(Rough) Translator

01 aprile 2023

AI Paleoart

In questi giorni, stanno generando accesi dibattiti le implicazioni pratiche ed etiche dell'affermazione dei così detti "algoritmi di intelligenza artificiale" in grado di generare testi ed immagini.

Ho provato a sperimentare la potenza creativa di queste macchine chiedendo ad uno di questi software disponibili online di generare due immagini in base a semplicissime istruzioni:

"Tyrannosaurus rex" nel primo caso, e "T-rex" nel secondo caso.

Questi sono i risultati.


I risultati sono interessanti, anche se non necessariamente indicativi dell'effettivo stato di avanzamento di questi programmi "intelligenti". Sospetto che esistano software più raffinati di quello a cui ho chiesto queste opere.

Diciamo subito che i paleoartisti per ora devono stare tranquilli: se la loro paura è di essere rimpiazzati dai programmi nella esecuzione delle opere, per ora possono dormire sereni, dato che queste opere sono, almeno sul piano della validità anatomica, assolutamente scarse. Devono preoccuparsi invece i creatori di immagini fantasy e i disegnatori di mostri, perché in quel caso l'effetto inizia ad avvicinarsi al livello più grossolano di esecuzione richiesto ai disegnatori di creature fantastiche.

Notare che "Tyrannosaurus rex" sia quadrupede, mentre "T-rex" sia esapode, con il paio di arti più anteriori che sono piccoli e non contattanti il terreno, quasi una sorta di ibrido tra un animale bipede ed uno quadrupede. Notare che ambo le immagini mostrano un animale con la bocca spalancata, privo di labbra e con le finestre del cranio ben marcate sotto la pelle. Decenni di iconografia made in Isla Nublar hanno fatto il loro effetto. Che quella sia ormai la "posa default" di qualunque Tyrannosauro iconografico? Notare che entrambe le ricostruzioni hanno la muscolatura della zona adduttoria della bocca del tutto inventata, con apparentemente due livelli di fasci muscolari sovrapposti lungo la direzione trasversale della bocca... Nella paleoarte disponibile online, la zona posteriore della bocca dei dinosauri è uno degli elementi anatomici peggio rappresentati (e quindi non sorprende che anche in queste immagini più o meno ispirate dalle fonti online tale area sia riprodotta in modo atroce). Collegato a questo dettaglio c'è la bizzarra ondulazione del margine orale della mandibola, un errore anatomico figlio del T-rex di Jurassic Park, nel quale il processo coronoide è del tutto sproporzionato. Dobbiamo concludere che la iconografia "jurassic-parkiana", così abusata e diffusa online, abbia inciso in modo sostanziale sulle fattezze generali delle due teste riprodotte sopra.

In ambo le creature, l'algoritmo ha creato narici aggiuntive (nel secondo caso, una narice sbocca nella fossa antorbitale): mi domando se il programma abbia "faticato" a trovare una fonte attendibile per collocare la narice (ammesso che questi programmi ragionino in maniera così umana per attingere alle fonti di "ispirazione"), finendo con crearne un numero eccessivo.

In conclusione, la paleoarte creata dalla "presunta" Intelligenza Artificiale è ancora in gran parte produzione di brutti mostri. Forse, fornendo una più dettagliata lista di istruzioni, si può ottenere qualcosa di piacevole e scientificamente solido. Ma dubito che una AI sia abbastanza colta e minuziosa per distinguere un adduttore mandibolare da un rictus. Se la vostra premura è l'accuratezza anatomica, c'è quindi ancora molto margine per permettere agli artisti di continuare a lavorare senza preoccupazioni.

Se fossi più cinico direi che, in fondo, l'algoritmo fa bene il suo lavoro, dato che gran parte della paleoarte effettivamente disponibile online produce dei brutti mostri, quindi il programma non è da biasimare se ricalca fedelmente le sue fonti.

Entro quanto tempo le AI saranno in grado di produrre un Burian, oppure un Hallett? 

Un consiglio ai veri paleoartisti: più vi allontanate da queste immagini prodotte da programmi senza anima e meglio sarà per voi e per il vostro lavoro...

31 marzo 2023

Labbra, letteratura ed algoritmi

 

Bakker (1986)... e siamo ancora qui.



Nel numero di Science di ieri, è pubblicato uno studio che discute la presenza o meno di strutture non-ossee extraorali nei theropodi non-aviani con denti. In breve, è un articolo che discute sulla presenza di labbra nel T-rex.

L'articolo conclude che, in accordo con quanto sostenuto da altri autori in passato (ad esempio, Bakker 1986), la morfologia della regione orale delle ossa dentigere e la struttura dello smalto nei denti siano più compatibili con un modello "varano" (labbra di squame rigide e gengive) piuttosto che un modello "coccodrillo" (assenza di labbra e corneificazione della regione gengivale).

Credo che tutto questo piccolo "dibattito" (molto gonfiato online dai passionari di giocattoli e paleoarte) non sarebbe mai nato se 30 anni fa, Jurassic Park non avesse imposto a livello mondiale una iconografia "senza labbra" in modo del tutto arbitrario. Prima di Jurassic Park, i theropodi con le labbra da lucertola erano la norma, il canone, la ricostruzione più diffusa e consolidata. 

I bei vecchi tempi prima di Jurassic Park... (c) Charles Knight


[Numero 159 nella lista dei danni provocati da Jurassic Park...]

Alcuni anni fa, avevo provato a portare un contributo originale al "dibattito sulle labbra" proponendo un metodo quantitativo basato su una matrice di caratteri osteologici del cranio e mandibola che fossero collegati alla presenza di differenti tessuti extraorali. L'idea era intrigante, ma in seguito ho abbandonato tale approccio, quando ho riconosciuto che il metodo da me svilupato era in parte sbagliato.

L'analisi che avevo svolto includeva nella medesima matrice sia elementi osteologici correlati alla presenza/assenza di labbra (come il numero, posizione e distribuzione dei forami neurovascolari peri-orali) sia elementi anatomici che non hanno alcun legame con la presenza/assenza di labbra (come i pattern di rugosità e ornamentazione delle superfici subcutanee delle ossa facciali). Il risultato fu il classico errore del "contare le pere con le banane" per dedurre il numero di arance. Difatti, le analisi così impostate collocavano molti theropodi in una zona "intermedia" tra la presenza di labbra e l'assenza di labbra, in una ipotetico "limbo tegumentario". Quel limbo non aveva molto senso, e difatti, riflettendo su quel risultato, capii che era figlio di un errore nel modo in cui era impostata l'analisi.

La consapevolezza di questo errore di metodo è emersa in me gradualmente, in particolare mentre studiavo alcune ossa mascellari di Carcharodontosauridae dal Kem Kem. Le differenti ornamentazioni e pattern di forami in due theropodi strettamente imparentati mi chiarirono la faccenda: capii che il pattern di ornamentazione subcutaneo e il pattern di neurovascolarizzazione periorale sono due fenomeni distinti che si riferiscono a due elementi anatomici distinti (l'ornamentazione facciale vs la presenza di labbra). Pertanto, aver combinato in una sola matrice dedicata alla presenza di labbra degli elementi anatomici che non sono pertinenti alla determinazione delle labbra aveva "contaminato" la mia analisi.

