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21 settembre 2023

Il colore del cielo al tempo dei dinosauri

 

Opera di Z. Burian

La paleoarte ci ha abituati a "viaggiare nel tempo", anche solo con l'immaginazione. Mondi Perduti popolati da faune grottesche ed "aliene" sono il pane quotidiano dell'appassionato fruitore di paleoarte. Tuttavia, è bene ricordare che queste opere non sono "fotografie" del passato, non sono il prodotto della osservazione diretta dell'autore, ma sono una proiezione elaborata dalla sua mente (o dalla mente dei paleontologi consultati per realizzare l'opera). Se l'artista omette un elemento della rappresentazione, tale elemento sarà assente. Se l'autore dà per scontato un certo elemento e lo include (più o meno consciamente), quell'elemento sarà presente nella iconografia del passato. Ciò implica che l'immagine che noi spettatori costruiamo nella nostra mente a partire dalla paleoarte è fortemente influenzata dalla immagine che il paleoartista (ed i paleontologi) hanno costruito nella loro testa. 

Il soggetto principale delle opere di paleoarte è quasi sempre una o più specie animali. A volte, anche la flora è protagonista e non solamente un mero sfondo nella rappresentazione. Ma cosa dire dello sfondo vero e proprio? Ovvero, come si deve rappresentare il cielo nella paleoarte? La domanda potrebbe sembrare futile, dato che il cielo del passato si presume sia lo stesso cielo di oggi. Ma non è così. L'atmosfera terrestre non è un contenitore passivo e statico, ma al contrario, è l'elemento più dinamico e variabile del "Sistema Terra", come sperimentiamo ogni giorno in cui siamo in balia del meteo.

Un elemento che diamo per scontato è il colore del cielo. Nero di notte, azzurro di giorno, grigio nelle giornate nuvolose, rosso e dorato all'alba ed al tramonto. Il colore del cielo è un effetto della combinazione di due elementi: l'inclinazione dei raggi solari rispetto al nostro occhio (ovvero, il momento della giornata in cui guardiamo il cielo) e la composizione dell'atmosfera. Un terzo elemento, il tipo di radiazione proveniente dal sole, per semplicità daremo per scontato che sia stata più o meno sempre la stessa, almeno nell'ultimo paio di miliardi di anni.

L'inclinazione dei raggi solari varia, ovviamente, nell'arco della giornata, legata alla rotazione solare. Il mezzo aereo tende sempre a diffondere la luce che lo attraversa, e questo processo di diffusione favorisce la zona di lunghezze d'onda che chiamiamo "celeste" (proprio perché dà il colore al cielo) rispetto alle altre. Ciò spiega come mai il colore "tipico" del cielo in pieno giorno sia azzurro. Quando i raggi sono relativamente bassi (come all'alba ed al tramonto), la luce solare che raggiunge i nostri occhi deve attraversare una fascia di atmosfera più spessa, e risulta maggiormente dispersa, in particolare nelle bande di colore a lunghezza d'onda maggiore (blu e viola): il risultato è un cielo che ci appare più carico nelle tonalità giallo-rossastro. 

Se il colore apparente del cielo è legato all'inclinazione dei raggi solari, può la variazione dell'asse di rotazione terrestre incidere sul colore del cielo? Il pianeta subisce delle oscillazioni nei suoi parametri orbitali che variano lievemente alla scala delle decine di migliaia di anni. Ogni 40 mila anni circa, l'asse di rotazione terrestre varia la propria inclinazione rispetto al piano dell'orbita attorno al Sole di circa un paio di gradi. Una tale variazione non incide significativamente sul colore del cielo, quindi è trascurabile.

Pertanto, alla fine, l'unico vero elemento che incide sul colore del cielo (a parte le variazioni giornaliere e legate al meteo) è la composizione dell'atmosfera.

Più densa è l'atmosfera e maggiori saranno gli attori in grado di disperdere/diffondere la luce nelle sue varie lunghezze d'onda. Non occorre che l'atmosfera sia particolarmente densa per aver un colore, come dimostra Marte, la cui atmosfera, ben più rarefatta di quella terrestre, ha comunque un colore caratteristico legato alla sua composizione. Composizione che, fondamentalmente, dipende dall'ossigeno, dal vapore acqueo e dal pulviscolo. L'azoto non è un attore rilevante in questo discorso. L'anidride carbonica è trasparente alla luce visibile, ed impatta principalmente (come ben sappiamo, ormai) sull'infrarosso (e quindi, sul calore dell'atmosfera, non sul colore).

La variazione dell'ossigeno atmosferico nel passato geologico è stimabile dall'analisi geochimica di varie rocce sedimentarie. Si ritiene che in origine, la sua abbondanza in atmosfera fosse quasi nulla, e che sia andato aumentando in particolare durante l'ultimo mezzo miliardo di anni. In questo intervallo di tempo, la variazione della concentrazione dell'ossigeno più significativa rispetto ad oggi è ipotizzata alla fine del Paleozoico, in particolare nel Carbonifero (300 milioni di anni fa), con valori di concentrazione fino ad una volta e mezzo quelli attuali. Ciò deve aver inciso in modo significativo sul colore del cielo, aumentando la dispersione delle lunghezze d'onda a vantaggio dell'azzurro (di giorno) e dei rossi (all'alba ed al tramonto). Possiamo immaginare che il cielo nel Carbonifero fosse "più azzurro" (ovvero, più saturo di tale gamma di colore) rispetto ad oggi?

Il vapore acqueo è maggiormente legato alle dinamiche climatiche e metereologiche, e quindi è ragionevole che nel passato abbia inciso sul colore del cielo alla pari di oggi, sotto forma di nubi, foschie e nebbie. Forse, durante le fasi di clima umido (come l'Evento Pluviale Carnico, a metà del Triassico Superiore), il cielo era in qualche modo più grigio e triste, più "autunnale" rispetto ad altri momenti della storia planetaria?

Un altro elemento, in parte legato indirettamente all'ossigeno, è la quantità di pulviscolo disperso in atmosfera. Un aumento del particolato difatti aumenta la dispersione della luce, a vantaggio delle tonalità giallo-rossastre. Tale aumento può essere dovuto ad attività vulcanica particolarmente intensa (ad esempio, nei periodi in cui sono attive delle Grandi Province Ignee, come i traps del Deccan di fine Cretacico) oppure come conseguenza di una elevata concentrazione di ossigeno atmosferico, che favorisce la combustione della materia organica, lo sviluppo di grandi incendi e la dispersione di fuliggine, come risulta da vari depositi sedimentari della seconda metà del Mesozoico. Durante buona parte del Cretacico, in molte zone del pianeta, la combinazione di clima relativamente arido, carico di polveri, e la maggiore frequenza degli incendi potrebbe aver prodotto un cielo più rosso-giallastro, dovuto alla maggiore sospensione di particolato?

Se combiniamo questi elementi, emerge un quadro (letteralmente) molto inquietante: i momenti della Storia della Vita durante i quali il cielo deve essere stato più meraviglioso, carico di tonalità azzurre e caratterizzato da albe e tramonti dai colori più accesi e vividi, sono probabilmente quelli durante i quali si sono svolte le maggiori estinzioni di massa.

La fine del Permiano, grazie all'elevata concentrazione dell'ossigeno e l'aumento del particolato emesso dai traps siberiani, deve essere stato un paradiso per qualunque pittore di paesaggi, ma un inferno per il resto dei viventi, sottoposti alla più grande crisi biotica del Fanerozoico. Discorso analogo per la fine del Triassico e del Cretacico, durante l'attivazione di alcune Grandi Province Ignee, ritenute causa di due tra le maggiori estinzioni di massa. 

19 settembre 2023

Il nuovo dromaeosauride gigante asiatico è un dromaeosauride gigante?

 

Il materiale descritto da Yang et al. (2023), a sinistra, confrontato con il piede di Erlikosaurus (a destra, da Barsbold e Perle, 1980).

Yang et al. (2023) descrivono due falangi di theropode dal Cretacico Superiore della Cina. Gli autori interpretano il materiale come una falange del secondo dito del piede ed un ungueale della mano, entrambi riferibili ad un eudromaeosauro gigante.

Sono molto scettico verso questa ipotesi.

Il materiale descritto dagli autori non mi ricorda i dromaeosauridi. L'unguale è troppo affilato e stretto in vista dorsale, troppo ampio alla base e poco incurvato ventralmente, ha un tubercolo flessorio basso e una marcata espansione trasversale della faccetta articolare. Inoltre, presenza un solco collaterale che si biforca prossimalmente. Tutte queste caratteristiche richiamano i therizinosauridi, non i dromaeosauridi. 

La falange non-ungueale è indistinguibile dalle falangi distali del piede dei therizinosauridi.

Pertanto, la interpretazione più parsimoniosa è che queste due falangi appartengano al piede di un therizinosauride. 



18 settembre 2023

L'eredità di Jurassic Park




In questi giorni, è il trentennale della uscita nella sale cinematografiche italiane del film “Jurassic Park”. Io sono sufficientemente vecchio per ricordare come era il mondo della paleontologia prima di Jurassic Park, poiché nel 1993 ero un adolescente appassionato di fossili e scienza, quindi il target predestinato per la “dinomania” commerciale di quegli anni. Inoltre, da metà del tempo trascorso da allora sono anche gestore di un blog che spesso ha parlato di Jurassic Park e del suo impatto mediatico, in particolare nel plasmare (o trasfigurare) concezioni paleontologiche a livello popolare.

So che molti “addetti ai lavori” nel mondo dinosaurologico hanno espresso commenti, rievocato esperienze personali, e formulato bilanci sull'eredità di Jurassic Park. In questo post, io non mi accodo al (rispettabilissimo) filone agiografico e intimista dentro cui la maggioranza delle testimonianze ha dipinto Jurassic Park come un momento di epifania personale. L'eredità di un prodotto culturale non si misura dalle singole esperienze personali (sovente sovraccariche di retorica emotiva), ma analizzando lucidamente (e distaccatamente) le ricadute a larga scala di un successo cinematografico planetario (sì, c'è anche il romanzo, ma il grosso delle ricadute mediatiche popolari è stato prodotto dal film) su una intera generazione nata e cresciuta dopo il film.

