(Rough) Translator

13 dicembre 2023

Tyrannosaurus era verde

Il colore dei dinosauri è uno dei temi che più appassionano i paleoartisti. Come colorare un dinosauro il cui aspetto esperiore è andato perduto milioni di anni fa? A parte quella minoranza di taxa per i quali abbiamo tracce di alcuni pigmenti conservati nelle penne fossilizzate, non esiste (almeno per ora) un modo per determinare il colore della grande maggioranza dei fossili.

Tuttavia, possiamo fare delle riflessioni su come il colore di un animale impatta sul suo stile di vita. Ad esempio, è ragionevole supporre che il colore di un animale non sia uno svantaggio nel contesto ambientale ed eco-etologico tipico della sua nicchia ecologica. Per esempio, quale colore è plausibile per un predatore gigante come un grande theropode?

Mi capita di leggere opinioni online, oppure ascoltare podcast o video, in cui ricorre questo ragionamento: i dinosauri giganti erano troppo grandi per mimetizzarsi, quindi non sarebbero stati selezionati per una colorazione mimetica. Ergo, conclude questo argomento, abbiamo la libertà di immaginare i dinosauri giganti con colorazioni sgargianti, brillanti e molto impressionanti. Sovente, questo argomento è collegato alla conoscenza che, in quanto rettili, i dinosauri fossero a visione tetracromatica, e quindi avessero una raffinata capacità di discriminare i colori. Da ciò, si conclude che la livrea mimetica non porti molto vantaggio in un mondo, come quello Mesozoico, popolato da animali a visione tetracromatica.

Io stesso ho sostenuto questo ragionamento in un vecchio post.

Ho riflettuto su questo ragionamento, e sospetto che ci sia un errore. Perché mai dovremmo pensare che un dinosauro gigante non possa essere mimetizzato con il suo ambiente? Le dimensioni corporee sono davvero un impedimento alla mimetizzazione? E la visione tetracromatica dovrebbe essere un vincolo all'evoluzione di livree mimetiche?

Partiamo dalla prima domanda. Un Tyrannosaurus è sicuramente un animale enorme dal nostro punto di vista, ma rispetto ad alberi di dimensione anche "standard" esso è una creatura di dimensioni medio-piccole. Gli elefanti africani di foresta vivono tranquillamente nelle foreste ed hanno dimensioni analoghe a quelle della maggioranza dei grandi theropodi, quindi, non ci sono motivi per cui Tyrannosaurus adulto non possa essere nascosto dalla vegetazione. Quindi, l'argomento delle dimensioni è irrilevante. Inoltre, l'anatomia della maggioranza dei theropodi suggerisce uno stile di caccia "all'agguato" piuttosto che tramite lunghi inseguimenti, quindi questi dinosauri avevano la necessità biologica di sapersi camuffare.

Passiamo all'argomento legato alla visione tetracromatica. Che impatto ha questa raffinata capacità di discriminare i colori con la colorazione dei grandi dinosauri?

Partiamo dall'esempio discusso nel post linkato sopra, ovvero, il colore della tigre rispetto alla visione dicromatica delle sue prede abituali. Riassumendo, la tigre appare di uno sgargiante arancione solamente ai nostri occhi di scimmie tricromatiche (ad eccezione delle persone con una alterazione della visione dei colori, come i daltonici), ma è praticamente dello stesso colore del fogliame se vista dagli occhi dicromatici delle sue prede. Ovvero, è l'occhio della preda che stabilisce il grado di mimetismo del predatore, non il nostro! Se la preda è dicromatica, la tigre risulta perfettamente mimetizzata, e quindi il suo colore risulta adattativo. 

Applicando questo concetto al Mesozoico, un predatore è perfettamente mimetizzato nella misura in cui il suo colore risulta indistinguibile dal fondale agli occhi delle sue prede. Se la preda ha una visione tetracromatica, allora il predatore sarà "evolutivamente costretto" ad essere ancora più mimetizzato e criptico di quanto accada alla tigre, perché la selezione naturale favorirà solo quelle tinte capaci di renderlo efficacemente invisibile alle sue prede. E questo è ancora più vero per animali che si affidano all'agguato per catturare le loro prede.

Il grafico mostra la differente capacità di discriminare i colori in diverse specie. Le barre colorate a destra sono una estrema semplificazione del diagramma ad onde al centro, ed illustrano in modo schematico le "tinte" visibili ai diversi animali. La colorazione "apparente" di un predatore cambia a seconda dell'occhio che lo guarda. Ad un cervo con visione dicromatica, il colore della tigre è indistinguibile dal colore della vegetazione. Ad un occhio tricromatico (come quello umano) o tetracromatico (come quello di un uccello), il colore della tigre è invece chiaramente distinguibile dal colore della vegetazione. Pertanto, se lo scopo della colorazione è ingannare una preda dicromatica, non sarà selezionata ad essere simile a quella della vegetazione. Il contrario accadrà se la preda ha una visione tri- oppre tetra-cromatica. Ovvero, per risultare invisibili a prede tetracromatiche, occorre una colorazione il più possibile simile a quella dell'ambiente.


Pertanto, noi possiamo determinare il probabile colore di Tyrannosaurus combinando le informazioni sul suo ambiente con quelle sulla visione cromatica delle sue prede.

Tyrannosaurus si rinviene in depositi alluvionali tipici di ambienti caratterizzati da una ricca vegetazione arborea. Non viveva in ambienti rocciosi o desertici. L'animale quindi aveva a disposizione la vegetazione come contesto principale per nascondersi alle sue prede. Pertanto, la conclusione a cui giungiamo è che i grandi theropodi avessero una colorazione mimetica (fatta di strisce irregolari e macchie scure) combinata con il colore dell'ambiente in cui vivevano. Dimentichiamoci i Tyrannosaurus viola, rossi o gialli dei giocattoli, l'animale doveva essere verde, ma non un verde brillante, bensì un verde mimetico, screziato di diverse tonalità simili a quelle del fogliame, il colore della vegetazione che lo circondava e celava alla vista delle prede. E questo non lo dico io, ma l'occhio acutissimo ai colori delle stesse prede che doveva imbrogliare per guadagnarsi un pasto. 

Nota "Jurassic Park": se il dinosauro deve risultare mimetico per gli altri dinosauri, a maggior ragione lo è per il tuo occhio di mammifero...


09 dicembre 2023

L'Ultimo pasto del Gorgosaurus

 


Nuovo episodio del Podcast di Theropoda dedicato al recente studio di Therrien et al. (2023) su un esemplare di Gorgosaurus che mostra tracce dei suoi ultimi pasti nella cavità addominale. Link all'articolo nella descrizione inclusa nell'episodio del podcast.

08 dicembre 2023

Niobrara - Nevermind

 


In quindici anni di blog, ho creato una miriade di meme scemi, frivoli, idioti o provocatori. Ma questo devo ammettere che è ad un livello superiore di qualità espressiva.

Se non cogliete la doppia citazione, questa è una buona ragione per conoscere il Grunge e i fossili dalla Formazione Niobrara.

Artwork modificato da un'opera di Dan Varner.

21 novembre 2023

30 settembre 2023

Paleontologicamente Scorretto




Nella estate appena conclusa, qui in Italia ha avuto un enorme clamore mediatico la pubblicazione di un libro scritto da un generale dell'esercito nel quale l'autore ha espresso le proprie idee e pensieri sulla attuale situazione sociale e politica nazionale. O almeno, così mi pare di aver capito essere stata la vicenda. 

Bene, con un simile esempio a sostegno, penso che sia giusto che anche io esprima le mie idee su quello che non funziona nella mia disciplina. Sì, perché la paleontologia non è quel regno delle favole che il mainstream vuole farvi credere! Ci sono un sacco di cose che non funzionano in paleontologia, e questo perché negli anni si sono accumulati tutta una serie di elementi che hanno progressivamente eroso le fondamenta della Gloriosa Paleontologia di Cuvier e Owen. So che quello che sto per scrivere darà fastidio a molta gente, in particolare ai sostenitori del "pensiero unico", del mainstream paleontologico buonista e politicamente corretto

Ma io sono un uomo libero, che non ha paura di dire quello che pensa!

Ho elencato questi problemi in ordine crescente di importanza.

10° posto: gli scrittori di romanzi con dinosauri. Sdoganando la stupida idea che si possa scrivere della narrativa fantastica con gli animali preistorici, questi autori hanno annacquato il confine tra Scienza e Fantasia. Il risultato è che oggi milioni di persone non pensano più alla paleontologia, ma fantasticano di Mondi Perduti, di zoologia alternative e di altre scemenze per bambini. E ciò ha reso "ovvio" il falso concetto che la paleontologia sia in primo luogo speculazione fantastica invece che scienza empirica.

9° posto: I blogger (tranne chi vi scrive). Anche in questo caso, i blogger hanno reso popolare l'idea che qualsiasi mentecatto con una tastiera che ha letto un paio di libri di divulgazione possa inondare la rete con le sue stupidaggini spacciandole per "riflessioni paleontologiche". E così, siamo impantanati in ridicole discussioni con persone che mettono sullo stesso piano autorità scientifiche come Romer e Cuvier e non ben specificati personaggi come "Dinojimmy" e "Paleoboy".

8° posto: I dinosauri piumati cinesi e i contadini che li fabbricano. Ormai non passa settimana in cui non viene pubblicato sulle riviste mainstream un qualche "dinosauro piumato" a sostegno di questa o quella ipotesi che lega dinosauri e galline. Ma siamo sicuri che questi fossili siano veri? Chi finanzia questi contadini cinesi che come per magia "trovano" questi fossili di dinosauri che si accoppiano con i mammiferi? Ovvio: il Governo Komunista Cinese. Devo dire altro?

7° posto: La lobby dei dinosauri giocattolo. Quando ero un giovane appassionato di dinosauri, tra di noi appassionati di dinosauri si parlava solo ed unicamente delle pubblicazioni scientifiche. I dinosauri giocattolo erano roba per bambini, e a noi non passava neanche per la testa di perdere tempo a parlare di giocattoli. Oggi, invece, ha preso piede una colossale operazione commerciale volta a produrre e vendere dinosauri giocattoli. A sostegno di questa mercificazione infantile della scienza, la Lobby favorisce e sovvenziona personaggi di indubbia competenza scientifica che inondano i social media di pubblicità occulta di giocattoli ispirati ai dinosauri. Il risultato è che sta venendo su una generazione di eterni bambini privi delle più basilari nozioni paleontologiche, che pensano che un fossile sia solo una scusa per produrre un pezzo di plastica snodato.