Alla luce di simili considerazioni, rivalutai i risultati di tali analisi e di fatti, in tutte le mie uscite recenti sulla questione delle labbra (come nel podacast) ho sostenuto l'ipotesi "faccia da lucertola" per tutti i theropodi con dentatura.

So che i sostenitori delle facce da coccodrillo non si daranno per vinti e che il dibattito (almeno online) non è concluso. Io considero l'articolo uscito oggi un robusto elemento a sostegno della ricostruzione "classica " (= pre-Jurassic Park). Se qualcuno ha nuove evidenze che possano far rivedere questa interpretazione, è invitato a pubblicare un articolo tecnico utile. Fino ad allora, la questione mi pare chiusa... come avrebbe dovuto essere già chiusa ben 35 anni fa.


30 marzo 2023

Il "Paleoart Experiment" su "Le Scienze"

 

Nel numero di Aprile 2023 del mensile di divulgazione scientifica "Le Scienze", è presente un articolo che parla del "Paleoart Experiment" che sto conducendo sul blog. Un motivo in più per approfondire questo tema sulla "attendibilità" delle ricostruzioni paleontologiche.

Ringrazio il theropod-lettore Riccardo per la segnalazione.



27 febbraio 2023

PALEOART EXPERIMENT - volume 2

 Secondo episodio della serie degli esperimenti di paleoarte, dopo il primo avente come oggetto un mammifero.

Il cranio da ricostruire questa volta appartiene ad un uccello.



I partecipanti questa volta sono stati meno numerosi del primo episodio: non so se ciò sia dovuto ad una rapida disaffezione verso questo esperimento, o per la minore attrattiva del soggetto aviano. Ad ogni modo, ringrazio i partecipanti per avermi inviato le loro opere:




Anche in questo caso, ho misurato l'accuratezza stilando una lista di 16 caratteristiche anatomiche visibili nell'animale "in vivo". L'accuratezza delle ricostruzioni è mediamente superiore a quella ottenute nel primo esperimento, e si aggira tra il 50% e 82%, rispetto al 19%-60% risultato nell'esperimento precedente.

In un caso, è stato individuato con grande precisione il gruppo tassonomico di appartenenza del cranio: nondimeno, anche in quel caso, l'accuratezza non è stata assoluta (risultando comunque la massima, ovvero del 82%). Questo risultato è molto interessante, e conferma quanto discusso alla fine del precedente esperimento, ovvero che esista un "limite invalicabile" di accuratezza che non si avvicina mai al 100%.

Ecco, infine, l'animale reale: Aptenodytes forsteri, il pinguino imperatore, il più grande sfenisciforme vivente. 


Nel prossimo esperimento, ricostruiremo un rettile non-aviano.

Ringrazio i partecipanti: Andrea Morandini, Matteo Lietti, Pablo Ignacio De LaGrada, Dawid Studzinski, Lorentz WiSniewski e Marco Bianchini.

10 febbraio 2023

PALEOART EXPERIMENT - volume 1

Lo scorso mese, ho pubblicato un post in cui introducevo il concetto di "paleoarte sperimentale".

Il post ha avuto un buon riscontro, in particolare tra i follower della pagina Facebook del blog. Ne è risultata una discussione sulla fattibilità di un esperimento di paleoarte sperimentale, esperimento al quale hanno aderito alcuni lettori (in particolare, giovani paleoartisti).

Questo post descrive l'esito dell'esperimento.

Ho chiesto ai partecipanti di ricostruire l'aspetto in vita dell'animale proprietario di questo cranio:



Gli autori della ricostruzione erano inoltre invitati a includere una breve spiegazione della loro ricostruzione, sia come ispirazioni "tassonomiche" che "ecologiche". Nessuno degli autori, per partecipare, era a conoscenza della specie di appartenenza del cranio, sebbene molti abbiano intuito (o esplicitamente riconosciuto) il clade di appartenenza dell'animale. Questo fattore è stato quindi esplicitato al momento di inviarmi le opere, e ci aiuta a comprendere le differenti ricostruzioni. Il cranio, spero questo sia palese, appartiene ad un mammifero.

Non è mia intenzione fare una graduatoria "estetica" di queste ricostruzioni, anche perché non sono minimamente qualificato per giudicare l'estetica. Inoltre, lo scopo dell'esperimento non era di misurare chi fosse più esperto in ricostruzioni o nella identificazione di un cranio: nessuno nasce paleontologo, e nessuno deve sentirsi scoraggiato se la sua ricostruzione fosse poco accurata. Pertanto, non mi soffermo su commenti di tipo anatomico o naturalistico. Quale che sia la vostra valutazione delle opere, io ho apprezzato tutti i lavori e l'impegno di tutti i partecipanti. 

Tuttavia, per i fini stessi dell'esperimento, è necessario "quantificare" il grado di accuratezza (ovvero, aderenza al reale) di ogni opera. Pertanto, ho stilato una lista di 16 elementi anatomici che definiscono l'animale reale: ogni opera è stata quindi "valutata" in base al numero di elementi anatomici risultati corrispondenti a quelli della specie reale. Questa misura quindi non serve a fare una graduatoria di "scientificità" delle opere, ma solo a misurare il grado di accuratezza dell'intero campione dato dalle opere.

[1] 'Concavità naso-fronte': in vista laterale, una flessione del muso al passaggio dalla fronte alla regione nasale.

[2] 'Bocca inclinata anteroventralmente': in vista laterale, l'angolo che la bocca chiusa descrive rispetto all'asse lungo della testa.

[3] 'Colore della zona nariale': se corrisponde o no con l'animale reale.

[4] 'Colore della zona boccale': se corrisponde o no con l'animale reale.

[5] 'Colore dell'occhio': se corrisponde o no con l'animale reale.

[6] 'Posizione dell'apice dei padiglioni auricolari': postura delle orecchie, se erette o cadenti.

[7] 'Padiglioni rivolti in avanti': direzione del padiglione, se anteriore, laterale o posteriore.

[8] 'Orecchie pelose': presenza o meno di pelliccia sui padiglioni.

[9] 'Colore  nuca': se corrisponde o no con l'animale reale.

[10] 'Colore guance': se corrisponde o no con l'animale reale.

[11] 'Colore della regione periorbitale': se corrisponde o no con l'animale reale.

[12] 'Pelo folto': densità della pelliccia.

[13] 'Assenza di criniera': presenza o meno di una criniera lungo nuca e collo.

[14] 'Naso protrude rispetto alle labbra': posizione dell'apice della zona nariale rispetto alla bocca.

[15] 'Vibrisse orali': presenza o no nella ricostruzione.

[16] 'Vibrisse occhi': presenza o no nella ricostruzione.

Ed ecco le opere che mi avete inviato:

Gli autori sono ringraziati a fine post




La maggioranza degli autori ha dichiarato di aver colto/riconosciuto/identificato nel cranio un marsupiale, e che questo elemento tassonomico ha inciso sulle loro ricostruzioni. Un autore ha prodotto due ricostruzioni, secondo due modelli alternativi di marsupiale. In generale, le ricostruzioni si differenziano per dettagli quali la colorazione, la posizione, forma e inclinazione dei padiglioni auricolari, per la lunghezza e densità della pelliccia. Due ricostruzioni azzardano una morfologia in parte simile a quella di un ungulato, pur mantenendo l'animale dentro fattezze generali da marsupiale. In alcuni casi, l'autore ha dichiarato che l'animale ricostruito abbia una ecologia terricola adatta a contesti aperti e relativamente asciutti. In un caso, l'animale è esplicitamente ricostruito con fattezze da macropodide terricolo (come il canguro rosso).

So che la vostra pazienza si sta esaurendo: è arrivato il momento di mostrare l'animale reale.

05 febbraio 2023

La abominevole biologia di "Teratitan maximus", il più grande dinosauro di tutti i tempi

 

(c) Mark Hallett

I sauropodi giganti ci intrigano assai. Essi sfidano le leggi della fisica e il nostro stesso senso della misura. Quanto potrebbe essere grande il più grande di tutti i dinosauri? A questo animale colossale, che probabilmente non troveremo mai conservato nella documentazione fossile, diamo qui il nome di Teratitan maximus, il super-sauropode massimo. Siccome è un nome di fantasia, privo di valore tassonomico, non lo scrivo in corsivo. 

Dato che tutti i dinosauri super-giganti sono sauropodi, anche Teratitan è ipotizzato appartenere a Sauropoda. In questo post, non ci interessa troppo stabilire a quale sottoclade di sauropode appartiene Teratitan: potrebbe essere un titanosauro, un brachiosauride, un diplodocoide oppure un mamenchisauride, poco importa per la nostra discussione teorica.

La prima questione da risolvere è quanto sia grande un adulto maturo di Teratitan, ovvero, quale sia il limite massimo teorico possibile per un super-sauropode.

Hokkanen (1986) discute le dimensioni massime teoriche negli animali di terraferma e stima che la massa di questi giganti sia all'interno del range 100-1000 tonnellate. Raffinando i calcoli, l'autore propone che il valore più accurato per tale massa sia di 140 tonnellate: tuttavia, in alcuni calcoli ammette possibili anche valori come 600 tonnellate o persino valori anche maggiori (alcune migliaia di tonnellate). In quei casi, fa notare l'autore, valori così estremi sono puramente teorici, dato che implicano un animale statico e del tutto immobile, incapace di muoversi.

Consideriamo l'ipotesi di un sauropode di 140 tonnellate: è fantascienza? Forse no. Per semplicità, usiamo un sauropode per il quale è noto gran parte dello scheletro, ovvero Giraffatitan. Questo sauropode è conosciuto in particolare grazie a due esemplari, dai quali è stato tratto il celebre scheletro esposto a Berlino. I due animali sono di dimensioni simili, lunghi intorno ai 20-25 metri (in un secolo di discussioni su questo materiale, al brachiosauro berlinese sono state attribuite varie stime sia di lunghezza  che di massa, ma non ci interessa qui cavillare troppo sui valori precisi). Assumendo provvisoriamente che Teratitan abbia le medesime proporzioni corporee di Giraffatitan, i calcoli ci dicono che un animale di 140 tonnellate richiede un brachiosauride lungo circa 40 metri. Questo valore, per quanto enorme (è quasi il doppio lineare dell'esemplare berlinese) è comunque dentro il range delle stime proposte negli anni per alcuni celebri super-sauropodi, come Amphicoelias fragillimus e Seismosaurus. Quindi, Teratitan, per quanto incredibilmente gigantesco, non sembra essere troppo oltre valori che, almeno teoricamente, sono stati proposti in letteratura.

Per curiosità, se ammettiamo il limite teorico massimo della massa intorno a 600 tonnellate, ed usiamo il modello "Giraffatitan" come piano corporeo, otteniamo un animale con la spaventosa lunghezza di 65 metri, due volte un grande diplodocide!

Come Hokkanen (1986) rimarca alla fine del suo articolo, ci sono limiti biologici che rendono molto improbabile che sia mai esistito un super-sauropode pesante qualche centinaio di tonnellate. Un sauropode di 600 tonnellate sarebbe praticamente immobile, dato che le ossa degli arti sarebbero a malapena in grado di reggere il suo enorme peso. Tuttavia, per quanto corretto come motivazione contro un super-sauropode di quella taglia, tale vincolo fisico sarebbe percepito solamente nella fase matura della vita dell'animale, ma non alla nascita né durante buona parte della sua crescita, quando l'animale ha dimensioni più "normali".

Immaginiamo un ciclo biologico estremo per Teratitan, in sintonia con le sue dimensioni estreme: l'animale potrebbe essere stato un "sauropode classico" durante l'età giovanile e subadulta, per poi "rallentare" nelle prestazioni locomotorie mano a mano che cresceva, fino a diventare, da adulto, un animale "sessile", ovvero fisso in un punto, una sorta di gigantesca montagna di carne stazionaria. Avrebbe senso biologico questo tipo di animale? Potrebbe funzionare biologicamente, e sopravvivere?

Un sauropode di 600 tonnellate, lungo 65 metri, permanentemente fermo, avrebbe un problema di approvvigionamento alimentare non indifferente. Esso potrebbe restare immobile al centro di una foresta e foraggiare intorno a lui per un raggio di 20-30 metri (lunghezza del suo collo) consumando tutta la vegetazione circostante, creando una radura priva di piante attorno al suo corpo. Non spostandosi, tutti i suoi escrementi si accumulerebbero ai piedi della sua cloaca (posizionata a circa 15 metri da terra), realizzando rapidamente una colossale montagna di letame che sarebbe rapidamente invasa da insetti e altri piccoli animali coprofagi. Questa montagna di letame potrebbe quindi attirare una comunità animale che potrebbe "ripulire" la lettiera del gigante. Tuttavia, una volta "consumata" la zona vegetata attorno all'animale, questi non avrebbe più una fonte di cibo sufficiente per vivere. Possiamo quindi immaginare che, una volta raggiunta l'età adulta e uno stile di vita sessile, il nostro super-gigante cambi la propria biologia ed ecologia, ad esempio cambiando dieta? Se l'animale non può spostarsi per consumare nuovo cibo vegetale, potrebbe fare in modo che il cibo vada da lui? Non certo attirando il cibo vegetale, che è immobile come lo stesso Teratitan, ma forse del cibo mobile, ovvero animale? Teratitan potrebbe quindi essere una versione dinosauriana di una colossale pianta carnivora, che attira animali verso di sé per poi ucciderli e nutrirsene? Ad esempio, un enorme sauropode immobile potrebbe essere visto come qualcosa di molto attraente per orde di theropodi giganti (che comunque sarebbero 50-100 volte più piccoli dello stesso Teratitan). Sappiamo da molti bonebed che i grandi theropodi aggregavano in un medesimo punto se spinti dalla fame ed attirati da grandi accumuli di carcasse: potrebbero quindi questi predatori costituire una fonte di cibo per Teratitan se il sauropode simulasse di essere una montagna di carne morta? 

Il super-sauropode potrebbe emettere un odore simile a quello della carne in putrefazione, per attirare grandi dinosauri carnivori, per poi ucciderli con un colpo della sua gigantesca coda lunga 20-30 metri. Che scena horror...

Per quanto l'idea di un sauropode gigantesco che si comporta come una colossale pianta carnivora, emanando un fetore di morte per attirare ignari theropodi giganti e producendo una montagna di letame appare come una delle immagini più abominevoli che la mia mente malata abbia mai prodotto, il mio lobo prefrontale scientifico solleva una obiezione teorica prima ancora che estetica contro tale scenario: come si riprodurrebbe Tetatitan?