Che ci piaccia o no, Jurassic Park ha influenzato un'intera generazione. L'impatto del film non si limita alla piccola cerchia di appassionati e paleontologi, perché se così fosse non avrebbe senso rievocare tale evento mediatico 30 anni dopo. Quando dico “influenzare” intendo che per la grande maggioranza nata e cresciuta dopo il 1993, è praticamente impossibile pensare ai dinosauri “fuori” dal mondo di Jurassic Park. Sì, sono sicuro che tu che stai leggendo sei un vero appassionato di dinosauri e che penserai che questa frase non si applica a te. Tu hai sicuramente letto e studiato tanti libri di paleontologia, e forse sei persino un giovane paleontologo professionista. Ma ti sbagli a pensare che Jurassic Park non influenzi anche te. Ma prima di arrivare a te, ti ricordo che in questo contesto tu non sei “la persona media” bensì un caso eccezionale (ma che conferma la regola) che non fa testo per dedurre una tendenza generale. Nella grandissima maggioranza dei casi, quando una persona a caso è invitata a parlare di o pensare ai dinosauri, i suoi pensieri e parole sono invariabilmente filtrati ed elaborati alla luce della iconografia cinematografica spielberghiana. E da là non escono.

Oggi, è quasi impossibile pensare ai dinosauri fuori dalla logica di Jurassic Park. E persino quando si riesce a farlo, ciò avviene comunque come reazione, risposta, rigetto o riflusso dal “jurassic-park-pensiero”. Questo post ne è un esempio. Da questa prospettiva, Jurassic Park è una gigantesca gabbia concettuale, una isola per la mente, un vero parco virtuale recintato non con l'elettricità ma con potentissime icone alle quali tutti siamo assoggettati. Jurassic Park ha prodotto una iconografia che, per quanto del tutto particolare, soggettiva e ampiamente discutibile, è divenuta “oggettiva” e quindi “vera”, persino “sacra”.

La prova è data delle innumerevoli situazioni in cui mi sono trovato nelle quali ho dovuto spiegare al mio interlocutore perché “no, i dinosauri non erano come quelli di Jurassic Park” e le altrettanto numerose volte in cui la reazione dell'interlocutore a questa rivelazione è stata di costernazione, delusione, sconcerto, ostilità, fino al fanatico rifiuto. Jurassic Park ha incasellato l'immaginario paleontologico di milioni di persone, le quali non sanno nemmeno di essere ingabbiate dentro quella isola mentale. I “dinomaniaci” oggetto di tanti miei post non sono quindi dei casi patologici marginali, bensì solo la forma più estrema di un fenomeno generazionale di ampia scala, che coinvolge praticamente tutti dal 1993 ad oggi.

Prendete uno spot pubblicitario su un prodotto non legato alla paleontologia: se nello spot è incluso un dinosauro, nella maggioranza dei casi esso è ricalcato più o meno ottusamente sulla iconografia di Jurassic Park. I dinosauri “in vivo”, in quanto iconografia delle specie estinte, sono irrimediabilmente quelli di Jurassic Park, e non importa se noi quattro addetti ai lavori e voi otto appassionati conosciamo a menadito la enorme quantità di evidenze e informazioni accumulate negli ultimi 30 anni e siamo consapevoli di come queste abbiano sostanzialmente falsificato gran parte dei dettagli inclusi nelle icone di Jurassic Park: queste ultime vincono perché sono ormai profondamente innestate nella mente della collettività. E tale processo di innesto radicato è anche esso un prodotto di Jurassic Park.

Come si sono imposti i dinosauri di Spielberg (ed il film)? Mostrandosi per la prima volta al mondo come iconografia iper-realistica mediata dalle (allora nuovissime e in parte sconosciute) tecniche di grafica computerizzata: in quel modo, i dinosauri di Jurassic Park hanno sbaragliato ogni oppositore, e demolito qualsiasi altra alternativa iconografica. I dinosauri del film, “più veri del vero”, hanno sbancato ai botteghini proprio perché la loro iper-realistica rappresentazione ha facilmente superato qualunque filtro e opposizione razionale dello spettatore. Più realistici di qualunque precedente rappresentazione, quindi “reali”, quindi, veri. Imponendosi senza più opposizione, le icone del film sono divenute “La” Iconografia dei dinosauri, l'unica possibile, la sola pensabile, quindi QUELLA VERA.

Questo processo di radicamento di una sola iconografia ha progressivamente eroso ogni opposizione critica, ha annacquato e sminuito qualsivoglia richiamo alla natura virtuale e soggettiva delle rappresentazioni del film, ed ha reso difficile uscire dalla gabbia iconografica auto-alimentata dal Franchise.

Se lo spettatore medio assume senza troppa critica che una icona iper-realistica è “quella ufficiale”, e ciò viene reiterato e moltiplicato dai sequel e da tutti i prodotti più o meno accodati alla iconografia del film, alla fine non esisterà nemmeno il concetto di “alternativa” a tale iconografia. Ciò spiega lo sconcerto e l'ostilità dello spettatore medio quando gli viene rivelato che le ricostruzioni di Jurassic Park non sono solo obsolete, ma erano soggettive e arbitrarie anche nel 1993.

Ricordo quando, a cavallo dell'anno 2000, furono scoperte le piume nei dromaeosauridi, scoperta che di fatto falsifica l'iconografia del celebre raptor di Jurassic Park. Oggi a noi ciò farebbe ridere, ma 15 anni fa non erano pochi i lettori del mio blog che ostinatamente volevano auto-convincersi che la scoperta di “raptor piumati” non implicasse che quelli “squamati” siano da abbandonare. E questa inerzia nell'accettare i fatti scientifici documentati si spiega solo con la difficoltà di scardinare l'iconografia di Jurassic Park dalla mente di chi è “cresciuto” con tale impostazione. Come può una immagine “più vera che vera” essere falsa? Perché dovrei abbandonare qualcosa di così realistico e vivo solo perché qualche stupido paleontologo dice che un fossile mostra qualcosa di diverso? Sì, a ripensare a questi episodi di oltre un decennio fa, si sorride bonariamente. Ma forse quel comportamento di rifiuto delle evidenze scientifiche non è lo stesso tipo di reazione emotiva che guida in questi giorni i vari sostenitori del “T-rex senza labbra”, palese figlio di Jurassic Park? Non sto qui affrontando il dibattito sulle labbra sul piano tecnico, ma analizzo la reazione di chi, senza essere un anatomista comparato, pare comunque sentirsi legittimato a criticare delle ricerche tecniche al fine di “salvaguardare” una certa iconografia, guarda caso proprio quella di Jurassic Park. Dopo tutto, le labbra in Tyrannosaurus erano una iconografia scientificamente fondata esistente ben prima del 1993, e la rimozione delle labbra avvenuta nella ricostruzione di questo dinosauro è proprio parte della iconografia ufficiale di Jurassic Park: possibile che l'ostilità ad ammettere un “ripristino” delle labbra in questi dinosauri carnivori sia proprio legata alla difficoltà ad abbandonare l'iconografia spielberghiana?

Forse, tu che stai leggendo pensi di non rientrare tra i casi a cui ho fatto riferimento in questa analisi, perché, in fondo, tu non sei lo “spettatore medio”, non sei un passivo fruitore di icone, perché conosci la letteratura paleontologica e forse sei persino un paleontologo che fa ricerca. Non illuderti: anche tu sei ingabbiato dentro Jurassic Park!

Ti faccio una domanda a risposta secca, immediata, a cui rispondere in modo istintivo: come ti immagini un documentario sui dinosauri? Se la prima cosa che hai immaginato nella tua testa è stato qualcosa come “Prehistoric Planet” oppure “Walking with Dinosaurs”, allora sei anche tu un felice e mansueto suddito di Isla Nublar. Se la prima immagine che il tuo cervello ha prodotto alla parola “documentario” equivale ad una scena in grafica computerizzata in cui dinosauri iper-realistici interagiscono in modo (apparentemente) etologico in un contesto naturale, allora significa che nella tua testa la parola “documentario” è un sinonimo di “filmato alla Jurassic Park”. E ciò avviene solo perché Jurassic Park ha plagiato anche il tuo modo di concepire un qualunque sistema di divulgazione della paleontologia dei dinosauri.

Non si può fuggire da Jurassic Park.

Non sei ancora convinto?

Andiamo allora alla radice del problema. Domandiamoci quale sia lo scopo della paleontologia. Se la tua risposta è “ricostruire la vita e l'aspetto delle specie estinte”, stai sbagliando. Lo scopo della paleontologia è un altro, ed è interpretare la documentazione fossile. No, non sono due modi per dire la stessa cosa. C'è un baratro concettuale che li divide. Per quanto ti possa apparire assurdo, non sempre il lavoro del paleontologo ha come obiettivo quello di “ricostruire la vita del passato”. Nella maggioranza dei casi, il paleontologo cerca di capire perché un fossile esiste, e ciò spesso ha quasi nulla a che vedere con come fosse la vita dell'organismo da cui quel fossile ha tratto la propria forma biologica. Non sempre il paleontologo lavora per “riportare in vita i dinosauri” (anche solo concettualmente). Eppure, quello di “riportare in vita i dinosauri” è proprio il grande pregio di Jurassic Park. Il concetto stesso di Jurassic Park è che i dinosauri non sono estinti del tutto, ma che se si lavora sodo, i dinosauri possono tornare a vivere, anche solo come iconografie iper-realistiche. L'idea, oggi “mainstream”, di ricreare i dinosauri, anche solo virtualmente, è figlia di Jurassic Park. Prima del 1993, nessuno pensava seriamente che questo fosse un obiettivo intelligente di una persona adulta. Già il perder tempo a studiare rocce è considerato ridicolo dalla maggioranza delle persone serie, immaginatevi quello di “ridare vita” a queste rocce... Sì, so benissimo che anche prima del 1993 avevamo già i modelli anatomici, le ricostruzioni in vivo ed i paleoartisti, ma non avevano quel peso e quella rilevanza mediatica che hanno oggi. Oggi è praticamente impossibile immaginare di pubblicare una ricerca paleontologica senza corredarla di qualche “ricostruzione”. Il pubblico post-Jurassic Park la chiede, anzi, la pretende! Prima che qualche fanatico della paleoarte inizi a bestemmiare contro la mia iconoclastia (palesando la classica reazione emotiva da dinomaniaco), preciso che io qui non sto dando un giudizio morale di questo cambio di paradigma, non sto dicendo che “era meglio prima”, sto solo constatando che dopo Jurassic Park l'aspetto iconografico e “ricostruttivo” ha assunto un peso che prima non aveva. E che questo cambio di paradigma ha indebolito la paleontologia – intesa come scienza dei fossili – e rafforzato una diversa idea del paleontologo come “investigatore della vita del passato”.

Questo ultimo elemento è, però, preoccupante, perché va oltre la paleoarte e il Franchise, e ha ricadute proprio sulla ricerca paleontologica. Se nemmeno i paleontologi possono fuggire da Jurassic Park, chi potrà pensare ai dinosauri in modo “scientifico” senza essere plagiato da quel mondo, dalle sue icone, dal suo modus operandi? Quante ipotesi, scenari, modelli, approcci e interpretazioni vengono inconsciamente scartati o evitati perché in qualche modo entrano in conflitto con la paleonto-logica alla Jurassic Park? Faccio solo tre esempi. Quanti ancora non riescono a realizzare che i diversi modelli anatomico-dimensionali dei dinosauri implicano diversi sistemi biomeccanici ed etologici, e non un solo singolo ed uniforme modello ricalcato sui dinosauri del film? Quanti ancora si ostinano a pensare che i dromaeosauridi siano terribili macchine di morte, perché così li dipinge il film? Quanti ancora non riescono a immaginare modelli eco-etologici alternativi a quelli della mucca lobotomizzata quando si riferiscono ai dinosauri non-predatori?

Ritengo un ultimo il problema più impattante di Jurassic Park: se una intera generazione di paleontologi non riesce a immaginare la paleontologia dei dinosauri fuori dal mondo di Jurassic Park (non solo il mondo iconografico, ma anche quello metodologico), come possiamo essere oggettivi e distaccati analisti della documentazione fossile?

Con questa domanda irrisolta, ma che penso sia importante porsi, chiudo questa analisi.

Ci siamo tutti dentro. Che ci piaccia o no. Tutti in qualche modo siamo plagiati da Jurassic Park. Nato con l'obiettivo legittimo di fare un enorme successo al botteghino, il film di Spielberg ha demolito gran parte della concezione popolare dei dinosauri e ha imposto la propria personale e del tutto arbitraria iconografia del Mesozoico, in modi e con mezzi di tale potenza che, ancora oggi, spesso in modo non del tutto consapevole, noi dobbiamo fare i conti con tale successo. Ma, soprattutto, Jurassic Park ha eroso l'idea che la paleontologia sia una analisi scientifica della documentazione fossile, innestando in una intera generazione il feticcio che si possa “riportare in vita i dinosauri”.

No, non si può riportare in vita i dinosauri, e per quanto avvincente possa sembrare tale obiettivo se visto dal filtro del cinema, esso non è nemmeno lo scopo della paleontologia.

In quella illusione tanto falsa quanto ammaliante sta il bilancio finale sulla eredità di Jurassic Park.

14 settembre 2023

Considerazioni (poco) paleontologiche sull'alieno messicano

 

Screenshot dalla homepage del sito di uno dei principali quotidiani nazionali [la scritta in rosso è mia, ovviamente]


Sì, lo so, sono un paleontologo, quindi dovrei occuparmi di specie estinte, e non di UFO e alieni. E difatti, il post di oggi è dedicato proprio ad una specie estinta, una specie una volta diffusa su questo pianeta, e la cui scomparsa ha portato alla crisi globale in cui stiamo vivendo: il Giornalismo Serio.

C'era una volta il giornalista serio, anzi, il giornalista vero. Diciamo pure, il giornalista. Il mestiere del giornalista era di scoprire i fatti e raccontare la verità. Il giornalista vero, pilastro fondamentale dello stato di diritto in qualunque società liberale e democratica, inflessibile di fronte ai potenti, guidato solo dalla volontà di essere onesto e rigoroso di fronte ai suoi lettori.

Oggi, il giornalista serio, vero, senza aggettivi, è scomparso. Si è estinto. Al suo posto c'è il raccoglitore di like, il gretto cacciatore di sensazionalismo, il bastone da passeggio della demagogia. A questo nuovo mestierante della comunicazione, al quale fatico a dare il nome di "giornalista", non interessa la verità, non sta a cuore conoscere i fatti, né tanto meno gli importa di informare il lettore.

Un giornalista serio, di fronte alla palese buffonata che si è celebrata al Parlamento messicano, in cui è stato presentato un "alieno mummificato", avrebbe indagato per capire come sia possibile che in un parlamento nazionale ci sia spazio per una pagliacciata tanto ridicola. Invece no, il giornalista 2.0 ti sbatte la panzana in prima pagina, la correda di titolone acchiappa-like e la chiude con il virgolettato attribuito ad un "esperto" (esperto in cosa? in UFO?), un virgolettato talmente vago, banale e fuorviante da rasentare il patetico. Il giornalista vero si domanderebbe come sia possibile che una scoperta del genere - se fosse vera - sia pubblicizzata in una sede politica (il Parlamento del Messico) piuttosto che in una sede scientifica di primissimo livello, si chiederebbe (e ci imporrebbe di chiederci) come sia possibile che una tale scoperta - se fosse vera - non sia sulla copertina delle principali riviste scientifiche mondiali. 

Ma veramente, possiamo credere che la scoperta di una mummia aliena vera e genuina non sia stata contemporaneamente oggetto di un intero numero speciale delle riviste Nature e Science? Ma veramente, possiamo credere che una mummia di una specie intelligente extraterrestre non sia la scoperta scientifica del secolo, e quindi non sia presentata alla sede centrale dell'ONU in collaborazione con le maggiori università mondiali? Ma possiamo credere che, piuttosto, tale scoperta sia presentata da un perfetto sconosciuto che parla da un parlamento nazionale? Da quando un parlamento è divenuto la sede istituzionale per le scoperte scientifiche?

Inutile sottolineare che tutti gli zoologi del mondo si stanno divertendo a identificare le specie di mammifero messicane utilizzate per assemblare lo "scheletro" dell'alieno mostrato da alcune radiografie incluse nella "conferenza stampa". Inutile sottolineare che gli scienziati del Messico si stanno vergognando in tutte le sedi per il comportamento del loro parlamento che partecipa a questa pagliacciata (e noi siamo solidali con gli scienziati messicani, vittime di questa sceneggiata).

Inutile sottolineare che questa non è una "notizia" che meriterebbe una tale enfasi. Qui, di "notizia" c'è solo il fatto che un Parlamento nazionale sia stato coinvolto in una pagliacciata. Non ci sono UFO, né alieni, ma solo cialtroni e buffoni. In primo luogo, i giornalisti che non fanno il loro lavoro ma danno voce alla buffonata degna di siti internet di terzo livello.

01 settembre 2023

Billy e il Clonesauro: I Dinosauri Sono Animali da Zoo?

 

Scena da Jurassic Park (1993).

Da ormai 30 anni, l'idea di un parco-zoo popolato da dinosauri non-aviani vivi e vegeti è divenuta "mainstream", grazie ad un film talmente celebre che non occorre nemmeno menzionarne il titolo. Ed altrettanto "mainstream" è l'idea che un simile progetto sia una pazzia suicida destinata ad un tragico epilogo, con morti e distruzione. C'è persino un intero franchise dedicato a sviluppare questo concetto: un parco con dinosauri è una follia, perché i dinosauri sono impossibili da contenere in un parco, perché "LIFE FINDS A WAY (to destroy everything)". 

Chiamo questo concetto ormai popolarissimo con l'acronimo DANZA: "Dinosaurs Are Not Zoo Animals". Contrapposto a DANZA c'è il peccato originale di John Hammond, Henry Wu, Robert Muldoon e di tutti i loro emuli successivi di cui nessuno (a parte i fanboy) ricorda il nome: DAZA: "Dinosaurs are Zoo Animals".

Sappiamo tutti, dalla visione del film, che Ian Malcolm aveva sempre ragione e Hammond torto marcio: DANZA è un fatto oggettivo e inappellabile! Almeno se vivete dentro il mondo fittizio del film. Ma quale sarebbe l'esito di un simile parco, nella realtà? Ovviamente, dinosauri non-aviani e zooparchi sono due entità separate da 66 milioni di anni di storia planetaria, quindi all'atto pratico non disponiamo di una validazione oggettiva né di DANZA né di DAZA. Tuttavia, possiamo analizzare la faccenda in base a ciò che sappiamo degli zoo e dei dinosauri non-aviani, e provare a dare una risposta plausibile a questo importantissimo quesito su cui si regge un trentennio di narrativa dinomaniacale.

Partiamo dal romanzo/film "Jurassic Park". L'obiettivo degli autori del film/romanzo è sostenere DANZA, e ciò per ovvie ragioni narrative. "Jurassic Park" è una metafora del capitalismo scientifico, della manipolazione della Natura, dei rischi delle biotecnologie, e di tutta la sequela di messaggi pessimistici e antiscientifici che Crichton ha inserito in questa storia. Il parco DEVE fallire altrimenti il messaggio del romanzo non può essere esplicitato, e quindi lo stesso romanzo non avrebbe alcun senso di esistere. Sì, il romanzo è pretestuosamente costruito con l'obiettivo di far andare tutto alla malora, anche perché altrimenti non avrebbe senso mettere come voce dell'autore interna al romanzo proprio il cinico e sarcastico matematico della Teoria del Caos, Ian Malcolm. 

Eppure, ad essere sinceri, il parco non fallisce a causa dei dinosauri, non fallisce perché DANZA è una ineluttabile legge di Nature, ma fallisce a causa di banalissimi eventi legati ai rapporti umani tra alcuni dei protagonisti (in particolare, l'avidità di Hammond e la corruttibilità di Nedry). Sostituite l'odioso Hammond del romanzo con un miliardario più lungimirante e l'altrettanto odioso Nedry con un onesto lavoratore, e non ci sarebbe alcun incidente a Isla Nublar nell'Agosto del 1989 nei modi e con le conseguenze che leggiamo in quel romanzo...

Quindi, appurato che il parco fallisce per motivi umani e non a causa dei dinosauri, andiamo ad analizzare i vari espedienti nella organizzazione e gestione del parco che Crichton elabora proprio al fine di far fallire il parco.

I recinti elettrificati.

Il parco è circondato da una recinzione elettrificata in cui circola una corrente con una tensione di 10 mila volt, il cui scopo è impedire che i dinosauri evadano dalle loro aree di contenimento. Questo accorgimento del romanzo permette di far evadere gli animali semplicemente togliendo corrente alla recinzione. Ha senso usare una recinzione elettrificata (per giunta ad un voltaggio così alto) per impedire ai dinosauri di evadere? No, è solo un espediente spettacolare con cui si può far commettere il proprio crimine a Dennis Nedry semplicemente premendo un tasto del mouse. Per contenere i dinosauri basterebbe una qualunque recinzione non-elettrificata, come quelle che esistono in tutti gli zoo ed i parchi biologici al mondo. Non serve l'alta tensione per contenere un dinosauro, e ve lo spiego introducendo uno dei grafici fondamentali per capire i dinosauri, il rapporto AP, agilità-potenza.

Il rapporto AP mette in relazione l'agilità di un animale (ovvero, l'accelerazione che l'animale può raggiungere quando si muove) rispetto alla potenza che l'animale produce muovendosi. L'agilità è una funzione dell'efficienza muscolare, la quale è legata alla sezione trasversale della muscolatura coinvolta. In breve, negli animali, l'agilità tende a diminuire con l'aumento della massa, a causa di vincoli biomeccanici dovuti alla allometria del lavoro muscolare. La potenza è invece legata alla effettiva energia prodotta dai muscoli, combinata con la resistenza dello scheletro, che non deve rompersi se sottoposto a certe sollecitazioni meccaniche. In breve, la potenza muscolare aumenta con la massa dell'animale, ma anche in questo caso, essa non può andare oltre i limiti biomeccanici delle ossa.

Se confrontiamo agilità e potenza negli animali, vedremo che le specie con massa ridotta hanno maggiore agilità ma minore potenza delle specie di grande massa, e queste, viceversa, hanno minore agilità ma maggiore potenza. Gli animali con le migliori prestazioni meccaniche sono "a metà strada" nello spettro di dimensioni, poiché hanno "ancora" una discreta agilità (rispetto alle specie di grande massa) ma anche un accenno di potenza non indifferente.

Non vi serve una laurea in biomeccanica per sapere che un coniglio è più agile di un cavallo, che è più agile di una giraffa, che è più agile di un elefante, e che, allo stesso tempo, un elefante è più potente di una giraffa, che è più potente di un cavallo, che è più potente di un coniglio. Lo stesso discorso vale per i dinosauri.

Non potendo osservare i dinosauri mesozoici dal vivo, possiamo solo fare delle stime generali sulle prestazioni meccaniche delle varie specie, ma è ragionevole supporre che i dinosauri di dimensioni medio-grandi, con masse di alcune tonnellate, rientrino più nel range di prestazioni degli elefanti che in quelle dei cavalli. Un Tyrannosaurus adulto non correva come un cavallo ma probabilmente aveva la potenza muscolare simile a quella di un elefante africano adulto. I sauropodi, con masse ancora maggiori, erano quindi ancor meno agili degli elefanti, ma avevano sicuramente una potenza muscolare superiore a qualunque animale terrestre vivente.

Tradotto in un manuale di istruzioni per costruire un parco con dinosauri, questa regola generale ci dice che le recinzioni ottimali per contenere i dinosauri giganti non devono contenere l'agilità (che nelle specie giganti è scarsa) bensì la potenza. Un recinto quindi deve essere robusto, possibilmente in cemento armato, un muro piuttosto che una palizzata. Al tempo stesso, il recinto non ha bisogno di essere troppo alto, dato che, comunque, i dinosauri giganti non hanno l'agilità necessaria a scavalcarli. In conclusione, per contenere i tuoi dinosauri giganti è sufficiente un muro in cemento armato alto un paio di metri e sufficientemente spesso da non poter essere abbattuto da alcun animale (i dinosauri non sono carri armati, e come tutti gli animali non si avventano contro i muri allo scopo di demolirli). Questo muro è sicuramente più efficiente e sicuro di qualunque recinto elettrificato, e continua a funzionare anche senza corrente elettrica (alla faccia di Dennis Nedry!). Inoltre, richiede una spesa energetica infinitamente minore di quella che serve a far andare in continuazione 10 mila volt per chilometri di cavi. 

Un parco giurassico quindi ricorderebbe più un fortino che una staccionata. E Homo sapiens è un maestro nella costruzione di fortificazioni in muratura.

Inutile rimarcare che per le specie di dinosauro con dimensioni analoghe a quelle degli animali moderni che vivono negli zoo, non occorra alcun accorgimento speciale che non sia già quello di costruire un normale zoo.


La produzione di sole femmine.

L'altro espediente introdotto nel romanzo per impedire la proliferazione degli animali è la produzione di soli individui di sesso femminile. Faccio subito notare che se proprio vogliamo una popolazione che non può riprodursi è molto meglio produrla di soli maschi rispetto che di femmine, dato che i maschi non producono uova in grado di svilupparsi per partenogenesi, mentre le femmine sì (come dimostrano i casi di popolazioni, sia naturali che artificiali, di alcune specie composte da sole femmine che si riproducono partenogeneticamente e proliferano senza la presenza di maschi). Inoltre, non è detto (come si accenna nel film) che il "sesso default" nei dinosauri sia quello femminile, dato che non è noto il meccanismo di determinazione del sesso nei dinosauri non-aviani. Negli uccelli, a differenza della maggioranza degli animali (noi compresi), il sesso omogametico è quello maschile, non il femminile, ma non sappiamo se ciò valga anche per i dinosauri non-aviani. Inoltre, in vari rettili, il sesso è determinato dalla temperatura di incubazione. In breve, non sappiamo come nei dinosauri si determinasse il sesso del nascituro. Ma in ogni caso, ciò è del tutto irrilevante, dato che esiste un metodo molto più semplice e pratico per impedire la riproduzione degli animali: la sterilizzazione! Forse che per avere un gatto che non si riproduce voi chiamate in causa l'ingegneria genetica? No, lo portate dal veterinario e risolvete la questione alla radice! Un parco costato milioni di dollari e con solo qualche dozzina di dinosauri al suo interno può permettersi un paio di veterinari che praticano la sterilizzazione agli animali, specialmente se l'operazione è fatta su individui ancora giovani. Un modo pratico, veloce, sicuro, e soprattutto irreversibile, per impedire che il vostro parco divenga una bomba ecologica.


Concludendo, a differenza delle astruse contorsioni narrative con cui è necessariamente costruito Jurassic Park (contorsioni necessarie per i fini esterni alla trama, ma del tutto ridicole se viste da dentro la vicenda), uno zoo con dinosauri mesozoici sarebbe relativamente semplice da gestire, né più né meno di qualunque altro zoo contenente specie moderne. I dinosauri erano animali, non mostri atomici con pelle di adamantio, e la loro gestione in un contesto artificiale sarebbe stata né più né meno analoga a quella con cui, ogni giorno, Homo sapiens tiene sotto controllo e in condizioni sicure i milioni di animali delle centinaia di specie diverse che usa per i propri scopi.


PS: ah, sì, nel film/romanzo c'è anche la storiella dell'aminoacido lisina, la cui sintesi viene manipolata per rendere i dinosauri incapaci di produrla e quindi impossibilitati a vivere autonomamente allo stato selvatico... Quella è una scemenza senza alcun senso biologico! Ognuno di voi (me compreso) è incapace di sintetizzare la lisina, e la assume naturalmente dall'alimentazione. Se non siete morti voi, non morirebbe nemmeno un dinosauro nel parco giurassico...



25 agosto 2023

DISNEY'S HALSZKARAPTOR!

 

Schermata dell'episodio di Disney Junior con Hal l'Halszkaraptor

Che Halszkaraptor sia il dinosauro più mitico di sempre, ovvio che non posso dirlo io che a questo dinosauro ho dato il nome e ne ho studiato anatomia e paleo-ecologia. Dopo tutto, come si dice a Napoli, "ogni scarrafonyx è bello a paleontologo sojo".

Il successo mediatico di questo piccolo paraviano è sancito dalle innumerevoli comparsate in fumetti, vignette e meme, nonostante che questa specie sia stata istituita nemmeno 6 anni fa.

Io stesso uso come icona del profilo social una immagine della ricostruzione di Halszkaraptor realizzata da Lukas Panzarin, modificata con indosso un cappello da marinaio come quello di Paperino (Donald Duck).



Il legame tra Halszkaraptor e Paperino non si limita alla mia personalissima predilezione per questo "mio" dinosauro.

Matt Martyniuk mi segnala che in un episodio della serie "Disney Junior", Paperino e company incontrano un suo "antenato" preistorico, di nome "Hal". Hal ha le fattezze di un papero preistorico con lunga coda e braccia simili a pinne, ed è chiaramente una caricatura di Halszkaraptor, come confermato anche da questo sito dedicato alla Disney.

Ora sì che il mio dinosauro è QUALCUNO che conta!

19 agosto 2023

Miti e leggende sui dinosauri mesozoici: la mancanza di studi sul tegumento facciale dei dinosauri

Due testi sconosciuti di due autori di nicchia che nessuno nel mio campo ha mai letto prima d'ora...


Il principale difetto che abbiamo tutti quando siamo giovani è che pensiamo di essere i primi ad affrontare i problemi dalla vita. E tutti pensiamo che nessuno prima di noi abbia dovuto sobbarcarsi dei fardelli gravosi come i nostri.  

Ci passiamo tutti, senza esclusione. Poi si cresce. E si scopre che non siamo stati i primi (né saremo gli ultimi) a trovarci in quella situazione, e che tutti prima di noi hanno affrontato situazioni analoghe alle nostre. Non solo, spesso scopriamo che chi c'era prima di noi aveva già risolto quel nostro problema... e che se invece di piangerci addosso avessimo provato a leggere un poco la Storia, ci saremmo risparmiati una serie di inutili preoccupazioni.

Questa legge generale della vita ha una sua declinazione recente nel piccolo mondo della paleontologia dei dinosauri, una declinazione che, amplificata dalla rete, è diventata una sorta di tara esistenziale degli anni '10 e '20 del secolo XXI, specialmente per le giovani generazioni di nerd appassionati di dinosauri: la Questione delle Questioni, il Dibattito dei Dibattiti, il Problema Numero Uno della paleontologia.

Le labbra nei dinosauri.

Se provate a navigare online e fare una rapida visita ai siti di appassionati di paleontologia e paleoarte, scoprirete che la discussione sul tegumento orale dei dinosauri (in particolare, dei theropodi, in particolarissimo, di Tyrannosaurus) è diventata il problema più assillante e gravoso di tutti i tempi. Questo problema è oggetto di annosi dibattiti, in gran parte dedicati a elementi e dettagli non pertinenti la questione, dettagli spesso citati in modo acritico, denotando una scarsissima attenzione alla Anatomia Comparata ed una ancor più grave mancanza di logica. Ma non è della questione anatomica che oggi vi parlo (ne ho già parlato a sufficienza in passato). Bensì, oggi mi soffermo su un concetto che è collegato a questo dibattito, un concetto che alimenta il dibattito online e dal dibattito online trova a sua volta alimento, e che, alla pari della scarsa conoscenza della Anatomia Comparata, è figlio della generale grossolanità con cui si affrontano questi temi online.

Il concetto è il seguente:

"La questione sulla ricostruzione della regione facciale dei dinosauri è un argomento nuovo, un problema affrontato scientificamente solo negli ultimissimi anni, mai affrontato in passato dai paleontologi, e quindi solo ora, finalmente, divenuto tema di pubblicazioni paleontologiche".

Questo concetto circola nei video, nelle chat, nelle discussioni online, nelle "live", nei blog e in tutti i media dove si discute della ricostruzione facciale dei dinosauri. 

Bene, forse non lo sapete, ma quel concetto è FALSO!

Forse voi non siete informati, ma la questione sulla ricostruzione facciale dei dinosauri è un argomento che è stato affrontato in letteratura molte volte, e che ha anche una soluzione ben consolidata ormai da decenni. Peccato che chi ne parla online non sia informato su questo fatto e continui a ripetere meccanicamente il falso mito che ho riportato in grassetto qui sopra.

La ricostruzione facciale dei dinosauri è affrontata in letteratura paleontologica da decenni. Nonostante Cullen et al. (2023) sia visto da molti appassionati come il "primo" studio tecnico su questo tema, in realtà esiste una lunga serie di studi precedenti che hanno già affrontato questo tema, studi che, apparentemente, nessuno di quelli che discutono online sul tema pare aver mai letto (o anche solo sentito nominare).

Vi elenco i lavori principali, andando progressivamente indietro nel tempo.

Nabavizadeh (2018) analizza nel dettaglio la ricostruzione facciale negli ornitischi.

Delcourt (2018) discute il tegumento facciale abelisauride.

Carr et al. (2017) discute la possibilità di tegumenti facciali simili a quelli dei coccodrilli nei tyrannosauridi.

La tesi magistrale della Morhardt (2009) discute la relazione tra densità dei forami neurovascolari facciali e tegumento negli amnioti, con riferimento ai dinosauri.

Hieronymus et al. (2009), la più dettagliata analisi sui correlati osteologici del tegumento facciale nei dinosauri.

Knoll (2008) sulla ricostruzione del tegumento facciale in Lesothosaurus, analisi che smentisce l'argomentazione principale di Galton (1973).

Sampson e Witmer (2007) sul tegumento facciale in Majungasaurus.

Ford (1997) pubblica un pamphlet contro l'argomento di Bakker (1986).

Witmer (1995) solleva in modo rigoroso la questione sulla validità dell'ipotesi di Galton (1973). 

Paul (1988: "Predatory Dinosaurs of the World") a sostegno di labbra "lacertiliane" nella maggioranza dei dinosauri.

Estratto da Paul (1988).


Bakker (1986: "The Dinosaur Heresies") a sostegno di labbra "lacertiliane" nella maggioranza dei dinosauri.

Estratto da Bakker (1986).


Galton (1973) elabora l'ipotesi delle guance negli ornitischi, estendendo gli argomenti proposti fin dall'inizio del secolo da vari autori.

Brown e Schlaikjer (1940) analizzano nel dettaglio e rigettano l'ipotesi di Lull (1905) per i ceratopsi.

Lull (1905) propone che la parte posteriore della bocca nei ceratopsi fosse dotata di guance analoghe a quelle dei mammiferi.


Come vedete, la discussione sul tegumento facciale dei dinosauri è presente in letteratura da almeno 50 anni, e nel caso specifico delle guance ornitischiane risale ad oltre un secolo fa. In particolare, l'ipotesi che la maggioranza dei dinosauri abbia labbra lacertiliane è quella che trova la maggiore fondazione in letteratura, dato che è sostenuta da Bakker (1986), Paul (1988), Knoll (2007), Delcourt (2018), Nabavizadeh (2018) e Cullen et al. (2023). Le argomentazione di Ford (1997) e Carr et al. (2017) sono falsificate da Cullen et al. (2023). L'ipotesi di Galton (1973) è falsificata da Witmer (1995), Knoll (2007) e Nabavizadeh (2018).

Al di là della questione anatomica, che non è l'oggetto del post, trovo bizzarro che chi parla di questo tema online sia sovente ignorante sulla letteratura esistente, e finisca con l'alimentare il mito della mancanza di lavori scientifici su questo tema. In particolare, l'ipotesi che labbra di tipo lacertiliano siano presenti nei theropodi non è una novità di Cullen et al. (2023) dato che è già stata proposta e argomentata sia da Bakker che da Paul negli anni '80, ovvero più di trenta anni fa! E non sto parlando di oscure pubblicazioni tecniche scritte su irreperibili riviste di settore precluse agli appassionati, sto parlando di due dei più famosi libri sui dinosauri che siano mai stati scritti: "The Dinosaur Heresies" e "Predatory Dinosaurs of The World", due testi che hanno fondato gran parte delle nozioni degli appassionati degli ultimi 3 decenni! 

Quindi, mi domando, perché circola ancora questo falso mito sulla mancanza di studi tecnici? Perché si continua a dipingere il dibattito come "prematuro" quando in realtà esiste una corposa letteratura che ha analizzato il tegumento facciale dei principali gruppi di dinosauri, ed ha già discusso la questione da vari punti di vista e secondo differenti tecniche di indagine (dalla anatomia comparata per identificare i correlati osteologici alla inferenza filogenetica per definire il contesto evoluzionistico per la evoluzione di queste strutture)? Perché si dipinge la ricostruzione scientifica dei dinosauri come "ancora incerta" quando in realtà l'ipotesi che la maggioranza dei dinosauri avesse labbra "lacertiliane" è l'interpretazione più robusta e con la maggiore fondazione in letteratura tecnica? Ovvero, perché si dà una rappresentazione falsata e distorta delle conoscenze scientifiche in questo ambito?

Temo che la risposta sia duplice. Da un lato, penso (e spero) che chi parla di questi temi sia ignorante sulla letterature esistente, e quindi, ingenuamente, pensi veramente che non ci siano ancora argomenti scientifici a disposizione. Dall'altro, temo che chi parla di questi temi non abbia veramente a cuore la conoscenza paleontologica ma voglia solamente ridurre la questione ad una chiacchiera da bar in cui il "tifo" per una o l'altra ricostruzione è basato più sui propri gusti personali piuttosto che su un criterio scientifico di inferenza anatomica. 

Fintanto che si alimenta il mito della mancanza di studi tecnici sul tema, ci sarà il terreno per alimentare uno pseudo-dibattito molto fumoso e poco oggettivo, più simile al bar dello sport che ad una discussione scientifica.

17 agosto 2023

Venetoraptor e l'eredità di Cuvier

Immagine da Müller et al. 2023.


Nel Quinto Volume de La Rivoluzione Piumata, dedicato agli pterosauri, ho affrontato l'origine di Pterosauria e la controversia intorno alle varie ipotesi proposte dai paleontologi per collocare questi bizzarri animali volanti all'interno di Reptilia.

L'ipotesi più solida e analizzata è che Pterosauria sia un parente prossimo di Dinosauria e che i due gruppi formino un clade chiamato Ornithodira, all'interno di Archosauria. Analisi indipendenti di più autori, anche svolte da me, confermano questo scenario.

Sempre nel Quinto Volume de La Rivoluzione Piumata, ho dedicato un capitolo alla omologia della mano degli pterosauri, ed alla controversia sulla identificazione delle dita nella mano di questi rettili, controversia che risale alla prima metà dell'Ottocento. Gli pterosauri, difatti, hanno una mano molto modificata, che non ricade automaticamente dentro i modelli anatomici "classici" dei rettili.

Come conclusi in quel capitolo, noi accettiamo l'ipotesi che la mano tetradattila degli pterosauri sia formata dalle prima quattro dita della mano classica rettiliana, e che quindi in Pterosauria sia scomparso il quinto dito (omologo al nostro mignolo). Tale ipotesi, è bene rimarcarlo, era fondata su argomenti anatomici, ma non aveva supporti paleontologici: non esisteva una specie fossile dotata di una "mano transizionale" intermedia tra quella classica e quella pterosauriana.

Ieri, è stato pubblicato un nuovo rettile triassico che porta per la prima volta un solido sostegno paleontologico all'interpretazione classica sulla omologia della mano pterosauriana. Un nuovo fossile triassico brasiliano, Venetoraptor, conserva per la prima volta una mano quasi completa in un potenziale pterosauromorfo non-pterosauro. La mano è pentadattila, quindi ci permette di stabilire l'omologia delle quattro dita pterosauriane da un modello non ancora specializzato. I metacarpali sono progressivamente più lunghi partendo dal primo fino al quarto, e sono seguiti da un piccolo quinto metacarpale ben più gracile delle altre dita. Ovvero, Venetoraptor ha un pattern di proporzioni nei primi quattro metacarpali che rispecchia fedelmente proprio le proporzioni delle ossa metacarpali degli pterosauri triassici (nei quali i metacarpali sono propressivamente più lunghi partendo dal primo fino al quarto), seguito da un quinto metacarpale ridotto, chiaramente vestigiale. Questo significa che le quattro dita pterosauriane sono omologhe alle prime quattro dita rettiliane, che il dito alare è omologo al quarto dito (anulare) e che il dito scomparso è il quinto. Venetoraptor mostra che nei primi pterosauromorfi il quindi dito era presente ma era già in parte ridotto. 