6° posto: Le donne (ed i loro amichetti). Ai miei tempi, le donne stavano in casa, a partorire futuri paleontologi oppure a cucinare la cena per i paleontologi. Oggi si è diffusa questa idea femminista che anche le donne possano occuparsi di paleontologia... un'idea ridicola ed assurda, dato che nessuna donna ha mai fatto qualcosa di intelligente ed utile per il progresso della paleontologia. E siccome i posti di lavoro in paleontologia sono scarsi, immettere le donne nel sistema significa togliere posti di lavori ai veri paleontologi.

5° posto: I paleoartisti. I paleoartisti sono dei paleontologi falliti che pensano di fare scienza disegnando le scemenze ipotizzate dagli scrittori, oppure sono degli artisti falliti che non sanno disegnare gli animali veri e quindi ripiegano su creature che nessuno potrà mai vedere dal vivo (e quindi, nessuno potrà smentire le scemenze estetiche dei paleoartisti). Al pari dei produttori di giocattoli e degli scrittori, ma più subdolamente, i paleoartisti distolgono l'attenzione del pubblico dalla vera scienza, e ridicolizzano il lavoro degli scienziati con le loro assurde rappresentazioni fantastiche, rese "accettabili" dietro il feticcio terminologico della "accuratezza" e della "inferenza".

4° posto: La cladistica. Una volta, la paleontologia si occupava di scavare, ricostruire e interpretare sulla base dei principi della anatomia comparata. Era una nobile disciplina che richiedeva una vita di studio e lavoro per produrre risultati solidi e definitivi. Oggi, la paleontologia si è ridotta a pubblicare sempre nuovi alberi filogenetici, ogni volta diverso dal precedente, come se l'unica cosa interessante sia dire che Tyrannosaurus è un Coelurosauria invece che un Carnosauria. E siccome qualsiasi mentecatto può scaricare un programma di analisi filogenetica e assemblare la sua personale matrice binaria, ecco che chiunque si può atteggiare a paleontologo senza nemmeno aver la più pallida idea di cosa sia una omologia primaria ed una ipotesi in merito agli stati alternativi di un carattere. Poi non lamentatevi se c'è gente che crede che gli pterosauri siano lucertole...

3° posto: Gli sfigati del Terzo Mondo. Ai miei tempi, prendevi l'aereo, andavi in un posto desertico in Asia, Africa o Sudamerica, organizzavi uno scavo per trovare il tuo scheletro, poi lo impacchettavi, te lo portavi a casa e infine lo montavi nel tuo bel museo. Oggi, non puoi nemmeno toccare un sasso in qualche stato del Terzo Mondo che si sollevano le urla disperate di dozzine di sfigati terzomondisti comunistoidi di sinistra che ti accusano di essere una specie di invasore nazista colonialista, di rubare il patrimonio culturale altrui e di togliere il pane alla povera gente oppressa dal Capitalismo Occidentale. Ma scherziamo? Ma se non fosse per noi che scaviamo a casa loro quei fossili sarebbero stati distrutti dall'erosione naturale! Ma poi, questi sfigati del Terzo Mondo, non hanno niente di meglio da fare? Non pensano ai poveri del loro paese? Non pensano ai problemi veri della loro nazione? Noi portiamo lavoro e progresso, e in cambio ci portiamo a casa due ossa... Dovreste solo ringraziarci, miserabili morti di fame!

2° posto: Charles Darwin. Prima che Darwin mettesse in giro l'idea che le forme di vita sono tutte collegate, la Paleontologia era una gloriosa disciplina autonoma ed indipendente, fondata da Cuvier e consolidata da Owen. Dopo Darwin, la paleontologia è stata ridotta a biologia di serie B, a ibrido annacquato tra mondo biologico e mondo geologico. Forse ha fatto un favore ai biologi, dando loro il registro fossilifero come prova dell'evoluzione, ma di sicuro Darwin non ha fatto un favore ai paleontologi.

Infine, il primo posto nella classifica di chi abbia rovinato la paleontologia, spetta ovviamente a:

1° posto: I paleontologi. I paleontologi hanno rovinato la paleontologia! Una volta, il vero paleontologo era un esploratore ed avventuriero a caccia di tesori nascosti. Era contemporaneamente un eroe romantico e illuministico. Oggi, il paleontologo è un morto di fame che si inventa qualche assurda analisi matematica per pubblicare su riviste impattanti nella speranza di ottenere un miserabile finanziamento dal suo dipartimento universitario guidato da burocrati. Una volta, i paleontologi erano una via di mezzo tra Indiana Jones e Lawrence d'Arabia. Oggi, i paleontologi sono dei personaggi da cartone animato politicamente corretto, che passano più tempo a discutere di come si deve pronunciare un nome per non offendere l'etnia dalla quale il nome è stato "ispirato" e che prendono una laurea per aver calcolato quanti parametri occorra inserire nel modello computerizzato di moda, invece che esplorare luoghi dimenticati dal tempo alla ricerca di fossili eccezionali. I paleontologi hanno ucciso la Gloriosa Disciplina di Cuvier e Owen, e l'hanno barattata con una scemenza mediatica per qualche soldo, per qualche minuto di celebrità in televisione e per qualche like sui social network.


Questa è la Verità dei Fatti.

Se vogliamo che la Paleontologia torni alla Gloria dei Bei Tempi, occorre liberarla da tutte le zecche che la infestano: la fiction, i social media, i fossili piumati, i giocattolai, le donne, i paleoartisti, la filogenetica, i poveri, l'evoluzionismo, e soprattutto, i paleontologi. Solo allora, la Paleontologia rinascerà più sana, forte, vigorosa e virile che mai!


27 settembre 2023

Blogging vs Peer-Review

 

Il Dottor Ross Geller della serie tv "Friends", interpretato da David Schwimmer

Questo post è stato "istigato" da alcuni commenti che ho ricevuto sulla pagina Facebook del blog. Non entro nella questione particolare di quei commenti, né ho intenzione di essere trascinato in dibattiti personali con chi ha espresso quelle parole, parole che rispetto in quanto legittime opinioni ma che non condivido nel tono personale e nella sostanza. 

Proprio la sostanza di quelle parole mi hanno indotto a scrivere questo post.

Vi parlo dei due diversi modi con cui io pubblico le mie idee e i miei pensieri su ciò che più amo e mi appassiona, ovvero il mondo della paleontologia in tutte le sue forme.

Un modo è tramite la letteratura scientifica, in particolare tramite la pubblicazione di articoli sottoposti a revisione paritaria e pubblicati su riviste scientifiche riconosciute a livello internazionale.

Un secondo modo è quello che state leggendo qui (o nella pagina Facebook collegata), ovvero per mezzo di un blog.

Le pubblicazioni tecniche soggette a revisione paritaria

Ad oggi, ho pubblicato più di 60 articoli scientifici soggetti a revisione paritaria. Il primo risale al 2005, quindi vado ormai verso i 20 anni di "carriera scientifica" ufficiale. I miei articoli tecnici sono stati pubblicati in numerose riviste: Nature, Nature Communications, Systematic Biology, Science, Scientific Reports, Acta Palaeontologica Polonica, Journal of Systematic Palaeontology, Paleontology, Cretaceous Research, Gondwana Research, Bollettino della Società Paleontologica Italiana, Plos One, PeerJ, African Journal of Earth Sciences, Comptes Rendus Palevol, The Science of Nature, Journal of Asian Earth Sciences, Historical Biology, Palaeo3, Atti della Società Italiana di Scienze Naturali.

Inoltre, sempre legato al mondo delle pubblicazioni tecniche, in tutti questi anni ho anche svolto il ruolo di revisore per le pubblicazioni di colleghi, essendo stato chiamato a svolgere questo ruolo per numerose riviste scientifiche internazionali: Acta Palaeontologica Polonica, Alcheringa, Annales de Paléontologie, Biological Journal of the Linnean Society, BMC Biology, Bollettino della Società Paleontologica Italiana, Communications Biology, Cretaceous Research, Diversity, Earth-Science Reviews, Frontiers in Earth Science, Geosciences, Historical Biology, iScience, Journal of Anatomy, Journal of Systematic Palaeontology, Journal of Vertebrate Paleontology, Lethaia, Nature Communications, Palaeo3, Palaeontology, PeerJ, PloS ONE, Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia, Royal Society Open Science, Scientific Reports, The Anatomical Record, Zoological Journal of the Linnean Society.

Queste lunghe liste servono a dimostrare che ho ormai una solida conoscenza ed esperienza dell'ambito delle pubblicazioni tecniche: ne conosco i modi, i tempi, le logiche, ma soprattuto ne conosco gli obiettivi e gli ambiti nei quali esse sono il modo fondamentale con cui la Scienza si sviluppa e perfeziona. Ormai conosco pregi e difetti del mondo delle pubblicazioni scientifiche, e so come e quando una ipotesi merita di essere espressa in quel modo. 

Per mia impostazione personale, io non ho mai incluso i blog (compreso il mio) come fonte di citazione nei miei lavori scientifici, perché penso fermamente che il blog sia un sistema distinto e non alternativo alla letteratura tecnica. Sono a conoscenza che altri autori hanno opinioni "più aperte" sull'uso dei blog nella letteratura tecnica, e rispetto tali posizioni differenti dalla mia, pur restando convinto della bontà della mia impostazione. In generale, ritengo che il blog può essere eventualmente citato in quanto documentazione di una pubblicazione, ma non come "fonte primaria" di informazione per un lavoro tecnico.


Il blog

Scrivo questo blog dal 2008, quindi da ormai 15 anni. In questo lungo periodo, ho pubblicato migliaia di post, scritto e letto decine di migliaia di commenti, e ho interagito con la più ampia e variegata platea di lettori. Il blog è il mezzo ideale per esprimere le mie opinioni in modo diretto, spontaneo ed immediato. In quanto tale, il blog non può essere considerato allo stesso modo di un articolo tecnico, che invece richiede mesi o anni per essere sviluppato e pubblicato. Il blog è quindi un mezzo ben diverso dalla pubblicazione tecnica, segue logiche e si indirizza ad un target di pubblico differente, che solo in parte si sovrappone a quello che legge i miei lavori tecnici. Inoltre, a differenza della letteratura tecnica, il blog non ha tutti quei vincoli necessari per la realizzazione di una pubblicazione tecnica. Nel blog posso essere serio, oppure frivolo, argomentativo oppure puramente espressivo. Il post può essere del tutto teorico oppure puramente descrittivo, senza curarsi della reazioni di chi lo leggerà. Il blog è quindi una manifestazione di quella parte della mia "mente paleontologica" che non può (e non deve) essere espressa tramite un articolo tecnico.


Blog vs Articolo tecnico?

