(Rough) Translator

30 aprile 2012

Alieni Triassici - Seconda Parte

Olotipi delle 4 nuove specie di conodonte emerse dall'analisi in Mazza et al. (in stampa): Carnepigondolella angulata, Epigondolella heinzi, Epigondolella miettoi e Norigondolella trinacriae.
Nel precedente post di questa serie, ho introdotto i Conodonti e la serie di eventi che mi hanno portato a collaborare con Michele Mazza e Manuel Rigo in uno studio incentrato su questi enigmatici fossili.
Per comprendere il perché un paleontologo prettamente rettiliano come me sia stato coinvolto in uno studio conodontologico, è sufficiente ricordare che l'altra mia area di interesse, oltre alla paleontologia dei rettili, è l'applicazione della sistematica filogenetica alla paleontologia. Fu per quel motivo che collaborai con Dario Soldan in ambito foraminiferologico, e fu per quel motivo che, tramite Dario, Michele mi contattò per collaborare.
L'obiettivo di Michele e Manuel era quello di "svecchiare" la metodologia con la quale, nella maggioranza dei casi, è stata affrontata l'evoluzione dei conodonti. Unito al modo per aggirare un problema insito nelle serie fossiliferi dei conodonti, che spiego sotto, Michele ritenne (ed io considero la sua intuizione molto saggia) che l'applicazione delle metodologie della sistematica filogenetica ("cladismo", per usare un termine che non amo) alla macroevoluzione dei conodonti avesse la potenzialità di fornire un criterio più oggettivo per la ricostruzione delle sequenze filetiche di questi fossili rispetto alla tradizionale combinazione di fattori morfologici e stratigrafici. Ciò è di fondamentale importanza, dato che i conodonti sono sovente dei fossili di importanza biostratigrafica, ovvero, "ci dicono" l'età di uno strato nel quale sono inclusi. 
Soffermiamoci un attimo su questo tema, che considero cruciale.
Se i conodonti sono marcatori biostratigrafici, allora sono "marcatori temporali". Ovvero, il tempo è una funzione delle specie di conodonte presenti. Cosa definisce una specie di conodonte? Tradizionalmente, la sua morfologia, ma anche la sua collocazione nella serie evolutiva. Pertanto, una sequenza evolutiva "oggettiva" darà una sequenza temporale "oggettiva", e quindi un'indicazione oggettiva del tempo geologico. Al contrario, una sequenza evolutiva "soggettiva" potrebbe essere il risultato di un ragionamento circolare (che spiego sotto), e generare un falso segnale temporale. 
Ad esempio, in questo esempio semplificato, immaginiamo di avere una serie di fossili, e di volerli usare come "marcatori" del tempo. 
Immaginiamo che io definisca 5 specie da questa serie di fossili, che formano una serie evolutiva: A→B→C→D→E. Se io definisco queste specie anche, non solo, in base alla posizione stratigrafica (ad esempio: "tutti i fossili presenti sotto il livello X appartengono alla specie A"), e poi applico questo criterio per stabilire il tempo (se trovo il fossile "a" nello strato "1", ed esso appartiene alla specie "A", allora lo strato "1" è di età precedente a quella del livello X), sto mescolando in modo ambiguo l'obiettivo dell'indagine (stabilire specie che indichino il tempo stratigrafico) con il metodo per ottenere il risultato (stabilire le specie anche in base alla posizione stratigrafica). Spero che l'esempio ipersemplificato sia stato chiaro, ma si tratta di un cane che si morde la coda: uso la stratigrafia per definire le specie che uso per definire la stratigrafia. Si tratta di un ragionamento circolare, una trappola logica che inserisce un risultato a priori dentro il metodo che dovrebbe ottenere tale risultato a posteriori.
Pertanto, è necessario usare un criterio di determinazione delle specie (quindi una filogenesi) che sia slegato dal tempo (quindi dalla stratigrafia), e questo metodo è la sistematica filogenetica. L'analisi filogenetica determina le relazioni tra le specie in base unicamente alla loro morfologia: la sequenza evolutiva che ne deriva è quindi slegata ed indipendente dal dato stratigrafico. 
Se riconosciamo che l'evoluzione darwiniana è l'unica causa della storia delle specie, e riconosciamo che la sequenza filogenetica (se corretta e robusta) è la ricostruzione dell'evoluzione darwiniana, allora una sequenza filogenetica è una ricostruzione di sequenze temporali. Ovvero, un cladogramma è un modo per identificare lo scorrere del tempo senza usare dati stratigrafici/temporali: è quindi un modo indipendente di risolvere la questione a monte del problema citato prima.
L'obiettivo dello studio che coinvolse Michele, Manuel e me era quindi quello di applicare i metodi cladistici per ricostruire una filogenesi dei conodonti (in questo caso, specie del Triassico Superiore della Tetide) che fosse indipendente dal (e quindi potenziale strumento di controllo del) dato stratigrafico.
Non mi dilungo nei risultati, dato che non è tema del blog la filogenesi o la tassonomia dei conodonti. Mi soffermo invece su un aspetto dell'indagine, che ha aggirato un problema insito nelle serie fossili dei conodonti.
Ricorderete dal primo post che i fossili chiamati "conodonti" sono parti di un apparato boccale di piccole creature marine vermiformi. L'apparato boccale di questi organismi era formato da vari pezzi più o meno articolati. Alla morte dell'animale, i pezzi si disarticolavano, e si accumulavano nel sedimento. Pertanto, a parte i rarissimi casi di fossili rinvenuti con l'animale integro e con ancora tracce delle parti molli, i vari pezzi dei conodonti si accumulano disarticolati e mescolati tra loro. Ciò non sarebbe un dramma se nel sedimento in questione fosse presente una sola specie (tutti i pezzi, indipendentemente dalla posizione nell'apparato boccale, appartengono a quella specie), ma diventa problematico quando più di una specie fosse presente nello stesso ambiente, e quindi il sedimento fosse formato dalla mescolanza dei pezzi isolati di apparati boccali di varie specie diverse (tralascio l'aggiunta della presenza di individui a stadi di crescita diversa, non sono abbastanza zen per essere (pseudo)conodontologo fino a quel livello): infatti, immaginiamo per semplicità che l'apparato boccale conodonte sia formato da due pezzi, X e Y, il primo in posizione A, il secondo in posizione B. Nello stesso sedimento rinvengo due tipi di X (X1 e X2) e due tipi di Y (Ya e Yb), e deduco che ci siano 2 specie distinte mescolate nel sedimento. Tuttavia, in assenza di esemplari articolati, non è possibile stabilire a priori se l'associazione giusta "AB" fosse X1Ya oppure X1Yb. Se non si ha la certezza, usare assemblaggi arbitrari di elementi per ricostruire una specie produrrebbe con molta probabilità delle chimere, quindi un animale inesistente. Per aggirare il problema, in questo studio è stato considerato solamente un elemento, la piattaforma, tralasciando gli altri elementi rinvenuti. 
In breve, in Mazza et al. (in press) abbiamo ricostruito la filogenesi delle piattaforme nei conodonti della Tetide del Carnico-Norico, e basato la tassonomia sulla filogenesi risultata. 
Si tratta, ovviamente, di una semplificazione del problema, ma che può essere falsificata rinvenendo esemplari articolati. La semplificazione ha il pregio di concentrare le forze in un unico problema senza disperderlo in comparazioni e controcomparazioni: la Scienza è prima di tutto un compromesso tra ciò che possiamo sapere e ciò che ci serve sapere, la delimitazione dei propri limiti conoscitivi e l'identificazione della migliore soluzione all'interno di quel range, non una ricerca di una Verità Totale, in questo caso inconoscibile (l'associazione delle varie parti in apparati boccali completi in assenza di esemplari articolati).
Il risultato è stata la prima ricostruzione dell'evoluzione di questi conodonti che non includesse a priori un'imposizione dovuta a valutazioni stratigrafiche o "scenari evolutivi preferiti", ovvero, una filogenesi "oggettiva", rivedibile, migliorabile, raffinabile, ma sicuramente basata su un metodo ripetibile e quindi scientificamente valido.
Conseguenza tassonomica dell'analisi è stata inoltre l'istituzione di 4 nuove specie di conodonti, i cui olotipi aprono il post: Carnepigondolella angulata, Epigondolella heinzi, Epigondolella miettoi e Norigondolella trinacriae