Questo scenario conferma l'ipotesi originaria di Cuvier sulla omologia delle dita pterosauriane.


Bibliografia:

Müller, R.T., Ezcurra, M.D., Garcia, M.S. et al. New reptile shows dinosaurs and pterosaurs evolved among diverse precursors. Nature 620, 589–594 (2023). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06359-z



13 agosto 2023

Billy e il Clonesaurus - Summer Time: che specie è il Raptor di Jurassic Park?

Il modello del "raptor" di Jurassic Park, con indicate le caratteristiche diagnostiche della specie. Immagine modificata da stanwinstonschool.com

Trenta anni fa, i dromaeosauridi diventarono icone pop. Fino a quel momento, il clade Dromaeosauridae era un'oscura chicca per soli addetti ai lavori e per quella manciata di appassionati di dinosauri che avevano accesso alla letteratura paleontologica. Con Jurassic Park, questo clade diventa un'icona popolare, immediatamente trasfigurata nella versione horror che svolge il ruolo di antagonista principale nel romanzo di Crichton e nel film di Spielberg.

I raptor di Jurassic Park sono chiamati "Velociraptor". Tuttavia, qualunque dinomaniaco vi dirà che quelli del film non sono affatto dei Velociraptor, perché questo ultimo era più piccolo rispetto alla bestia che vediamo al cinema. Se poi il vostro dinomaniaco è particolarmente erudito, vi farà notare che il muso di Velociraptor è più basso ed affusolato rispetto a quello del suo alter ego cinematografico. Ma allora, che specie è quella del film?

Qui i dinomaniaci e i commentatori del film si dividono in due scuole: la scuola ortodossa deinonichiana e la scuola eterodossa mormone degli Utah(raptor). I primi, prendendo come fonte di riferimento il romanzo di Crichton, vi faranno notare che la specie del film sia chiamata "Velociraptor antirrhopus", ovvero sia niente altro che Deinonychus secondo una tassonomia idiosincratica proposta in quegli anni da Gregory Paul. I secondi, invece, meno fedeli al testo sacro dinomaniacale e rifacendosi a leggende non-canoniche che negli anni sono divenute dati di fatto, sosterranno che l'animale del film sia Utahraptor (taxon che, curiosamente, fu pubblicato una settimana dopo l'uscita del film negli USA, quindi difficilmente avrebbe potuto ispirare i realizzatori del film).

Io, che sono uno scienziato e non un credente della religione dinomaniacale, preferisco risolvere la questione in modo scientifico. Ovvero, ignorando i testi sacri e le varie scuole religiose, e andando ad analizzare l'animale in questione per determinare quale sia la sua attribuzione più corretta.

Basandomi sulle immagini del film e sui modelli realizzati per le scene con i raptor, ho potuto ricavare una dozzina di elementi anatomici che, ragionevolmente, siano presenti nello scheletro di questo dinosauro. Ciò è possibile perché il raptor di Jurassic Park è talmente anoressico che possiamo quasi intravedere la forma dello scheletro del muso e degli arti.

I caratteri in questione sono i seguenti (la numerazione si riferisce all'immagine che apre il post):

1- Margine rostrale del premascellare perpendicolare al margine orale.

2- Ramo subnariale del premascellare molto alto ma corto.

3- Fossa antorbitale estesa rostralmente (ovvero, ramo preantorbitale del mascellare molto corto).

4- Nasali che divergono posteriormente e bordano l'antorbita con delle mensole.

5- Margine rostrale del dentale che forma un angolo acuto con il margine orale.

6- Processo coronoide prominente.

7- Dentatura mascellare estesa fino alla barra lacrimale.

8- Punto di transizione posto a metà della coda.

9- Avambraccio lungo almeno quanto l'omero.

10- Terzo metacarpale robusto e non adiacente al secondo.

11- Primo metacarpale lungo metà del secondo.

12- Primo dito con 3 falangi.

13- Secondo dito del piede più corto del quarto e con ungueale falciforme.

Altri caratteri osteologici sono deducibili dalle immagini, ma non sono pertinenti per la questione tassonomica interna a Dromaeosauridae (ad esempio, l'assenza del quarto e quinto dito sono rilevanti per la collocazione in Theropoda, ma non incidono sullo status della specie). L'assenza del piumaggio è una caratteristica che non includo nella discussione, dato che l'animale è stato "ideato" prima della scoperta dei dinosauri piumati (avvenuta a metà anni '90).

Ho codificato un'unità tassonomica operativa dotata di queste caratteristiche e l'ho inclusa nella mia matrice filogenetica di Theropoda. In tutti gli alberi ottenuti, il raptor di Jurassic Park risulta sister taxon di Atrociraptor, col quale condivide la proporzione della regione preantorbitale. Quindi, né la versione canonica né l'eresia mormona hanno ragione: l'animale non è un Deinonychus né un Utahraptor. Questo risultato spiega anche come mai nel sesto episodio del Franchise ci siano degli "Atrociraptor" che sono di fatto identici al raptor dei film precedenti...


Pertanto, mi sento investito dalla missione di battezzare "formalmente" il raptor di Jurassic Park istituendo per lui il taxon Nublaraptor dinomaniacorum.



 

29 luglio 2023

All hail to the terrifying face of Turtle-rex!

 

Immaginate questa testa lunga 1 metro e mezzo, ed armata di denti grossi come banane... (fonte immagine)


Tyrannosaurus rex aveva un muso da varano, dotato di labbra squamate che coprivano la dentatura, oppure aveva un muso da coccodrillo, con i denti completamente esposti e la pelle spessamente corneificata? Questo, in estrema sintesi, è il dibattito che avvince, spesso con toni molto emotivi, gli appassionati, gli studiosi e i paleoartisti. Questo dibattito ha assunto finalmente i toni della discussione tecnica e non più solo amatoriale con la recente pubblicazione di Cullen et al. (2023), nella quale vari criteri morfologici e morfometrici sono stati combinati per discriminare la plausibilità di modelli alternativi di ricostruzione dei tessuti extra-orali nei dinosauri theropodi non-aviani. Gli autori di quello studio concludono che il modello “lacertiliano” è più plausibile di quello “coccodrilliano” per interpretare il tegumento facciale dei theropodi mesozoici.


[I fan della faccia da coccodrillo non si danno per vinti, ma io cerco di stare fuori da certe discussioni troppo sentimentali e poco scientifiche...]


Uno dei criteri utilizzati da Cullen et al. (2023) per ricostruire questi tessuti è la abbondanza, distribuzione e disposizione dei forami neurovascolari che emergono dalla superficie laterale delle ossa dermiche del muso, in particolare quelle dentigere (premascellare, mascellare e dentale). Questi forami sono lo sbocco esterno alle ossa dei canali che ospitavano sia i nervi sensoriali della regione della bocca (i rettili non hanno sbocchi dei muscoli motori in quella zona, come il nervo facciale dei mammiferi) sia i vasi sanguigni: ambo i vasi ed i nervi sono deputati a irrorare e innervare i tessuti molli che ricoprivano le ossa.


[Badate bene: in paleontologia, il termine “tessuto molle” non indica la consistenza del tessuto, ma la sua deperibilità, il fatto di non essere mineralizzato. Il tessuto corneo delle unghie, per quanto duro e resistente in vita, è comunque un “tessuto molle” perché non è mineralizzato e raramente si conserva a livello fossile. Pertanto, quando si parla di “tessuto molle” del muso di un dinosauro, ciò può indicare sia una gengiva carnosa sia un robusto becco corneo]


Tornando ai forami neurovascolari, lo studio di Cullen et al. (2023) non fornisce una misura quantitativa della abbondanza di questi forami, si limita a distinguere una condizione a “bassa densità di forami” disposti solo lungo il margine orale dell'osso (come nei lepidosauri) ed una condizione ad “alta densità di forami” disposti più abbondantemente sulla superficie delle ossa (come nei coccodrilli). Questa distinzione è intuitivamente sensata fintanto che si discriminano lepidosauri e coccodrilli, ma funziona con altri rettili? Ad esempio, molti dinosauri mostrano una densità di forami che è “intermedia” tra lepidosauri e coccodrilli: come la interpretiamo? L'ideale sarebbe di definire in modo più rigoroso e quantitativo le diverse condizioni, per stimare la robustezza statistica delle differenti attribuzioni.


Ad oggi, l'unico studio quantitativo sulla densità e abbondanza di forami neurovascolari nelle ossa facciali dei rettili è la tesi magistrale di Morhardt (2009), citata anche da Cullen et al. (2023). In quella tesi, l'autrice ha raccolto dati sul numero dei forami neurovascolari nelle ossa facciali di vari amnioti, ed ha confrontato statisticamente questi risultati con varie specie di dinosauro mesozoico. La tesi conclude che il numero di forami neurovascolari nei dinosauri è compatibile con la presenza di tessuti extra-orali, ma non entra nel dettaglio di stabilire quale modello vivente sia il più adatto per ricostruire le specie fossili.


Ho visionato i dati di Morhardt (2009). Il primo elemento da considerare è che solo una minoranza di esemplari fossili è stato visionato dal vivo, mentre la maggioranza è tratta dalla letteratura. Tuttavia, in letteratura raramente è riportato il numero dei forami neurovascolari, e quindi esso deve essere dedotto solamente dalle illustrazioni presenti: ciò però è rischioso, dato che una foto o illustrazione può sotto-rappresentare il numero effettivo dei forami (perché l'immagine non è abbastanza dettagliata, perché non tutti i lati sono visualizzati, perché la foto è illuminata male, ecc...). A conferma di questo sospetto, alcuni valori nei fossili sono alquanto anomali (c'è un ampio margine nei valori tra individuai all'interno della medesima specie), e potrebbero non essere accutati. Pertanto, è saggio escludere i valori riportati essere tratti dalla letteratura e limitarsi solo a quelli basati sull'osservazione diretta che l'autrice ha documentato su esemplari fossili.

Il campione fossile quindi si riduce a 5 taxa:

Corythosaurus, Dryosaurus, Edmontosaurus, Plateosaurus e Tyrannosaurus.


Servendomi dei dati dalle 49 specie viventi elencate in Morhardt (2009), ho svolto una analisi di discriminanza del numero dei forami neurovascolari nelle ossa premascellari, mascellari e dentali di questi cinque dinosauri per determinare a quale categoria vivente essi siano più simili. Dal campione ho rimosso i mammiferi, dato che il “premascellare” dei mammiferi theri (i soli presenti nel campione dei dati) non è omologo al premascellare dei rettili, bensì alla septomascella. Il campione così definito è stato diviso in 4 categorie viventi: “muso coccodrilliano”, “labbra lacertiliane”, “becco aviano” e “muso da tartaruga”.


L'analisi discriminante è molto accurata: il 91% delle specie viventi è stato collocato correttamente nella propria categoria. In particolare, tutti i musi coccodrilliani, tutti i musi lacertiliani e tutti i musi da tartaruga sono stati collocati nella propria categoria. Gli unici errori di identificazione sono nel campione aviano: 4 esemplari su 11 sono stati classificati come “lacertiliani”. Nondimeno, l'analisi appare molto robusta nel discriminare i musi “da lucertola” rispetto a quelli “da coccodrillo” e viceversa.


Dove si collocano le specie fossili?



Corythosaurus, Dryosaurus, Edmontosaurus, Plateosaurus risultano collocati nella categoria “muso lacertiliano”, con i primi quattro che si collocano dentro la distribuzione di questa categoria, e Plateosaurus appena fuori dalla distribuzione. Dryosaurus si colloca nella zona di intersezione tra “aviano” e “lacertiliano”. Visto il margine di errore nell'attribuzione a questa categoria, c'è quindi un 91% di probabilità che essi siano stati collocati correttamente.

Interessante constatare che gli ornitischi ed il sauropodomorfo ricadano dentro il modello lacertiliano, a conferma dei recenti studi sulla muscolatura masticatoria di questi animali che implicano labbra da squamato e non “guance” (Nabavizadeh, 2016).


E Tyrannosaurus? Esso si colloca lontano dalla distribuzione lacertiliana e aviana, ma anche distante da quella coccodrilliana: l'analisi indica che esso è classificabile dentro la categoria “muso da tartaruga”, alla quale è relativamente prossimo.

Occorre fare alcune precisazioni: il campione di tartarughe incluso nell'analisi è piccolo (3 specie), quindi è possibile che espandendo il campionamento si definisca meglio l'ampiezza della “zona tartaruga”. Dato che l'analisi ha classificato correttamente tutti i coccodrilli e tutti gli squamati, è improbabile che Tyrannosaurus sia stato collocato per errore fuori da una di queste due categorie. Ovvero, il numero di forami labiali di Tyrannosaurus NON è coccodrilliano ma non è NEMMENO lacertiliano. Come abbondanza e numero, esso appare più simile alle tartarughe, quindi, se proprio dobbiamo scegliere un modello vivente per ricostruire questo dinosauro, i forami ci dicono di prendere le tartarughe, non i varani né gli alligatori. Sì, la cosa a prima vista può sembrare inattesa, ma questi sono i dati quantitativi, su cui c'è poco da discutere. Ripeto, l'analisi discriminante ha collocato correttamente tutti i rettili non-aviani viventi nelle rispettive categorie, e nessun aviano è stato collocato erroneamente nella zona delle tartarughe, quindi perché Tyrannosaurus dovrebbe essere una eccezione?

A questo punto, sarebbe molto interessante espandere il campione di specie fossili per le quali si abbia un conteggio sicuro del numero di forami. Non voglio affrettare conclusioni definitive da questo post, ma spero che questi dati siano ampliati e tradotti in uno studio quantitativo revisionato.


Siccome siamo in un blog, possiamo anche fare qualche volo speculativo. Ammettiamo per un attimo che la conclusione di questa analisi sia corretta. In tal caso, abbiamo sbagliato tutto nel ricostruire i dinosauri carnivori? I grandi theropodi come Tyrannosaurus (e quanti altri dinosauri?) non erano analoghi né ai coccodrilli né ai varani, ma potrebbero aver sviluppato una sorta di “becco corneo” affilato ai lati della bocca, a protezione dei denti? La questione può essere analizzata funzionalmente: può “funzionare” un margine corneo esterno (analogo ad un becco) assieme alla dentatura? Certi dinosauri, come molti ornitischi e alcuni theropodi, mostrano la compresenza di un becco rostrale e denti posteriori, second una disposizione mesio-distale dei due ambiti: può quindi essere ammissibile anche una disposizione labio-linguale dei due ambiti?

Vado oltre, e mi domando: la presenza di questa corneificazione orale potrebbe spiegare il fatto che il becco si evolva così spesso in molti gruppi di theropodi?

Infine, il becco aviano potrebbe essere una evoluzione di questa struttura cornea esterna non-aviana?


Ma sopratutto, quanto è terrificante un Tyrannosaurus con il muso da tartaruga azzannatrice!


Bibliografia

Morhardt A.C., 2009. Dinosaur Smiles: Do the Texture and Morphology of the Premaxilla, Maxilla, and Dentary Bones of Sauropsids Provide Osteological Correlates for Inferring Extra-Oral Structures Reliably in Dinosaurs? (Western Illinois Univ.).


Cullen T.M., et al. 2023. Theropod dinosaur facial reconstruction and the importance of soft tissues in paleobiology. Science 379, 1348. DOI: 10.1126/science.abo7877.


Nabavizadeh A. 2016. Anatomical Records. 299, 271–294.


26 luglio 2023

Dinosauri, labbra, guance, e la sagra dell'errore



Tutti possono commettere degli errori. Sia il neofita alle prime armi che il professionista con decenni di esperienza. Questo umanissimo e democratico principio non va però stravolto né distorto per imbastire una retorica populista. Errare è umano, ma non tutti errano allo stesso modo. Difatti, ciò che distingue il neofita dal professionista non è il fatto di errare, ma il modo con cui si può sbagliare e le conseguenze di tale errore sulla persona che ha errato. Ovviamente, anche questa è una legge statistica, ma è anche un criterio con cui separare il "vero esperto" dal ciarlatano. Il vecchio motto "errare è umano, perseverare è diabolico" si applica molto bene a certi soggetti online, i quali persistono nella ottusa difesa della loro idea anche quando il mondo intero ha spiegato loro la natura del loro errore, l'insostenibilità della loro idea. Ogni riferimento ad autori di blog su "eresie pterosauriane" è ovviamente voluto.

Una delle principali differenze tra "esperto" (oppure il "professionista") e "neofita" (oppure il "ciarlatano") è che l'esperto ha maggiore probabilità di correggere autonomamente i propri errori e maggiore propensione a riconoscere di aver sbagliato rispetto al neofita, il quale, proprio perché dotato di un minore bagaglio di esperienza e competenza, può non essere in grado di analizzare criticamente la propria posizione e di rimediare ai propri errori. Poi non è detto che l'esperto abbia sempre ragione, ovviamente, ma dubito che in base a questo principio di disincantato buon senso qualcuno di noi preferirebbe farsi operare al cuore da un neofita della medicina rispetto che da un chirurgo professionista. Infine, è quasi superfluo rimarcare che il ciarlatano ha l'aggravante rispetto al neofita che sovente persevera nell'errore non per ingenuità ma per calcolo e opportunismo.

In effetti, possiamo dire che la capacità di auto-correggersi è proprio uno degli elementi che distinguono l'esperto dal neofita. Il secondo ha maggiormente bisogno di un insegnante, di un tutore, di un aiuto esterno, per rendersi conto degli errori che commette. Senza tale aiuto, è probabile che continuerà a ripetere i propri errori.

Tutti siamo neofiti, cambiano solo gli ambiti in cui lo siamo. Ma non tutti siamo esperti in qualcosa. Tutti si nasce neofiti ma per diventare esperti occorre applicarsi, lavorare sodo, fare gavetta, costruirsi un curriculum, rimboccarsi le maniche, partecipare alle gare con onestà e dedizione, ma anche commettere errori dai quali imparare e crescere. Albert Einstein definì la Costante Cosmologica il "più grande errore della sua vita", errore dal quale seppe però trarre ispirazione per ulteriori progressi nelle sue ricerche. Il tiktoker che vi vuole spiegare come funziona la cosmologia perché ha letto qualche articolo scaricato online è improbabile che si renda conto della serie di banalità che sta articolando più o meno a caso per darsi un tono di competenza.

Ci sono temi che attirano i neofiti più facilmente di altri. Potete trovare decine di video su YouTube con tizi che vi parlano delle dimensioni dell'universo, o delle dimensioni dei denti del T-rex, ma difficilmente trovate un video dove l'autore parla di come risolvere un'equazione della relatività generale fondamentale per stabilire le dimensioni dell'universo, oppure un video che discute del residuale nell'allometria delle dimensioni dei denti come criterio per discriminare partizioni ecologiche in Theropoda. Potete trovare video e post che vi spiegano perché l'autore ha capito tutto più degli altri, ma non trovare video o post in cui l'autore vi spiega perché ha cambiato idea nella valutazione di un fenomeno.

