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25 settembre 2024

Shuilingornis angelai, la prima specie fossile dedicata a Piero Angela


Piero Angela (1928-2022) è stato il più importante giornalista scientifico e divulgatore italiano. Autore di numerosi libri e programmi televisivi tradotti in varie lingue, è stato per quasi mezzo secolo il principale divulgatore italiano della scienza (con programmi come "Il Mondo di Quark") e attivo promotore del pensiero razionale (co-fondando il CICAP, oggi "Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze"). Io appartengo ad una delle generazioni che si sono avvicinate alla Scienza anche grazie ai documentari ed ai programmi divulgativi di Piero Angela.

Nel periodo in cui Piero Angela è venuto a mancare, stavo preparando lo studio sul fossile di un piccolo uccello cretacico in ottimo stato di preservazione, assieme a Wang Xuri, col quale collaboro da alcuni anni e con cui ho già descritto quattro nuovi generi di dinosauro risalenti al Cretacico Inferiore cinese: Khinganornis, Kompsornis, Daurlong e Migmanychion. Proposi quindi a Wang di dedicare a Piero Angela la specie oggetto della nostra nuova collaborazione, alla quale abbiamo dato il nome di Shuilingornis angelai*

Cranio di S. angelai (a sinistra) e diagramma schematico delle ossa esposte (a destra). