(Rough) Translator

15 giugno 2024

Sono iniziate le riprese di Billy World the Fourth (aka Billy Park 7)!

 


Sono di ritorno dalla ex-Provincia di Pordenone, per la precisione dalla Val Cimoliana, dove ho svolto il ruolo di consulente scientifico e capo del settore "animatronici ricostruiti bene, mica fuffa" per l'inizio delle riprese del tantissimo attesissimo quarto episodio della seconda trilogia (ma allora non è una trilogia!), ovvero il settimo episodio del Franchise di Billy. Esatto, le riprese del prossimo film si svolgeranno sulle nostre Alpi! Che figata!!!! Come dici? Non ha senso? Forse qualcuno di voi pensa che fare un film del franchise giurassico ambientato sulle Alpi italiane sia una completa scemenza? No, non perché "Giurassico" + "Alpi" dovrebbe essere "Jura Francese", né per il motivo che le Dolomiti sono triassiche e non giurassiche, ma per altri motivi molto più divertenti. Lo avete rimosso? O forse non siete al corrente di quello che è successo dopo la pandemia da covid... 

Ad ogni modo, sì, amici del blog ufficiale di Billy ed il Clonesauro Laurasia (ramo boreale di Billy ed il Clonesauro World), finalmente quei criminali della produzione hanno capito che il solo modo per impedirmi di scrivere post scemi ispirati al Sacro Franchise è ingaggiandomi come supervisore scientifico del film.

"Seee... ti piacerebbe! Bello mio, i supervisori sono altri", dirà qualche infiltrato hater proveniente dal Vaticano Jurassico. Mi piacerebbe? Beh, a chi non dispiacerebbero 100 milioni di dollari di ingaggio per ricostruire i dinosauri in modo talmente credibile da far impallidire la leggenda metropolitana che Stanley Kubrick andò davvero sulla Luna per girare "2001 Odissea nello Spazio". 100 milioni di dollari, mica i soldi che prende un paleontologo che studia conchiglie plioceniche. Il bello è che quei soldi poi li prenderei per non fare il mio lavoro. Perché non serve una laurea in cinematografia giurassica per sapere che i supervisori paleontologi non hanno alcun potere decisionale sulla realizzazione dei dinosauri del Franchise Giurassico.

"Ma forse, questa volta, questa volta sarà.... sarà diverso! Questa volta li faranno accurati..."

No, Billy, mi spiace, non succederà. Lo avete detto tutte le volte. E tutte le volte avete sbattuto il musetto contro il muro della triste realtà.

"Ma questo non è un documentario! Non devono essere accurati!" replicherà a questo punto l'hater fanboy stereotipato, il bersaglio virtuale di questi post. Ok, fanboy, calmati, non partire con una serie di motivazioni del tutto fuori luogo sui motivi per cui i dinosauri in un film con dinosauri non dovrebbero essere ricostruiti come dinosauri. In questo blog, simili farneticazioni interessano persino meno del gossip sulla vita dei Ferragnez.

Caro Billy, non farti trollare dal solito hater. Ignora le sue parole. Tu hai tutto il diritto di sognare che sia previsto che ci siano dei dinosauri nel prossimo film con dinosauri. Poi però non lamentarti se il film non ha preso la piega che tu, da 30 anni, continui a credere che sia sancita da qualche parte. Perché il problema non è il Franchise, ma la tua aspettativa, la pretesa che la tua personale idea di film sia importante e meritevole di attenzione. No, non lo è, esattamente come quella del nostro hater, o la mia.

Tornando al film, ovviamente non posso spoilerare nulla. No, la storia che Mauro Corona è nel cast è solo un rumor. Io non posso né confermarla né smentirla. No, la storia che il film avrà come protagonisti 3 adulti e 3 compsognathidi è solo un rumor. Io non posso venire meno alle clausole di riservatezza che mi vincolano a scrivere solo scemenze fuorvianti.

Per il resto, chi segue questo blog sa che ogni nuovo episodio del Franchise è sempre un'occasione per ridere e far casino. Siamo goliardi e non smetteremo mai di esserlo.

Ci aggiorniamo appena mi daranno l'ok a spoilerare.


10 giugno 2024

RICOSTRUIRE I DINOSAURI



Da ieri, è disponibile il mio nuovo libroRICOSTRUIRE I DINOSAURI: La scienza che dà un volto ai fossili.

I dinosauri sono le più celebri creature del passato. Popolarissimi, grazie a documentari, film e un'infinità di prodotti ispirati dai "giganti della preistoria", i dinosauri occupano un posto particolare nell'immaginario collettivo, che trascende il loro effettivo significato scientifico. La parola "dinosauro" è una delle pochissime, tra quelle nate e definite dentro la scienza paleontologica, che ha un significato chiaro, immediato, e comprensibile anche per "l'uomo della strada". Tutti siamo in grado di farci un'immagine di cosa sia un dinosauro, anche senza la mediazione di un paleontologo. Al contrario, solo gli "addetti ai lavori" e pochi appassionati hanno il bagaglio di conoscenze per associare altre parole, squisitamente paleontologiche al pari di "dinosauro", come "conodonte", "acritarco", "deltateroide" all'immagine di una creature vivente. I dinosauri sono conosciuti da milioni di persone, al punto che, paradossalmente, essi sono più familiari di moltissime specie viventi oggi. 

Siamo talmente abituati alla loro immagine di creature viventi, attive e reattive, che spesso dimentichiamo che, in realtà, nessuno ha mai visto un dinosauro dal vivo! Ad essere sinceri, nessuno ha la certezza di come essi apparissero effettivamente in vita: forse, essi erano completamente diversi da come li immaginiamo.

Chi stabilisce l'aspetto dei dinosauri? Se nessuno può incontrarli dal vivo, come possiamo valutare l'attendibilità di tali rappresentazioni? Significa forse che qualunque ricostruzione dei dinosauri sia legittima? Sono tutte arbitrarie, più simili ad opere di fantasia che a fatti scientifici?

Come si ricostruisce un dinosauro? Quali sono le logiche ed i metodi che i paleontologi seguono per ricostruire un animale estinto partendo dai resti fossili? Quanto accurate, affidabili, o credibili sono le rappresentazioni di questi animali, realizzate in 200 anni di scienza paleontologica?

Questo libro è dedicato alla scienza che sta dietro ogni rappresentazione dei dinosauri. Il libro spiega le logiche che guidano i paleontologi nel proporre (o rifiutare) una particolare ricostruzione dei dinosauri, illustra i criteri che ispirano i ricercatori nell'assemblare, sostenere, rivedere e persino demolire l'immagine ed il comportamento di questi animali del passato.

21 maggio 2024

Koleken inakayali, un nuovo abelisauride simpatrico a Carnotaurus

Filogenesi calibrata stratigraficamente di Abelisauroidea (da Pol et al. 2024)


Alcuni anni fa, mentre preparavamo il manoscritto sull'abelisauroide patagonico Huinculsaurus, l'amico e collega Mattia Baiano mi parlò di un nuovo esemplare di abelisauride, molto intrigante, che era stato scoperto dalla medesima unità geologica del celebre abelisauride con le corna, Carnotaurus. Il nuovo fossile non pareva completamente maturo, e questo poteva implicare che fosse un giovane esemplare  di Carnotaurus. Dato che attualmente sappiamo pochissimo sulla ontogenesi degli abelisauridi, l'eventuale scoperta di un giovane Carnotaurus sarebbe molto interessante e significativa.

L'esemplare è stato pubblicato oggi da un team internazionale che comprende lo stesso Mattia (Pol et al. 2024), ed è riferito ad un nuovo taxon: Koleken inakayali. L'olotipo comprende ossa del cranio, parte della serie vertebrale ed elementi del cinto pelvico e dell'arto posteriore. Pur con differenze chiaramente riconducibili all'immaturità dell'animale, questo nuovo fossile mostra anche elementi che difficilmente si spiegherebbero se l'animale fosse riferito a Carnotaurus. In particolare, il pattern di ornamentazione delle ossa dermiche facciali e del tetto cranico non pare essere spiegabile dalla semplice differenza nello stadio di crescita, e implica quindi che esso appartiene ad una specie distinta da Carnotaurus sastrei.

Anche se non riconducibile a Carnotaurus, Koleken è relativamente affine filogeneticamente, e nell'analisi utilizzata da Pol et al. (2024) esso risulta un Carnotaurini in politomia con Carnotaurus, Aucasaurus e Niebla. Prossimamente lo codificherò nella mia analisi. 

La presenza di due abelisauridi nella Formazione La Colonia aggiunge ulteriori elementi che potranno aiutarci a capire la  struttura delle comunità ecologiche con abelisauridi alla fine del Cretacico. La Formazione Lameta, dall'India, è di età simile e comprende almeno due (forse tre) specie di abelisauridi. In livelli simili del Madagascar è noto Majungasaurus. Per ora, non abbiamo sufficienti informazioni per determinare un qualche modello di comunità negli abelisauridi analogo alle tirannie dei Tyrannosauridae, né per stabilire se e come l'estinzione di allosauroidi e spinosauridi a metà Cretacico abbia inciso sulla riorganizzazione dei triumvirati di cui gli abelisauri sono un elemento ricorrente. 