Io non ho problemi a dire che negli anni ho cambiato idea nella valutazione della popolare questione su come ricostruire il tegumento facciale nei dinosauri, in particolare nei theropodi. Ed ho cambiato idea perché nell'esporre certi argomenti negli anni passati sono stato superficiale ed ho affrontato il tema in modo ingenuo. E sono stato ingenuo perché ho parlato di quel tema senza avervi dedicato anni di lavoro e ricerca tecnica, ovvero, senza esserne un esperto. Sono stato ingenuo perché ho messo sullo stesso piano le opinioni degli esperti con quelle dei neofiti, senza ponderarne il relativo peso specifico. Io sono in primo luogo un filogenetista e studioso dell'evoluzione del piano corporeo aviano lungo Dinosauria. Il mio ambito principale è la morfologia dello scheletro ed il modo di tradurre l'informazione osteologica in segnale filogenetico. La ricostruzione delle parti molli non è il mio ambito principale di esperienza. Conosco l'anatomia comparata, ovviamente, in quanto bagaglio fondamentale del paleontologo dei vertebrati, ma non ho mai lavorato espressamente con l'anatomia comparata delle parti molli dei rettili e degli uccelli. Non ho mai lavorato su dissezioni di animali moderni, né mi occupo di analizzare elementi come il tracciato dei vasi sanguigni encefalici, l'origine ed inserzione dei muscoli del bulbo oculare, o l'embriogenesi dell'innervazione dello splancnocranio. Eppure, questi elementi anatomici relativi a parti molli di animali viventi sono fondamentali per affrontare la questione della ricostruzione delle parti molli in un dinosauro estinto. Per questo motivo, non mi occupo di pubblicare studi tecnici che discutono del tegumento facciale dei dinosauri, perché non è il mio ambito di competenza. Dubito che avrei qualcosa di significativo da dire in quel campo, a meno che non decida di specializzarmi in quella direzione e mi prenda un decennio di attività di laboratorio e di dissezione anatomica per acquisire quel minimo di competenza con cui pensare di scrivere un qualche articolo interessante sul tema. 

Temo che l'ipotetico tiktoker che vi parla di tegumento nei dinosauri non si pone questo tipo di scrupolo, e continuerà imperterrito a dire la sua in merito a qualcosa che non conosce. Che fare? Possiamo orientarci nel mare di opinioni?

Il fatto che io non abbia intenzione di specializzarmi nello studio del tegumento facciale dinosauriano non significa che non possa comunque cercare di informarmi sulla questione. E come? Semplice, andando a leggere la produzione scientifica di chi è esperto in quel campo, andando a leggere i lavori tecnici di chi in quel settore ha dedicato molti anni di studio e ha quindi maturato la necessaria competenza. In una parola, andando a leggere gli studi degli esperti.

Gli esperti di parti molli dei dinosauri ci sono. Non sono molti (già siamo pochi a studiare le ossa, figuriamoci quanto pochi siano gli esperti nella ricostruzione delle parti molli dei fossili) ma esistono, ed esiste la loro produzione scientifica e la letteratura che affronta questi temi in modo rigoroso e scientificamente attendibile.

In questo periodo, sto leggendo gli studi che analizzano la ricostruzione della muscolatura cranio-facciale dei dinosauri. Sono lavori molto complessi, perché devono in primo luogo partire dalla dissezione delle specie viventi, identificare i correlati osteologici delle parti molli, e poi definire livelli di inferenza filogenetica tra tali correlati e le parti molli perdute dei fossili. Ovviamente, avere un bagaglio di conoscenza anatomica derivante dai miei ambiti particolari di ricerca, così come l'avere una preparazione naturalistica generale di livello universitario sono fondamentali per poter affrontare questo tipo di letteratura. Non sono articoli da leggere per far conversazione al bar (a meno che non siate al bar degli anatomisti). Non illudetevi che scaricare qualche articolo partendo da zero vi permetta di farvi un'opinione ponderata. Mi spiace, ma le cose belle non sono mai facili né semplici, nemmeno per chi mastica questi temi da decenni. 

Dalla lettura ancora in corso di questi studi, sta emergendo nella mia mente un quadro sempre meglio definito. In particolare, sto riconoscendo (e quindi correggendo, almeno nella mia testa) gli errori che persistono online e che anche io avevo commesso in passato. Li posso riassumere in questi punti:

1- Non tutti gli elementi anatomici citati in passato sono pertinenti alla discussione delle parti molli della regione facciale dinosauriana. Ad esempio, l'overbite non è un elemento pertinente la questione, e citarlo è del tutto fuori luogo.

2- Non tutti gli elementi anatomici citati in passato sono pertinenti al medesimo problema. Ad esempio, la morfologia della regione subcutanea delle ossa dermiche facciali non è covariante con il pattern di neurovascolarizzazione periorale. Ovvero, ricostruire l'una non implica ricostruire l'altra.

3- L'inferenza filogenetica è sovente fraintesa, malintesa e male applicata da chi parla di questi temi online. Trovo molto istruttivo che la letteratura tecnica sul Extant Phylogenetic Bracketing (quella che in italiano chiamo sbrigativamente "inferenza filogenetica") abbia previsto più di 25 anni fa temi e problemi che oggi riempiono la bocca di molti commentatori sulla questione. Il fatto che ancora oggi si leggano (e sentano) scempiaggini su come fare inferenza filogenetica delle parti molli dimostra quanto poco approfondita sia la competenza di chi online pretende di commentare la discussione sulla ricostruzione delle parti molli nei fossili.

4- La letteratura esiste, ma molti la ignorano. Gli studi tecnici sono lunghi e complessi, perché lunga a complessa è la questione. Ma la loro complessità non è un argomento valido per ignorare l'esistenza di questi studi. Se si vuole parlare in modo serio di questi temi, è obbligatorio conoscere la letteratura prodotta su di loro. Ad esempio, nell'ultimo quindicennio sono stati pubblicati innumerevoli lavori di ottima qualità sulla ricostruzione della muscolatura masticatoria nei dinosauri. Questi studi nascono per comprendere la dinamica masticatoria dei dinosauri, quindi per meglio affrontare e capire la loro ecologia ed evoluzione, ma hanno anche implicazioni molto rilevanti per la ricostruzione di questi animali. Ovvero, non è possibile discutere di labbra e guance nei dinosauri senza sapere come si deduce il modo con cui questi animali processavano il cibo che ingerivano. Eppure, vedo innumerevoli discussioni su questi temi affrontati da persone che nemmeno sono a conoscenza della letteratura relativa. Il risultato di questa ignoranza (nel senso letterale del termine) è che circola più o meno implicitamente il falso mito che "qualsiasi opzione è valida" perché, dopo tutto, non abbiamo ancora capito come questi animali erano fatti. Oppure si persiste ad utilizzare modelli anatomici ormai obsoleti e ampiamente falsificati, che persistono come "fatti" popolari solamente perché si ignora che qualcuno li ha analizzati nel dettaglio e li ha revisionati in modo rigoroso nella letteratura tecnica.

5- Il dibattito non copre l'intero insieme dei fenomeni pertinenti. Faccio solo questo esempio, che però considero significativo. Nel dibattito che riempie le bocche ed i cuori degli appassionati, si parla molto di idratazione dello smalto e per niente di morfologia delle vie respiratorie superiori. Eppure, tutti gli animali coinvolti nella discussione hanno vie respiratorie superiori ma non tutti hanno smalto (e denti): perché mai solo uno dei due dovrebbe essere un elemento importante per la questione del tegumento orale mentre l'altro dovrebbe essere del tutto ignorato? Le vie respiratorie superiori della maggioranza dei rettili sboccano nella regione orale, quindi la loro evoluzione impatta l'evoluzione del cavo orale. Esattamente come molti ignorano l'importanza della muscolatura masticatoria nel ricostruire il tegumento facciale dei dinosauri, sospetto che molti elementi chiave del problema siano quasi del tutto ignorati e fraintesi. Questi elementi sono ignorati volontariamente (ovvero, sono ritenuti non pertinenti), oppure (come temo) si tratta dell'ulteriore esempio della sostanziale ignoranza in merito ai fondamentali, una lacuna che permea buona parte del dibattito?

6- Non tutte le opinioni pubblicate sono pertinenti. Solo perché qualcuno ha pubblicato un paragrafo di commento alla questione non implica che quel paragrafo abbia lo stesso peso del lavoro svolto da chi in quel settore studia da anni. E ciò è ancora più vero se il paragrafo in questione commette alcuni degli errori elencati nei punti precedenti. Si riconosca che il dibattito non è solo uno scontro tra opzioni di ugual peso ma in primo luogo una discussione tra diversi livelli di inferenza e profondità.

7- Ignorate le implicazioni paleoartistiche. Se vi appassionate al dibattito principalmente perché volete una qualche istruzione su come ricostruire un dinosauro, evitate di entrare nella questione paleontologica. Il motivo? State invertendo l'ordine dei fattori. Nel 99% dei casi se partite da una prospettiva prettamente paleoartistica avrete già nella vostra mente una qualche predisposizione iconografica, una qualche preferenza verso questa o quella rappresentazione. Insomma, sarete plagiati dal vostro stesso gusto artistico, e questo inciderà inconsciamente sulla vostra capacità di ponderare in modo oggettivo e razionale gli elementi del dibattito scientifico. Non è colpa vostra, è una normalissima impostazione umana. Anche io ho le mie "preferenze" paleoartistiche, ma quando discuto di questi temi anatomici faccio di tutto per censurarle e disattivarle dal mio cervello. Non si può ricostruire le parti molli di un fossile in modo obiettivo se si ha già in testa un qualche obiettivo da realizzare! Se non siete in grado di separare la questione paleoartistica da quella paleontologica, correte il rischio di distorcere la vostra capacità di giudizio paleontologico in funzione delle vostre (legittime, sacrosante, io non le metto in discussione) preferenze estetiche ed artistiche. La ricostruzione delle parti molli di un animale estinto non è argomento di estetica o di gusto personale, né di "buon senso" o di "per me era così": o si dispone di elementi scientifici oggettivi, testabili e ripetibili, oppure non si ha nulla da dire. Ed in tal caso, è saggio tacere piuttosto che inquinare il discorso scientifico con motivazioni non scientifiche nei confronti delle quali non siamo in grado di rapportarci in modo distaccato.

Ripeto, essere condizionati dai propri gusti estetici è un limite umano, e non c'è niente di male ad essere vittime di tali bias. Ma occorre riconoscerlo. Anzi, tale riconoscimento è il primo passo verso un approccio serio e razionale alla ricostruzione dell'aspetto delle nostre creature estinte preferite. La domanda in questi casi è se siamo veramente disposti ad accettare una rappresentazione paleontologica fondata su evidenze scientifiche qualora essa comporti l'abbandono della nostra iconografia preferita.

 La domanda la pongo a voi, ma anche a me stesso.