Ringrazio Michele e Manuel per avermi coinvolto in questo che spero sia solo il primo di una fruttuosa serie di collaborazioni.

Bibliografia:
Mazza M., Cau A., and Rigo M. 2012 - Application of cladistic analyses to the Carnian-Norian conodonts: a new approach for phylogenetic interpretations. Journal of Systematic Palaeontology doi:10.1080/14772019.2011.573584.

29 aprile 2012

Il Primo Unenlagiidae Brasiliano (Candeiro, Cau, Fanti, Nava e Novas in press)

Ricostruzione in vivo generalizzata  di un Unenlagiide
Gli unenlagiidi (chiamati anche unenlagiini, i due nomi sono qui equivalenti - e non mi interessa disquisire di questioni meramente tassonomiche in merito -) sono un clade di paraviani noti esclusivamente dal Sudamerica e forse (se anche Rahonavis risultasse confermato membro di questo clade) Madagascar. Il record sudamericano è prettamente concentrato in Argentina, da cui provengono gli scheletri di Unenlagia, Neuquenraptor, Buitreraptor e Austroraptor, con possibili evidente sotto forma di denti anche in altre zone del Sudamerica.
In uno studio in stampa, Candeiro et al. (in press) descrivono una piccola vertebra di maniraptoro dal Gruppo Bauru del Brasile, e la attribuiscono a Unenlagiidae. Si tratta della prima evidenza di questi maniraptori dalla ricca associazione brasiliana costituita in maggioranza da notosuchi, titanosauri e abelisauridi.
Dato che io sono tra gli autori di questo studio (assieme a Federico Fanti), vi racconterò alcuni dettagli dello studio.
Federico mi contattò lo scorso anno per segnalarmi questa vertebra che Robero Candeiro stava studiando, nella speranza che potessi aiutarli nella sua identificazione.
L'esemplare descritto da Candeiro et al. (in press) in vista anteriore (A), laterale sinistra (B) e posteriore (C). I numeri indicano i caratteri utili alla sua collocazione filogenetica: 1, pleurocoelo; 2, lamina centrodiapofiseale; 3, zigapofisi distanziate lateralmente; 4, postzigapofisi proiettata posteriormente oltre il centro; 5, processo trasverso corto e poco inclinato; 6, spine neurale espansa dorsalmente; 7, spine neurale alta; 8, fosse dorsali all'arco neurale laterali alla spine.

Non appena vidi le foto dell'esemplare, fu molto rapida la sua identificazione. In quanto studioso di sistematica theropode e particolarmente appassionato alle vertebre di questi animali, non dovetti fare altro che applicare le mie conoscenze accumulate nell'assemblaggio di Megamatrice.
La vertebra è piccola (alta quasi 4 cm), e dalla posizione dei processi su cui articolava la costa è collocabile nella metà anteriore della colonna dorsale. La sutura tra arco neurale e centro è obliterata, e ciò indica uno stadio maturo dell'animale. Perciò, si trattava di un animale di piccola taglia adulta (non più lungo di 1,5 metri). La vertebra presenta un forame pneumatico (pleurocoelo) nella metà anteriore della superficie del centro e delle lamine centrodiapofiseali, e ciò è unico dei saurischi. Forma generale e piccola dimensione scartano i sauropodi, quindi si tratta di un theropode. Tra i theropodi, il mix dato dalle dimensioni ridotte, il fatto le che zigapofisi siano distanziate lateralmente e le postzigapofisi siano proiettate indietro ben oltre il limite del centro è una combinazione di caratteri tipica dei Maniraptora. Tra i Maniraptora, un canale neurale così ampio si riscontra in varie specie di taglia medio-piccola, come aviali, alvarezsauri e alcuni oviraptorosauri, ma potrebbe essere un carattere allometrico legato solo alle dimensioni ridotte e non con qualche valore filogenetico.
Il processo trasverso è corto in lunghezza e poco inclinato, un carattere che si osserva in vari paraviani. Inoltre, il tetto dell'arco neurale presenta delle lamine spinoparapofiseali e spinodiapofiseali che bordano un paio di fosse pneumatiche: questo carattere è noto in Unenlagia, Bambiraptor e Saurornitholestes. L'iposfene è assente, come negli aviali e nei parvicursorini. La spina neurale è alta il doppio della sua lunghezza e stretta, e verso l'apice dorsale (perduto) tende ad espandersi, segno che doveva essere presente originariamente un "tavolino" dorsale. 
Nel complesso, la combinazione di centro dorsale pneumatizzato, con processo trasverso corto e poco inclinato, fosse dorsali all'arco neurale e spina alta con espansione dorsale è condivisa con Unenlagia. La posizione geografica sudamericana avvalora questa interpretazione.

Pertanto, in base a tutta questa serie di argomenti, abbiamo scritto l'articolo uscito oggi (Candeiro et al. in press) in cui descriviamo l'esemplare e lo segnaliamo come primo Unenlagiidae brasiliano.
La piccola vertebra è significativa perché probabilmente rappresenta una nuova specie, con caratteri vertebrali intermedi tra gli aviali (ampio canale neurale, dimensioni ridotte e assenza di iposfene) e Unenlagia (spina alta, fosse pneumatiche dorsali nell'arco), che potrebbero ulteriormente supportare affinità aviali per Unenlagiidae come ipotizzate da alcuni autori, e caratteri unici, come le due fosse dorsali spinali che convergono dorsalmente e le proiezioni ventrali delle postzigapofisi. Per ora, con una sola vertebra, abbiamo preferito non istituire un nuovo taxon, sebbene la combinazione di caratteri sia attualmente unica tra le vertebre dorsali in tutto Theropoda e quindi diagnostica per un'eventuale nuovo taxon (la recente esperienza della rivalutazione di Kemkemia mi ha reso cauto sulla istituzione di taxa da esemplari molto frammentari).
Le ricche formazioni dal gruppo Bauru potrebbero in futuro fornire ulteriori resti di Unenlagiini.

Ringrazio i miei coautori, in particolare Roberto e Federico, che mi hanno coinvolto in questo interessante studio.

Bibliografia:
Candeiro C.R.A., Cau A., Fanti F., Nava W.R., and Novas F.E. In press - First evidence of an unenlagiid (Dinosauria, Theropoda, Maniraptora) from the Bauru Group, Brazil. Cretaceous Research. http://dx.doi.org/10.1016/j.cretres.2012.04.001 

28 aprile 2012

Dinosauri, uova, K-T, gnu ed impala, ovvero: Naturalismo vs Riduzionismo

La Scienza è creazione di modelli rappresentativi e predittivi della realtà fenomenica.
Tali modelli sono e devono essere più semplici della realtà che descrivono, altrimenti sarebbero inutili.
Quindi, la Scienza è una semplificazione intelligente della realtà. Fin dove deve spingersi la semplificazione, per non diventare semplicistica e sempliciotta? La domanda è molto seria e profonda, ed è il nocciolo della grande discussione epistemologica sul riduzionismo. Se escludo la massa dell'Himalaya ed approssimo la Terra ad una sfera, i calcoli sulla sua orbita attorno al Sole sono delle soddisfacenti approssimazioni che ci forniscono una conoscenza molto valida dei fenomeni: tale approssimazione permette agli astronauti di allunare per poi tornare a casa sani e salvi. Se escludo la massa dell'Himalaya dalla mia stima della traiettoria del jet dall'India alla Cina, mi schianto contro una parete di roccia. Ovvero, la stessa approssimazione in contesti diversi produce esiti opposti.
Il riduzionismo è insito nelle Scienze, ma va dosato a seconda del contesto. Se riduco il moto di triliardi di particelle gassose ad una formula che lega pressione, volume e temperatura, ho compiuto un balzo enorme, utile alla Scienza, perché tale modello semplificato ci risparmia l'insostenibile costo della misurazione di triliardi di fattori. Al contrario, se riduco la Seconda Guerra Mondiale ad un risiko computerizzato dove Asse e Alleati oscillano attorno ad ipotetici valori virtuali, non capirò mai perché la guerra finì in Europa nella primavera del '45 e solo a settembre dello stesso anno nel Pacifico.
La Natura è un sistema ipercomplesso, vincolato profondamente alle condizioni iniziali. Esistono parametri invarianti con la storia che persistono, oscillano e incidono, ma non sono essi i soli attori del sistema.
Il riduzionismo naturalistico è, pertanto, un ossimoro pericoloso e fallace, una chimera adulatrice ed una trappola. Ritenere che modellizzazioni matematiche di dinamiche nel Tempo Profondo siano rappresentazioni veritiere della Storia Naturale è un errore analogo al ritenere che la società umana sia assimilabile ad un gas perfetto.
Ogni anno, con cadenza regolare, qualcuno pubblica uno studio sui dinosauri nel quale propone un modello semplice ed elegante della loro evoluzione, e che, ovviamente, deve dire qualcosa sulla loro estinzione alla fine del Cretacico (escludendo i Neornithes). Sarebbe interessante uno studio sociologico su questa regolarità delle scienze. Notare che sovente gli autori dello studio non sono paleontologi, ma neontologi, biologi o genetisti. Non sto dicendo che il loro contributo sia inutile, né propongo una sorta di censura razzista verso chi non è paleontologo per proporre qualcosa in materia paleontologica (tranne casi estremi), ma noto con interesse che, sovente, gli autori di queste opere siano formati in ambiti più fortemente riduzionisti della paleontologia, che è una scienza naturalistica in massima parte, irriducibile, per via della sua componente storica, alla sola componente algoritmica.
Il riduzionismo è una filosofia matematica in senso stretto, nel senso che afferma la riducibilità del fenomeno ad algoritmo (o formula, che poi è un algoritmo con un ingresso e una sola uscita).
Il riduzionismo sostiene che una modellizzazione estrema del fenomeno produca un risultato con un alto valore predittivo e interpretativo del fenomeno. Ovvero, invece di spendere tantissimo tempo nella raccolta di tantissimi dati disparati e sovente inmiscibili, si riduce il fenomeno ad un solo parametro (o molto pochi), e si lavora matematicamente su quello. 
In uno studio di questi giorni, Codron et al (in stampa) propongono un modello estremanente semplice ed elegante per spiegare le differenti dinamiche ecologiche tra dinosauri, mammiferi e uccelli (eih: ma gli uccelli sono dinosauri! Mettere dei dinosauri distinti dai dinosauri - per caratteristiche estrinseche e contingenti - è un grave errore metodologico, ovvero, il fatto di essere vivi oggi non è detto che incida sulla loro diversità biologica rispetto agli altri dinosauri nel Mesozoico... [già questo pare una semplificazione che sfocia nella forzatura, ma vedremo dopo il senso di tutto ciò]), sulla base di un solo parametro, ovvero, la differenza di dimensione alla nascita rispetto a quella nell'adulto. Il modello proposto da Codron et al. (in stampa) parte da un'osservazione corretta, la semplifica e riduce tutto il resto ad una manifestazione algortimica del singolo parametro.
L'osservazione corretta è che la differenza di massa tra adulto e giovane nei dinosauri di taglia medio-grande è molto maggiore che nei mammiferi di taglia analoga. 
Da questa evidenze, gli autori costruiscono un modello in cui la competizione tra diverse classi di età dentro le singole specie produce effetti selettivi, in particolare, una diversa risposta adattativa alla crisi della fine del Cretacico.
Tale modello, essi concludono, fornisce predizioni in accordo con l'osservazione, dato che mostra i dinosauri svantaggiati dalla crisi della fine del Cretacico e mammiferi ed uccelli avvantaggiati.
Popper solleverebbe la critica che la conferma di un episodio singolare (il successo differenziale al limite Cretacico-Paleogene) non abbia alcun significato relativo alla validità del modello, ma non essendo io epistemologo non mi approfondisco in campi altrui. 
Da paleontologo, mi voglio soffermare su due aspetti a mio avviso cruciali per ritenere questo modello una eccessiva semplificazione e quindi un pessimo strumento per comprendere la questione.
1) I dati.
Gli autori elencano le masse adulte di un centinaio di dinosauri mesozoici e le usano per la costruzione del loro modello. Le masse sono ricavate da varie fonti, spesso con metodi tra loro incompatibili. Una massa derivata da modelli in scala non è la stessa cosa di una massa estrapolata da una curva di regressione tarata sul femore. I due dati non sono assimilabili. Inoltre, la lista mostra delle grosse lacune nella zona delle taglie medio-basse, rispetto al record noto, ed una sproporzione di sauropodi rispetto ai theropodi. Ciò non è una colpa degli autori, che hanno usato ciò che esisteva in letteratura, ma comunque dimostra che il campione utilizzato non rappresenta affatto la nostra conoscenza della biodiversità dinosauriana. Inoltre, il fatto che i theropodi non-aviani siano raggruppati separatamente dagli aviani produce un gruppo artificiale parafiletico sbilanciato verso le dimensioni elevate. Se poi l'intero Dinosauria viene considerato senza gli uccelli, è evidente che è già di partenza sbilanciato verso le taglie forti. Quanti secoli dovranno passare prima che tutti capiscano che considerare i dinosauri come un'entità reale anche senza gli uccelli è ridicolo paleontologicamente come considerare i primati come un'entità reale ma senza l'uomo è patetico primatologicamente.
Inoltre, l'assenza di molte specie di theropodi non-aviani e ornithischi di piccola taglia dal campionamento pone forti dubbi sulla sua capacità di descrivere le dinamiche ecologiche dei dinosauri nella loro totalità. 
2) Il risultato.