La scoperta di Koleken può aiutarci a collegare i vari elementi ontogenetici e popolazionali della fine del Cretacico gonwaniano: e ciò vale sia che esso risulti una specie a sé sia che risulti eventualmente un esemplare immaturo di Carnotaurus.

Ringrazio Mattia Baiano per aver condiviso in anticipo con me lo studio uscito oggi.

Bibliografia:

Pol D, Baiano MA, Cˇerny D, Novas FE, Cerda IA, Pittman M. 2024. A new abelisaurid dinosaur from the end Cretaceous of Patagonia and evolutionary rates among the Ceratosauria. Cladistics (2024): doi: 10.1111/cla.12583

18 maggio 2024

Giochiamo con la paleoarte aumentata

Trasformazioni ricorsive tramite una AI di una foto del vostro blogger ai tempi in cui supervisionò la scultura di Neptunidraco di Davide Bonadonna. Le AI amano aggiungere narici (che poi si trasformano in occhi)...


Ho usato una delle tante AI che creano immagini, disponibili online, per "aumentare" alcune opere di paleoarte. 

Iguanodon di Burian.

Tyrannosaurus e Pteranodon di Hallett.

Daspletosaurus e Styracosaurus di Gurche.

Halszkaraptor di Panzarin



14 maggio 2024

Granted that Grant granted that grant

 

Due versioni di una locandina del Franchise di Jurassic Park: la versione "Ford" precedente l'uscita del film, confrontata con quella definitiva, "Neill", aderente al film. Notare che nella versione "Ford", i nipoti di Hammond hanno i ruoli invertiti rispetto al film, e coerenti con il romanzo.


Il Professor Alan Grant è probabilmente il più celebre paleontologo di finzione. Il personaggio fa la sua comparsa nel romanzo "Jurassic Park" di M. Crichton (1989), in cui è il protagonista (o comunque, comprimario), nel corrispondente film del 1993 di S. Spielberg (sempre con ruolo principale), e poi negli episodi III sia della prima trilogia (2001) che della seconda trilogia (2022) del Franchise Jurassic. Nelle versioni cinematografiche, è sempre interpretato dall'attore neozelandese Sam Neill.

Alan Grant è il personaggio di finzione di cui ho seguito con più attenzione l'evoluzione (o ontogenesi?), probabilmente perché si tratta di uno dei rari casi in cui un paleontologo non è solo un personaggio secondario delle avventure altrui né la spalla nerd dell'eroe, ma un protagonista con una sua dignità. Il modo con cui il personaggio è stato tratteggiato nelle sue varie versioni rappresenta un bilanciamento tra diverse esigenze, narrative, cinematografiche e, in modo molto blando, persino scientifiche.

Il Grant del romanzo del 1989 è palesemente basato su un paio di paleontologi reali: Robert Bakker e Jack Horner. La caratterizzazione è sia fisica che psicologica. Come i due paleontologi citati, Grant ha un fisico vigoroso ed abituato alla vita all'aperto. Come i due paleontologi citati, Grant è quarantenne alla fine degli anni '80. Come i due paleontologi citati, Grant porta una folta barba (elemento che ne accentua sia l'immagine rude e virile, che quella "filosofica" di personaggio saggio e positivo). Al tempo stesso, come i due paleontologi, Grant è portavoce di istanze ed ipotesi (all'epoca) ritenute rivoluzionarie o comunque controverse. 

Il primo Grant con cui sono entrato in contatto è quello del romanzo, che lessi nel Giugno del 1993 (eravamo in piena dinomania: il film sarebbe arrivato in Italia solo a settembre). Dato che all'epoca io ero il più classico degli adolescenti dinomaniaci anni '80-90, il personaggio di Grant plasmato direttamente sui paleontologi più celebri del momento, mi doveva apparire - ovviamente - come il più mitico dei super-eroi possibili.

Confronto tra Jack Horner al tempo in cui era consulente per Jurassic Park e la prima versione di Grant immaginata da Spielberg negli storyboard del film.

Il Grant del film del 1993 è una versione modificata del suo omonimo nel romanzo del 1989. Il primo elemento di differenza è esteriore: Grant del film non porta la barba! Ricordo che quando vidi i primi trailer di Jurassic Park, nell'estate del 1993, rimasi deluso dalla mancanza di barba nel personaggio, perché quella faccia sbarbata e pulita aveva un qualcosa di conservatore e moderato che non collimava con l'eroe tratteggiato nel romanzo. Questo dettaglio "facciale" deve essere emerso gradualmente dal passaggio dal romanzo al film, dato che negli storyboard originali disegnati da S. Spielberg per definire le scene del film, Grant appare ancora barbuto, e palesemente "Horneriano".

Un indizio per comprendere la transizione dal Grant del romanzo al Grant del Franchise è fornito dall'immagine con cui apro il post, una animazione in cui ho sovrapposto due versioni di una locandina originale del Franchise in cui appare Grant con i due nipoti di Hammond inseguiti da un Tyrannosaurus. La scena non appare nel film, ed è tratta invece dal romanzo. Nella scena, i due bambini della prima versione sono del tutto generici e non corrispondono agli attori del film; inoltre, essi hanno le età relative analoghe a quelli del romanzo: Tim è più grande e Lex è la piccolina, quindi sono invertiti rispetto a quelli del film. Il Grant della versione finale è chiaramente basato su Sam Neill (come i due bambini sono basati su Joseph Mazzello e Ariana Richards), mentre quello della prima versione è palesemente ricalcato su Harrison Ford. Online circolano versioni della storia secondo cui Ford fu contattato da Spielberg per il ruolo di Grant, e che poi abbia rifiutato l'offerta, ma non ho trovato prove sicure di questa versione: la locandina in alto è la sola evidenza di una possibile partecipazione iniziale di Ford al progetto del film. La scelta di un attore come Ford è una possibile motivazione per il "restyling" di Grant? Meno Horner/Bakker e più Indiana Jones?

(Jurassic Park - 1993)

Oltre alla barba, il Grant del film differisce da quello del romanzo anche per la sua relazione con la paleontologa Sattler: nel romanzo, tra i due c'è una maggiore differenza di età e soprattutto non c'è alcuna relazione sentimentale (Grant è vedovo, e la Sattler è fidanzata prossima al matrimonio con un avvocato); nel film, viene introdotto una leggero sotto-tema sentimentale tra i due, che funge da motivazione per l'evoluzione del carattere dei Grant nei confronti dei bambini. Per rendere più credibile questa modifica nel personaggio, si quindi è optato per un aspetto meno rude e "meno filosofico" e esteticamente più giovanile: quindi sbarbato.

Come sempre accade nel passaggio dal romanzo al film, la versione cinematografica di Grant è ancora più annacquata della già annacquata versione letteraria in quanto a "componente paleontologica". Sì, nel film, Grant ci tiene a farci sapere che gli uccelli sono discendenti dei dinosauri, anche se la consapevolezza di come sia questo legame appare molto blanda ed ottusa: Grant vede comportamenti "da uccello" dove non è detto che ce ne siano (nel modo di mangiare di Tyrannosaurus, nel modo di correre di un gruppo di Gallimimus), ma questo basta per lo spettatore generico per intuire che Grant "se ne intende di queste cose" e quindi coglie elementi nei dinosauri che a noi sono preclusi. Vista dalla prospettiva di un paleontologo che studia proprio il legame tra dinosauri e uccelli, le scene in cui Grant ci informa del legame tra uccelli e dinosauri sono alquanto forzate e pretestuose. Ovvio, il film non è un documentario e Grant non è un paleontologo reale, ma solo un personaggio creato da scrittori e sceneggiatori, quindi non è a Grant o ai suoi creatori che dobbiamo fare una predica. Semmai, è interessante capire che idea di paleontologo viene mediata dal personaggio. 

Purtroppo, Grant non compare nell'unico seguito meritevole di essere considerato una legittima prosecuzione del primo film: ricordo che rimasi molto deluso dallo scoprire che né il secondo romanzo né il relativo film avrebbero incluso il personaggio di Grant. Evidentemente, per lo stesso Crichton il personaggio di Malcolm, matematico logorroico e mezza spalla comica nel film (e che era pure morto alla fine del primo romanzo!), pareva essere un protagonista più accattivante del paleontologo eroe del primo episodio del Franchise più paleontologico della storia! Scommetto che altri paleontologi come me rimasero delusi da questa scelta.

(Jurassic Park 3 - 2001)

Grant ritorna in altri due film, nei quali la sua natura di paleontologo viene progressivamente erosa ed annacquata, fino ad annullarsi. Curiosamente, questa "de-paleontologizzazione" di Grant va di pari passo con un progressivo svilimento dello stesso personaggio. Nel film del 2001, Grant è un paleontologo a corto di fondi, sostanzialmente disilluso dalla sua professione: le istanze scientifiche blandamente accennate nel primo film ora sono del tutto assenti, mentre abbondando le pure invenzioni fantascientifiche (versioni estreme di alcuni elementi presenti nel primo film, ma che in bocca ad un personaggio "scienziato" possono apparire come fondate su ricerche reali). Nel film del 2022, Grant non ha praticamente nulla di paleontologico, ed appare più come un settantenne in piena crisi esistenziale: il personaggio torna nel Franchise unicamente per motivazioni extra-narrative (il fan-service) ma non porta alla storia alcun contributo reale. Paradossalmente, come il primo film aveva ridotto la parte paleontologica di Grant rispetto al romanzo, per far posto a quella sentimentale, così l'ultimo film rimuove completamente la poca parte paleontologica del Grant del primo film per dare ulteriore spazio alla sua parte sentimentale. 