Avendo pubblicato da così tanti anni sia come blogger che come autore di pubblicazioni tecniche soggette a revisione paritaria, ho perfettamente chiara la differenza tra i due mezzi, e sono pienamente conscio dei due ambiti a cui questi mezzi fanno riferimento.

A differenza di altri blogger o di altri autori di letteratura tecnica, io non ho problemi o ostilità verso i due approcci. Essi sono distinti, sono solo in parte collegati, e non sono intercambiabili. Ciò che pubblico nel blog non deve necessariamente essere funzionale ad una pubblicazione tecnica, e ciò che pubblico sulle riviste tecniche è quasi del tutto slegato da ciò che pubblico nel blog. In pochissimi casi, una idea sviluppata nel blog è stata poi "tradotta" in un lavoro tecnico, e quando ciò è avvenuto, il blog è stato comunque del tutto ignorato, perché non fungeva da "fonte" per l'articolo tecnico.

La separazione tra blog e articoli tecnici è per me fondamentale, e persino auspicabile. Per questo motivo, quando svolgo la funzione di revisore in articoli tecnici, io tendo ad essere critico verso l'eventuale citazione di fonti non-tecniche (come blog e post), le quali sono da considerare "fonti scientifiche" solo in quanto "record storici" ma non sono da considerare come "evidenza scientifica". So che altri hanno una diversa idea dei blog, e sono più aperti verso la citazione dei blog nei lavori tecnici, ma io non condivido questa posizione. Al tempo stesso, io non condivido la posizione eccessivamente critica di chi esclude a priori un ruolo dei blog nella comunicazione scientifica. Inoltre, non capisco chi rifiuta la possibilità che una persona possa essere sia un blogger che uno scienziato "serio". Io sono poliedrico e so essere ambo le cose senza problemi né contaminazioni reciproche "tossiche".

Il fatto che un blog non sia una fonte di informazione soggetta a revisione non sminuisce il blog nel suo importante ruolo di comunicatore e promotore della comunicazione scientifica. Difatti, io spesso, in varie forme e con toni variegati, ho usato il blog per promuovere il dibattito, la discussione, la valutazione e la critica di ipotesi scientifiche, anche di quelle che non sono "ufficialmente" tradotte in articoli tecnici.

I due mezzi sono separati, ed hanno ambiti e funzioni differenti. Usarli entrambi è per me un modo naturale di esprimere la mia variegata mente di paleontologo, che ama fare ricerca "seria", ma ama anche riflettere, produrre ipotesi, congetture e speculazioni "libere" non vincolate alle rigorose procedure formali e metodologiche che sono alla base delle pubblicazioni tecniche.

Non ho mai pensato di rimpiazzare la letteratura tecnica con i blog. né penso che sia saggio mescolare i due ambiti e i due mezzi di comunicazione. Al tempo stesso, penso che sia riduttivo e dannoso pensare che la sola ed unica forma di dibattito e comunicazione della scienza sia attraverso la letteratura tecnica. Non tutti gli appassionati di paleontologia hanno una formazione sufficiente per poter apprezzare e usare la letteratura tecnica. Ridurre qualsiasi discorso unicamente alla letteratura tecnica revisionata significa escludere "i non addetti ai lavori" dalla comunicazione, dal dibattito, dalla discussione, dalla conoscenza e dalla partecipazione. Il blog può aiutare a diffondere la conoscenza e a ridurre il divario tra scienziati professionisti e "gente comune". Non capisco come si possa pensare che la Scienza sia solo un dibattito formale rinchiuso alla cerchia di autori di letteratura tecnica. Chi lo pensa ha una visione elitista e antidemocratica della Scienza. Al tempo stesso, proprio perché conosco e comprendo la differenza tra blog e letteratura tecnica, io non voglio ridurre la Scienza a "chiacchiare da blog": se qualcuno ha idee interessanti che vuole condividere e rendere "Scienza", può farlo solo tramite la letteratura tecnica. Chi pensa di aggirare la revisione paritaria scrivendo in un blog si illude e non ha capito il valore della produzione scientifica "ufficiale". Ripeto: i due ambiti non sono intercambiabili.

Al tempo stesso, io sostengo il pluralismo dei mezzi e dei sistemi. Ovviamente, come ogni prodotto umano, anche i blog e la letteratura tecnica sono imperfetti, hanno limiti e difetti e possono essere distorti ed usati in modo improprio. Ma questo non sarà mai un motivo per chiuderci dentro le torri d'avorio né per abbattere il sistema della revisione tecnica tra pari. 

Continuerò a produrre letteratura tecnica, come faccio da quasi 20 anni. Perché credo convintamente nel valore della letteratura scientifica e nel ruolo della revisione paritaria nel definire e formare la letteratura scientifica.

Continuerò a scrivere questo blog, come faccio da 15 anni. Perché mi piace, mi diverte, e a volte persino mi aiuta a produrre scienza in modo più creativo, ispirando la mia produzione tecnica. E nessuno potrà censurare i modi, i toni e lo stile con cui esprimo le mie idee.


24 settembre 2023

Le "vere" dimensioni di "Dakotaraptor"

 

Mappa del sito di scavo di "Dakotaraptor". Notare la completa disarticolazione delle ossa, e l'orientazione preferenziale delle ossa lunghe segno di un trasporto di natura fluviale all'origine dell'associazione. In rosso, la vertebra caudale di dromaeosauride oggetto del post. (Immagine da DaPalma et al. 2015).

Nel precedente post, ho mostrato come il materiale olotipico di "Dakotaraptor" sia un assemblaggio multispecifico, e che il taxon sia chiaramente una chimera comprendente ossa principalmente di Tyrannosauridae, Ornithomimidae e Caenagnathidae. 

Prima di procedere con il post, è bene chiarire un concetto che alcuni non hanno colto: la natura multispecifica del sito di Bone Butte da cui proviene "Dakotaraptor" non è una "mia ipotesi" che cerco in qualche modo di dimostrare, essa è un fatto derivante dall'osservazione e dichiarato esplicitamente dai paleontologi che hanno scavato nel sito (DePalma et al., 2015):

Che Dakotaraptor provenga da un bonebed multispecifico non è una mia fantasia...

Proprio perché multispecifico, il sito in questione comprende anche resti di dromaeosauridi. In particolare, nel campione è presente anche una caudale intermedia che viene descritta come "quasi completa". Questa vertebra mostra le zigapofisi allungate tipiche di Dromaeosauridae, e quindi è riferibile ad un eudromaeosauro.

Questo osso dimostra la validità di un genere chiamato "Dakotaraptor"?

No. Come ho appena sottolineato, il sito di "Bone Butte", da cui proviene il fossile di "Dakotaraptor", è un bonebed multispecifico dal quale è documentata la presenza di denti di Acheroraptor e Dromaeosaurus, quindi è già ampiamente noto che questo sito contenga ossa di Dromaeosauridae. Ma ciò non implica che quelle ossa siano di "Dakotaraptor". Quindi, quella caudale può benissimo appartenere ad Acheroraptor o a Dromaeosaurus.

Quali sono le dimensioni dell'animale a cui appartiene questa vertebra?



Gli autori scrivono che la vertebra abbia un centro lungo 70 mm, ma basandomi sulla scala metrica inclusa nella figura, la vertebra è lunga 65 mm. Se confrontiamo quella vertebra con la più lunga caudale intermedia di uno degli esemplari più completi di Deinonychus (AMNH 3015, il cui femore è lungo 284 mm), risulta che la vertebra dal Dakota è lunga 1.28 volte quella di AMNH 3015, stima che, assumendo isometria col femore, produce un femore della specie dal Dakota lunga 365 mm. Questo valore è nel range dimensionale atteso per Deinonychus e Unenlagia, e non per gli adulti di Achillobator o Utahraptor. Difatti, il femore attribuito a "Dakotaraptor" è lungo 558 mm, quindi molto più grande delle dimensioni attribuite alla vertebra caudale. Ciò conferma ulteriormente la natura chimerica e multi-specifica dell'insieme di ossa con cui è stato eretto "Dakotaraptor".

Concludendo, la vertebra caudale dal sito di Dakotaraptor non appartiene ad un "raptor gigante" bensì ad un dromaeosauride di dimensioni "classiche", nel range di Deinonychus.


PS: nella pagina Facebook del blog, Tristan Stock mi informa che anche David Evans è giunto indipendentemente da me alla medesima conclusione su questo materiale. 

23 settembre 2023

Dakotaraptor non esiste [AGGIORNAMENTO]

 

Esiste un dromaeosauride gigante nella Formazione Hell Creek? (Artwork by E. Willoughby)

Dakotaraptor è un taxon di theropode istituito su materiale dalla Formazione Hell Creek (fine Cretacico del Nord America). Inizialmente definito come un nuovo dromaeosauride gigante, questo genere è oggetto di controversie, specialmente online, dopo che è stato dimostrato che il materiale olotipico (che definisce la specie) contiene ossa di più animali diversi, in particolare, oltre a ossa sicuramente di dinosauro, anche ossa di tartaruga che furono erroneamente considerate furcule di theropode.

La presenza di ossa non-theropodi nell'assemblaggio olotipo non sarebbe in teoria un problema insormontabile per la validità di Dakotaraptor, fintanto che si dimostri che il rimanente materiale sia di Theropoda e sia diagnosticabile. Ho discusso in passato questa opzione. Online, molti continuano a considerare Dakotaraptor legittimo perché, comunque, questo materiale - per quanto chimerico - conterrebbe al suo interno ossa genuine chiaramente attribuibili ad un grande dromaeosauride, che quindi deve appartenere ad una specie valida (anche se non necessariamente un nuovo genere).

Tuttavia, riguardando tutto il materiale pubblicato di Dakotaraptor, penso che questa certezza sullo status dromaeosauride di queste ossa sia da rivedere.

In particolare, e questo è molto importante al fine di definire Dakotaraptor come un genere di dromaeosauride valido, le ossa più spesso citate come "sicuramente di dromaeosauride" potrebbero non essere tali.

Due elementi dell'assemblaggio olotipico sono stati invocati per "salvare" Dakotaraptor: le vertebre caudali ed il grande ungueale falciforme.

Partiamo dalle caudali. Esse sono incomplete e ampiamente ricostruite. Per giunta, le uniche immagini disponibili sono a bassa risoluzione ed in sola norma laterale. Anche se a prima vista queste vertebre possono ricordare i dromaeosauridi, esse possono ugualmente essere attribuite ad un ornithomimide. Difatti, non essendo complete, non siamo sicuri che in origine avessero le zigapofisi ipertrofiche diagnostiche di Eudromaeosauria. Anche se non voglio cavillare sui dettagli delle scarse foto disponibili, è interessante constatare che una delle vertebre caudali illustrate abbia la base preservata delle prezigapofisi che ricorda più un Ornithomimidae che un Dromaeosauridae (asterisco rosso nella immagine qui sotto) sia come estensione prossimale che come inclinazione. Se ciò fosse confermato, dimostrerebbe che la coda di Dakotaraptor appartiene ad un ornithomimide.



