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14 dicembre 2018

Recensione di “Dinosaurs”

Nei giorni scorsi, e per un numero limitato di date, nei cinema nostrani è stato proiettato un documentario dal titolo “Dinosaurs”. Dopo una rapida ricerca online, scoprii che si trattava di una produzione italiana. Questo documentario proiettato al cinema ha fatto molta leva sulla promozione online, tranne che per un vistoso dettaglio: la spettacolare esposizione di una copia dell'esemplare di Tyrannosaurus noto come “Stan” nella stazione centrale di Milano (il motivo dell'uso di quell'esemplare come “promotore” del film è chiaro una volta visto il documentario proiettato in questi giorni).
Il trailer che circolava online è molto spettacolare ed enfatico. Si capisce subito che il target del documentario, lo spettatore ideale del film, non è, ovviamente, il paleontologo che vi sta scrivendo. E forse nemmeno voi lettori consueti del blog. Il target è lo spettatore che è sì curioso, ma resta sostanzialmente agnostico verso i dinosauri, non ha particolari atteggiamenti o posizioni in merito al complesso mondo della paleontologia dinosaurologica e delle sue varie ramificazioni nella società. Quel trailer combinava immagini in alta risoluzione, riprese col drone e la reiterata mistica della paleontologia sul campo, in regioni esotiche e lontano dalla civiltà. Già questo faceva sospettare che il documentario fosse poco dedicato ai dinosauri. E forse, pensai, quello potrebbe essere il suo unico punto positivo, sinceramente quello più originale. Vedendolo, notando alcuni dettagli del trailer, e riflettendo anche sulla promozione con “Stan” alla stazione milanese, ebbi il sospetto che questo film, pur intitolandosi “dinosauri”, parlasse poco o nulla di loro. L'impressione, dal trailer, era che fosse un documentario dedicato al mondo dei venditori di scheletri di dinosauro (se non lo sapete, esiste chi di professione vende scheletri – o copie di scheletri – di dinosauro).
Mi rendo perfettamente conto che se un documentario si intitola “Venditori di scheletri di dinosauri” il pubblico potenziale crolla rispetto a quello che vuole vedere il ben più accattivante “Dinosauri” (per giunta, in inglese, persino nella versione italiana), quindi non è certo sulla discutibile scelta di un così banale titolo che avrei basato la mia valutazione, né sulla breve visione di un trailer volutamente enfatico.

[Parentesi sull'esemplare di “Stan” alla stazione milanese. Da circa 20 anni, il Museo di Storia Naturale di Milano espone nella sala dei dinosauri una copia del Tyrannosaurus “Stan”. Ovvero, una copia identica alla copia che in questi giorni è stata mostrata alla stazione della medesima città. Ovvero, per alcuni giorni, Milano è stata l'unica città al mondo ad avere esposti al pubblico due copie identiche del medesimo scheletro di dinosauro. Come spiegare una così bizzarra ridondanza? Credo che, molto semplicemente, gli organizzatori dell'esposizione alla stazione legata al film non fossero al corrente che il medesimo esemplare era già presente in quella città. Purtroppo, sospetto anche che moltissimi tra coloro che transitano quotidianamente per la principale stazione milanese (uno degli snodi chiave del traffico ferroviario nazionale) non fossero minimamente consapevoli che quel superbo scheletro esposto temporaneamente nella stazione si può ammirare da due decenni nel museo della stessa città, distante neanche mezz'ora a piedi dalla stazione. Già questo sarebbe materia per una riflessione sul modo con cui i dinosauri sono “serviti” al pubblico].

Ecco le mie impressioni dopo aver visto il documentario:



Breve riassunto: si tratta di una serie di filmati e interviste in alcune località di scavo privato (in Svizzera e USA) nonché in alcune società private che scavano, ricostruiscono o vendono fossili di dinosauro (in Italia, Francia e USA).