(Jurassic World Dominion - 2022)

Si può quindi concludere che l'evoluzione del personaggio di Alan Grant dal romanzo del 1989 al film del 2022 sia caratterizzata da una progressiva erosione della sua natura paleontologica a vantaggio dalla sua parte non-paleontologica. L'ultimo Grant è un personaggio anonimo: potevano metterci mio zio a cercar locuste sulle Dolomiti ed il film funzionava uguale. Constatare questo trend in un personaggio nato e caratterizzato proprio sulla figura di veri paleontologi, è forse l'elemento più svilente del Franchise Giurassico.



07 maggio 2024

A cosa serve studiare i dinosauri?

 


Questo blog non è nato per esprimere le mie idee e posizioni politiche. Non è mio interesse mescolare politica e paleontologia, anche perché ho amici e colleghi che si occupano con uguale passione ed energia alla scienza paleontologica da ambo i lati dell'arbitrario spettro bipolare con cui si semplifica la realtà sociale ed economica. Sì, la politica è forzata semplificazione della complessità umana. O almeno così mi è sempre apparsa dalla prospettiva della scienza. I politici vedono il mondo in modo molto semplicistico: "amici" vs "nemici", "destra" vs "sinistra", "maggioranza" vs "opposizione". Tutte categorie che per un paleontologo sono troppo semplici e grossolane per rispecchiare la realtà.

I politici amano le frasi ad effetto, abusano della retorica, giocano col sofismo. Tutto il contrario del paleontologo, che come ogni scienziato deve essere privo di ambiguità in ciò che dice. Una tanatocenosi non è una tafocenosi. Una sinapomorfia non è una plesiomorfia. Il quarto trocantere non è il trocantere posteriore. Confondere il senso e l'uso delle parole renderebbe la paleontologia quel tipo di aria fritta che fa vincere le elezioni. Ecco perché in Parlamento non ci sono paleontologi, nonostante che quella sia spesso menzionata come la sede dei dinosauri.

Da ieri, scopro che "perché studiare i dinosauri" è una questione ai più alti livelli della politica nazionale. Il Ministro della Pubblica Istruzione, in un dibattito pubblico, dichiara la inutilità dell'insegnamento di qualche nozione paleontologica agli studenti della terza elementare. Gli esempi portati a conferma dell'enorme spazio e tempo della didattica sprecato nei dinosauri sono stati vaghi. Il Ministro cita vagamente, non ricordando il nome, un "felino" del Messico di 40 milioni di anni fa. A parte che un felino di 40 milioni di anni fa non è un dinosauro, ma sospetto che questo animale non esista nemmeno. Ma non importa. Inventare falsi dinosauri è parte del falso problema dei dinosauri a scuola.

Mi domando quale giovamento possa trarre un ragazzino di terza elementare dalla rimozione di qualche manciata di nozioni sui dinosauri. Per sostituirla con cosa? Con le eroiche gesta di qualche personaggio storico caro alla retorica nazionalista? Forse che i dinosauri non sono epici? Forse che la loro esistenza non ci insegna qualcosa di importante sulle nostre origini? I mammiferi devono molto di ciò che sono oggi all'esistenza dei dinosauri. Se l'evoluzione dei mammiferi di dimensioni superiori a quelle di un gatto è stata possibile, ciò fu solo dopo che i dinosauri si estinsero. Fintanto che i dinosauri occuparono (e con enorme successo) tutte le nicchie di grandi dimensioni, non ci fu alcuno spazio ecologico, evolutivo, cognitivo per animali come i primati. Noi esistiamo nella forma che siamo oggi anche perché la nostra evoluzione fu incanalata per moltissimo tempo (almeno 100 milioni di anni) in una certa direzione ecomorfologicamente vincolata proprio dalla presenza dei dinosauri.

Il Ministro pensa che qualche nozione sui dinosauri sia inutile, che a scuola si sprechi tempo ad insegnare ai ragazzini qualcosa che "non serve". Allora la nostra origine profonda è inutile. Bizzarro sentire queste parole dal membro di un governo che fa della retorica del passato uno dei suoi tratti più distintivi. Evidentemente, c'è un passato che serve ed uno che non serve.

Attaccare i dinosauri, inutili animali morti da un tempo assurdamente lungo, è solo un pretesto per un attacco più generale all'idea che la scuola debba essere universale e indipendente dal potere. La scuola deve servire (nel senso di essere sottomessa) qualcosa di superiore (nel senso che sta sopra e schiaccia tutto il resto).

Ringrazio il Ministro, che con le sue parole sulla inutilità dello studio dei dinosauri, ha esplicitamente dichiarato la inutilità della mia intera vita. Lo trovo un meraviglioso riconoscimento alla mia libertà, indipendenza ed irriducibilità alle logiche meschine ed utilitaristiche del potere e della politica. 



23 aprile 2024

Spectrovenator: primitivo o immaturo?

Una delle particolarità (e pregio) del nuovo metodo di codifica introdotto nel mio recente articolo sulla macroevoluzione in Theropoda è la possibilità di poter rapidamente spostare le codifiche dei taxa dalla partizione matura a quella immatura (e viceversa) così da poter testate in modo abbastanza rapido ipotesi alternative sullo stadio ontogenetico degli esemplari analizzati.

Ad esempio, vogliamo testare cosa succede a codificare Nanotyrannus come taxon distinto da Tyrannosaurus? Si rimuove la partizione immatura da Tyrannosaurus e la si copia in un taxon a sé. Poi, possiamo decidere se questo taxon distinto (Nanotyrannus) è basato su materiale immaturo oppure maturo (basta aggiungere ad inizio o fine della stringa di codifiche appena incollata una stringa di codifiche "unknown" per la partizione a cui non vogliamo riferire l'esemplare), e in ambo i casi possiamo testare l'impatto di queste diverse interpretazioni sulla filogenesi. L'intera procedura si può impostare in una manciata di minuti con un qualunque file di text editing.

Discutendo con Christophe Hendrickx su alcuni dettagli della mia analisi, è emersa la questione su quale sia lo stato ontogenetico dell'unico esemplare noto dell'abelisauride Spectrovenator. Gli autori della descrizione del taxon non dichiarano lo stadio di crescita dell'olotipo. In base alle numerose ossificazioni tra ossa del cranio, ed al pattern di ornamentazione, io ho provvisoriamente considerato l'esemplare non-giovane (subadulto o adulto) e quindi ho codificato quel genere nella partizione "maturo". Hendrickx propone come alternativa uno stadio immaturo per l'animale, in particolare sulla base delle ridotte dimensioni dell'animale.

Ho provato a testare l'ipotesi di Hendrickx con la mia nuova matrice, spostando le codifiche di Spectrovenator dalla partizione matura a quella immatura. L'analisi ha dato un risultato molto inatteso: Spectrovenator (inteso come morfotipo immaturo) non ricade in Abelisauroidae bensì in Tyrannosauroidea, come forma più basale. Tale posizione è basata su 10 sinapomorfie, di cui una sola reversione.

Come interpretare questo risultato?

1- I giovani tyrannosauroidi hanno caratteri convergenti con gli abelisauridi, ad esempio la fusione delle ossa nasali. Questo potrebbe aver "spinto" l'analisi a collocare Spectrovenator nei tyrannosauroidi.

2- Attualmente, non abbiamo (o non abbiamo riconosciuto tale) alcun esemplare immaturo di abelisauride. Tutti i taxa noti di quel gruppo sono attualmente basati solo su materiale maturo. Pertanto, la versione attuale della mia matrice non possiede esemplari (né semaforonti) immaturi di Abelisauridae. Di conseguenza, qualora impostiamo Spectrovenator come abelisauro immaturo, esso risulterebbe l'unico giovane abelisauride, e questo spingerebbe l'analisi a collocarlo più vicino a qualche altro clade che invece è ricco di esemplari immaturi, ovvero, i Coelurosauria. 

Perciò, ritengo che il risultato del test sia una conseguenza della mancanza di altri abelisauridi immaturi nel campione, combinata con alcune convergenze tra abelisauridi e tyrannosauroidi. Una possibile conclusione sul risultato "inusuale" del test "da immaturo" è quindi che l'esemplare sia maturo (come codificato nel mio studio) e non immaturo (come codificato nel test).

Concludendo: per chiarire lo status di Spectrovenator è necessario identificare (e trovare) altri esemplari che siano genuinamente delle forme immature di Abelisauridae. Ciò è necessario indipendentemente dallo status ontogenetico di Spectrovenator. Questo test rimarca un punto che ho già sottolineato in questi giorni: abbiamo bisogno di più dati sugli esemplari giovani e sugli stadi immaturi, specialmente nei gruppi di cui abbiamo una ricca campionatura di forme adulte. Il metodo che ho introdotto è un ulteriore incentivo a non focalizzare i nostri studi solo sugli esemplari maturi, ma a raffinare la conoscenza su tutti gli stadi di crescita in Theropoda.

20 aprile 2024

Il Paradosso di Russell: dove sono i dinosauri intelligenti?

Dale Russell ad il celebre modello del dinosauroide (foto modificata da Naish e Tattersdill, 2021).

 

Il dinosauroide di Dale Russell (Russell e Seguin, 1982), l'ipotetico dinosauro dal piano corporeo "umanoide" e capacità intellettive comparabili alle nostre, è una delle creature di zoologia speculativa più celebri, e tra quelle che hanno maggiormente ispirato dibattiti dentro e fuori dalla scienza paleontologica. Ho parlato del dinosauroide e delle sue varianti, e proposto mie personali versioni del concetto, in vari post in passato. Naish e Tattersdill (2021) ne hanno delineato la storia in dettaglio ed hanno rimarcato il legame di questa speculazione affascinante con la personalità e la formazione culturale di Russell.

Il dinosauroide non è un animale reale, e non è una specie paleontologica, dato che nella versione di Russell, si tratta di una specie vivente in un "oggi alternativo", "al posto dell'uomo", ovvero il prodotto di una Storia Naturale alternativa alla nostra, in cui i dinosauri non si sono estinti e la "nicchia senziente" è stata occupata da un essere discendente dai dinosauri troodontidi invece che dai mammiferi primati. Tuttavia, alcuni "cugini" del dinosauroide creati dalla fantascienza sono più radicali dell'essere russelliano, dato che sono ipotizzati vivere nel Mesozoico! Ovvero, in alcune versioni del multiverso dinosauroideo, la specie di dinosauro senziente non si realizza dopo il Mesozoico ma dentro e durante il Mesozoico!

In questo post, esploro l'ipotesi che una specie di dinosauro intelligente "quanto noi" possa effettivamente essersi evoluta nel Mesozoico. Questo post affronta un tema che mi appassiona da quando, ragazzino, scoprii il dinosauroide di Russell: nella mia mente adolescenziale, ancora più affascinante dell'idea che se non si fossero estinti i dinosauri avrebbero potuto realizzare l'autocoscienza era l'idea che ciò fosse effettivamente avvenuto prima dell'estinzione che chiude il Mesozoico.

Per valutare questa ipotesi, dobbiamo prima analizzare l'ipotesi di Russell in termini quantitativi.

Russell definisce il dinosauroide come una specie di oggi con quoziente di encefalizzazione simile a quello umano, discendente dai troodontidi della fine del Cretacico (circa 70 milioni di anni fa), i quali erano dotati di un quoziente di encefalizzazione da "maniraptoro evoluto". Pertanto, per funzionare, l'ipotesi di Russell richiede il passaggio da un "cervello da maniraptoro" al "cervello da uomo" in circa 70 milioni di anni.

La logica dell'ipotesi di Russell ha una premessa: che alla fine del Cretacico (70 milioni di anni fa), i troodontidi avessero raggiunto un quoziente di encefalizzazione superiore a quello di altri dinosauri del loro tempo. Questa premessa è diventata un "fatto" tra gli appassionati di dinosauri proprio in relazione all'ipotesi del dinosauroide. Troodon (ed in generale i Troodontidae) sono ormai noti a livello popolare come "i dinosauri più intelligenti", e sono generalmente illustrati con un qualche tocco artistico volto a rimarcare tale "intelligenza superiore". Questa idea è un mezzo mito, mito che ha distorto i fatti paleontologici creando una falsa distinzione intellettiva tra Troodontidae ed altri maniraptori.

In realtà, la forma dei calchi endocranici, la morfologia e dimensione dell'encefalo ed i quozienti di encefalizzazione dei Troodontidae sono del tutto analoghi a quelli di Ornithomimidae ed Oviraptoridae. Infatti, è probabile che il livello di encefalizzazione dei troodontidi non sia speciale rispetto ad altri Maniraptoriformes. Sono i maniraptoriformi in toto ad avere un quoziente di encefalizzazione relativamente elevato rispetto agli altri dinosauri, non i soli troodontidi. Pertanto, è plausibile che un "cervello da troodontide" sia una condizione generale di tutti i maniraptoriformi, non solo di Troodon.

Prima che questa ultima affermazione sia fraintesa, è bene chiarire cosa significa "cervello da troodontide/maniraptoriforme": forma e dimensioni relative dell'encefalo dei maniraptoriformi sono intermedi tra quelli di un varanide (un rettile relativamente intelligente e reattivo) e quelli di uno struzzo (un uccello non particolarmente intelligente ma comunque molto reattivo). Pertanto, la "intelligenza di Troodon" è qualcosa a metà strada tra un varano ed uno struzzo: un animale agile, attivo, curioso, ma non certo un Premio Nobel della zoologia. Questo va rimarcato, perché troppo spesso, a livello popolare, è circolata la falsa idea che alcuni dinosauri (troodontidi, dromaeosauridi) fossero animali "super-intelligenti", forse come alcuni primati moderni. No, per "intelligente" qui si intende "intelligente come un varano o uno struzzo", niente di più sofisticato. Sicuramente più brillante di una tartaruga delle Galapagos, ma non certo al livello di un corvo della Nuova Caledonia. Forse vi sconvolgerà, ma è molto improbabile che Velociraptor fosse più intelligente di una gallina (animale comunque più intelligente di come spesso la dipingiamo, come ci ricordano Cochi e Renato).

Tornando all'ipotesi di Russell, quindi, essa si condensa in questa domanda: avendo a disposizione 70 milioni di anni, una linea evolutiva di dinosauri maniraptoriformi potrebbe passare dalla "intelligenza da varano/struzzo" a quella "umana"?

In base allo scenario originario di Russell, questa domanda è puramente speculativa, fantascientifica, perché Troodon non ebbe davanti a sé 70 milioni di anni di storia disponibile.

Hesperornithoides, un troodontide della fine del Giurassico, vissuto 80 milioni di anni prima di Troodon (artwork by S. Hartman)

Ma se noi ammettiamo che la "intelligenza da troodontide" sia una condizione condivisa da gran parte dei Maniraptoriformes, allora non occorre avere come dinosauro di partenza una specie della fine del Cretacico, perché i maniraptoriformi appaiono molto prima, a metà del Giurassico! Ad esempio, Hesperornithoides è un troodontide della fine del Giurassico, vissuto 150 milioni di anni fa, ovvero 80 milioni di anni prima di Troodon. Se facciamo partire l'evoluzione del dinosauroide da Hesperornithoides, ecco che i 70 milioni di anni richiesti dal modello evolutivo di Russell si dispiegano tutti completamente dentro il Cretacico, e possiamo quindi ottenere un animale con intelligenza umana intorno a 80 milioni di anni fa, ovvero, già nel Campaniano, al tempo di albertosaurini, lambeosaurini e ankylosauridi!

In rosso, la durata della linea evolutiva dinosauroide. In blu, l'alternativa di uguale lunghezza ma che parte alla fine del Giurassico. La stella indica l'età dei primi maniraptoriformi.

Se accettiamo questa premessa, allora l'ipotesi di Russell diventa testabile scientificamente, perché l'evoluzione dell'intelligenza dinosauriana si dispiegherebbe nel tempo profondo reale della storia dinosauriana, e quindi potrebbe aver lasciato tracce fossili.

Quanto è legittima una indagine volta a cercare tracce di una specie intelligente di dinosauro nella seconda metà del Cretacico?

Prima che concludiate che questa ipotesi sia del tutto ridicola e priva di fondamento, e che andare alla ricerca di possibili tracce fossili, o persino archeologiche, di specie intelligenti nel Cretacico Superiore sia una perdita di tempo, vi ricordo che milioni di persone credono all'esistenza di vita intelligente nello spazio cosmico nonostante la totale assenza diretta di prove, e che progetti come SETI (che cerca tracce di vita intelligente extraterrestre) siano visti da moltissime persone come una nobile e legittima impresa scientifica spinta da un'ipotesi perfettamente plausibile. Eppure, la possibilità di incontrare un alieno di un sistema stellare lontano è molto più remota che trovare un fossile di dinosauro...

Il punto della questione è quindi capire se l'evoluzione di intelligenza "umana" sia una tendenza frequente nella storia della vita, oppure sia piuttosto una bizzarria esclusiva della nostra storia particolare. Ma per capire ciò, occorre cercare prove di questi fenomeni, e non limitarsi a fare argomentazioni teoriche più o meno viziate dalle personali posizioni filosofiche sulla natura dell'evoluzione e dell'intelligenza. L'indagine paleontologica potrebbe fornire prove pro o contro questo scenario? Io non sto sostenendo che tale "dinosauroide cretacico" esista veramente, mi sto solo domandando se la sua esistenza (o non-esistenza) sia testabile scientificamente. Ad esempio, potremmo trovare stadi evolutivi intermedi della sua filogenesi? Specie con intelligenza a metà strada lungo la sequenza necessaria per arrivare alla specie "con intelligenza umana"? Se sì, quanto e come la storia evolutiva umana potrebbe essere un'utile analogia oppure una pericolosa distrazione che ci porterebbe fuori strada? Specie diverse evolvono l'intelligenza e la tecnologia in modo analogo oppure no? Se e come potrebbero delle tracce di attività culturale dinosauriana essere ancora oggi visibili sulla Terra, dopo molte dozzine di milioni di anni?


Io ho gettato il sasso.

Sta a voi raccogliere la sfida.

18 aprile 2024

The Rise of the Tyrannies, the Fall of the Nursery Clades, and the Theropod Theory of Everything

SpinosaurusAndangalornisScipionyxDeinonychusTyrannosaurus. Cinque generi di dinosauro predatore che differiscono nell'anatomia, morfologia, ecologia, distribuzione geografica e stratigrafica vengono gettati nella mischia insieme... come potremmo avere la ben che minima idea di cosa possiamo aspettarci? (Immagini modificate da opere di D. Bonadonna, M. Hallett, C. Masnaghetti e E. Willoughby).


Il fisico e Premio Nobel Ernest Rutherford è noto per un'affermazione che fa infuriare praticamente tutti gli scienziati che non siano fisici: 

"All science is either physics or stamp collecting". 

Ovvero, tutta la scienza si divide nella fisica e nella collezione di francobolli.

Sebbene l'idea che "i veri scienziati sono solo i fisici e tutti gli altri sono solo dei raccoglitori di esemplari (i francobolli)" sia sicuramente radicale ed estremista (ed ovviamente è un'idea dei soli fisici, spero non tutti), credo che una generalizzazione della affermazione di Rutherford probabilmente troverebbe maggior sostegno, non soltanto in fisica. Questa ipotetica versione moderata della citazione rutherfordiana potrebbe suonare come: 

"All science is either theory or data collecting". 

Ovvero, nella scienza o si elaborano teorie oppure si raccolgono dati. [Notare che ho scritto "teoria", non "ipotesi"]. A rischio di essere crocifisso in sala mensa (cit.) da una legione di epistemologi non ho problemi a dichiarare che questa versione soft della citazione rutherfordiana sia un tarlo che più o meno consciamente ha condizionato la mia produzione scientifica fin da quando ero un ventenne fresco di laurea. Ovvero, per quanto raccogliere dati, scoprire nuovi fossili, aggiungere informazioni e descrivere nuove specie sia una parte fondamentale ed appassionante della scienza, una parte che io amo con tutto il cuore, al tempo stesso non ho mai voluto "limitarmi" solo a quello. Aggiungere nuovi dati non è fine a sé stesso, ma è finalizzato a qualcosa. Qualcosa di generalizzabile. Qualcosa che si può condensare sotto forma di struttura teorica di cui i singoli esemplari (e le singole ipotesi a loro dedicate) sono solo un caso contingente e particolare. Fin dalla tesi di laurea, più di venti anni fa, ho sempre pensato che parallelamente al mio contributo paleontologico in termini di nuove scoperte, nuovi esemplari, nuove specie, io dovessi anche dare un contributo scientifico in termini di teoria. Un contributo che forse avrebbe richiesto decenni di analisi, riflessioni, indagini ed elaborazioni, un contributo che forse è insensato e fallimentare fin dal principio, ma che deve comunque essere tentato, anche solo per scoprire che è errato.

Qualcuno ora si domanderà se abbia senso quanto ho scritto. Che tipo di teoria può mai elaborare un paleontologo che studia i dinosauri carnivori? Beh, io nello specifico sono un filogenetista dei theropodi non-aviani, e la filogenesi è uno degli elementi costituenti la macroevoluzione. Dopo decenni dedicati ad assemblare la mia matrice per ricostruire la filogenesi, credo che i tempi siamo maturi per fare un salto di qualità, e passare dalla mera elaborazione di una filogenesi alla spiegazione della Macroevoluzione di Theropoda. Perché una macro-filogenesi è solo la struttura portante dell'edificio, ma l'edificio è più della mera sovrapposizione di intonaco alla struttura. Ed è l'edificio ciò che giustifica l'assemblaggio della struttura. Anche se mai esplicitato, l'Evoluzione a Larga Scala di Theropoda è il fine ultimo di una "megamatrice" dedicata a tutti i dinosauri predatori. 

L'assemblaggio di un così grande dataset non è semplicemente una raccolta di osservazioni da incasellare. Il processo diviene progressivamente una riflessione sul come definire l'oggetto del campionamento, e di come la natura del fenomeno si rifletta nella sua codifica simbolica. "Cosa" dell'originaria storia evolutiva dei dinosauri carnivori persiste nella matrice? E cosa della idiosincratica mente del suo autore si sovrappone (più o meno consciamente) al fenomeno naturale? Una matrice filogenetica è difatti la formalizzazione di un insieme di affermazioni in merito all'omologia delle forme che osservo nel campione di specie analizzate. La filogenesi dei fossili non mette ordine tra le specie (qualunque sia il senso di quella parola in paleontologia), bensì tra le ipotesi in merito all'omologia delle morfologie fossilizzate. Ma non tutte le forme che osservo e che campiono sono plasmate dal processo che si spera di ricostruire. In breve, un filogenetista paleontologico non è un semplice raccoglitore di "dati" puri e intonsi forniti da Madre Natura, ma è in primo luogo un epistemologo che riflette sulla natura della macroevoluzione di un fenotipo parziale filtrato dalla tafonomia. 

Ricavare un albero parsimonioso e mappare questa o quella trasformazione morfologica e adattativa, oppure costruire qualche simpatica storia perfettamente sensata a posteriori plasmata sul cladogramma di turno, non è ciò che definisce veramente un paleontologo evoluzionista. La Scienza è la ricerca del perché dei fenomeni (le cause e le loro relazioni), non la semplice descrizione e catalogazione di esemplari.

Per snellire la questione, la riduco a due problemi, apparentemente separati.

In tutti questi anni, mano a mano che accumulavo esperienza ed informazioni, prendeva corpo dentro di me una prima domanda: l'albero evolutivo di Theropoda è puramente il prodotto di contingenze casuali, è un caotico intrico di rami e ramoscelli plasmato dalla storia della Terra su una materia biologica totalmente passiva, oppure esiste un qualche principio generale che, anche solo in forma parziale, indirizza, incanala e struttura la storia a grande scala dei dinosauri predatori? In parallelo a questa domanda, ed associata a lei, si sviluppava anche un secondo quesito: il modo con cui ricostruiamo la storia evolutiva dei dinosauri carnivori è in qualche modo viziato da errori metodologici che non riusciamo a cogliere e che distorcono il risultato delle nostre indagini? Con il passare degli anni, nella mia testa si consolidava l'idea che queste due domande fossero le manifestazioni di un singolo problema, che la soluzione di una delle due avrebbe portato anche alla soluzione dell'altra, e che qualora fossi stato in grado di risolvere queste due questioni, avrei ricavato uno strumento potente per spiegare innumerevoli particolarità e tendenze generali di Theropoda.

(c) Troco


Ad esempio, perché il gigantismo ricorre così spesso in Theropoda ma non in modo uniforme? Perché in certe comunità di dinosauri abbiamo tanti superpredatori giganti (a formare i così detti "triumvirati"), mentre in altre abbiamo solo un clade superpredatore gigante (nello specifico, Tyrannosauridae) a formare quelle associazioni che nel 2008 chiamai "tirannidi"*? E se il taxon apicale delle tirannidi è così efficiente da risultare il solo dominante nelle sue comunità, perché gli stessi tyrannosauridi predominano in tali ruoli apicali incontrastati solo negli ultimi 30 milioni di anni e solo in Asiamerica (la paleo-provincia biogeografica formata da Nord America occidentale e Asia orientale, collegate dal ponte di Bering) nonostante che il clade Tyrannosauroidea sia durato 100 milioni di anni e fu diffuso a scala globale? Perché le filogenesi di Theropoda emerse nell'ultimo trentennio sono così fortemente asimmetriche, con quasi tutte le linee principali che formano una serie parafiletica che conduce agli uccelli? Stiamo inconsapevolmente piegando l'albero evolutivo per conformarsi ad una semplice linea rivolta verso il piano corporeo aviano? Oppure il "piano corporeo aviano" è un vincolo generale dell'evoluzione dinosauriana? Se l'evoluzione di tante linee giganti è la norma in Theropoda, perché gli uccelli del Cenozoico ebbero sì un enorme successo numerico ma non replicarono mai le gloriose dinastie di predatori giganti mesozoici da cui discendono? Ed anche, perché, nonostante il loro successo, non esistono dromaeosauridi grandi come tyrannosauridi mentre abbiamo oviraptorosauri, ornithomimosauri e therizinosauri grandi come tyrannosauridi? Infine, se i compsognathidi sono davvero un gruppo artificiale formato dai giovani di grandi theropodi non imparentati strettamente tra loro, perché ciò non risulta mai nelle filogenesi, le quali tendono invece a confermare quel gruppo come un taxon monofiletico del tutto valido e genuino?