Passiamo agli ungueali attribuiti a Dakotaraptor

Gli autori di Dakotaraptor attribuiscono un grande ungueale incluso nel materiale al secondo dito del piede. I motivi di tale attribuzione a Dromaeosauridae sono la forma falciforme ed affilata, e l'asimmetria nella posizione del solco collaterale destro rispetto al sinistro.

Tuttavia, la sola forma "falciforme" non è sufficiente per riferire un ungueale di theropode non-aviano a Dromaeosauridae. Ad esempio, la forma degli ungueali della mano di molti therizinosauridi è molto simile a quella del secondo dito del piede, diagnostico di Dromaeosauridae. Nell'immagine sotto, ho confrontato il secondo ungueale del piede di Utahraptor con un ungueale della mano del therizinosauride Nothronychus: entrambi sono falciformi, affilati e con un solco collaterale che raggiunge il margine dorsale (linea rossa). Pertanto, questi elementi, da soli, non sono condizione sufficiente per riferire un ungueale a Dromaeosauridae.

Inoltre, nonostante gli autori sostengano che i tracciati dei solchi collaterali dell'unguale di Dakotaraptor siano asimmetrici (carattere tipico degli eudromaeosauri), in realtà quando si sovrappone il lato destro al sinistro i due solchi sono simmetrici (linea gialla e bianca nella fila centrale dell'immagine sotto). Ovvero, dobbiamo concludere che l'ungueale di Dakotaraptor non ha alcun carattere che sancisca in modo inequivocabile che esso sia effettivamente dal piede di un dromaeosauride. Difatti, esso potrebbe anche appartenere alla mano di un Therizinosauridae.

Prima di arrivare alle conclusioni, è significativo anche notare che l'altro ungueale, attribuito al terzo dito del piede, sia molto bizzarro per un Dromaeosauridae. Gli stessi autori di Dakotaraptor lo notano, e lo includono nei caratteri diagnostici della specie. Tuttavia, questo ungueale è bizzarro solo se lo si considera di Dromaeosauridae. Ma se lo si riferisce ad Ornithomimidae, esso è un classico ungueale del piede con molte similitudini con questo clade, e nessuna con l'omologo ungueale in Dromaeosauridae (frecce rosse nella terza fila in basso nella figura sotto). Quindi, ho il sospetto che anche il terzo ungueale del piede del materiale di Dakotaraptor appartenga ad un Ornithomimidae (ed è intrigante che, come con le caudali appena citate, esso possa appartenere ad un ornithomimide).


Concludendo, i due elementi considerati più solidi a sostegno di uno status dromaeosauride per Dakotaraptor non sono così solidi come sembra. Le caudali potrebbero anche essere di Ornithomimidae, e l'unguale potrebbe anche essere della mano di un therizinosauro. Dato che l'altro ungueale è chiaramente quello del piede di un Ornithomimidae, tutto concorda a considerare il materiale di Dakotaraptor una complicata chimera formata dalle ossa di più animali (almeno 2-3 theropodi distinti + una tartaruga).

Pertanto, mancando la certezza che questi elementi appartengano ad un dromaeosauride, non disponendo di elementi a cui definire lo status di olotipo, e mancando caratteri diagnostici validi, si deve concludere che Dakotaraptor non esiste.


AGGIORNAMENTO:

Ho identificato un ulteriore elemento a sostegno della tesi che "Dakotaraptor" sia una chimera. L'unico elemento potenzialmente diagnostico di questo dinosauro (indipendentemente dalla sua collocazione in Dromaeosauridae) è la presenza di un margine prossimale della cresta fibulare della tibia che assume una forma "uncinata". Questo uncino deriva dalla ossificazione del legamento che univa tibia e fibula. Lo stesso "uncino" si osserva anche in alcuni oviraptorosauri caenagnathidi. Pertanto, è plausible che la tibia di Dakotaraptor appartenga ad un grosso caenagnathide (ad esempio, Anzu, sempre dalla Formazione Hell Creek). 

Penso non ci siano più dubbi che questo dinosauro "non esista" realmente ma sia solo una chimera ricavata da un bonebed multispecifico.

La tibia di "Dakotaraptor" è riferibile ad un Caenagnathidae: la cresta fibulare uncinata (asterisco) è assente nei dromaeosauridi ma è presente in questi oviraptorosauri.


21 settembre 2023

Il colore del cielo al tempo dei dinosauri

 

Opera di Z. Burian

La paleoarte ci ha abituati a "viaggiare nel tempo", anche solo con l'immaginazione. Mondi Perduti popolati da faune grottesche ed "aliene" sono il pane quotidiano dell'appassionato fruitore di paleoarte. Tuttavia, è bene ricordare che queste opere non sono "fotografie" del passato, non sono il prodotto della osservazione diretta dell'autore, ma sono una proiezione elaborata dalla sua mente (o dalla mente dei paleontologi consultati per realizzare l'opera). Se l'artista omette un elemento della rappresentazione, tale elemento sarà assente. Se l'autore dà per scontato un certo elemento e lo include (più o meno consciamente), quell'elemento sarà presente nella iconografia del passato. Ciò implica che l'immagine che noi spettatori costruiamo nella nostra mente a partire dalla paleoarte è fortemente influenzata dalla immagine che il paleoartista (ed i paleontologi) hanno costruito nella loro testa. 

Il soggetto principale delle opere di paleoarte è quasi sempre una o più specie animali. A volte, anche la flora è protagonista e non solamente un mero sfondo nella rappresentazione. Ma cosa dire dello sfondo vero e proprio? Ovvero, come si deve rappresentare il cielo nella paleoarte? La domanda potrebbe sembrare futile, dato che il cielo del passato si presume sia lo stesso cielo di oggi. Ma non è così. L'atmosfera terrestre non è un contenitore passivo e statico, ma al contrario, è l'elemento più dinamico e variabile del "Sistema Terra", come sperimentiamo ogni giorno in cui siamo in balia del meteo.

Un elemento che diamo per scontato è il colore del cielo. Nero di notte, azzurro di giorno, grigio nelle giornate nuvolose, rosso e dorato all'alba ed al tramonto. Il colore del cielo è un effetto della combinazione di due elementi: l'inclinazione dei raggi solari rispetto al nostro occhio (ovvero, il momento della giornata in cui guardiamo il cielo) e la composizione dell'atmosfera. Un terzo elemento, il tipo di radiazione proveniente dal sole, per semplicità daremo per scontato che sia stata più o meno sempre la stessa, almeno nell'ultimo paio di miliardi di anni.

L'inclinazione dei raggi solari varia, ovviamente, nell'arco della giornata, legata alla rotazione solare. Il mezzo aereo tende sempre a diffondere la luce che lo attraversa, e questo processo di diffusione favorisce la zona di lunghezze d'onda che chiamiamo "celeste" (proprio perché dà il colore al cielo) rispetto alle altre. Ciò spiega come mai il colore "tipico" del cielo in pieno giorno sia azzurro. Quando i raggi sono relativamente bassi (come all'alba ed al tramonto), la luce solare che raggiunge i nostri occhi deve attraversare una fascia di atmosfera più spessa, e risulta maggiormente dispersa, in particolare nelle bande di colore a lunghezza d'onda maggiore (blu e viola): il risultato è un cielo che ci appare più carico nelle tonalità giallo-rossastro. 

Se il colore apparente del cielo è legato all'inclinazione dei raggi solari, può la variazione dell'asse di rotazione terrestre incidere sul colore del cielo? Il pianeta subisce delle oscillazioni nei suoi parametri orbitali che variano lievemente alla scala delle decine di migliaia di anni. Ogni 40 mila anni circa, l'asse di rotazione terrestre varia la propria inclinazione rispetto al piano dell'orbita attorno al Sole di circa un paio di gradi. Una tale variazione non incide significativamente sul colore del cielo, quindi è trascurabile.

Pertanto, alla fine, l'unico vero elemento che incide sul colore del cielo (a parte le variazioni giornaliere e legate al meteo) è la composizione dell'atmosfera.

Più densa è l'atmosfera e maggiori saranno gli attori in grado di disperdere/diffondere la luce nelle sue varie lunghezze d'onda. Non occorre che l'atmosfera sia particolarmente densa per aver un colore, come dimostra Marte, la cui atmosfera, ben più rarefatta di quella terrestre, ha comunque un colore caratteristico legato alla sua composizione. Composizione che, fondamentalmente, dipende dall'ossigeno, dal vapore acqueo e dal pulviscolo. L'azoto non è un attore rilevante in questo discorso. L'anidride carbonica è trasparente alla luce visibile, ed impatta principalmente (come ben sappiamo, ormai) sull'infrarosso (e quindi, sul calore dell'atmosfera, non sul colore).

La variazione dell'ossigeno atmosferico nel passato geologico è stimabile dall'analisi geochimica di varie rocce sedimentarie. Si ritiene che in origine, la sua abbondanza in atmosfera fosse quasi nulla, e che sia andato aumentando in particolare durante l'ultimo mezzo miliardo di anni. In questo intervallo di tempo, la variazione della concentrazione dell'ossigeno più significativa rispetto ad oggi è ipotizzata alla fine del Paleozoico, in particolare nel Carbonifero (300 milioni di anni fa), con valori di concentrazione fino ad una volta e mezzo quelli attuali. Ciò deve aver inciso in modo significativo sul colore del cielo, aumentando la dispersione delle lunghezze d'onda a vantaggio dell'azzurro (di giorno) e dei rossi (all'alba ed al tramonto). Possiamo immaginare che il cielo nel Carbonifero fosse "più azzurro" (ovvero, più saturo di tale gamma di colore) rispetto ad oggi?

Il vapore acqueo è maggiormente legato alle dinamiche climatiche e metereologiche, e quindi è ragionevole che nel passato abbia inciso sul colore del cielo alla pari di oggi, sotto forma di nubi, foschie e nebbie. Forse, durante le fasi di clima umido (come l'Evento Pluviale Carnico, a metà del Triassico Superiore), il cielo era in qualche modo più grigio e triste, più "autunnale" rispetto ad altri momenti della storia planetaria?