Se l'animale è immobile, come fa a trovare un partner per accoppiarsi? Tralasciamo per ora la questione ed ammettiamo che ogni animale riesca a produrre uova "in autonomia", asessualmente, quindi che si riproduca per partenogenesi come in certe specie di lucertole (quindi, Teratitan sarebbe una specie composta da sole femmine): queste uova sarebbero comunque deposte sul posto (e per giunta, in mezzo alla montagna di letame!) rendendo la riproduzione di Teratitan, eufemisticamente, poco efficiente (il letame è un ambiente poco salubre sul piano chimico-biologico per garantire una sana maturazione delle uova). In alternativa, Teratitan potrebbe essere ovoviviparo (e partenogenetico), quindi trattenere le uova dentro l'ovidutto per poi generare prole viva che si allontanerebbe immediatamente dall'adulto subito dopo la nascita. Un Teratitan di 600 tonnellate potrebbe produrre migliaia di piccoli all'anno, ognuno del peso di una decina di chilogrammi: una simile strategia riproduttiva, per quanto raccapricciante, potrebbe funzionare in termini brutalmente darwiniani? In fondo, è così che si riproducono alberi, coralli e altri organismi poco mobili, generando un numero astronomico di piccolissimi discendenti mobili.

In alternativa, è possibile che Teratitan smetta di riprodursi una volta raggiunto lo stadio sessile, ovvero che la fine della mobilità corrisponda ad una "senilità sterile": l'animale si riprodurrebbe solo nell'età giovane (quando è grande come un "classico" sauropode gigante) e da adulto maturo si limiterebbe a mangiare e crescere di dimensioni. Dal punto di vista darwiniano, una simile strategia sarebbe evolutivamente fallimentare, dato che, a parità di energie riproduttive consumate, un sauropode che muore da giovane avrebbe un successo riproduttivo uguale a quello di un animale longevo: a quel punto, sarebbero selezionati individui che si riproducono nell'età giovanile e poi muoiono, rispetto ad individui che continuano a vivere e crescere, divenendo immobili ma senza più riprodursi. Pertanto, ho il sospetto che una strategia biologica da "gigante immobile", prima ancora che risultare raccapricciante in termini di produzione di escrementi e tecniche di caccia "da pianta carnivora" sarebbe fallimentare per questioni più squisitamente microevolutive: tutte le soluzioni adattative spese per mantenere in vita un adulto sterile sono alla lunga sfavorite rispetto a qualsiasi alternativa che aumenti il tasso di riproduzione nelle fasi giovanili mobili e feconde.

In conclusione, forse, più che i vincoli biomeccanici (che sono di solito invocati in questo tipo di discorsi teorici) sono le motivazioni evoluzionistiche (riproduttive e popolazionali) ad impedire il raggiungimento di dimensioni estreme (sopra le 100 tonnellate) nei sauropodi massimi.


23 gennaio 2023

Paleoarte sperimentale

La Paleoarte è l'insieme delle rappresentazioni iconografiche di specie ed ambienti del passato paleontologico. La parola unisce il termine paleo (che rimanda alla paleontologia, quindi alle scienze naturali, quantitative e sperimentali) e arte (che rimanda alla libertà creativa, all'estro e alla maestria dell'esecuzione). 

Le opere di paleoarte sono per me tutte, ed in particolare lo sono quelle realizzate da artisti dall'indiscutibile talento esecutivo, fonte di frustrazione, perché non avremo mai modo di verificare se ciò che hanno rappresentato sia effettivamente una fedele ricostruzione dei soggetti paleontologici.

Qualcuno dirà che comunque la paleontologia sta facendo progressi enormi nell'analisi e interpretazione dei fossili, e che mai come oggi abbiamo un'immagine scientificamente solida delle specie fossili. Sì, è vero, i progressi della paleontologia hanno fornito informazioni che fino a pochi anni fa parevano impossibili da determinare, come la presenza di piumaggio e la stima di alcune (ma non tutte!) le tonalità della pelle di alcune specie, e questo ha permesso ai paleoartisti di raffinare le loro opere, e di aggiungere elementi di "solida oggettività" a dettagli che prima parevano condannati in eterno al puro estro soggettivo dell'artista. Ma ciò non cambia la sostanza: la grande maggioranza dei dettagli di un animale estinto è andata perduta, e noi non potremo mai sapere se e quanto le nostre rappresentazioni si avvicinino all'originale vissuto milioni di anni fa.

Non disponendo di una macchina del tempo, non possiamo andare nel Mesozoico per verificare se il dinosauro da noi illustrato fosse effettivamente con quella postura, con quel tegumento, con quel colore, con quella corporatura, né se il suo occhio fosse acceso, oppure spento, vivo, oppure apatico, freddo, oppure emotivo, feroce oppure ottuso, né possiamo sapere se e come correggere errori che se fossero commessi nell'illustrare un animale vivente considereremmo piuttosto grossolani.

Per un ricercatore con una formazione scientifica come me, questo elemento di "non testabilità" della paleoarte è molto frustrante, specialmente nei casi di opere molto ben eseguite, così dette "accurate" e accattivanti da illuderci di essere "reali". Mi domando, quanto è effettivamente realistica una rappresentazione "iper-realistica"? Esiste un modo per testare il grado di "affidabilità" di una ricostruzione paleoartistica se non abbiamo modo di osservare l'oggetto della rappresentazione?

Ripeto, dal mio punto di vista, tutto questo è molto frustrante. E proprio riflettendo su quello che appare come un limite invalicabile e insuperabile della paleoarte mi sono domandato se sia possibile simulare la paleoarte in modo da "testarne" l'accuratezza in modo indiretto. Ovvero, mi sono chiesto se esista un modo per testare la capacità predittiva e la potenziale accuratezza della paleoarte, un modo che ci permetta di confrontare la ricostruzione con l'oggetto della ricostruzione. Badate bene, questa non è solo una domanda astratta e teorica, perché qualora fosse possibile realizzare questo tipo di "test", ne ricaveremmo un utile strumento per identificare i nostri limiti e per correggere eventuali errori ricorrenti.

Alla fine di questa riflessione, ho realizzato che un modo per testare la paleoarte esiste, ed è molto meno astratto e astruso di quanto si possa pensare: molto semplicemente, se applicassimo l'approccio paleoartistico ad uno scheletro di animale ancora esistente, senza conoscere le fattezze "in vita" dell'animale, avremmo simulato la tecnica paleoartistica e la nostra "qualità paleoartistica" su un soggetto biologico reale, quindi verificabile.

Non potendo chiedere a colleghi paleoartisti di sprecare il loro tempo nello svolgere un simile test, ho deciso di "testarlo" su me stesso. Ovvero, usando me stesso come "cavia paleoartistica" (pur non essendo io un vero paleoartista) ho scelto tre crani di tetrapodi viventi, da un archivio online, senza verificare a quale specie appartengano né cercando foto delle specie in vita. Partendo da queste tre foto di crani, e niente altro, ho realizzato tre ricostruzioni "pseudo-paleoartistiche" di queste specie. Ripeto: mentre realizzavo le ricostruzioni non avevo la minima idea a quali animali le specie appartenessero. Sì, ho colto a grandi linee i gruppi di appartenenza, ma non sono in grado di risalire alle loro specie (cosa che, sospetto, sia competenza solo degli zoologi specializzati proprio su quelle specie). 

Infine, una volta realizzate le "ricostruzioni", ho controllato a quale specie appartenevano i tre crani e ho confrontato le mie opere con le immagini reali di questi animali.

Questi sono i tre crani:

Tre crani di tetrapodi "misteriosi": quale era il loro aspetto in vita? (fonte: Digimorph)


Ecco i risultati:

Il primo cranio appartiene ad uno squamato, Pogona vitticeps


Notare che nella mia ricostruzione ho sottostimato le dimensioni di narice e meato auricolare, e non abbia considerato la possibilità che la pelle fosse "spinosa", mentre ho speculato una colorazione più vistosa di quella reale.


Il secondo appartiene ad un anfibio ceciliano, Typhonectes natans:


Qui devo lamentarmi solo con me stesso, perché pur avendo riconosciuto che l'animale avesse occhi ridotti (come tutti i ceciliani) ho voluto dargli un occhio "funzionale" a differenza dell'occhio vestigiale dell'animale reale. Anche la pelle appare più "rettiliana" che da anfibio. In complesso, ho dato all'animale un aspetto troppo da serpente e poco da anfibio.


Il terzo appartiene ad uno squamato, Rhacodactylus auricolatus:


In questo caso, ho sottostimato le dimensioni del bulbo oculare (e non ho considerato la possibilità di una pupilla verticale), ho immaginato una qualche ornamentazione nasale, ma non ho immaginato le creste della zona postorbitale che danno alla specie il nome "auricolatus", ed ho immaginato una sacca golare inesistente. Come nel primo squamato, ho sottostimato le dimensioni del meato acustico. Notare che anche questo, come l'altro squamato, ha una geometria delle squame differente rispetto all'originale.


Che conclusioni trarne? Mi pare presto per trarre conclusioni. Il numero di "test" è troppo piccolo per fare delle generalizzazioni, ed inoltre tutte le opere sono state realizzate dalla stessa persona (il sottoscritto) quindi non è chiaro quanto di questi risultati sia manifestazione di "bias" personali tipici di Andrea Cau e quanto sia invece una genuina tendenza generale della paleoarte attuale. Ad esempio, la ricostruzione dell'anfibio potrebbe essere in parte "viziata" dal fatto che io non sono abituato a ricostruire anfibi, e quindi tendo più o meno consciamente a "rettilizzare" ogni specie. Cosa sarebbe successo se il test fosse stato svolto da altri?

Sarebbe molto interessante avere altri test, realizzati da altri autori (sia paleoartisti professionisti che non) così da avere un qualche campione diffuso da cui poter ricavare qualche informazione interessante.

Se qualcuno vuole cimentarsi, è benvenuto: vi basta ripetere l'esperimento su voi stessi, ovviamente usando crani di altre specie (e comunque, specie che non possiate associare immediatamente ad un aspetto in vita, altrimenti il risultato sarebbe falsato). L'importante è non barare, non è una gara a chi ricostruisce in modo più corretto, ma piuttosto un modo per individuare eventuali bias ricorrenti nelle nostre rappresentazioni.

20 gennaio 2023

MAKE ORNITHISCHIANS TERRIBLE LIZARDS AGAIN

Parasaurolophus e Triceratops: non come giocattoli pucciosi, ma come Lucertole Terribilmente Grandi


Dinosauria è il Clade che amo. Lì ho le mie pubblicazioni, le mie ricerche, i miei orizzonti. Lì ho imparato, dallo studio e dalla vita, il mio mestiere di paleontologo. Lì ho appreso la passione per il metodo scientifico.

Ho scelto di scendere nel campo paleoartistico e di occuparmi della ricostruzione dei dinosauri perché non voglio vedere una Paleoarte demagogica, soggetta ad interessi economici e ad autori legati a doppio filo con un filone scientificamente e artisticamente fallimentare.

Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho fondato oggi stesso un Movimento dedicato a combattere nel nome della Scienza la Mistificazione.

Dedico dunque il mio ruolo di blogger e di paleontologo per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.

So quel che non voglio e, insieme con i molti appassionati che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze scientifiche e paleoartistiche che sentono il dovere morale di offrire alla Paleontologia una alternativa credibile alla propaganda dei dinomaniaci e dei jurassicparkiani.

La vecchia generazione paleontologica degli anni '70 e '80 è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L'autoaffondamento delle loro iconografie, schiacciate dal peso delle evidenze e da nuovi metodi di analisi, lascia la Paleontologia impreparata e incerta nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a un nuovo Paradigma. Mai come in questo momento la Paleoarte, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare il Sistema.

Il rinnovamento paleoartistico dell'ultimo decennio ha condotto alla scelta di un nuovo sistema di rappresentazione delle specie estinte. Ma affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che al cartello jurassicparkiano si opponga un Movimento che sia capace di attrarre a sé il meglio di una comunità audace, ragionevole, moderna.

Di questo Rinnovamento delle Paleoarte dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali della scienza paleontologica, a partire da quel caposaldo irrinunciabile che è l'Anatomia Comparata, che ha solidamente contribuito alla Gloriosa Prima Età dell'Oro della Paleontologia nell'Ottocento. L'importante è saper proporre anche agli appassionati del Ventunesimo Secolo gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno consentito lo sviluppo della paleoarte prima della degenerazione commerciale.

Quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuna delle iconografie plagiate dalla moda pucciosa e giocattolesca, per quanto riverniciate e riciclate. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe fare eccezione proprio la Nuova Paleoarte. Gli orfani e i nostalgici degli anni '80 e '90, infatti, non sono soltanto impreparati alla gestione della Paleontologia. Portano con sé anche un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con le esigenze di una iconografia che voglia essere accurata in paleontologia e rigorosa in esecuzione.

Le schiere dinomaniacali pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate accurate. Ma non è vero. I loro autori sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nella Scienza, non credono nella ripetibilità dei risultati, non credono nella Documentazione Fossile, non credono nella testabilità degli scenari. Non credono che il paradigma possa migliorare attraverso l'apporto libero di tante personalità tutte diverse l'una dall'altra.

Non sono cambiati. Ascoltateli parlare, guardate i loro video, leggete la loro propaganda. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare la Paleontologia in una piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna.

Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nella Scienza, nella Paleontologia, nella Qualità, nella Coerenza, figlia della formazione e dell'ingegno.

Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo Movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi - ora, subito, prima che sia troppo tardi - è perché sogno, a occhi bene aperti, una Paleoarte Nuova, di paleoartiste e di paleoartisti, dove non ci sia la paura, dove al posto dell'invidia e della competizione stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l'amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la Scienza. I1 movimento paleoartistico che vi propongo si chiama, non a caso, Make Ornithischians Terrible Lizards Again, MOTLA.

Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di paleontologi e di artisti di tipo totalmente nuovo: non l'ennesima community o l'ennesima fazione che nascono per dividere, ma una forza che nasce invece con l'obiettivo opposto; quello di unire, per dare finalmente alla Palaeoarte una coesione e una coerenza all'altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla base di appassionati.

Ciò che vogliamo offrire è una forza paleontologica fatta di soggetti totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla paleoarte è un programma di metodologie fatto solo di principi concreti e comprensibili. Noi vogliamo rinnovare la comunità paleontologica, noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea bellezza e conoscenza, noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide scientifiche e artistiche della Paleontologia Moderna. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, in Paleontologia come in Paleoarte vogliamo un criterio e una professionalità che sappiano dare adeguata dignità al nucleo originario della nostra amata disciplina.

La storia della Paleontologia è ad una svolta. Da paleontologo, da blogger e ora da autore che scende in campo, senza nessuna timidezza ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato, vi dico che è possibile farla finita con una paleoarte di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di ciarlatanate senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di una Paleoarte più giusta, più generosa verso chi ha sete di sapere, più prospera e serena, più moderna ed efficiente protagonista nella Divulgazione e Popolarizzazione della scienza. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i paleoartisti di domani, un Nuovo Miracolo Paleoartistico.



PS: ogni riferimento a Silvio e Donald è puramente casuale.

10 gennaio 2023

Il dinosauro in sé ed il dinosauro in me

 

Tyrannosaurus Osborn 1905 sensu Osborn 1917

Il clamore mediatico sollevato dall'articolo sulla stima del numero dei neuroni telencefalici nei dinosauri è l'ennesimo episodio del "conflitto" esistente tra due diverse visioni dei dinosauri. Questo conflitto contrappone la ricerca del dinosauro in quanto tale (fossile di organismo passato) rispetto alla conferma della propria idea di dinosauro (rappresentazione di come fosse l'organismo passato). Chiamo questo conflitto il dissidio tra il dinosauro in sé ed il dinosauro in me.

Il dinosauro in sé (DIS) è, per definizione, irraggiungibile. Almeno fino alla invenzione della macchina del tempo (quindi, sospetto, mai). Anche se DIS è irraggiungibile, noi possiamo progressivamente avvicinarci a lui, ampliando e raffinando la conoscenza paleontologica. Anzi, è proprio la fiducia nell'esistenza di DIS che ci spinge a continuare la ricerca paleontologica, a migliorare i metodi di indagine, a correggere e raffinare i nostri sistemi teorici e le nostre interpretazioni. L'esistenza ed irraggiungibilità di DIS è anche il motivo per cui non ha senso affezionarsi troppo a questa o quella ipotesi, rappresentazione o concezione legata ai dinosauri, perché esse sono sempre e comunque parziali, incomplete e provvisorie. 

Il dinosauro in me (DIM) è l'idea di dinosauro che ognuno di noi ha nella propria testa. Di fatto, DIM è il dinosauro con cui noi effettivamente facciamo interazione. DIM è il prodotto della nostra particolare conoscenza paleontologica, ma è anche figlio del tempo e del sistema culturale a cui facciamo riferimento per ricostruire ed interpretare la documentazione fossile e la produzione scientifica. DIM è pertanto una creatura mentale e virtuale, non necessariamente legata alla particolare traiettoria che stiamo seguendo in direzione di DIS.

In quanto paleontologo che studia i dinosauri, mi sforzo continuamente di ignorare DIM per puntare unicamente a DIS. Questo perché DIM è, in misura difficilmente determinabile, anche figlio delle particolari inclinazioni della persona in cui si sviluppa. I "bias" di varia natura, sia culturali che personali, incidono nella costruzione di DIM, e non sempre è possibile identificare e distinguere ciò che è allineato alla traiettoria verso DIS da ciò che invece è "extrascientifico". 

Ad esempio, l'attenzione (spesso eccessiva, almeno dal mio punto di vista) verso certi elementi delle ricostruzioni paleoartistiche è sovente una manifestazione del DIM e non è legata alla tensione verso il DIS. Tale attenzione (che non sto qui giudicando, ma solamente riportando) verso dettagli del DIM spesso distoglie l'attenzione dal DIS, dirottando tempo ed energie utili su questioni che non hanno un reale significato paleontologico ma sono, piuttosto, le espressioni della particolare cornice culturale dentro la quale si è costruito il proprio concetto di dinosauro.

Il mio timore è che molti non siano affatto consapevoli della distinzione tra DIS e DIM, e confondano la ricerca del DIS con il consolidare il proprio DIM. Mi domando se e quanto certi "appassionati" continuerebbero ad appassionarsi di paleontologia dei dinosauri se nuove scoperte ci rivelassero che il DIS non può essere in alcun modo il DIM a cui sono legati. Quanto si è disposti a rivedere e persino abbandonare il DIM? Le vecchie (e nuove) bufere online su come ricostruire il piumaggio, le labbra, oppure a collocare filogeneticamente certi cladi, oppure a come interpretare comportamento e metabolismo nei dinosauri, sono la prova che il DIM è molto potente e che spesso è difficile metterlo in discussione o abbandonarlo, persino quando le evidenze scientifiche ci impongono di farlo.

Non voglio sembrare ipocrita: anche io ho un DIM, anche io ho una concezione particolare a cui faccio riferimento, ed anche io potrei essere restio a rivedere il DIM alla luce di nuove scoperte inattese o persino antitetiche al sistema teorico che seguo nei miei studi. Tutti abbiamo un DIM, e nessuno è immune dal suo fascino. L'importante è l'essere consapevoli che il DIM esiste e che, al tempo stesso, è distinto dal DIS. L'importante è essere sempre consapevoli che il DIS è più importante del DIM. Per questo motivo, ho scritto sopra che mi sforzo continuamente di ignorare DIM per puntare unicamente a DIS: non per snobismo o elitismo verso questa o quella idea di DIM, ma proprio perché riconosco che il DIM esiste e non necessariamente è ispirato dalla spinta al DIS, riconosco che la sua attrattiva è potente, e sono consapevole che esso può andare persino contro quello che è il vero obiettivo della paleontologia dei dinosauri: la ricerca del DIS.


07 gennaio 2023

Il dinosauro più intelligente del Mesozoico (senza bisogno del dinosauroide)

Dale Russell era del tutto fuori strada? La realtà supera la fantasia?


Quale era il dinosauro "più intelligente"? No, non è Troodon. E non è nemmeno il famigerato dinosauroide di Russell! Possibile che abbiamo sbagliato tutto nel dibattito sull'intelligenza nei dinosauri? Possibile che la risposta sia altrove, e sia forse persino più esaltante del fantasioso dino-umanoide che ricorre ogni volta che si parla di dinosauri con capacità cognitive sofisticate? 

Parlo di una specie vera, ma che non avreste mai immaginato sotto questa luce.

Ma andiamo per gradi.

Nel mio podcast di ieri, ho commentato lo studio di Herculano-Houzel (2023), nel quale l'autrice propone un nuovo metodo per stimare la densità ed il numero dei neuroni telencefalici nei dinosauri mesozoici, neuroni che, nelle specie dotate di grande cervello (e una peculiare organizzazione del cervello) sono di fatto i responsabili delle capacità cognitive di un animale.

L'autrice mostra che nei theropodi mesozoici il rapporto massa (stimata) del cervello e massa (stimata) del corpo segua il medesimo andamento che si osserva nelle specie di aviani moderni più basali (come galliformi e ratiti), e che da ciò sia possibile calcolare il numero di neuroni telencefalici. In base a questa stima, Tyrannosaurus risulterebbe possedere più di 3 miliardi di neuroni telencefalici, ovvero lo stesso ordine di grandezza di un babbuino. Dato che, sostiene Herculano-Houzel (2023), il numero dei neuroni telencefalici è il vero indicatore delle prestazioni cerebrali (e non la sua relazione con la massa totale dell'animale), l'autrice suggerisce la sconvolgente possibilità che i grandi theropodi, in virtù del loro numero relativamente elevato di neuroni telencefalici, possano aver avuto una "intelligenza" simile a quella dei mammiferi e degli uccelli più "smart".