A prima vista, tutte queste domande sembrano slegate tra loro e si dedicano a fenomeni distinti e molto contingenti. Ciascuno dei menzionati quesiti è oggetto di ipotesi particolari (quando è esplicitamente oggetto di indagine) e non richiede di essere interpretato secondo un modello condiviso con gli altri. Eppure, proviamo a domandarci se essi possano trovare una spiegazione comune: potrebbero essere tutti la manifestazione di una singola "teoria generale" dell'evoluzione theropode? In breve, esiste una struttura unificata nella macroevoluzione di Theropoda che colleghi l'evoluzione del gigantismo, il tipo di comunità predatoria (ovvero, il numero e le relazioni tra le specie di theropodi carnivori nel medesimo ambiente) ed il diverso percorso evolutivo dei vari piani corporei nei dinosauri predatori?

In uno studio che pubblico oggi (Cau, 2024), sostegno che i fenomeni citati sopra siano riconducibili ad una teoria unificata che descrive a larga scala la macroevoluzione di Theropoda, non solo nel Mesozoico, ma anche nel Cenozoico! Questa teoria generale della macroevoluzione di Theropoda risulta come conseguenza della soluzione al "parodosso dei compsognathidi", ovvero, della dimostrazione che essi non sono un gruppo naturale bensì un artefatto dovuto ad un errore nel metodo tradizionale con cui abbiamo finora definito le filogenesi dei dinosauri predatori (e non solo).

La teoria che propongo può apparire a prima vista molto elaborata, ma una volta compresa nella sua struttura portante, è relativamente intuitiva, e potenzialmente feconda nella capacità di spiegare innumerevoli elementi della storia evolutiva di Theropoda.

[Avvertenza: La parte che segue è molto lunga ed articolata: ciò è necessario per spiegare il significato delle novità introdotte nel mio nuovo articolo. Se il lettore non vuole approfondire i dettagli e la logica di questa teoria, può passare direttamente al riassunto conclusivo a fine post. Altrimenti, può continuare la lettura.]

15 aprile 2024

Il film più politicamente corretto della storia

 

Il momento più spaventoso del film

Il bello di essere giovani è che non si ha memoria. Tutto è nuovo, tutto è originale. Noi giovani siamo la novità, portiamo una ventata di innovazione e introduciamo elementi che prima di noi non esistevano. 

Ci siamo passati tutti. Anche io a 20 anni pensavo di essere innovativo ed originale rispetto a chi mi ha preceduto. Lo penso ancora, ma allora avevo torto perché ero giovane, mentre ora ho torto perché sono vecchio, ed i vecchi, per definizione, non sono innovativi. Quello che cambia è la terminologia, non la sostanza profonda del concetto. Oggi i vecchi li chiamiamo boomer, ieri erano i matusa.

Tra le innumerevoli illusioni dei tempi recenti è l'idea che il politicamente corretto sia una moda recente introdotta dall'ideologia woke, quelli che da noi chiamiamo i buonisti. 

Balle. Il politicamente corretto è vecchio tanto quanto l'etica. Ci sono sempre stati i buonisti, i politicamente corretti, i loro detrattori e nemici. E quelli che ironizzano su queste faccende. Solo che ogni generazione cambia morale, cambia nome, cambia etichetta, cambia target della polemica, e si dimentica che le stesse paranoie e contro-paranoie esistevano prima.

Un esempio cinematografico pertinente coi temi di questo blog: il film più politicamente corretto della storia non è un film dell'ultimo decennio, non è un polpettone sociale impegnato comunistoide dedicato alle famiglie arcobaleno. No, è un film del secolo scorso, del XX Secolo. Un blockbuster, come si diceva ai tempi dei boomer, un film con dinosauri. Il seguito di Jurassic Park: "The Lost World - Jurassic Park" (1997) di Steven Spielberg.

Questo film è figlio dell'ondata di politicamente corretto che andava di moda alla fine degli anni '90, ma che ovviamente la maggioranza dei sostenitori odierni del politicamente corretto non possono ricordare perché non erano ancora nati oppure erano ancora in età da scuola elementare e non avevano ancora installato certe categorie nella mente.

Per chiarire sull'uso delle parole, per "politicamente corretto" intendo un film che include in modo forzato e pretestuoso il maggior numero possibile di categorie sociali minoritarie, categorie che quando sono incluse devono essere in ruoli positivi, mentre i ruoli negativi spettano sostanzialmente alle categorie sociali dominanti. Sì, è una paranoia tipicamente americana, ma esiste ed è una regola che, ad intervalli regolari, viene imposta ai film prodotti in quel periodo. Specialmente se vogliono incassare tanto.

Ecco la lunga lista di elementi che rendono TLW-JP (in breve, JP2) il più grande (o il peggiore, dipende dai punti di vista) capolavoro nella storia del politicamente corretto al cinema:

1- Il protagonista maschile è un nerd più intellettuale che muscolare. Perché anche un matematico può diventare un eroe di un film d'azione. Ma non deve essere un maschio alpha alla James Bond o alla Indiana Jones.

2- La protagonista femminile è sessualizzata meno di una scatola di acciughe. Il suo ruolo è forte ma tenero, autonomo ma non prevaricatore, saggio ma non saccente, pacato ma non passivo. In pratica, ha solo pregi e nessun difetto. Va sull'isola da sola, e dice al suo uomo: "Io ti amo, ma non ho bisogno di te". Roba da uccidere il patriarcato da 200 km di distanza!

3- Uno dei buoni è calvo ed appesantito. Calvo e sovrappeso! Di solito la calvizie è roba da cattivi o da anti-eroi, mica da personaggi positivi. E muore da eroe, sacrificandosi per gli altri. Alla faccia del body shaming, questo è extreme body positive!

4- Uno dei buoni è un eco-terrorista. Un estremista radicale di sinistra. Uno che spacca tutto per la causa ambientale. e che si diverte a danneggiare la proprietà privata!

5- C'è una bambina, ed è di colore. Ed è la figlia di un bianco, quindi sottintende una sorta di famiglia mista, una specie di legame arcobaleno![Questa cosa palesemente politically-correct la notano pure il buono calvo e il buono eco-terrorista mentre discorrono tra loro]

6- I cattivi sono una multinazionale. La multinazionale è sempre malvagia in questi film.

7- I cattivi sono tutti maschi. Tutte le femmine nel film sono buone, sagge, oneste. Questo è un classico del politicamente corretto. Peccato che i ruoli cattivi femminili siano spesso i più affascinanti, ed ometterli uccide metà delle trame interessanti. Corollario: nessuna donna muore.

8- L'unico miliardario buono è pentito dal capitalismo e si re-inventa ecologista.

9- Il capo dei cattivi è maschio bianco figlio di papà capitalista raccomandato (e vota Repubblicano).

10- Il personaggio più macho e tosto del film è gay. Sì, Roland Tembo è palesemente gay. Se Tembo non è gay io sono Superman. Lo conferma la sua scena iniziale poi omessa dal film finale in cui si palesa come eroe ed icona gay che spacca il naso al classico maschio bianco sessista. [Non puoi fare un film politicamente corretto senza un eroe gay].

11- L'amico del personaggio gay è asiatico. 

12- I dinosauri praticano amorevoli cure parentali ed hanno cuccioli pucciosi. Sono dinosauri buonisti. Buonisti!

13- Il paleontologo dei cattivi che non crede nei dinosauri buonisti muore. Merita di morire perché non credeva nei dinosauri buonisti.

14- Viene fatto credere che dozzine di specie di dinosauri male assortiti inseriti in un'isoletta possano creare un ecosistema in armonia ed equilibrio invece di collassare ecologicamente in pochi mesi. Questa cosa è ecologia politicamente corretta: in questi film non esiste competizione biotica in Natura. I danni ambientali sono sempre e solo opera dell'uomo.

Trovatemi un altro film dove abbiamo pelati positivi, gay cazzuti, donne forti, dinosauri buonisti, bambine di colore figlie di nerd bianchi, multinazionali cattive, capitalisti pentiti, e terroristi di sinistra eroici... non esiste nessun altro capolavoro della correttezza politica come questo film. 