Un altro elemento, in parte legato indirettamente all'ossigeno, è la quantità di pulviscolo disperso in atmosfera. Un aumento del particolato difatti aumenta la dispersione della luce, a vantaggio delle tonalità giallo-rossastre. Tale aumento può essere dovuto ad attività vulcanica particolarmente intensa (ad esempio, nei periodi in cui sono attive delle Grandi Province Ignee, come i traps del Deccan di fine Cretacico) oppure come conseguenza di una elevata concentrazione di ossigeno atmosferico, che favorisce la combustione della materia organica, lo sviluppo di grandi incendi e la dispersione di fuliggine, come risulta da vari depositi sedimentari della seconda metà del Mesozoico. Durante buona parte del Cretacico, in molte zone del pianeta, la combinazione di clima relativamente arido, carico di polveri, e la maggiore frequenza degli incendi potrebbe aver prodotto un cielo più rosso-giallastro, dovuto alla maggiore sospensione di particolato?

Se combiniamo questi elementi, emerge un quadro (letteralmente) molto inquietante: i momenti della Storia della Vita durante i quali il cielo deve essere stato più meraviglioso, carico di tonalità azzurre e caratterizzato da albe e tramonti dai colori più accesi e vividi, sono probabilmente quelli durante i quali si sono svolte le maggiori estinzioni di massa.

La fine del Permiano, grazie all'elevata concentrazione dell'ossigeno e l'aumento del particolato emesso dai traps siberiani, deve essere stato un paradiso per qualunque pittore di paesaggi, ma un inferno per il resto dei viventi, sottoposti alla più grande crisi biotica del Fanerozoico. Discorso analogo per la fine del Triassico e del Cretacico, durante l'attivazione di alcune Grandi Province Ignee, ritenute causa di due tra le maggiori estinzioni di massa. 

19 settembre 2023

Il nuovo dromaeosauride gigante asiatico è un dromaeosauride gigante?

 

Il materiale descritto da Yang et al. (2023), a sinistra, confrontato con il piede di Erlikosaurus (a destra, da Barsbold e Perle, 1980).

Yang et al. (2023) descrivono due falangi di theropode dal Cretacico Superiore della Cina. Gli autori interpretano il materiale come una falange del secondo dito del piede ed un ungueale della mano, entrambi riferibili ad un eudromaeosauro gigante.

Sono molto scettico verso questa ipotesi.

Il materiale descritto dagli autori non mi ricorda i dromaeosauridi. L'unguale è troppo affilato e stretto in vista dorsale, troppo ampio alla base e poco incurvato ventralmente, ha un tubercolo flessorio basso e una marcata espansione trasversale della faccetta articolare. Inoltre, presenza un solco collaterale che si biforca prossimalmente. Tutte queste caratteristiche richiamano i therizinosauridi, non i dromaeosauridi. 

La falange non-ungueale è indistinguibile dalle falangi distali del piede dei therizinosauridi.

Pertanto, la interpretazione più parsimoniosa è che queste due falangi appartengano al piede di un therizinosauride. 



18 settembre 2023

L'eredità di Jurassic Park




In questi giorni, è il trentennale della uscita nella sale cinematografiche italiane del film “Jurassic Park”. Io sono sufficientemente vecchio per ricordare come era il mondo della paleontologia prima di Jurassic Park, poiché nel 1993 ero un adolescente appassionato di fossili e scienza, quindi il target predestinato per la “dinomania” commerciale di quegli anni. Inoltre, da metà del tempo trascorso da allora sono anche gestore di un blog che spesso ha parlato di Jurassic Park e del suo impatto mediatico, in particolare nel plasmare (o trasfigurare) concezioni paleontologiche a livello popolare.

So che molti “addetti ai lavori” nel mondo dinosaurologico hanno espresso commenti, rievocato esperienze personali, e formulato bilanci sull'eredità di Jurassic Park. In questo post, io non mi accodo al (rispettabilissimo) filone agiografico e intimista dentro cui la maggioranza delle testimonianze ha dipinto Jurassic Park come un momento di epifania personale. L'eredità di un prodotto culturale non si misura dalle singole esperienze personali (sovente sovraccariche di retorica emotiva), ma analizzando lucidamente (e distaccatamente) le ricadute a larga scala di un successo cinematografico planetario (sì, c'è anche il romanzo, ma il grosso delle ricadute mediatiche popolari è stato prodotto dal film) su una intera generazione nata e cresciuta dopo il film.

Che ci piaccia o no, Jurassic Park ha influenzato un'intera generazione. L'impatto del film non si limita alla piccola cerchia di appassionati e paleontologi, perché se così fosse non avrebbe senso rievocare tale evento mediatico 30 anni dopo. Quando dico “influenzare” intendo che per la grande maggioranza nata e cresciuta dopo il 1993, è praticamente impossibile pensare ai dinosauri “fuori” dal mondo di Jurassic Park. Sì, sono sicuro che tu che stai leggendo sei un vero appassionato di dinosauri e che penserai che questa frase non si applica a te. Tu hai sicuramente letto e studiato tanti libri di paleontologia, e forse sei persino un giovane paleontologo professionista. Ma ti sbagli a pensare che Jurassic Park non influenzi anche te. Ma prima di arrivare a te, ti ricordo che in questo contesto tu non sei “la persona media” bensì un caso eccezionale (ma che conferma la regola) che non fa testo per dedurre una tendenza generale. Nella grandissima maggioranza dei casi, quando una persona a caso è invitata a parlare di o pensare ai dinosauri, i suoi pensieri e parole sono invariabilmente filtrati ed elaborati alla luce della iconografia cinematografica spielberghiana. E da là non escono.

Oggi, è quasi impossibile pensare ai dinosauri fuori dalla logica di Jurassic Park. E persino quando si riesce a farlo, ciò avviene comunque come reazione, risposta, rigetto o riflusso dal “jurassic-park-pensiero”. Questo post ne è un esempio. Da questa prospettiva, Jurassic Park è una gigantesca gabbia concettuale, una isola per la mente, un vero parco virtuale recintato non con l'elettricità ma con potentissime icone alle quali tutti siamo assoggettati. Jurassic Park ha prodotto una iconografia che, per quanto del tutto particolare, soggettiva e ampiamente discutibile, è divenuta “oggettiva” e quindi “vera”, persino “sacra”.

La prova è data delle innumerevoli situazioni in cui mi sono trovato nelle quali ho dovuto spiegare al mio interlocutore perché “no, i dinosauri non erano come quelli di Jurassic Park” e le altrettanto numerose volte in cui la reazione dell'interlocutore a questa rivelazione è stata di costernazione, delusione, sconcerto, ostilità, fino al fanatico rifiuto. Jurassic Park ha incasellato l'immaginario paleontologico di milioni di persone, le quali non sanno nemmeno di essere ingabbiate dentro quella isola mentale. I “dinomaniaci” oggetto di tanti miei post non sono quindi dei casi patologici marginali, bensì solo la forma più estrema di un fenomeno generazionale di ampia scala, che coinvolge praticamente tutti dal 1993 ad oggi.

Prendete uno spot pubblicitario su un prodotto non legato alla paleontologia: se nello spot è incluso un dinosauro, nella maggioranza dei casi esso è ricalcato più o meno ottusamente sulla iconografia di Jurassic Park. I dinosauri “in vivo”, in quanto iconografia delle specie estinte, sono irrimediabilmente quelli di Jurassic Park, e non importa se noi quattro addetti ai lavori e voi otto appassionati conosciamo a menadito la enorme quantità di evidenze e informazioni accumulate negli ultimi 30 anni e siamo consapevoli di come queste abbiano sostanzialmente falsificato gran parte dei dettagli inclusi nelle icone di Jurassic Park: queste ultime vincono perché sono ormai profondamente innestate nella mente della collettività. E tale processo di innesto radicato è anche esso un prodotto di Jurassic Park.

Come si sono imposti i dinosauri di Spielberg (ed il film)? Mostrandosi per la prima volta al mondo come iconografia iper-realistica mediata dalle (allora nuovissime e in parte sconosciute) tecniche di grafica computerizzata: in quel modo, i dinosauri di Jurassic Park hanno sbaragliato ogni oppositore, e demolito qualsiasi altra alternativa iconografica. I dinosauri del film, “più veri del vero”, hanno sbancato ai botteghini proprio perché la loro iper-realistica rappresentazione ha facilmente superato qualunque filtro e opposizione razionale dello spettatore. Più realistici di qualunque precedente rappresentazione, quindi “reali”, quindi, veri. Imponendosi senza più opposizione, le icone del film sono divenute “La” Iconografia dei dinosauri, l'unica possibile, la sola pensabile, quindi QUELLA VERA.

Questo processo di radicamento di una sola iconografia ha progressivamente eroso ogni opposizione critica, ha annacquato e sminuito qualsivoglia richiamo alla natura virtuale e soggettiva delle rappresentazioni del film, ed ha reso difficile uscire dalla gabbia iconografica auto-alimentata dal Franchise.

Se lo spettatore medio assume senza troppa critica che una icona iper-realistica è “quella ufficiale”, e ciò viene reiterato e moltiplicato dai sequel e da tutti i prodotti più o meno accodati alla iconografia del film, alla fine non esisterà nemmeno il concetto di “alternativa” a tale iconografia. Ciò spiega lo sconcerto e l'ostilità dello spettatore medio quando gli viene rivelato che le ricostruzioni di Jurassic Park non sono solo obsolete, ma erano soggettive e arbitrarie anche nel 1993.

Ricordo quando, a cavallo dell'anno 2000, furono scoperte le piume nei dromaeosauridi, scoperta che di fatto falsifica l'iconografia del celebre raptor di Jurassic Park. Oggi a noi ciò farebbe ridere, ma 15 anni fa non erano pochi i lettori del mio blog che ostinatamente volevano auto-convincersi che la scoperta di “raptor piumati” non implicasse che quelli “squamati” siano da abbandonare. E questa inerzia nell'accettare i fatti scientifici documentati si spiega solo con la difficoltà di scardinare l'iconografia di Jurassic Park dalla mente di chi è “cresciuto” con tale impostazione. Come può una immagine “più vera che vera” essere falsa? Perché dovrei abbandonare qualcosa di così realistico e vivo solo perché qualche stupido paleontologo dice che un fossile mostra qualcosa di diverso? Sì, a ripensare a questi episodi di oltre un decennio fa, si sorride bonariamente. Ma forse quel comportamento di rifiuto delle evidenze scientifiche non è lo stesso tipo di reazione emotiva che guida in questi giorni i vari sostenitori del “T-rex senza labbra”, palese figlio di Jurassic Park? Non sto qui affrontando il dibattito sulle labbra sul piano tecnico, ma analizzo la reazione di chi, senza essere un anatomista comparato, pare comunque sentirsi legittimato a criticare delle ricerche tecniche al fine di “salvaguardare” una certa iconografia, guarda caso proprio quella di Jurassic Park. Dopo tutto, le labbra in Tyrannosaurus erano una iconografia scientificamente fondata esistente ben prima del 1993, e la rimozione delle labbra avvenuta nella ricostruzione di questo dinosauro è proprio parte della iconografia ufficiale di Jurassic Park: possibile che l'ostilità ad ammettere un “ripristino” delle labbra in questi dinosauri carnivori sia proprio legata alla difficoltà ad abbandonare l'iconografia spielberghiana?

Forse, tu che stai leggendo pensi di non rientrare tra i casi a cui ho fatto riferimento in questa analisi, perché, in fondo, tu non sei lo “spettatore medio”, non sei un passivo fruitore di icone, perché conosci la letteratura paleontologica e forse sei persino un paleontologo che fa ricerca. Non illuderti: anche tu sei ingabbiato dentro Jurassic Park!

Ti faccio una domanda a risposta secca, immediata, a cui rispondere in modo istintivo: come ti immagini un documentario sui dinosauri? Se la prima cosa che hai immaginato nella tua testa è stato qualcosa come “Prehistoric Planet” oppure “Walking with Dinosaurs”, allora sei anche tu un felice e mansueto suddito di Isla Nublar. Se la prima immagine che il tuo cervello ha prodotto alla parola “documentario” equivale ad una scena in grafica computerizzata in cui dinosauri iper-realistici interagiscono in modo (apparentemente) etologico in un contesto naturale, allora significa che nella tua testa la parola “documentario” è un sinonimo di “filmato alla Jurassic Park”. E ciò avviene solo perché Jurassic Park ha plagiato anche il tuo modo di concepire un qualunque sistema di divulgazione della paleontologia dei dinosauri.

Non si può fuggire da Jurassic Park.

Non sei ancora convinto?

Andiamo allora alla radice del problema. Domandiamoci quale sia lo scopo della paleontologia. Se la tua risposta è “ricostruire la vita e l'aspetto delle specie estinte”, stai sbagliando. Lo scopo della paleontologia è un altro, ed è interpretare la documentazione fossile. No, non sono due modi per dire la stessa cosa. C'è un baratro concettuale che li divide. Per quanto ti possa apparire assurdo, non sempre il lavoro del paleontologo ha come obiettivo quello di “ricostruire la vita del passato”. Nella maggioranza dei casi, il paleontologo cerca di capire perché un fossile esiste, e ciò spesso ha quasi nulla a che vedere con come fosse la vita dell'organismo da cui quel fossile ha tratto la propria forma biologica. Non sempre il paleontologo lavora per “riportare in vita i dinosauri” (anche solo concettualmente). Eppure, quello di “riportare in vita i dinosauri” è proprio il grande pregio di Jurassic Park. Il concetto stesso di Jurassic Park è che i dinosauri non sono estinti del tutto, ma che se si lavora sodo, i dinosauri possono tornare a vivere, anche solo come iconografie iper-realistiche. L'idea, oggi “mainstream”, di ricreare i dinosauri, anche solo virtualmente, è figlia di Jurassic Park. Prima del 1993, nessuno pensava seriamente che questo fosse un obiettivo intelligente di una persona adulta. Già il perder tempo a studiare rocce è considerato ridicolo dalla maggioranza delle persone serie, immaginatevi quello di “ridare vita” a queste rocce... Sì, so benissimo che anche prima del 1993 avevamo già i modelli anatomici, le ricostruzioni in vivo ed i paleoartisti, ma non avevano quel peso e quella rilevanza mediatica che hanno oggi. Oggi è praticamente impossibile immaginare di pubblicare una ricerca paleontologica senza corredarla di qualche “ricostruzione”. Il pubblico post-Jurassic Park la chiede, anzi, la pretende! Prima che qualche fanatico della paleoarte inizi a bestemmiare contro la mia iconoclastia (palesando la classica reazione emotiva da dinomaniaco), preciso che io qui non sto dando un giudizio morale di questo cambio di paradigma, non sto dicendo che “era meglio prima”, sto solo constatando che dopo Jurassic Park l'aspetto iconografico e “ricostruttivo” ha assunto un peso che prima non aveva. E che questo cambio di paradigma ha indebolito la paleontologia – intesa come scienza dei fossili – e rafforzato una diversa idea del paleontologo come “investigatore della vita del passato”.

Questo ultimo elemento è, però, preoccupante, perché va oltre la paleoarte e il Franchise, e ha ricadute proprio sulla ricerca paleontologica. Se nemmeno i paleontologi possono fuggire da Jurassic Park, chi potrà pensare ai dinosauri in modo “scientifico” senza essere plagiato da quel mondo, dalle sue icone, dal suo modus operandi? Quante ipotesi, scenari, modelli, approcci e interpretazioni vengono inconsciamente scartati o evitati perché in qualche modo entrano in conflitto con la paleonto-logica alla Jurassic Park? Faccio solo tre esempi. Quanti ancora non riescono a realizzare che i diversi modelli anatomico-dimensionali dei dinosauri implicano diversi sistemi biomeccanici ed etologici, e non un solo singolo ed uniforme modello ricalcato sui dinosauri del film? Quanti ancora si ostinano a pensare che i dromaeosauridi siano terribili macchine di morte, perché così li dipinge il film? Quanti ancora non riescono a immaginare modelli eco-etologici alternativi a quelli della mucca lobotomizzata quando si riferiscono ai dinosauri non-predatori?

Ritengo un ultimo il problema più impattante di Jurassic Park: se una intera generazione di paleontologi non riesce a immaginare la paleontologia dei dinosauri fuori dal mondo di Jurassic Park (non solo il mondo iconografico, ma anche quello metodologico), come possiamo essere oggettivi e distaccati analisti della documentazione fossile?

Con questa domanda irrisolta, ma che penso sia importante porsi, chiudo questa analisi.

Ci siamo tutti dentro. Che ci piaccia o no. Tutti in qualche modo siamo plagiati da Jurassic Park. Nato con l'obiettivo legittimo di fare un enorme successo al botteghino, il film di Spielberg ha demolito gran parte della concezione popolare dei dinosauri e ha imposto la propria personale e del tutto arbitraria iconografia del Mesozoico, in modi e con mezzi di tale potenza che, ancora oggi, spesso in modo non del tutto consapevole, noi dobbiamo fare i conti con tale successo. Ma, soprattutto, Jurassic Park ha eroso l'idea che la paleontologia sia una analisi scientifica della documentazione fossile, innestando in una intera generazione il feticcio che si possa “riportare in vita i dinosauri”.

No, non si può riportare in vita i dinosauri, e per quanto avvincente possa sembrare tale obiettivo se visto dal filtro del cinema, esso non è nemmeno lo scopo della paleontologia.

In quella illusione tanto falsa quanto ammaliante sta il bilancio finale sulla eredità di Jurassic Park.

14 settembre 2023

Considerazioni (poco) paleontologiche sull'alieno messicano

 

Screenshot dalla homepage del sito di uno dei principali quotidiani nazionali [la scritta in rosso è mia, ovviamente]


Sì, lo so, sono un paleontologo, quindi dovrei occuparmi di specie estinte, e non di UFO e alieni. E difatti, il post di oggi è dedicato proprio ad una specie estinta, una specie una volta diffusa su questo pianeta, e la cui scomparsa ha portato alla crisi globale in cui stiamo vivendo: il Giornalismo Serio.

C'era una volta il giornalista serio, anzi, il giornalista vero. Diciamo pure, il giornalista. Il mestiere del giornalista era di scoprire i fatti e raccontare la verità. Il giornalista vero, pilastro fondamentale dello stato di diritto in qualunque società liberale e democratica, inflessibile di fronte ai potenti, guidato solo dalla volontà di essere onesto e rigoroso di fronte ai suoi lettori.

Oggi, il giornalista serio, vero, senza aggettivi, è scomparso. Si è estinto. Al suo posto c'è il raccoglitore di like, il gretto cacciatore di sensazionalismo, il bastone da passeggio della demagogia. A questo nuovo mestierante della comunicazione, al quale fatico a dare il nome di "giornalista", non interessa la verità, non sta a cuore conoscere i fatti, né tanto meno gli importa di informare il lettore.

Un giornalista serio, di fronte alla palese buffonata che si è celebrata al Parlamento messicano, in cui è stato presentato un "alieno mummificato", avrebbe indagato per capire come sia possibile che in un parlamento nazionale ci sia spazio per una pagliacciata tanto ridicola. Invece no, il giornalista 2.0 ti sbatte la panzana in prima pagina, la correda di titolone acchiappa-like e la chiude con il virgolettato attribuito ad un "esperto" (esperto in cosa? in UFO?), un virgolettato talmente vago, banale e fuorviante da rasentare il patetico. Il giornalista vero si domanderebbe come sia possibile che una scoperta del genere - se fosse vera - sia pubblicizzata in una sede politica (il Parlamento del Messico) piuttosto che in una sede scientifica di primissimo livello, si chiederebbe (e ci imporrebbe di chiederci) come sia possibile che una tale scoperta - se fosse vera - non sia sulla copertina delle principali riviste scientifiche mondiali. 

Ma veramente, possiamo credere che la scoperta di una mummia aliena vera e genuina non sia stata contemporaneamente oggetto di un intero numero speciale delle riviste Nature e Science? Ma veramente, possiamo credere che una mummia di una specie intelligente extraterrestre non sia la scoperta scientifica del secolo, e quindi non sia presentata alla sede centrale dell'ONU in collaborazione con le maggiori università mondiali? Ma possiamo credere che, piuttosto, tale scoperta sia presentata da un perfetto sconosciuto che parla da un parlamento nazionale? Da quando un parlamento è divenuto la sede istituzionale per le scoperte scientifiche?

Inutile sottolineare che tutti gli zoologi del mondo si stanno divertendo a identificare le specie di mammifero messicane utilizzate per assemblare lo "scheletro" dell'alieno mostrato da alcune radiografie incluse nella "conferenza stampa". Inutile sottolineare che gli scienziati del Messico si stanno vergognando in tutte le sedi per il comportamento del loro parlamento che partecipa a questa pagliacciata (e noi siamo solidali con gli scienziati messicani, vittime di questa sceneggiata).

Inutile sottolineare che questa non è una "notizia" che meriterebbe una tale enfasi. Qui, di "notizia" c'è solo il fatto che un Parlamento nazionale sia stato coinvolto in una pagliacciata. Non ci sono UFO, né alieni, ma solo cialtroni e buffoni. In primo luogo, i giornalisti che non fanno il loro lavoro ma danno voce alla buffonata degna di siti internet di terzo livello.

