasi inconcepibile. Una serie di stereotipi ha influito su questa limitazione iconografica e concettuale, incanalando la nostra capacità immaginativa dentro un binario rigido di opzioni sceniche? 

Temo di sì. In primo luogo, la persistenza, anche solo vestigiale, dello stereotipo "impaludato". I dinosauri li vogliamo vedere più o meno prossimi all'acqua, anche quando i dati paleo-ambientali li collocano in contesti aridi e persino desertici. Lo specchio d'acqua voluminoso pretende la pianura. Le montagne appaiono quindi solo sullo sfondo, e sovente sono vulcani in eruzione (i vulcani che eruttano e le paludi sono due ambienti che, nella iconografia classica, immaginiamo come tipici di contesti "preistorici antichi", sebbene entrambi esistano ancora oggi). 

Ho il sospetto che questa iconografia abbia una causa storica. In particolare, temo che questa tipizzazione "ambientale" sia figlia di una narrazione iper-semplicistica e lineare della storia del pianeta, che dipingeva l'evoluzione biologica e ambientale come un progressivo allontanamento dall'acqua. La vita nasce nel mare archeozoico, esce dall'acqua nel paleozoico, vive in basse paludi nel mesozoico, si adatta a contesti più elevati (anche evolutivamente?) e aridi nel cenozoico, divenendo polare e montana solo nel quaternario. Questa è l'iconografia classica. 

In base a questa tipizzazione, non è ammesso vivere in ambienti freddi e montani prima della fine del Cenozoico. Ergo, i dinosauri non possono essere immaginati in ambienti di alta montagna, con condizioni fredde, pareti rocciose ripide a strapiombo, strette conche fluviali che incidono un contesto invernale, brughiere innevate e pendii erbosi che guardano verso il fondovalle.

Spero che un giorno qualcuno vada ad investigare l'origine di questi stereotipi.

Nel frattempo, a partire dalla metà degli anni '90, sono stati scoperti i ricchi giacimenti con dinosauri piumati in Cina nord-orientale. Inoltre, seppur meno ricchi, abbiamo scoperto dinosauri piumati anche in siti tedeschi, canadesi e brasiliani. Nel caso dei siti tedeschi e brasiliani, il contesto deposizionale è lagunare, quindi a ridosso del mare. I fossili canadesi parrebbero provenire da un contesto più continentale, ma pur sempre in un ambiente alluvionale di pianura. Nulla pare intaccare lo stereotipo.

E i siti cinesi? Quale era il contesto ambientale?

Zhang et al. (2021) svolgono analisi isotopiche sui carbonati dei paleosuoli di vari siti fossiliferi del Cretacico Inferiore della zona nord-orientale della Cina, e li combinano con le indicazioni sulla storia tettonica di quella regione. Le analisi indicano che i contesti ambientali da cui provengono i famosi dinosauri piumati avevano una temperatura media annua di 6°C e si collocano in regioni poste tra 3000 e 4000 metri sopra il livello del mare. Dato che questi fossili sono celebri per l'eccezionale preservazione dovuta anche alla presenza di ceneri vulcaniche, la sola spiegazione è che questi animali vivessero proprio in quota, lungo le pendici degli stessi vulcani la cui attività eruttiva dobbiamo ringraziare per l'eccezionale preservazione dei fossili.

I vulcani, e in generale i monti, non erano lo sfondo, erano l'ambiente naturale di questi animali.

Questa scoperta ha numerose implicazioni interessanti:

1- la rarità dei fossili piumati potrebbe in parte spiegarsi anche col fatto che solo sulle pendici dei vulcani è più probabile avere le condizioni idonee alla preservazione del piumaggio

2- i dinosauri erano evidentemente molto abbondanti fino a 3-4000 metri di quota, dato che è irrealistico pensare che questi salissero a quella altezza solo sui vulcani. Dobbiamo quindi sospettare una ricca fauna a dinosauri su tutte le catene montuose mesozoiche. Purtroppo, la fossilizzazione in montagna è un evento molto più raro che in pianura, e questo spiega l'eccezionalità di questi siti. Ciò potrebbe persino spiegare alcune lacune nel registro fossile dei dinosauri.

3- il piumaggio era sicuramente un utile adattamento per vivere ad alta quota, ma non deve essere considerato un elemento esclusivo della vita montana né una conseguenza dell'espansione dei dinosauri sulle catene montuose: i fossili di dinosauri piumati trovati in contesti lagunari dimostrano che questi animali erano piumati a tutte le altitudini, dal mare fino ad altra quota.

4- l'ambientazione montana per i siti cinesi potrebbe spiegare la rarità delle specie di grandi dimensioni trovate finora in questi siti. Gli animali di grande mole generalmente non vivono in contesti montani, ma preferiscono le pianure. Pertanto, l'assenza di specie giganti nei depositi cinesi che preservano le piume non sarebbe un "filtro deposizionale" che renderebbe difficile la fossilizzazione delle grandi specie, bensì un effetto "ecologico-comportamentale" delle condizioni ambientali di alta quota che limitano la presenza e abbondanza delle grandi specie.

Non ci sono più scuse per non rappresentare scenari montani e nevosi con dinosauri (ovviamente, delle dimensioni adatte a quegli ambienti)