Immaginare Tyrannosaurus come dotato di un'intelligenza corvina è sicuramente accattivante e sono sicuro sarà il nuovo dogma dei dinomaniaci, ma io continuo a ragionare da paleontologo il più possibile ancorato al terreno e non mi limito a considerare l'intelligenza di un animale solamente in base al numero dei neuroni calcolati. Il numero è importante ma conta anche come sono organizzati tali neuroni.

Come ho commentato nel podcast, anche ammettendo che i calcoli di Herculano-Houzel (2023) siano validi, ciò non implica automaticamente che il gran numero di neuroni telencefalici di Tyrannosaurus fosse usato per elaborare concetti e comportamenti sofisticati. Il neurocranio di Tyrannosaurus ha una organizzazione generale che ricorda molto quello dei coccodrilli, e poco quello degli animali "più intelligenti", come corvi e scimmie. La regione telencefalica è tubolare e ospita un enorme bulbo olfattorio, e non appare riorganizzata per elaborare informazioni più astratte dei classici segnali odorosi. Pertanto, aver calcolato un enorme numero di neuroni telencefalici in Tyrannosaurus conferma la sua eccezionale acutezza olfattiva (già ipotizzata da studi neurologici precedenti) ma non implica alcuna sofisticazione intellettiva.

Modelli digitali della regione endocranica in Majungasaurus (A), Allosaurus (B), Tyrannosaurus (C), Struthiomimus (D), Deinonychus (E), Archaeopteryx (F): notare che la forma della regione telencefalica (indicata con "cer") diventa sempre meno "rettiliana" e tubolare ed assume una forma più globosa e "aviana" tanto più ci avviciniamo filogeneticamente ad Aves. Tyrannosaurus non mostra un telencefalo particolarmente "aviano" e probabilmente aveva solo un enorme sistema di elaborazione del segnale olfattivo "da rettile", ma nessuna speciale sofisticazione cognitiva. Immagine da Witmer e Ridgely (2009).


Ciò significa che, probabilmente, il numero elevato di neuroni telencefalici in queste specie era principalmente legato alle loro specializzazioni sensoriali, in particolare quelle legate al senso dell'olfatto, come accade nella maggioranza dei vertebrati (il telencefalo ospita in origine il sistema olfattivo, e solo in certi gruppi evolve come organo "cognitivo superiore"), ma non implica automaticamente una sofisticazione cognitiva.

Questo significa che lo studio di Herculano-Houzel (2023) è completamente sbagliato? Forse no. Come l'autrice stessa sottolinea nella sua analisi dei dati, non è corretto assumere una singola "traiettoria" cerebrale nei dinosauri: ci sono taxa con cervelli più "rettiliani" e ci sono taxa con cervelli più "aviani", e questo sicuramente si rifletteva anche nelle modalità di processamento delle informazioni. L'autrice ha portato un contributo interessante per capire l'intelligenza dei dinosauri perché ha mostrato che oltre alla organizzazione generale del cervello esisteva anche un secondo fattore che poteva incidere sull'intelligenza dell'animale: le dimensioni assolute del cervello (ovvero, il numero totale di neuroni). Ovvero, a parità di organizzazione generale, il cervello di un dinosauro gigante era "più intelligente" di quello di un dinosauro dello stesso gruppo ma di dimensioni totali inferiori. Questo risultato è analogo a quanto osserviamo negli elefanti, la cui intelligenza è anche legata alle dimensioni assolute dei loro grandi cervelli, nonostante che essi non appartengano ai gruppi di mammiferi con specializzazioni cerebrali superiori (come cetacei e primati).

Pertanto, se volessimo cercare il "dinosauro più intelligente", dovremmo cercarlo tra quelli con l'organizzazione cerebrale più simile a quella aviana ed al tempo stesso aventi le dimensioni assolute maggiori. Ovvero, è nei maniraptoriformi giganti che forse possiamo incontrare qualche dinosauro con capacità cognitive superiori (per la media dei rettili).

Usando i dati presenti in Herculano-Houzel (2023) ho quindi calcolato la relazione tra massa del cervello e massa del corpo nei maniraptoformi (i theropodi con i cervelli più simili a quelli aviani) e usando questa relazione ho calcolato il numero di neuroni telencefalici in Gigantoraptor ed in Deinocheirus: il primo risulta avere 2 miliardi e 700 milioni di neuroni telencefalici, più o meno quanto un babbuino, mentre il secondo risulta averne 3 miliardi e 800 milioni, un valore persino superiore a quelli stimati per Tyrannosaurus, ma con la differenza che in questo caso la componente telencefalica non appare esclusivamente specializzata per l'elaborazione del segnale olfattorio, e potrebbe quindi essere stata deputata anche ad elaborare una qualche forma di "intelligenza".

Se prendiamo queste stime come buone, e assumiamo che il telencefalo dei maniraptoriformi non fosse "rettiliano" come quello di Tyrannosaurus, allora, forse, e lo dico con tutte le virgolette possibili, forse i maniraptori giganti, endotermici, dotati di lunghi arti anteriori, come Deinocheirus e Gigantoraptor, potrebbero essere stati i dinosauri più intelligenti in assoluto. La domanda finale, ovviamente, è: erano capaci di prestazioni cerebrali complesse e sofisticate, forse comparabili a quelle delle specie più "furbe" viventi oggi? Per rispondere a questa domanda, dovremo trovare nuovi fossili, analizzare i calchi endocranici, trovare tracce di sistemi socio-famigliari complessi. Ovvero, continuare a fare ricerca paleontologica e non solo elegante speculazione matematica.

Non vi nascondo che l'idea che Deinocheirus possa essere stato "speciale" anche a livello cognitivo, elevandolo intellettualmente sopra i suoi simili, solleva delle eccitanti considerazioni sull'uso delle sua enormi mani prensili...

Bibiliografia:

Herculano-Houzel S. (2023) Theropod dinosaurs had primate-like numbers of telencephalic neurons. Journal of Comparative Neurology DOI: 10.1002/cne.25453



06 gennaio 2023

Musivavis by Loana Riboli



Apro l'anno con un bel regalo paleoartistico dell'amica Loana Riboli, amica ed illustratrice naturalistica italiana con una peculiare e mai banale produzione paleoartistica. Loana ha realizzato una ricostruzione dell'enantiornite Musivavis amabilis, specie che ho pubblicato lo scorso anno in collaborazione con Wang Xuri.

04 gennaio 2023

Le più frequenti patologie paleoartistiche dei dinosauri

"Prevenire è meglio che curare"

Questi tre anni sono stati la più esplicita dimostrazione di questa massima. La prevenzione si realizza in primo luogo con l'informazione e la consapevolezza. Perché spesso sono comportamenti inconsapevoli, fatti in buona fede e senza alcuna intenzione di diffondere una epidemia, che purtroppo finiscono per fare il gioco del virus.