01 settembre 2023

Billy e il Clonesauro: I Dinosauri Sono Animali da Zoo?

 

Scena da Jurassic Park (1993).

Da ormai 30 anni, l'idea di un parco-zoo popolato da dinosauri non-aviani vivi e vegeti è divenuta "mainstream", grazie ad un film talmente celebre che non occorre nemmeno menzionarne il titolo. Ed altrettanto "mainstream" è l'idea che un simile progetto sia una pazzia suicida destinata ad un tragico epilogo, con morti e distruzione. C'è persino un intero franchise dedicato a sviluppare questo concetto: un parco con dinosauri è una follia, perché i dinosauri sono impossibili da contenere in un parco, perché "LIFE FINDS A WAY (to destroy everything)". 

Chiamo questo concetto ormai popolarissimo con l'acronimo DANZA: "Dinosaurs Are Not Zoo Animals". Contrapposto a DANZA c'è il peccato originale di John Hammond, Henry Wu, Robert Muldoon e di tutti i loro emuli successivi di cui nessuno (a parte i fanboy) ricorda il nome: DAZA: "Dinosaurs are Zoo Animals".

Sappiamo tutti, dalla visione del film, che Ian Malcolm aveva sempre ragione e Hammond torto marcio: DANZA è un fatto oggettivo e inappellabile! Almeno se vivete dentro il mondo fittizio del film. Ma quale sarebbe l'esito di un simile parco, nella realtà? Ovviamente, dinosauri non-aviani e zooparchi sono due entità separate da 66 milioni di anni di storia planetaria, quindi all'atto pratico non disponiamo di una validazione oggettiva né di DANZA né di DAZA. Tuttavia, possiamo analizzare la faccenda in base a ciò che sappiamo degli zoo e dei dinosauri non-aviani, e provare a dare una risposta plausibile a questo importantissimo quesito su cui si regge un trentennio di narrativa dinomaniacale.

Partiamo dal romanzo/film "Jurassic Park". L'obiettivo degli autori del film/romanzo è sostenere DANZA, e ciò per ovvie ragioni narrative. "Jurassic Park" è una metafora del capitalismo scientifico, della manipolazione della Natura, dei rischi delle biotecnologie, e di tutta la sequela di messaggi pessimistici e antiscientifici che Crichton ha inserito in questa storia. Il parco DEVE fallire altrimenti il messaggio del romanzo non può essere esplicitato, e quindi lo stesso romanzo non avrebbe alcun senso di esistere. Sì, il romanzo è pretestuosamente costruito con l'obiettivo di far andare tutto alla malora, anche perché altrimenti non avrebbe senso mettere come voce dell'autore interna al romanzo proprio il cinico e sarcastico matematico della Teoria del Caos, Ian Malcolm. 

Eppure, ad essere sinceri, il parco non fallisce a causa dei dinosauri, non fallisce perché DANZA è una ineluttabile legge di Nature, ma fallisce a causa di banalissimi eventi legati ai rapporti umani tra alcuni dei protagonisti (in particolare, l'avidità di Hammond e la corruttibilità di Nedry). Sostituite l'odioso Hammond del romanzo con un miliardario più lungimirante e l'altrettanto odioso Nedry con un onesto lavoratore, e non ci sarebbe alcun incidente a Isla Nublar nell'Agosto del 1989 nei modi e con le conseguenze che leggiamo in quel romanzo...

Quindi, appurato che il parco fallisce per motivi umani e non a causa dei dinosauri, andiamo ad analizzare i vari espedienti nella organizzazione e gestione del parco che Crichton elabora proprio al fine di far fallire il parco.

I recinti elettrificati.

Il parco è circondato da una recinzione elettrificata in cui circola una corrente con una tensione di 10 mila volt, il cui scopo è impedire che i dinosauri evadano dalle loro aree di contenimento. Questo accorgimento del romanzo permette di far evadere gli animali semplicemente togliendo corrente alla recinzione. Ha senso usare una recinzione elettrificata (per giunta ad un voltaggio così alto) per impedire ai dinosauri di evadere? No, è solo un espediente spettacolare con cui si può far commettere il proprio crimine a Dennis Nedry semplicemente premendo un tasto del mouse. Per contenere i dinosauri basterebbe una qualunque recinzione non-elettrificata, come quelle che esistono in tutti gli zoo ed i parchi biologici al mondo. Non serve l'alta tensione per contenere un dinosauro, e ve lo spiego introducendo uno dei grafici fondamentali per capire i dinosauri, il rapporto AP, agilità-potenza.

Il rapporto AP mette in relazione l'agilità di un animale (ovvero, l'accelerazione che l'animale può raggiungere quando si muove) rispetto alla potenza che l'animale produce muovendosi. L'agilità è una funzione dell'efficienza muscolare, la quale è legata alla sezione trasversale della muscolatura coinvolta. In breve, negli animali, l'agilità tende a diminuire con l'aumento della massa, a causa di vincoli biomeccanici dovuti alla allometria del lavoro muscolare. La potenza è invece legata alla effettiva energia prodotta dai muscoli, combinata con la resistenza dello scheletro, che non deve rompersi se sottoposto a certe sollecitazioni meccaniche. In breve, la potenza muscolare aumenta con la massa dell'animale, ma anche in questo caso, essa non può andare oltre i limiti biomeccanici delle ossa.

Se confrontiamo agilità e potenza negli animali, vedremo che le specie con massa ridotta hanno maggiore agilità ma minore potenza delle specie di grande massa, e queste, viceversa, hanno minore agilità ma maggiore potenza. Gli animali con le migliori prestazioni meccaniche sono "a metà strada" nello spettro di dimensioni, poiché hanno "ancora" una discreta agilità (rispetto alle specie di grande massa) ma anche un accenno di potenza non indifferente.

Non vi serve una laurea in biomeccanica per sapere che un coniglio è più agile di un cavallo, che è più agile di una giraffa, che è più agile di un elefante, e che, allo stesso tempo, un elefante è più potente di una giraffa, che è più potente di un cavallo, che è più potente di un coniglio. Lo stesso discorso vale per i dinosauri.

Non potendo osservare i dinosauri mesozoici dal vivo, possiamo solo fare delle stime generali sulle prestazioni meccaniche delle varie specie, ma è ragionevole supporre che i dinosauri di dimensioni medio-grandi, con masse di alcune tonnellate, rientrino più nel range di prestazioni degli elefanti che in quelle dei cavalli. Un Tyrannosaurus adulto non correva come un cavallo ma probabilmente aveva la potenza muscolare simile a quella di un elefante africano adulto. I sauropodi, con masse ancora maggiori, erano quindi ancor meno agili degli elefanti, ma avevano sicuramente una potenza muscolare superiore a qualunque animale terrestre vivente.

Tradotto in un manuale di istruzioni per costruire un parco con dinosauri, questa regola generale ci dice che le recinzioni ottimali per contenere i dinosauri giganti non devono contenere l'agilità (che nelle specie giganti è scarsa) bensì la potenza. Un recinto quindi deve essere robusto, possibilmente in cemento armato, un muro piuttosto che una palizzata. Al tempo stesso, il recinto non ha bisogno di essere troppo alto, dato che, comunque, i dinosauri giganti non hanno l'agilità necessaria a scavalcarli. In conclusione, per contenere i tuoi dinosauri giganti è sufficiente un muro in cemento armato alto un paio di metri e sufficientemente spesso da non poter essere abbattuto da alcun animale (i dinosauri non sono carri armati, e come tutti gli animali non si avventano contro i muri allo scopo di demolirli). Questo muro è sicuramente più efficiente e sicuro di qualunque recinto elettrificato, e continua a funzionare anche senza corrente elettrica (alla faccia di Dennis Nedry!). Inoltre, richiede una spesa energetica infinitamente minore di quella che serve a far andare in continuazione 10 mila volt per chilometri di cavi. 

Un parco giurassico quindi ricorderebbe più un fortino che una staccionata. E Homo sapiens è un maestro nella costruzione di fortificazioni in muratura.

Inutile rimarcare che per le specie di dinosauro con dimensioni analoghe a quelle degli animali moderni che vivono negli zoo, non occorra alcun accorgimento speciale che non sia già quello di costruire un normale zoo.


La produzione di sole femmine.

L'altro espediente introdotto nel romanzo per impedire la proliferazione degli animali è la produzione di soli individui di sesso femminile. Faccio subito notare che se proprio vogliamo una popolazione che non può riprodursi è molto meglio produrla di soli maschi rispetto che di femmine, dato che i maschi non producono uova in grado di svilupparsi per partenogenesi, mentre le femmine sì (come dimostrano i casi di popolazioni, sia naturali che artificiali, di alcune specie composte da sole femmine che si riproducono partenogeneticamente e proliferano senza la presenza di maschi). Inoltre, non è detto (come si accenna nel film) che il "sesso default" nei dinosauri sia quello femminile, dato che non è noto il meccanismo di determinazione del sesso nei dinosauri non-aviani. Negli uccelli, a differenza della maggioranza degli animali (noi compresi), il sesso omogametico è quello maschile, non il femminile, ma non sappiamo se ciò valga anche per i dinosauri non-aviani. Inoltre, in vari rettili, il sesso è determinato dalla temperatura di incubazione. In breve, non sappiamo come nei dinosauri si determinasse il sesso del nascituro. Ma in ogni caso, ciò è del tutto irrilevante, dato che esiste un metodo molto più semplice e pratico per impedire la riproduzione degli animali: la sterilizzazione! Forse che per avere un gatto che non si riproduce voi chiamate in causa l'ingegneria genetica? No, lo portate dal veterinario e risolvete la questione alla radice! Un parco costato milioni di dollari e con solo qualche dozzina di dinosauri al suo interno può permettersi un paio di veterinari che praticano la sterilizzazione agli animali, specialmente se l'operazione è fatta su individui ancora giovani. Un modo pratico, veloce, sicuro, e soprattutto irreversibile, per impedire che il vostro parco divenga una bomba ecologica.


Concludendo, a differenza delle astruse contorsioni narrative con cui è necessariamente costruito Jurassic Park (contorsioni necessarie per i fini esterni alla trama, ma del tutto ridicole se viste da dentro la vicenda), uno zoo con dinosauri mesozoici sarebbe relativamente semplice da gestire, né più né meno di qualunque altro zoo contenente specie moderne. I dinosauri erano animali, non mostri atomici con pelle di adamantio, e la loro gestione in un contesto artificiale sarebbe stata né più né meno analoga a quella con cui, ogni giorno, Homo sapiens tiene sotto controllo e in condizioni sicure i milioni di animali delle centinaia di specie diverse che usa per i propri scopi.


