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31 agosto 2021

ADULTS ONLY

 


Una verità molto scabrosa penetra sempre più in profondità nella coscienza di noi filogenetisti dei fossili. Noi non conosciamo appieno quale sia l'impatto dell'includere specie note unicamente per esemplari immaturi all'interno delle nostre analisi filogenetiche. Si tratta di un problema squisitamente morfologico, non genetico, dato che il dato molecolare non varia durante lo sviluppo individuale. Problema squisitamente morfologico che diventa perverso in paleontologia, dato che raramente abbiamo la documentazione della intera sequenza ontogenetica di una specie, e spesso non abbiamo modo di stabilire in modo univoco a quale stadio di crescita corrisponda l'esemplare che abbiamo tra le mani. Combinate tutti questi problemi con la cronica incompletezza della documentazione fossile e ottenete il più aggrovigliato degli enigmi. Credo che sia doveroso investigare più a fondo l'impatto dello sviluppo individuale sulla interpretazione filogenetica (non-molecolare) delle specie viventi, per le quali abbiamo perlomeno il vantaggio di disporre di serie di crescita complete e di individui completi.

Per avere anche solo un assaggio di quale possa essere l'impatto dell'inclusione (più o meno consapevole) nelle filogenesi di taxa basati unicamente su esemplari immaturi, ho simulato una analisi filogenetica molto semplice. I taxa analizzati sono cinque: A. B, C, D, E. Una serie di caratteri filogenetici è usata per ricostruire le relazioni filogenetiche tra queste specie. I caratteri mostrano stadi alternativi, che variano con il grado di maturità dell'individuo, e sono regolati secondo una serie ordinata: 0-1-2. Per ognuno di questi cinque taxa, disponiamo di tre esemplari: un giovane, un subadulto ed un adulto. Per ciascuna specie, è definita una traiettoria di crescita: giovane - subadulto - adulto, che comporta il progressivo accumulo dei caratteri derivati tipici della specie in questione. Possiamo quindi codificare sia i giovani che i subadulti per i caratteri filogenetici che manifestano. In generale, sia i giovani che i subadulti hanno solamente una parte delle condizioni tipiche dell'adulto, mentre per altri caratteri essi mostrano la condizione ancestrale, quella che si manifesta nell'adulto dell'antenato comune delle specie analizzate.

Se analizziamo solamente gli esemplari adulti, otteniamo quella che, ragionevolmente, è la filogenesi "vera":


Ma ecco cosa succede se includiamo nell'analisi anche gli esemplari immaturi, o se sostituiamo uno o più stadi immaturi all'adulto.

Ad esempio, se rimuoviamo l'adulto della specie E e lo sostituiamo con il subadulto della specie E, questi risulta collocato alla base del clade e non risulta direttamente legato alla specie D, come invece risulta dall'analisi della forma adulta della sua stessa specie:


Ancora più basale è la posizione se usiamo l'esemplare giovane di E:



Questo primo risultato è noto in letteratura, e ad esempio spiega la posizione di Raptorex in Tyrannosauroidea: nonostante nelle filogenesi che lo hanno incluso Raptorex risulti un tyrannosauroide relativamente basale, sospettiamo che il suo adulto sia invece una forma più derivata, interna a Tyrannosauridae.

La faccenda si complica mano a mano che si inseriscono forme immature di due o più specie:


O quando stadi di crescita differenti della stessa specie sono inclusi simultaneamente:



Utilizzare qualche artificio matematico, come il peso implicito, non allevia la situazione:


Notare che nell'ultimo caso, l'analisi identifica un "falso clade" alla base, formato da forme giovanili di E e D, ed una serie di gradi parafiletici formati da altri stadi immaturi.

Come concludere?

Temo in modo pessimistico: in nessuno dei casi in cui sono stati inseriti esemplari immaturi, si è ripetuta la filogenesi che avevamo ricavato usando solo le forme adulte. Questo test ha sicuramente dei limiti, dato che usa una matrice ridotta che non campiona la reale diversità delle specie e la reale sequenza di variazione ontogenetica nelle specie stesse: come ho detto all'inizio del post, sarebbe molto interessante fare un test come questo usando specie viventi di cui conosciamo con sicurezza la sequenza ontogenetica.

Quale può essere l'impatto di un simile effetto "distorsivo" dato dall'uso di esemplari immaturi nelle filogenesi di Theropoda? Un numero non indifferente di taxa è attualmente noto unicamente per esemplari immaturi, in alcuni casi molto giovani: oltre al già menzionato Raptorex, basta citare Scipionyx, Sciurumimus, Juravenator, Haplocheirus, e altri ancora... 

Il sospetto che le posizioni filogenetiche che abbiamo ottenuto per questi generi siano in vario modo falsate dalla immaturità del materiale noto non può essere ignorato. In alcuni casi, sospetto che la posizione filogenetica così ottenuta ci stia depistando del tutto dal comprendere la storia evolutiva di questi fossili.

2 commenti:

  1. Ho una curiosità, come si determina con certezza che un resto fossile è di un esemplare giovanile, senza adulti per il confronto?

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    1. Nel caso dei vertebrati terrestri, i giovani si riconoscono dalle proporzioni del cranio (orbite sproporzionate e muso ridotto), dalla texture delle ossa (non liscia ma rugosa perché in crescita), dalle estremità delle ossa lunghe (più o meno cartilaginea) e dalla sezione trasversale delle ossa (che mostra il pattern di lamelle e vascolarizzazione tipico dei giovani).

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