19 marzo 2024

Sei bellissima anche struccata

 

(c) AdobeStock

In questo periodo, sto revisionando una corposa serie di articoli paleontologici che mi sono stati inviati da varie riviste scientifiche internazionali. In alcuni casi, si tratta di riviste con un "Impact Factor" elevato, quel tipo di riviste nelle quali molti desiderano pubblicare perché "fa bene" al curriculum ed alla carriera. Si tratta di riviste che applicano una forte selezione sui manoscritti che ricevono, perché il numero di sottomissioni che ricevono è maggiore dello spazio che possono dedicare alla pubblicazione (o così almeno ti dicono loro). Tutti sappiamo che, in queste riviste, non basta soltanto la qualità scientifica del manoscritto, ma conta anche (e forse, troppo) l'eventuale "impatto globale" dello studio, ovvero, la spettacolarità, la natura del tutto inattesa, l'esito controverso o la carica innovativa dello studio. Tale opera di selezione non è svolta da noi revisori, ma è operata dagli editori che poi inviano a noi revisori i manoscritti "sopravvissuti" alla cernita. Questo (discutibile) criterio di selezione delle pubblicazioni in tali riviste ha generato un acceso dibattito etico ed epistemologico, ma ha anche prodotto un cinico meccanismo di adattamento lamarckiano da parte di molti autori: se il mio articolo deve essere "fico" al fine di essere preso in considerazione, allora farò in modo che esso appaia tale. Chiariamo subito: non sto parlando di frodi scientifiche, né di falsificazioni di dati per creare qualcosa di straordinario. Quelli sono reati e non rientrano in ciò che sto discutendo in questo post. Qui parlo delle varie tecniche retoriche con cui gli autori provano a (sperano di) convincere gli editori della rivista che il loro articolo sia meritevole di essere preso in considerazione (e poi inviato ai revisori). Sto parlando di quegli espedienti linguistici con cui si vuole trasformare un articolo già di per sé scientificamente valido ma forse non sufficientemente "fico" agli occhi della rivista in una "supermodella a cui nessuno può dire no". Chiamo questo atteggiamento "make-up del manoscritto": l'aggiunta di frasi, formule retoriche ed espressioni che non hanno alcuna utilità scientifica, non servono a chiarire alcunché sulla parte scientifica del testo, e che non sono pertinenti allo studio, ma che gli autori sentono il bisogno di includere nel manoscritto affinché così esso appaia "fico" agli occhi degli editori.

Esempi di make-up sono titoli iperbolici al limite della supercazzola monicelliana, in cui si vuole presentare il proprio studio come qualcosa di assolutamente sbalorditivo, oppure gli abstract che dipingono la discussione scientifica come una irrisolvibile controversia ormai impaludata in attesa di qualcosa di innovativo, oppure le formulette retoriche con cui si gonfia l'eccezionalità del proprio studio, oppure le palesi mistificazioni ed omissioni della letteratura al fine di dipingere chi ha già lavorato su quel tema come un mezzo cialtrone incompetente, senza dimenticare l'abuso di superlativi e termini enfatici per abbellire il proprio progetto.

Ci siamo passati tutti per quella fase. Durante il dottorato, io iniziai a sentire che il modo di scrivere gli studi in cui ero coinvolto stava degenerando in quella direzione, e mi sono sentito addosso un senso di sudiciume. Per mia fortuna, riconobbi la malattia incipiente e ho cercato di uscirne sano (e, spero, di averlo fatto). In quei momenti, mi pareva che la qualità dello studio non fosse sufficiente, che fosse necessario rendere lo studio "fico" perché così si poteva sottometterlo su riviste "fiche". Ed il motivo non era la pubblicazione in sé, ma l'eventuale vantaggio in termini di "carriera", "posizione", "finanziamento". Ovvero, il fine era niente che sia intimamente legato alla vera essenza dell'essere uno scienziato. Come accennato sopra, il dibattito su questo fenomeno ha riconosciuto che la causa a monte di questi comportamenti è una spietata competizione per trovare un lavoro decente e stabile dentro l'Accademia, a tutto svantaggio dei giovani scienziati precari. Siccome il principale (ma non unico) metro di valutazione dentro il mondo scientifico è la produttività (numero e significatività delle pubblicazioni), e siccome - purtroppo - gli indici bibliometrici con cui quantifichiamo la produzione letteraria nelle scienze sono mutati geneticamente da semplice misura dell'apprezzamento delle tue opere a vera e propria moneta di scambio e fine ultimo della ricerca scientifica, ecco che il sistema accademico è diventato un mediocre surrogato triste del mondo della finanza, piena di squali assetati di citazioni e di aggiungere impact factor al proprio CV.

Io ora sono fuori dal tunnel del "publish or perish", e sono libero di pubblicare come, dove e quando mi pare (al netto, ovviamente, delle legittime esigenze di eventuali coautori, dentro o fuori tale tunnel, che rispetto quando non sono palesemente patologiche), ma so che molti giovani ricercatori e aspiranti paleontologi stanno per entrare in quel sistema perverso, e forse non sono consapevoli di cosa aspetta loro. 

Pubblicare su Nature o su una rivista scientifica non impattante affiliata ad una università italiana, non fanno più tanta differenza per me. Ciò che conta è che possa dare un contributo interessante allo sviluppo della mia amata disciplina paleontologica.

Un appello ai giovani che stanno entrando nel mondo: se i vostri studi, le vostre ricerche, i vostri progetti sono validi sul piano scientifico, saranno bellissimi anche senza il make-up necessario per finire in chissà quale blasonato giornale fissato con le iperboli. 

Un altro sistema accademico è possibile: liberarsi dalla ossessione dell'Impact Factor è il primo passo per costruire una Scienza libera dalle storture in cui si sta avvitando. Basta solo volerlo.


16 marzo 2024

Trocosmogonia [Recensione di "Tempo Profondo" di Troco, Manucci, Maganuco, Ambasciano, 2024]

 


"Mi contraddico? Va bene, e allora mi contraddico (sono vasto, contengo moltitudini)."

W. Whitman

Se è vero che le donne hanno il monopolio sulla Creazione della Vita, agli uomini è stato concesso il diritto di Creare gli Universi. Anche solo a parole. Miti, leggende, modelli cosmologici, cupole affrescate, scimmie di celluloide che toccano monoliti. La volontà di potenza (anche solo immaginifica) del demiurgo caratterizza gli uomini dalla mente più acuta e visionaria, oltre che inquieta. Non ci basta vivere, dobbiamo dare un senso all'incessante fluire delle cose materiali e spirituali. Un senso che si possa cantare, narrare, per il quale si possa infiammare il cuore e che ci induca la pelle d'oca.

Generalmente, si attribuisce la creazione dell'Universo ad un singolo autore, oppure ad un consorzio di demiurghi minori che hanno ricevuto l'appalto dal Grande Capo. Qualcosa del genere accade anche con le opere cosmogoniche che ci narrano tale creazione. Non sappiamo quanti siano gli autori della Genesi biblica, la cosmologia ufficiale del mondo occidentale per numerosi secoli, mentre conosciamo chi ha scritto il Silmarillion, chi ha tentato di editarlo, chi ha provato a pubblicarlo. In ogni caso, dietro la pura narrazione di eventi, l'elenco di gesta e dinastie, l'enumerare delle Ere e degli Eoni, c'è una particolare concezione religiosa, o spirituale, anche quando dichiaratamente atea e laica. 

Il libro che ho letto in questi giorni si pone l'ambizioso obiettivo di narrare il Tutto, si proietta come Cosmogonia e Mitologia Laica, pur provando un'invidia palese per i suoi illustri antecedenti religiosi. Dato che gli autori dell'opera sono tutti personaggi che conosco da ormai 15-25 anni, e che posso considerare amici nel senso più onesto del termine, intelligenze di cui stimo la personalità e creatività, posso (anzi, devo!) permettermi di essere schietto ed onesto con il loro libro, come deve essere un amico sincero.

"Tempo Profondo", sottotitolo "La storia della vita sulla Terra", edito da Tip.Le.Co., è un'opera a otto mani dell'artista Emiliano Troco, del paleoartista Fabio Manucci, del paleontologo Simone Maganuco, e dello storico Leonardo Ambasciano. Se otto sono le mani degli autori, due sono quelle che hanno plasmato e forgiato la Creatura, quelle di Troco, che è autore delle immagini, del testo, del "concept generale" e supervisore stilistico. Manucci ha contribuito nei testi e nella ricerca iconografica. Maganuco ed Ambasciano sono stati i supervisori scientifico e storico. Non credo si offenderanno gli altri tre se quindi concludo che il Creatore dell'Opera, Demiurgo e Primo Motore del libro è principalmente (e sostanzialmente) Troco. La mia ossessione per coniare neologismi mi porta a ribattezzare l'opera con il nome di Trocosmogonia (da pronunciare con la voce di Luigio Guastardo della Radica). 

 

"Ah! La Trocosmogonia!"


Alla fine della lettura, la mia impressione è come un gatto dentro una scatola contenente una fialetta di veleno collegata ad un rilevatore dello stato quantico di un elettrone. Ambiguamente positiva e negativa. L'opera è notevole e coraggiosa, ma simultaneamente incompleta e vittima delle proprie paure. Umana, molto umana, prima ancora che opera di un Dio Creatore. Dall'inizio alla fine, traspare l'egemonia del primo autore, la sua indole di artista, il suo carattere ruvido, e le sue umanissime contraddizioni.

Nonostante l'anticipazione dell'opera abbia fatto credere a tutti noi bramosi di leggerla che essa affrontasse l'epica lotta tra uomo e dinosauri per il dominio del mondo (cit.), o che perlomeno fosse una sorta di remake di "Quando l'Uomo non c'era", libro che tutti noi paleo-addicted over-40 abbiamo amato da bambini, in realtà la Trocosmogonia non è quello che il titolo potrebbe erroneamente (ma implicitamente) far credere.

Operazione nostalgia?