Apro il 2023 con un post dedicato ad una serie di luoghi comuni iconografici più o meno ripetuti in modo acritico nelle illustrazioni paleontologiche, in particolare relative ai dinosauri. Lo scopo è di dare al lettore una dose di anticorpi per difenderlo dalla quotidiana esposizione ai virus della iconografia pacchiana.

CELLOFANITE

La prima e più nota patologia paleoartistica è la cellofanite, nota in inglese col termine di "shrink-wrapping". La cellofanite consiste nel ridurre al massimo (letteralmente, all'osso) la parte molle dell'animale, che viene rappresentato in forme che rasentano l'apologia dell'anoressia.

La ricostruzione affetta da cellofanite si riconosce per le forme molto affusolate dell'animale, per l'ostentazione di non-ben-specificati fasci muscolari sottocutanei, spesso più o meno appressati alle sottostanti parti scheletriche. La cellofanite ha una causa storica, dato che è una infiammazione cronica del Rinascimento dei Dinosauri insorto negli anni 70. L'eccessiva ossessione nel riprodurre dinosauri dinamici e energeticamente esuberanti ha prodotto fisionomie ed iconografie grottescamente asciutte e fibrose.


SCHELELATRIA

In parte simile alla cellofanite, è un'altra patologia detta schelelatria. Questa è una forma di ansia da prestazione che porta l'artista a mostrare implicitamente la sottostante base scheletrica dalla quale è partito per la ricostruzione. Il motivo di tale ostentazione, del tutto immotivato, è l'idea che se si palesa lo scheletro di riferimento si dimostra di essere un paleoartista scientificamente accurato. La schelelatria quindi è ossessionata dal mostrare il margine osseo di finestre del cranio, di fosse sulle vertebre, l'angolo di attacco delle inserzioni muscolari, e qualsiasi dettaglio che palesi il rigore scheletrico preso come riferimento. Un tipico dinosauro affetto da schelelatria ha una vistosa ornamentazione della testa che corre proprio lungo il margine delle sottostanti finestre del cranio.


TOYPODISMO

Anche questa patologia è simile alla cellofanite, ma a differenza della schelelatria non è ossessionata dalla sottostante struttura scheletrica. Il toypodismo è la patologia che porta la ricostruzione delle zampe ad essere sostanzialmente un diagramma per la realizzazione di un giocattolo snodabile. La spalle mostrano giunzioni per l'aggancio delle braccia, e le cosce sono bordate completamente dal punto di inserimento al corpo. Gomiti e ginocchia sono nodosi come se dovessero occultare gli snodi di un giocattolo. Il toypodismo è il frutto di una carenza di osservazione zoologica ed è legato ad una dieta eccessivamente ricca di modellismo, che porta l'autore a credere che un animale sia un oggetto rigido e modulare, possibilmente di plastica. 




PUBITANESIMO

Affine al toypodismo, poiché prodotta da una eccessiva dose di modellini e giocattoli per bambini prodotti in un'età bigotta fino al ridicolo, è un'altra patologia, più difficile da cogliere ma non per questo meno diffusa: il pubitanesimo. Il pubitanesimo colpisce prettamente i dinosauri e non altri gruppi fossili (ad eccezione, forse, di alcuni pseudosuchi) poiché è una patologia specifica delle specie con ossa pubiche molto allungate e dotate di espansioni distali. Questa patologia porta l'autore (o i suoi committenti) a "censurare" la regione addominale a ridosso dell'estremità del pube. Questa assurda patologia è tutta figlia di logiche di mercato e da paranoie tipiche di questo secolo. L'assurdità di "censurare" l'addome di un animale è accentuata dal fatto che la regione distale del pube non è la zona genitale: come tutti i rettili, difatti, i dinosauri avevano la cloaca e non portavano genitali esterni (o, anche qualora li avessero, sicuramente non erano a livello della parte terminale dell'osso pubico). Inizialmente, il pubitanesimo era una patologia secondaria indotta dal cellofanismo, per poi evolvere a condizione autonoma.


GEOPENTRISMO

Il geopentrismo è un'altra patologia derivata da una infiammazione cronica del Rinascimento dei Dinosauri. Si ritiene che sia causata da patogeni simili a quelli della schelelatria. Il geopentrismo è una forma di ansia patologia che colpisce l'autore dell'opera. Tale ansia impone di mantenersi rigorosamente fedeli ad una concezione della coda il più possibile allineata con uno dei grandi risultati del Rinascimento Dinosauriano, ovvero la postura semi-orizzontale della base della coda, che non era usata come appoggio nella postura bipede. Il geopentrismo, in quanto infiammazione parossistica di una condizione sana, estremizza all'intera coda questa interpretazione e si manifesta con l'impossibilità di toccare il terreno, pena - evidentemente - la morte professionale dell'autore. Il risultato sono posture alquanto ridicole, in cui persino la parte terminale della frustra di una coda di diplodocide, lunga una dozzina di metri, è incapace di avvicinarsi al suolo, quasi che emani un campo antigravitazionale. 


COELOPALATO

Il coelopalato è una patologia che colpisce la zona orale dei rettili fossili, e si ritiene sia provocata da una scarsa premura di comprendere l'interno della bocca di questi animali. Si tratta quindi di una malattia prodotta da una dieta povera di anatomia, e deriva da una assuefazione alla vista laterale dello scheletro (è quindi, spesso, una conseguenza di forme croniche di schelelatria). Conseguenza del coelopalato sono bocche internamente vuote e cavernose del tutto prive di elementi palatali, enormi grotte cave, spesso buie peste nonostante l'animale sia illustrato in pieno giorno.



ENDOFTALMO

L'endoftalmo, detto anche "Morbo di Rexy", è la tendenza a ricostruire la testa dell'animale in modo da accentuare l'incavo della cavità orbitale. Questo morbo si manifesta inoltre con opportuni accorgimenti di colorazione e di chiaro-scuro, volti ad accentuare la profondità della cavità oculare. Questa patologia deriva da una dismorfofobia scatenata da esigenze cinematografiche, che porta l'autore a temere che bulbi oculari troppo esposti sulla testa non rendano l'animale sufficientemente "figo", pauroso, spaventoso e aggressivo. La patologia è accentuata dal fatto che l'animale in cui questa patologia si è manifestata più esplicitamente, il T-rex di Jurassic Park, è una specie dotata di rilievi e mensole sopraorbitali, che in qualche modo esaltano tale aspetto: ciò ha generato, in modo epidemico, l'illusione che quindi il possedere bulbi oculari incassati dentro al cranio sia "la norma", nonostante che coccodrilli, uccelli, tartarughe e la maggioranza dei vertebrati dimostrino il contrario.


ETEROTOPIA OTOTEMPORALE (detta "ETOTO")

Questa patologia paleoartistica è diffusissima, e non si limita ai dinosauri. Essa si manifesta con una localizzazione eterotopica del meato acustico o, quando presente, del padiglione auricolare. In particolare, queste localizzazioni patologiche colpiscono le finestre temporali. La patologia si manifesta in due forme:

Etoto diapside, tipica dei rettili, in cui il meato acustico sbocca dalla finestra infratemporale diapside.

Etoto sinapside, tipica dei sinapsidi, in cui i meati acustici (e i padiglioni auricolari nel caso di mammaliamorfi) sono posizionati sulla finestra temporale sinapside.