Il modello produce il risultato che nei dinosauri ci sarebbe una tendenza alla bassa diversità di specie di taglia media, perché, secondo gli autori, tale range ecologico sarebbe occupato dalle classi di età intermedie delle specie di grande taglia. Questo risultato è in parte una forzatura della scarsità di specie di taglia media considerate nel campione. Inoltre, in generale ci sono forti dubbi che la nostra conoscenza delle faune a dinosauri di taglia media sia accurata. Le faune della Formazione Yixian e dal Cretacico Superiore del Canada, ad esempio, dimostrano che, se il campionamento è dettagliato e si dispone di giacimenti a elevata conservazione, le faune a dinosauri abbondano di specie di taglia medio-bassa.
Inoltre, ha senso considerare la mera differenza tra dimensione alla nascita e dimensione da adulto come qualcosa che caratterizzi una specie? Se produco 1000 figli da 1 kg o 1 figlio da 1000 kg, la massa generata è la stessa, ma ciò che cambia è l'investimento energetico per figlio, e l'impatto della prole sulla popolazione, e della popolazione nell'ecosistema: ovvero, si producono sostanziali differenze a varie scale gerarchiche del sistema vivente, e ciò implica qualcosa che la mera modellizzazione non può determinare (e lo discuto sotto).
Infine, una valutazione più squisitamente naturalistica.
Il modello di Codron et al. (in stampa) pare concludere che il modello viviparico dei mammiferi sia intrinsecamente superiore in quanto non produrrebbe una bassa diversità a seguito della scarsa competizione tra classi di età nella stessa specie. Tale conclusione è curiosa e allarmante. Innanzitutto, è evidente l'antropocentrismo (mascherato da mammalocentrismo) del modello, che da una semplice modellizzazione di una condizione (viviparità vs oviparità) deduce la superiorità della nostra linea mammaliana sui dinosauri. Senza rimarcare che oggi il numero di specie di dinosauro è più che doppio di quelle di mammifero (10000 uccelli contro 4000 mammiferi) e che quindi la mera taglia corporea non pare indicare un successo adattativo in sé per i mammiferi (se non imponendolo come postulato assiomatico da confermare), come non lo era per i dinosauri, questo modello assume che ogni classe di età sia in competizione con tutte le altre classi di specie nello stesso range di taglia, affermazione che, oltre alla palese ipersemplificazione, è una falsità. Il fatto che un subadulto di Allosaurus avesse la stessa massa di un adulto di Ceratosaurus non implica che, pur coesistendo, le due classi di età fossero necessariamente in competizione tra loro. Sarebbe ridicolo semplificare la questione e ritenere che le differenze di dentatura, postura, inserizione muscolare e proporzioni non incidessero sulla competizione. Gli autori lo riconoscono, ma il limite al modello rimane.
Inoltre, questo modello non considera il Dio dei Naturalisti: i dettagli che fondano ogni singolo caso. Ad esempio, il fatto che il cranio di Tyrannosaurus giovane sia così differente da quello dell'adulto, indica che la selezione naturale aveva favorito una differenziazione ecologica spinta delle classi di età in grado di occupare diverse nicchie senza competizione tra membri della stessa specie. Questo, nelle Science Naturali, si chiama vantaggio adattativo: maggiore disponibilità di risorse e scarsa competizione con altri conspecifici. Ovvero, quello che nel modello di Codron et al. (in stampa) è visto come uno svantaggio adattativo (forse perché assente in noi mammiferi?), è invece la chiave del successo dei dinosauri. Se la mia specie ha classi di età che sfruttano risorse diverse tra loro, è avvantaggiata su una che sfrutta sempre e solo la stessa fonte in ogni fase. Lo sanno bene gli animali di maggiore successo sul pianeta, gli insetti olometaboli, dove larva e adulto vivono quasi in pianeti ecologici differenti. Nessuno vorrà sostenere che gli insetti sono tendenti al gigantismo o specie di scarso successo...
E qui si giunge alla conclusione, ed alla lezione importante che spero i lettori riceveranno.
I dinosauri seguivano dinamiche biologiche diverse dai mammiferi.
I dinosauri producevano molte uova, i piccoli avevano una mortalità molto elevata, i giovani erano ecologicamente distinti dagli adulti, la specie era quindi ecologicamente molto ampia: questa sommatoria di fattori si chiama "selezione-r". La selezione r produce un tipo di dinamiche evolutive diverse da quelle della selezione-K, tipica dei mammiferi, dove si producono pochi figli, con mortalità relativamente bassa, ampia sovrapposizione ecologica tra classi di età (se non altro perché i giovani si nutrono di latte prodotto dalla madre o da cibo catturato con le energie spese dei genitori) e una maggiore specializzazione ecologica.
Dobbiamo ritenere che un modello sia "superiore" o "migliore" all'altro? Per rispondere salirò sulle spalle di una gigantessa della paleontologia, una dei tre "moschettieri", citando S.J. Gould: Elisabeth Vrba, paleontologa dei mammiferi del Tardo Cenozoico (ebbene sì, non di soli dinosauri vive un bravo paleontologo). 
La Vrba ha studiato in modo molto dettagliato i bovidi fossili del Sudafrica, in particolare due gruppi, gli gnu e gli impala. Questi due gruppi mostrano delle interessanti differenze.
Gli gnu presentano molte più specie degli impala. Inoltre, le specie di gnu si diversificano e si evolvono a tassi più elevati degli impala. Gli gnu mostrano una intricata storia di sostituzioni e speciazioni, gli impala hanno evoluto poche specie che persistono per lunghi periodi. Nello stesso intervallo temporale possiamo osservare decine di specie di gnu che compaiono, si diversificano e si estinguono, ma poche specie di impala, che durano mediamente di più, generano meno specie e hanno tassi di estinzione più bassi. Se osserviamo le loro ecologie attuali, troviamo la risposta (o una delle cause) delle loro differenze. Le specie di gnu sono molto specializzate, quelle di impala invece sono specie generaliste ad ampio spettro di risorse ecologiche. Il motivo delle due diverse storie evolutive, infatti, è legato alla diversa strategia: gli gnu sono K-selettivi, gli impala r-selettivi. Dobbiamo quindi ritenere che gli gnu siano intrinsecamente più portati alla diversificazione, mentre gli impala no, in base a qualcosa di specifico che li differenzia? Le loro ecologie generali favoriscono queste differenze, non un singolo fattore. La risposta è quindi negativa: i due gruppi sono solo l'espressione di diverse strategie evolutive dovute alle loro diverse biologie ed ecologie generali, le quali si comprendono solo studiando in dettaglio queste creature. Tutto ciò deriva non da modellizzazioni matematiche in cui gnu e impala vengono comparati per un singolo parametro arbitrario correlato con le loro diverse strategie r o K, ma deriva da una dettagliata analisi biologica e paleontologica, nel tempo e nello spazio, di due gruppi naturali monofiletici, all'analisi delle loro biologie attuali, (dato che per fortuna questi bovidi esistono ancora). Questo fece la Vrba (Vrba 1984), e ciò le permise di costruire un modello estremamente ricco e profondo per capire l'evoluzione di quegli animali. Tale modello, che ormai è decennale, ha descritto in modo corretto e profondo numerosi fenomeni paleontologici, comprese le dinamiche ecologiche dei dinosauri. Esso è quindi più generale e esaustivo di un modello riduzionista forzato e distorto con gradi parafiletici ed un singolo valore di massa avulso dal resto.
Non critico il lavoro di Codron et al. (in stampa) in sé, dato che è comunque un contributo interessante al dibattito, ma la filosofia riduzionista che ne sta a monte. Io preferisco la paleontologia della Vrba, la Scienza Naturale.
Concludendo: il riduzionismo è una sirena dalla voce suadente, che emette poche note dolci, che ammalia molti, ma che così facendo ci fa perdere tutta la sinfonia. La paleontologia è una sinfonia d'orchestra vivente, richiede pazienza e orecchie allenate, non è un singolo tono prodotto da un sintetizzatore.

Bibliografia:
Codron D., Carbone C., Muller DWH. and Clauss M. (in press). Ontogenetic niche shifts in dinosaurs influenced size, diversity and extinction in terrestrial vertebrates. Biology Letters doi:10.1098/rsbl.2012.0240
Vrba E.S. (1984). Evolutionary pattern and process in the sister-group Alcelaphyni-Aepicerotini (Mammalia: Bovidae) . In: Eldredge and Stanley (eds) Living Fossils: 62-79.

Alieni Triassici - Prima Parte

Questo post parla di qualcosa di totalmente alieno rispetto al contesto classico del blog, "alieno" nel senso di molto diverso, lontano e spesso difficilmente inquadrabile secondo le logiche che fondano questo blog. Al tempo stesso, si tratta di uno studio, pubblicato alcuni giorni fa, di cui sono co-autore, e di cui vado fiero, anche perché ha allargato il campo delle mie ricerche (cosa che fa sempre bene: detesto l'iper-specializzazione ottusa di chi è competente solo nei denti mascellari di pesce antartico liassico), nel tempo, nella tassonomia e nell'ecologia.
Guardate questa immagine qui sopra, e ditemi se non vi sembra un manuale di anatomia aliena.

Dinosauri in Carne e Ossa - Edizione di Firenze: Eventi di Maggio 2012

27 aprile 2012

Ostafrikasaurus - Finale: Spinosauride, Ceratosauride, entrambi, uno o nessuno?

Questo terzo post su Ostafrikasaurus rappresenta la conclusione di un ragionamento nel quale vi ho guidato tramite i precedenti post. Come accennato nel secondo post, la sequenza logica del mio ragionamento è diversa dalla sequenza temporale con cui si è svolta la discussione su questi denti dal Giurassico Superiore della Tanzania. Il motivo della mia scelta era finalizzato a permettere al lettore di seguire un dibattito, che partiva da un risultato forte (un nuovo genere, per giunta il più antico spinosauride: Buffetaut 2012), replicando ad un risultato forte ma distinto (denti spinosauridi affini a ceratosauridi, ma nessun nuovo taxon: Fowler 2007), e conclude con una spiegazione che probabilmente è la migliore spiegazione (parsimoniosa) di TUTTE le evidenze presenti (come alludevo alla fine del secondo post quando scrissi: "in assenza di dati neutri rispetto al contesto che possano guidare la nostra scelta, sia saggio assumere un atteggiamento agnostico, almeno fino al sopraggiungere di nuovi dati"). Ovvero, se le due ipotesi si confrontavano sul sistema di dati A, ma senza giungere a soluzione in base ai soli dati del sistema A, è necessario espandere il sistema, includendo altri dati: questo nuovo sistema "A + B + C + ...", detto J, è l'insieme di tutti i denti descritti da Janensch (1925). Questo sistema è stato recentemente discusso da Rauhut (2011), ma ciò probabilmente non era noto a Buffetaut al momento di sottomettere il suo manoscritto su Ostafrikasaurus. Scommetto che se egli ne fosse stato al corrente, non avrebbe istituito Ostafrikasaurus. Almeno, io al suo posto avrei agito così
Rauhut (2011) ridescrive l'intera serie dei denti di Janensch (1925), non il singolo isolato dente "estremo" che fonda Ostafrikasaurus. La serie dei denti, battezzata da Janensch (1925) col nomen dubium Labrosaurus stechowi, comprende una sequenza morfologica che, di fatto, colma il gap tra il bizzarro dente "Ostafrikasaurus" e un classico dente laterale di theropode. I denti intermedi, difatti, sono maggiormente simmetrici, compressi labiolingualmente e riducono progressivamente la serie di solchi e scanalature. Anche se questi denti non sono tutti strettamente coevi stratigraficamente, provengono comunque dal medesimo ambito spaziotemporale della Formazione Tendaguru, e si può ragionevolmente affermare che siano parte del medesimo clade. Questa serie di denti, perciò, può lecitamente formare un singolo taxon, che, in analogia con altri casi in Theropoda, la cui dentatura era eterodonte. In questo caso, l'analogo (probabile omologo) migliore per spiegare la serie dei denti è la variazione della dentatura lungo la bocca di Ceratosaurus, con "Ostafrikasaurus" dente premascellare (asimmetrico e scanalato) e gli altri denti posizionati progressivamente distalmente lungo la bocca. Pertanto, Rauhut (2011) propone un modello che, al netto delle evidenze, è la spiegazione più parsimoniosa della totalità delle evidenze, e quindi è una spiegazione migliore rispetto al modello di Buffetaut (2012) che si focalizzava sul singolo dente "Ostafrikasaurus" e non spiegava come mai le scanalature esistessero anche in denti compressi labiolingualmente ma non riferiti a Ostafrikasaurus.
Concludendo, nella Tendaguru probabilmente esisteva un Ceratosauridae affine a Ceratosaurus "coevo" della Morrison americana, mentre non mancano motivi validi per ipotizzare uno spinosauride.
"Ostafrikasaurus" è un nomen dubium.
Per ora, nessuno spinosauride giurassico.

Bibliografia:
Buffetaut, E. (2012). An early spinosaurid dinosaur from the Late Jurassic of Tendaguru (Tanzania) and the evolution of the spinosaurid dentition. Oryctos 10: 1-8.
Fowler, D. (2007). Recently rediscovered baryonychine teeth (Dinosauria: Theropoda): new morphologic data, range extension and similarity to ceratosaurs. Journal of Vertebrate Paleontology, 27, supplement to n°3 : 76A. 
Janensch, W. (1925). Die Coelurosaurier und Theropoden der Tendaguru-Schichten Deutsch-Ostafrikas. Palaeontographica Supplement 7: 1–99
Rauhut, O.W.M. (2011). Theropod Dinosaurs from the Upper Jurassic of Tendaguru (Tanzania). Special Papers in Palaeontology, 86, 195–239.

26 aprile 2012

Ostafrikasaurus, ceratosauro da [dilemma filosofico] Tendaguru

Una discussione di ieri pomeriggio col mio padawan è in parte alla base di questo post, il quale è stato anticipato da un involontario spoiler di Mickey Mortimer nel precedente post dedicato all'interpretazione di Buffetaut (2012) su alcuni denti dal Giurassico Superiore della Tanzania.
L'ordine dei due post è inverso a quello reale delle ipotesi, dato che l'interpretazione che discuto oggi fu formulata prima dell'istituzione di Ostafrikasaurus.
In un abstract di un passato meeting della SVP, Fowler (2007) interpreta alcuni dei denti descritti da Janensch (1925) come possibili denti baryonychini. Fin qui nulla di particolarmente nuovo rispetto a Buffetaut (2012), sebbene sia doveroso rimarcare che Fowler (2007) preceda cronologicamente Buffetaut nella formulazione dell'ipotesi. Fowler (2007) nota la marcata somoglianza tra questi denti e i denti premascellari di Ceratosaurus, e li considera un'evidenza (seppure molto tentativa e preliminare) di una possibile affinità tra spinosauridi e ceratosauri. Io dissento da questa ultima considerazione, anche perché Megamatrice indica che imponendo un legame diretto tra Ceratosauridae (o genericamente Ceratosauria, se si considera che il carattere è noto anche in Masiakasaurus) e Spinosauridae, l'albero che ne risulta è altamente poco parsimonioso, ed ha una probabilità inferiore al 0.1% di essere tale per puro caso (ovvero, è statisticamente sicuro che è un'ipotesi poco parsimoniosa). Più plausibile ipotizzare che il carattere sia simplesiomorfico per Neotheropoda, dato che Fowler (2007) nota la presenza dello stesso anche in alcuni Coelophysis. Aggiungo che il carattere è presente anche in Proceratosaurus, un tyrannosauroide basale.
Aldilà di un legame tra spinosauridi e ceratosauridi, che escludo, possiamo semplicemente considerare i denti che costituiscono Ostafrikasaurus meramente come denti premascellari di un ceratosauride, invece che denti laterali di spinosauride? Ovviamente, sì, possiamo. Ma, a questo punto, come stabilire se questa interpretazione sulla posizione dei denti nella bocca (che incide sulle sue codifiche in analisi e quindi sulla sua posizione filogenetica finale) è migliore di quella che li considera invece più arretrati distalmente (con conseguenti codifiche alternative di caratteri diversi, e quindi diverso risultato nell'analisi)? [Notare che se si ipotizza che siano denti premascellari di Spinosauridae, tale interpretazione è automaticamente falsificata dato che gli spinosauridi noti non hanno denti premascellari asimmetrici in sezione trasversale, quindi risulta più parsimonioso considerarli direttamente - e semplicemente - dei premascellari di ceratosauride: quindi, il dilemma vero è se l'ipotesi che siano denti laterali di spinosauride sia migliore (spieghi meglio le evidenze) rispetto a quella che siano denti premascellari di cerarosauride]
Questa situazione mi ricorda il discorso sull'omologia delle dita nella mano e la (secondo me, bizzarra) abitudine presa da alcuni di considerare le mani dei tetanuri come formate dagli omologhi del II-III-IV dito della mano dei non-tetanuri. Ovvero, qui ci troviamo di fronte a un dilemma omologico, che non è risolvibile su basi di parsimonia (contra Xu et al. 2009), dato che è l'identificazione basata sull'omologia a fondare le codifiche a monte delle valutazioni di parsimonia, non viceversa. Se assumiamo che la formula falangeale è X-2-3-4-X allora automaticamente impediamo che le ipotesi derivanti da quell'interpretazione possano essere comparate sul piano della parsimonia con quelle derivate dall'ipotesi 2-3-4-X-X, perché si tratterebbe di due basi omologiche diverse, quindi incomparabili in base alla definizione di parsimonia: la comparazione tra alternative diverse tra loro solo in base alla quantità di eventi evolutivi necessari a spiegare entrambe la STESSA base di dati.
Credo che, in questi casi, sia necessario assumere delle ipotesi nulle, o "ipotesi zero", ma che tali decisioni siano assiomatiche e quindi arbitrarie. Anche se si può argomentare che in questi casi si debba scegliere l'ipotesi falsificabile (ma come agire se più di una alternativa possibile è falsificabile?), rimaniamo sempre nell'ambito assiomatico: ovvero, si sceglie una posizione non in base al suo valore di "verità" (che deve essere risolto dall'indagine e non imposto a priori), ma per criteri a-scientifici, come un assioma filosofico.
Forse, in questi casi, in assenza di dati neutri rispetto al contesto che possano guidare la nostra scelta, sia saggio assumere un atteggiamento agnostico, almeno fino al sopraggiungere di nuovi dati (ad esempio, un dente di questa morfologia ancora inserito nel suo alveolo in un resto cranico sufficientemente completo per stabilire se sia premascellare, o mascellare, o dentale).

Per la cronaca, assumendo che il dente di Ostafrikasaurus sia un premascellare, esso risulta un Averostra incertae sedis.

Continua...

Bibliografia:
Fowler, D. 2007. Recently rediscovered baryonychine teeth (Dinosauria: Theropoda): new morphologic data, range extension and similarity to ceratosaurs. Journal of Vertebrate Paleontology, 27, supplement to n°3 : 76A.

Ostafrikasaurus, spinosauride da Tendaguru

Questa pare essere una settimana theropodologicamente molto intensa, in particolare per taxa affascinanti ed enigmatici. Per la seconda volta in 4 giorni, torno a parlare di novità spinosauridi.
Nel post in cui ho parlato della recente ridescrizione di materiale dal Giurassico Superiore di Tendaguru (Tanzania) avevo accennato ad un possibile megalosauroide tra i resti non definibili a livello di specie. Non è chiaro se si tratta dello stesso taxon, anche se l'ipotesi sarebbe intrigante, ma un esemplare noto dal 1925 potrebbe dimostrare l'esistenza di spinosauridi nella Tendaguru.
Buffetaut (2012) ridescrive e rivaluta un dente isolato descritto da Janensch (1925). Il dente presenta una corona poco compressa labiolingualmente, un margine distale subrettilineo, carena mesiale denticolata fino alla base, un fitto reticolo di fini increspature di smalto lungo le superfici labiale e linguale ed un sistema di creste e solchi diretti apicobasalmente. Questa combinazione di caratteri è condivisa con i Baryoychinae, e quindi è lecito riferire a questo clade. Comparato con gli altri Baryonychini (e, in parallelo, con gli Spinosaurinae), questo dente presenta denticoli molto più ampi e sviluppati, comparabili alla maggioranza dei grandi theropodi. Buffetaut interpreta questo esemplare com olotipo di un nuovo spinosauride, Ostafrikasaurus crassiserratus, traducibile come il "dinosauro dell'Africa Orientale tedesca (l'uso del tedesco, Ostafrika, per omaggiare Janensch) con denti espansi labiolingualmente (incrassati) e muniti di denticoli". Per quanto frammentario, questo dente è effettivamente unico nella sua morfologia (sebbene vada notato che è un mix di sinapomorfie spinosauridi e baryonychine e di simplesiomorfie archosauriformi, quindi al più potrebbero indicare un grado basale di baryonychini), e a meno di bizzarre scoperte (ad esempio, il dente in alveoli di crocodyliforme zifosuco), è lecito interpretare questo come evidenza di uno spinosauro giurassico.
La combinazione di incrassamento del dente e presenza di denticoli ricorda i Tyrannosauridae: è possibile che Ostafrikasaurus avesse una dentatura ed un'ecologia meno piscivora e più ipercarnivora? la domanda è interessante. In Megamatrice, Ostafrikasaurus risulta un Baryonychinae, quindi è plausibile che la sua morfologia generale presenti le sinapomorfie craniche e assiali degli altri spinosauridi, sebbene non si può escludere che esso possa avere una qualche specializzazione particolare. In alternativa, Ostafrikasaurus potrebbe essere sister-taxon di "Baryonychinae + Spinosaurinae" e non mostrare alcune o tutte le specializzazioni craniche di questi ultimi per ritenzione della primitiva morfologia megalosauroide (e della sua maggiore antichità, sebbene minima, dato che non più di 15-20 milioni di anni lo separano da Baryonyx).

Continua...

Bibliografia:
Janensch, W. (1925). Die Coelurosaurier und Theropoden der Tendaguru-Schichten Deutsch-Ostafrikas. Palaeontographica Supplement 7: 1–99
Buffetaut, E. (2012). An early spinosaurid dinosaur from the Late Jurassic of Tendaguru (Tanzania) and the evolution of the spinosaurid dentition. Oryctos 10: 1-8

25 aprile 2012

SuperClash of the Theropod Titans: Tarbosaurus vs Deinocheirus!


 Vi ho caricato al massimo, non è vero?

Da tempo tra gli addetti ai lavori, i bene informati e noialtri paleonerd circolava il rumor sul ritorno al sito originario di Deinocheirus mirificus, quello scavato dalla mitica spedizione Mongolo-Polacca del 1965.
Un team internazionale ha rilocalizzato le coordinate originarie del sito e vi si è recato, nella speranza che qualcosa non rinvenuto quasi mezzo secolo fa fosse ancora presente e recuperabile. Un primo resoconto di ciò che è emerso è stato pubblicato oggi. Bell et al. (in stampa) descrivono alcuni frammenti di gastrali dal sito di Deinocheirus. Tra le centinaia di frammenti ossei rinvenuti, questi due esemplari sono significativi in quanto mostrano gli evidenti segni di raschiamento prodotto da denti muniti di seghettature. Siccome nella Formazione Nemegt questi denti sono noti solo in theropodi, i segni indicano che un theropode raschiò a morsi questi gastrali dell'esemplare di Deinocheirus. Comparando dimensioni e spaziature dei solchi, e comparandoli con i denti dei theropodi della Formazione Nemegt, il candidato più probabile per l'autore degli stessi è Tarbosaurus. Pertanto, la carcassa dell'olotipo di Deinocheirus fu oggetto di spolpatura da parte di almeno un Tarbosaurus prima di essere ricoperta dai sedimenti e fossilizzare. Come notano Bell et al. (in stampa), l'olotipo di Deinocheirus (braccia e cinto pettorale) non viene menzionato possedere dei solchi dovuti a denti. Può essere che i solchi esistano anche in quelle ossa, ma che non siano stati notati. L'alternativa è che i segni non ci siano, e che gli arti ed il petto di Deinocheirus non furono oggetto di intensa scarnificazione, nonostante che le ossa, comunque, siano state rinvenute relativamente sparpagliate. Il fatto che i segni di denti siano sulla superficie ventrale dei gastrali (ossa che congono la regione addominale) limita il numero di modi con cui quei segni sono stati prodotti. Pare poco probabile che si possa provocare quei segni su un animale vivo e attivo. Il modo più ovvio per produrli è avendo il corpo di Deinocheirus disteso prone (a pancia in su). Dato che i theropodi dormono supini, la postura prone suggerisce un cadavere. Pertanto, è probabile che i solchi siano stati prodotti dall'esemplare di Tarbosaurus nell'atto di azzannare la regione addominale del corpo di Deinocheirus. Non abbiamo evidenze per stabilire se la carcassa fu uccisa dal tyrannosauride o questi si limitò a consumare una già morta.
Questa serie di valutazioni ha una conclusione negativa per chi, come me, spera un giorno di vedere uno scheletro ben conservato di Deinocheirus: se la carcassa fu oggetto della consumazione alimantare di (almeno) un tyrannosauride, dubito che quel poco che è rimasto sia conservato in buono stato. Forse, le braccia ed il petto (se veramente privi di segni di predazione) furono preservati perché sepolti o sommersi prima che il tyrannosauride potesse cibarsene. 
Bibliografia: 
Bell PR, Currie PJ and Lee Y-N (in press). Tyrannosaurid feeding traces on Deinocheirus (Theropoda: ?Ornithomimosauria) remains from the Nemegt Formation (Late Cretaceous), Mongolia. Cretaceous Research doi: 10.1016/J.cretres.2012.03.018.

24 aprile 2012

L'Amante della caccia di Phil Currie è solo un giovane cacciatore del Linhe?


Nel 1988, una spedizione Sino-Canadese in formazioni del Cretacico Superiore della Mongolia Interna rinvenne i resti parziali di un piccolo theropode. L'esemplare, IVPP V10597, comprende un femore, una tibia parziale ed un piede quasi completo di un singolo individuo la cui massa in vita si aggirava attorno al kg.
I resti, descritti da Currie e Peng (1994) furono identificati come appartenenti ad un esemplare giovanile di troodontidae ed attribuiti a Saurornithoides mongoliensis, per via della allora accettata correlazione stratigrafica con formazioni analoghe della Mongolia.
Recentemente, questi resti sono stati rivalutati alla luce della scoperta, nella stessa area, del troodontide Linhevenator (Xu et al. 2011). Lo studio appena pubblicato (Xu et al. 2012) ha rivisto sia lo stato ontogenetico che tassonomico dell'esemplare.
L'esemplare è considerato un subadulto e non un giovanile in base a due linee di evidenza: l'esteso grado di fusione dell'astragalocalcagno nel tibiotarso e dei tarsali distali col metatarso, che suggerisce una relativa maturità, e l'analisi istologica delle sezioni delle ossa presenti, che indicherebbero una avvenuta crescita, almeno fino a condizioni subadulte. Pertanto, Xu et al. (2012) considerano IVPP V10597 un subadulto di una forma di troodontide relativamente piccola, più simile alle dimensioni dei troodonti basali piuttosto che ai coevi (e ben più grandi) troodontidi tipici del Cretacico Superiore. La morfologia dell'esemplare risulta quindi unica anche in base ad una combinazione di caratteri, e distinta sia da Saurornithoides che a Linhevenator, e diagnostica di un nuovo taxon, Philovenator curriei. Il nome, avrete notato, è un omaggio a Phil Currie.
Xu et al. (2012) considerano Philovenator strettamente affine al simpatrico Linhevenator sulla base di caratteri unici condivisi dai due. Megamatrice avvalora questa interpretazione (qui sopra dettaglio della zona troodontide). Siccome il mio genericometro è lasso come il concetto stesso di “genere”, considero superflua qualcunque discussione sulla tassonomia dell'esemplare: sono sicuro che qualcuno argomenterà che Philovenator curriei possa essere chiamato “Linhevenator curriei”. Onestamente, queste cose non mi interessano.
Mi interesserebbe maggiormente sentire le valutazioni di chi è più profondamente immerso nelle questioni di tassonomica e ontogenesi, dato che i due taxa sono simpatrici, e quindi viene invalidato uno dei criteri col quale i lumper valutano la validità o meno dei taxa, la non coesistenza.
In breve, le argomentazioni in base alle quali Xu et al. (2012) separano Philovenator da Linhevenator sono robuste, oppure si può lecitamente argomentare che esso sia ancora uno stadio giovanile (o subadulto) dell'animale il cui adulto è chiamato Linhevenator.
Philovenator è diagnosticato da
  1. Un processo sul margine mediale del femore posto appena prossimalmente all'epifisi distale. Sebbene meno prominente, lo stesso processo è presente in Linhevenator.
  2. La cresta cnemiale sottile e proiettata anteriormente. La tibia è sconosciuta in Linhevenator.
  3. Emincondili dell'astragalocalcagno proiettati anteriormente e separati da un ampio solco intercondilare. L'astragalocalcagno è sconosciuto in Linhevenator.
  4. Un tarsometatarso estremamente gracile. Questo carattere è allometrico e influenzato dalle dimensioni ridotte. Non si può escludere che un giovane Linhevenator avesse proporzioni identiche a quelle di Philovenator.
  5. Tarsometatarso molto compresso mediolateralmente. Condizione analoga è presente in Linhevenator, e non si può escludere che le differenze particolari tra i due siano allometriche.
  6. Presenza di una mensola posterolaterale estesa lungo il quarto metatarsale. Questo carattere, sebbene meno esteso, è presente anche in Linhevenator.
Passando a Linhevenator, questo è diagnosticato da 4 caratteri (Xu et al. 2011), di cui 2 nell'arto posteriore e quindi determinabili in Philovenator: uno è proprio il carattere 1) di Philovenator, sebbene meno marcato, che quindi cade in obsolescenza da autapomorfia di Linhevenator a sinapomorfia del nodo “Linhevenator + Philovenator” (se i due taxa non sono sinonimi). Il secondo carattere è la presenza di un solco estensorio marcato sulla superficie distale del terzo metatarsale: in Philovenator il carattere è presente ma meno marcato, ma non si può escludere che tale differenza possa essere una variabilità individuale e/o ontogenetica.

Concludendo, nei caratteri in cui gli olotipi di Philovenator e Linhevenator sono comparabili, non riscontro delle differenze stringenti riconducibili a variabilità intraspecifica. Pertanto, anche evitando la sinonimia delle specie, ritengo i due troodontidi strettamente imparentati, al punto che probabilmente essi formano un nodo che esclude tutti gli altri troodontidi in qualsiasi permutazione filogenetica o analisi dettagliata usiate (vedi sopra). Tuttavia, dato che essi sono simpatrici, non si può escludere che i singoli esemplari che formano i due rami del nodo siano effettivamente conspecifici, e quindi i due taxa sinonimi, dato che le differenze tra i due possono essere dovute ad una combinazione di variabilità individuale e effetti ontogenetico-allometrici all'interno di una singola specie.
In attesa di evidenze più stringenti sulla loro non-conspecificità (che lascio ad altri), mi limito a notare che sia che chiamiate il loro nodo come “Linhevenator + Philovenator” oppure “Linhevenator” ciò è una mera soggettività del vostro genericometro personale, non un'evidenza oggettiva.

Bibliografia:

Currie P, Peng J-H (1994) A juvenile specimen of Saurornithoides mongoliensis from the Upper Cretaceous of northern China. Canadian Journal of Earth Sciences 30: 2224–2230.
Xu X, Tan Q, Sullivan C, Han F, Xiao D (2011) A Short-Armed Troodontid Dinosaur from the Upper Cretaceous of Inner Mongolia and Its Implications for Troodontid Evolution. PLoS ONE 6(9): e22916. doi:10.1371/journal.pone.0022916
Xu X, Zhao Q, Sullivan C, Tan Q-W, Sander M and Ma Q-Y (2012) The Taxonomy of the Troodontid IVPP V 10597 Reconsidered. Vertebrata PalAsiatica 50(2): 140-150.