Ovvero, essa non è un libro di paleontologia. Gli autori lo chiariscono subito nella introduzione: non è un trattato scientifico (indipendentemente da quanto annacquato sul piano divulgativo). Non troverete fossili, non troverete ipotesi o teorie, modelli o metodi, in questo volume. La Scienza fa da ispiratrice, forse persino da Musa a cui gli autori si sono rivolti con devozione, ma non è la protagonista né l'ambientazione. Dal mio punto di vista di paleontologo, questa scelta non è un problema, dato che non è da un libro come questo che traggo informazioni o elementi teorici. Il protagonista dell'opera è la Storia, la suggestione che scaturisce dagli eventi, l'epica associata alle catastrofi ed alle dinastie, e non c'è spazio per l'argomentazione, l'analisi, l'elaborazione. Sarebbe superficiale credere che trattandosi di un libro dedicato in larga parte a ipotesi cosmologiche e paleontologiche, esso sia da classificare nella letteratura scientifica: ciò che definisce la scienza non è l'oggetto di studio bensì il metodo di studio, e questo libro non affronta alcun elemento del metodo scientifico. E, ripeto, ciò non è un difetto, poiché è una scelta esplicitamente dichiarata dagli autori. Volendo essere radicale, potrei dire che l'oggetto del libro è la mente di Troco, la sua visione particolare ed idiosincratica del rapporto tra uomo, scienza, evoluzione e realtà. Mente di Troco puntellata in più parti dai contributi dei coautori.

Troco vi prende per mano, vi strattona in alcuni momenti per destarvi dal vostro torpore, e vi racconta la sua personalissima visione della Storia Cosmica sotto forma di immagini potenti e suggestive. Sì, ci sono anche i contributi scritti, ma quello che muove la sequenza è lo scorrere delle immagini. La spettacolare sequenza di visioni vi trasporta dai confini ancestrali dell'Universo, lungo galassie e sistemi planetari, vi fa collidere con pianeti embrionali, apre il sipario con esplosioni titaniche che distruggono mondi arcaici e forgiano ambienti improbabili eppure necessari, fino alla genesi della vita su questo pianeta. Il cammino verso il presente continua, come la successione di faune, flore ed ambienti, scandito da date che fanno da titolo di ciascun capitolo, a ricordarci che il tempo fisico è sì relativo, ma quello della Storia Cosmica è irreversibile e ordinato, lineare ma non uniforme, e non richiede parole per essere espresso. Basta il numero.

L'aver chiamato ogni capitolo con una data del tempo, con un grezzo numero privo di fronzoli artistici, ha inevitabilmente stuzzicato la mia mente analitica. Mi sono chiesto se l'impegno e l'approfondimento con cui l'opera affronta la sequenza dei molteplici eventi narrati fosse descrivibile da una curva semplice. Regna il Caos nella Trocosmogonia? Oppure il Demiurgo, per quanto orgogliosamente anti-accademico, l'artista anarcoide e volitivo, abbia alla fine dovuto piegarsi - anche solo inconsciamente - al linguaggio matematico che da 4 secoli definisce il sapere scientifico? Per verificarlo, basta plottare le date che intitolano i vari capitoli con il numero di pagina di ciascun capitolo. Se la distribuzione è casuale o caotica, avrà vinto l'estro anarchico dell'artista, ed il libro non sarà descrivibile da una formula matematica. Ma se la distribuzione segue una curva matematizzabile in modo semplice, allora avrà vinto Galileo Galilei. Quindi, c'è un ordine matematico nella Storia Cosmica concepita da Troco? 

Sì, ed è descrivibile da una curva semplice ed elegante, che chiamo TMMA in onore delle iniziali dei quattro autori. 

Distribuzione del tempo cosmico lungo le pagine del libro

La distribuzione degli eventi nel libro segue una curva esponenziale, la cui uniformità è interrotta da solo due discontinuità: una a 4 miliardi e 570 milioni di anni fa (origine della Terra), l'altra a 530 milioni di anni fa (inizio del Fanerozoico). Per Troco, l'Universo ha attraversato solo 3 grandi fasi: la storia cosmica (lentissima e lineare), la storia precambriana (lenta e blandamente sigmoide), il fanerozoico (in accelerazione perpetua). Dal Cambriano fino al 2024, ci sta dicendo Troco, la Storia è sempre stata la medesima, unica e uniforme nelle sue tappe. Sono cambiati gli attori, ma non la spinta generale. Quello che accade nel Medioevo e quello che accade nel Mesozoico sono solo espressioni particolari di un singolo andamento, elegantemente illustrato dalla curva qui sopra. Non sappiamo se ciò sia vero, ma sicuramente è così che l'Autore e Demiurgo ci vuole trasmettere la sua visione del divenire cosmico, perché è così che il Libro risulta organizzato. 

Dato che il volume non si propone di essere un trattato di Scienza, non mi soffermo troppo su alcune sviste nei dati citati, né sulle licenze artistiche in alcune ricostruzioni o nelle scene illustrate. Non è la coda mozzata di un Tyrannosaurus vivo ed in piedi sulle sue gambe (qualcosa di impossibile sul piano sia anatomico che statico, e difatti privo di qualunque base scientifica in letteratura) che può intaccare la potenza suggestiva delle immagini. Se una parte delle rappresentazioni è abbastanza convenzionale e "canonica", alcune opere invece si candidano a "canone" per le prossime generazioni: intriganti ed inattese, sia nel contenuto (specie ammesse per la prima volta nel mondo della paleoarte) che nella composizione. Credo che questo mix di "conservazione e innovazione" risenta anche della peculiare storia che ha prodotto la collezione di opere mostrate: una parte (penso maggioritaria) fu concepita e realizzata ben prima della ideazione di questo progetto. Difatti, sarà interessante capire quanto la struttura interna del volume sia stata adattata alle opere già esistenti, e quanto le opere esistenti siano state selezionate e inserite in funzione della logica interna dell'opera.

Il penultimo punto di questa recensione lo dedico all'unico elemento del libro che non ho apprezzato per niente. Sarò diretto e forse brutale, proprio per rendere chiaro quanto quello che sto per descrivere lo senta stonato col resto di un libro altresì lodevole per il coraggio espresso ed il lavoro prodotto. Al termine della Epica Serie di eventi ed immagini, gli autori (ma sospetto che qui a parlare sia solo Troco) hanno sentito il bisogno di introdurre una manciata di pagine di testo "esplicativo", con un paio di annotazioni ed una "riflessione". Trovo che questa decisione sia molto infelice ed approssimativa. Per due motivi. Le annotazioni trasmettono un'immagine dell'autore palesemente "difensiva", quasi "giustificativa". Se gli autori hanno deciso di non includere note e riferimenti bibliografici, non devono spiegarlo, né "giustificarsi". L'aver "spiegato" la mancanza di bibliografia, e con una affermazione abbastanza infelice (le citazioni bibliografiche non sono "noiose", e dispiace dover leggere una simile affermazione in un testo così profondamente ispirato da innumerevoli fonti esterne) stona con la risolutezza incontrata fino a quel momento, ed appare più la manifestazione di una insicurezza malcelata con un tono sprezzante. Inoltre, gli autori non paiono cogliere la palese contraddizione esistente tra ciò che dichiarano nelle note sul testo e la riflessione aperta nella pagina immediatamente successiva. Se si sostiene che la scienza aiuti ad ovviare a "preconcetti intuitivi" quali la dicotomia tra "noi e loro", allora perché poi si ridicolizza la stessa scienza che ha abolito i termini parafiletici, questi ultimi proprio l'espressione in sistematica di ormai superati preconcetti intuitivi che classificavano a forza la molteplicità delle forme viventi dentro false categorie dicotomiche come "primitivo ed evoluto"? Un gruppo parafiletico è, per definizione, una falsa categoria fondata sull'idea che la primitività sia una condizione distintiva. L'aver abbandonato i termini parafiletici non è una "complicazione del tutto superflua" (come sostenuto dagli autori) bensì proprio l'affermazione di una visione scientificamente matura della complessità biologica che non si piega alle semplificazioni dicotomiche tipiche dei preconcetti intuitivi umani. Il fatto che all'intuito preconcetto dell'autore la parola "prosauropode" appaia divulgativamente utile, non la rende scientificamente valida né tanto meno portatrice di un significato evolutivamente sensato. Essa è e resta l'espressione di un modo contradditorio - e proprio per questo superato - di concepire l'evoluzione biologica. Si può rispettare la scelta stilistica di usare certi termini anche senza condividerla, ma la palese contraddizione di predicare bene dopo aver razzolato male intorno ai "preconcetti intuitivi" è qualcosa che fa stonare fragorosamente quelle due pagine con il resto dell'opera.  

Chiudo con l'elemento che più ho apprezzato ed ammirato dell'opera, forse perché del tutto inatteso: la serie di immagini incluse nella sezione finale ("schemi mappe e tabelle"). Alcune sono prodotti sublimi e superbi, alle quali il formato di impaginazione forse non rende pienamente giustizia. Nella loro fattura si coglie il punto di forza di questa opera così suggestiva e trascinante, e traspare tutta la passione che ha guidato Troco e tutti gli altri autori nella produzione di questo originale ed idiosincratico racconto cosmico.

Voto complessivo: 9

PS: non includo immagini del volume perché dovete acquistarlo, sfogliarlo, così da annusarne la carta, soppesarne il volume e la massa, coglierne la fisicità.