Il documentario, come sospettavo, non è scientifico e non parla né di paleontologia né di dinosauri. Nessun paleontologo professionista è citato nella consulenza, e le poche nozioni paleontologiche che sono presentate sono, oltre che grossolane, in alcuni casi persino errate (ad esempio, il limite K-Pg non è un livello in cui abbondando dinosauri, è un limite cronostratigrafico). L'unico personaggio presentato tra i vari interventi che formano il documentario ad avere una parziale produzione scientifica è Peter Larson, il quale, tuttavia, nel documentario parla sopratutto della sua società privata di scavo e vendita di fossili. Pertanto, come sospettavo, questo documentario, a dispetto del titolo, non parla di dinosauri. Parla di uomini, di società e di vicende private. Tutto rispettabilissimo e anche interessante da scoprire, ma che non riguarda sostanzialmente i dinosauri. Se i personaggi protagonisti del documentario avessero nella loro vita lavorato su ammoniti o mastodonti invece che dinosauri, il documentario su di loro e sulle loro vicende sarebbe stato praticamente identico a questo.
Come ho scritto sopra, non solo i dinosauri non sono oggetto del documentario, ma nemmeno la paleontologia è il tema della narrazione. Si accenna alla vita sul campo, si mostrano alcune persone che scavano in zone sperdute del Nord America, si mostra un campo di scavo svizzero, ma praticamente nulla in merito alla ricerca e allo scavo paleontologico viene trasmesso. A guardare il documentario, uno scavo paleontologico è sostanzialmente una serie di badilate, svangate, spennellate, colate di colla, impacchettamento in camicie di gesso e fuga dai temporali. Nessuna menzione alla prospezione, indagine stratigrafica, tafonomica o paleoecologica. Nessuna apparenza di paleontologia vera, quindi. Le scene trasmettono l'idea romantica che la paleontologia sia sostanzialmente uno "scavare qualcosa di antico", e che i dinosauri siano solamente ossa fossili da scavare. 
Paradossalmente, il film funzionerebbe nella sua narrazione persino rimuovendo in toto i dinosauri. Se al posto delle ossa di dinosauro, gli scavi fossero stati su un sito egizio o romano, il risultato per la logica del documentario sarebbe stata identica.

In alcuni momenti, sopratutto nella seconda metà del documentario, viene il sospetto che tutto il film sia una enorme pubblicità (più o meno occulta) per alcune delle società mostrate. E come ogni pubblicità, essa è edulcorante e apologetica. I personaggi sono trattati in modo romanzato e stereotipato, positivamente caricaturale. Lo scavatore del sito è tratteggiato in modo romantico, e non traspare nulla delle reali difficoltà legate alla gestione e sviluppo di uno scavo. Il restauratore di scheletri viene descritto come uno scienziato-investigatore che “riporta in vita” i dinosauri, senza focalizzarsi sul fatto che qualsiasi “ricostruzione” di un dinosauro comporta inevitabilmente una perdita di informazione, e non certo una acquisizione di qualcosa perduto. Uno scheletro parziale che viene “completato” smette di essere un oggetto scientifico e diventa un artefatto: un oggetto meritevole di essere acquistato ed esposto, ma sicuramente compromesso per chiunque voglia veramente comprendere i dinosauri. Il banditore d'asta o il commerciante di fossili sono, ovviamente, professionisti nel loro mondo, ma a loro interessa poco o nulla della paleontologia e dei dinosauri.

Un documentario che dedichi una decina di minuti ad un venditore di fossili e nemmeno un minuto ai paleontologi non parla di dinosauri. Non è un documentario sui dinosauri. Da questo punto di vista, non secondario né banale, il documentario è una delusione piena.
Non mi soffermo sui tempi morti, sulla stereotipata caratterizzazione delle vicende menzionate, né su alcune imprecisioni della traduzione.
Non mi dilungo sull'abuso del drone accompagnato da una piatta colonna sonora.
Forse, un documentario senza colonna sonora sarebbe stato più gradevole.
Forse, un documentario con i dinosauri sarebbe stato più gradevole.
Perché, lo ripeto, i dinosauri in questo documentario sono solo soprammobili da spolverare ed esporre, grottesche sculture da mettere all'asta.
E qui si torna al principale problema per la paleontologia dei dinosauri nel XXI secolo: la sua massiccia commercializzazione extra-paleontologica, che distorce tutto e tutti per logiche che di paleontologico hanno poco o nulla. Si scava per vendere. Si restaura per vendere. Si traffica per vendere. Si espone per vendere. Tutto questo, di per sé, non è né un bene né un male. Ma non è paleontologia: è commercio.
Raramente, purtroppo, questo denaro viene investito a favore della ricerca e dei ricercatori. Diventa puro e semplice flusso di denaro, non di conoscenza. Ovvio che non possiamo certo biasimare le persone viste in questo film, e che a malapena riescono a vivere di questi lavori tanto rari e inusuali. E non voglio nemmeno fare una sterile polemica contro il banditore che una volta nella vita si trova a gestire l'asta di uno scheletro che è al 75% una ricostruzione di gesso, né contro il commerciante che riesce a piazzare un simile artefatto ad un prezzo tanto esorbitante. Come altro chiamare degli scheletri completi che solo in parte sono composti da vero materiale fossile? Artefatti. Bellissimi artefatti.
Ma, allora, si abbia la decenza di non chiamarli “Dinosaurs”.

6 commenti:

  1. Fabrizio Casalegno14/12/18 20:56

    Mi stavo giusto chiedendo se avremmo visto una tua recensione su questo film. L'ho visto lunedì e in alcuni punti mi stavo persino addormentando. Avevo notato alcune imprecisioni, ad esempio nella scheda tecnica dell'Allosaurus le sue dimensioni mi sembravano esagerate (12 m di lunghezza per 5 di altezza, non sono le misure di Tyrannosaurus?). O la scheda del teropode per eccellenza, con tanto di immagine presa da Jurassic World.
    L'asta finale poi mi ha ricordato l'ultimo Jurassic World.
    Due domande:
    1. Ma quindi nella vicenda di Larson, se non fosse intervenuto il Governo Federale, oggi Sue apparterebbe a qualche ricco collezionista?
    2. Hai per caso visto il film "Alpha"? Che ne pensi?

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    Risposte
    1. 1. Non saprei. La normativa americana non è il mio forte, e nessuno sa come sarebbero andate le cose in quel caso.
      2. Mamma mia... il trailer mi ha fatto venire la scabbia.

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    2. Alpha l'ho visto con un mio amico molto giovane che si chiama Alpha... giusto per la coincidenza del nome. E' un film per ragazzi direi, immagini molto sontuose, scientificità zero, per il mio amico andava più che bene, io mi sono abituato a vedere anche gli Avengers :) per Andrea non può che essere insostenibile.

      purtroppo mi sono perso lo scheletro di tirannosauro alla stazione Centrale...non sapevo che ci fosse e non passo di lì tutti i giorni, ma ci sono passato settimana scorsa senza vedere nulla. è anche vero che gli ambienti sono enormi e dispersivi quindi può passare inosservato se non si fa la strada giusta.

      la questione della commercializzazione dei fossili è una cosa che continua a farmi letteralmente accapponare la pelle... non conosco le normative, probabilmente sono un po' moralista, probabilmente sopravvaluto il valore dei reperti (che non saranno tutti ugualmente preziosi), ma rimango sempre "basito" di fronte alla possibilità che qualcosa di prezioso o di unico possa essere sottratto al patrimonio collettivo.

      Emiliano

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    3. Più che "insostenibile", io lo trovo piatto e monotono.

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    4. tecnicamente un "filmetto" ma girato con molti mezzi. anche banalotto e retorico se vogliamo proprio dirla tutta... però ne ho approfittato per "spiegare" qualcosina a un ragazzo che non sa nulla di nulla della preistoria umana. non è una qualità del film naturalmente...
      Emiliano

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  2. Oltre a concordare in tutto nella recensione, ha messo nausea anche l’uso eccessivo della camera a mano, in un documentario non lo trovo opportuno.

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