PS: ah, sì, nel film/romanzo c'è anche la storiella dell'aminoacido lisina, la cui sintesi viene manipolata per rendere i dinosauri incapaci di produrla e quindi impossibilitati a vivere autonomamente allo stato selvatico... Quella è una scemenza senza alcun senso biologico! Ognuno di voi (me compreso) è incapace di sintetizzare la lisina, e la assume naturalmente dall'alimentazione. Se non siete morti voi, non morirebbe nemmeno un dinosauro nel parco giurassico...



25 agosto 2023

DISNEY'S HALSZKARAPTOR!

 

Schermata dell'episodio di Disney Junior con Hal l'Halszkaraptor

Che Halszkaraptor sia il dinosauro più mitico di sempre, ovvio che non posso dirlo io che a questo dinosauro ho dato il nome e ne ho studiato anatomia e paleo-ecologia. Dopo tutto, come si dice a Napoli, "ogni scarrafonyx è bello a paleontologo sojo".

Il successo mediatico di questo piccolo paraviano è sancito dalle innumerevoli comparsate in fumetti, vignette e meme, nonostante che questa specie sia stata istituita nemmeno 6 anni fa.

Io stesso uso come icona del profilo social una immagine della ricostruzione di Halszkaraptor realizzata da Lukas Panzarin, modificata con indosso un cappello da marinaio come quello di Paperino (Donald Duck).



Il legame tra Halszkaraptor e Paperino non si limita alla mia personalissima predilezione per questo "mio" dinosauro.

Matt Martyniuk mi segnala che in un episodio della serie "Disney Junior", Paperino e company incontrano un suo "antenato" preistorico, di nome "Hal". Hal ha le fattezze di un papero preistorico con lunga coda e braccia simili a pinne, ed è chiaramente una caricatura di Halszkaraptor, come confermato anche da questo sito dedicato alla Disney.

Ora sì che il mio dinosauro è QUALCUNO che conta!

19 agosto 2023

Miti e leggende sui dinosauri mesozoici: la mancanza di studi sul tegumento facciale dei dinosauri

Due testi sconosciuti di due autori di nicchia che nessuno nel mio campo ha mai letto prima d'ora...


Il principale difetto che abbiamo tutti quando siamo giovani è che pensiamo di essere i primi ad affrontare i problemi dalla vita. E tutti pensiamo che nessuno prima di noi abbia dovuto sobbarcarsi dei fardelli gravosi come i nostri.  

Ci passiamo tutti, senza esclusione. Poi si cresce. E si scopre che non siamo stati i primi (né saremo gli ultimi) a trovarci in quella situazione, e che tutti prima di noi hanno affrontato situazioni analoghe alle nostre. Non solo, spesso scopriamo che chi c'era prima di noi aveva già risolto quel nostro problema... e che se invece di piangerci addosso avessimo provato a leggere un poco la Storia, ci saremmo risparmiati una serie di inutili preoccupazioni.

Questa legge generale della vita ha una sua declinazione recente nel piccolo mondo della paleontologia dei dinosauri, una declinazione che, amplificata dalla rete, è diventata una sorta di tara esistenziale degli anni '10 e '20 del secolo XXI, specialmente per le giovani generazioni di nerd appassionati di dinosauri: la Questione delle Questioni, il Dibattito dei Dibattiti, il Problema Numero Uno della paleontologia.

Le labbra nei dinosauri.

Se provate a navigare online e fare una rapida visita ai siti di appassionati di paleontologia e paleoarte, scoprirete che la discussione sul tegumento orale dei dinosauri (in particolare, dei theropodi, in particolarissimo, di Tyrannosaurus) è diventata il problema più assillante e gravoso di tutti i tempi. Questo problema è oggetto di annosi dibattiti, in gran parte dedicati a elementi e dettagli non pertinenti la questione, dettagli spesso citati in modo acritico, denotando una scarsissima attenzione alla Anatomia Comparata ed una ancor più grave mancanza di logica. Ma non è della questione anatomica che oggi vi parlo (ne ho già parlato a sufficienza in passato). Bensì, oggi mi soffermo su un concetto che è collegato a questo dibattito, un concetto che alimenta il dibattito online e dal dibattito online trova a sua volta alimento, e che, alla pari della scarsa conoscenza della Anatomia Comparata, è figlio della generale grossolanità con cui si affrontano questi temi online.

Il concetto è il seguente:

"La questione sulla ricostruzione della regione facciale dei dinosauri è un argomento nuovo, un problema affrontato scientificamente solo negli ultimissimi anni, mai affrontato in passato dai paleontologi, e quindi solo ora, finalmente, divenuto tema di pubblicazioni paleontologiche".

Questo concetto circola nei video, nelle chat, nelle discussioni online, nelle "live", nei blog e in tutti i media dove si discute della ricostruzione facciale dei dinosauri. 

Bene, forse non lo sapete, ma quel concetto è FALSO!

Forse voi non siete informati, ma la questione sulla ricostruzione facciale dei dinosauri è un argomento che è stato affrontato in letteratura molte volte, e che ha anche una soluzione ben consolidata ormai da decenni. Peccato che chi ne parla online non sia informato su questo fatto e continui a ripetere meccanicamente il falso mito che ho riportato in grassetto qui sopra.

La ricostruzione facciale dei dinosauri è affrontata in letteratura paleontologica da decenni. Nonostante Cullen et al. (2023) sia visto da molti appassionati come il "primo" studio tecnico su questo tema, in realtà esiste una lunga serie di studi precedenti che hanno già affrontato questo tema, studi che, apparentemente, nessuno di quelli che discutono online sul tema pare aver mai letto (o anche solo sentito nominare).

Vi elenco i lavori principali, andando progressivamente indietro nel tempo.

Nabavizadeh (2018) analizza nel dettaglio la ricostruzione facciale negli ornitischi.

Delcourt (2018) discute il tegumento facciale abelisauride.

Carr et al. (2017) discute la possibilità di tegumenti facciali simili a quelli dei coccodrilli nei tyrannosauridi.

La tesi magistrale della Morhardt (2009) discute la relazione tra densità dei forami neurovascolari facciali e tegumento negli amnioti, con riferimento ai dinosauri.

Hieronymus et al. (2009), la più dettagliata analisi sui correlati osteologici del tegumento facciale nei dinosauri.

Knoll (2008) sulla ricostruzione del tegumento facciale in Lesothosaurus, analisi che smentisce l'argomentazione principale di Galton (1973).

Sampson e Witmer (2007) sul tegumento facciale in Majungasaurus.

Ford (1997) pubblica un pamphlet contro l'argomento di Bakker (1986).

Witmer (1995) solleva in modo rigoroso la questione sulla validità dell'ipotesi di Galton (1973). 

Paul (1988: "Predatory Dinosaurs of the World") a sostegno di labbra "lacertiliane" nella maggioranza dei dinosauri.

Estratto da Paul (1988).


Bakker (1986: "The Dinosaur Heresies") a sostegno di labbra "lacertiliane" nella maggioranza dei dinosauri.

Estratto da Bakker (1986).


Galton (1973) elabora l'ipotesi delle guance negli ornitischi, estendendo gli argomenti proposti fin dall'inizio del secolo da vari autori.

Brown e Schlaikjer (1940) analizzano nel dettaglio e rigettano l'ipotesi di Lull (1905) per i ceratopsi.

Lull (1905) propone che la parte posteriore della bocca nei ceratopsi fosse dotata di guance analoghe a quelle dei mammiferi.


Come vedete, la discussione sul tegumento facciale dei dinosauri è presente in letteratura da almeno 50 anni, e nel caso specifico delle guance ornitischiane risale ad oltre un secolo fa. In particolare, l'ipotesi che la maggioranza dei dinosauri abbia labbra lacertiliane è quella che trova la maggiore fondazione in letteratura, dato che è sostenuta da Bakker (1986), Paul (1988), Knoll (2007), Delcourt (2018), Nabavizadeh (2018) e Cullen et al. (2023). Le argomentazione di Ford (1997) e Carr et al. (2017) sono falsificate da Cullen et al. (2023). L'ipotesi di Galton (1973) è falsificata da Witmer (1995), Knoll (2007) e Nabavizadeh (2018).

Al di là della questione anatomica, che non è l'oggetto del post, trovo bizzarro che chi parla di questo tema online sia sovente ignorante sulla letteratura esistente, e finisca con l'alimentare il mito della mancanza di lavori scientifici su questo tema. In particolare, l'ipotesi che labbra di tipo lacertiliano siano presenti nei theropodi non è una novità di Cullen et al. (2023) dato che è già stata proposta e argomentata sia da Bakker che da Paul negli anni '80, ovvero più di trenta anni fa! E non sto parlando di oscure pubblicazioni tecniche scritte su irreperibili riviste di settore precluse agli appassionati, sto parlando di due dei più famosi libri sui dinosauri che siano mai stati scritti: "The Dinosaur Heresies" e "Predatory Dinosaurs of The World", due testi che hanno fondato gran parte delle nozioni degli appassionati degli ultimi 3 decenni! 

Quindi, mi domando, perché circola ancora questo falso mito sulla mancanza di studi tecnici? Perché si continua a dipingere il dibattito come "prematuro" quando in realtà esiste una corposa letteratura che ha analizzato il tegumento facciale dei principali gruppi di dinosauri, ed ha già discusso la questione da vari punti di vista e secondo differenti tecniche di indagine (dalla anatomia comparata per identificare i correlati osteologici alla inferenza filogenetica per definire il contesto evoluzionistico per la evoluzione di queste strutture)? Perché si dipinge la ricostruzione scientifica dei dinosauri come "ancora incerta" quando in realtà l'ipotesi che la maggioranza dei dinosauri avesse labbra "lacertiliane" è l'interpretazione più robusta e con la maggiore fondazione in letteratura tecnica? Ovvero, perché si dà una rappresentazione falsata e distorta delle conoscenze scientifiche in questo ambito?

Temo che la risposta sia duplice. Da un lato, penso (e spero) che chi parla di questi temi sia ignorante sulla letterature esistente, e quindi, ingenuamente, pensi veramente che non ci siano ancora argomenti scientifici a disposizione. Dall'altro, temo che chi parla di questi temi non abbia veramente a cuore la conoscenza paleontologica ma voglia solamente ridurre la questione ad una chiacchiera da bar in cui il "tifo" per una o l'altra ricostruzione è basato più sui propri gusti personali piuttosto che su un criterio scientifico di inferenza anatomica. 

Fintanto che si alimenta il mito della mancanza di studi tecnici sul tema, ci sarà il terreno per alimentare uno pseudo-dibattito molto fumoso e poco oggettivo, più simile al bar dello sport che ad una discussione scientifica.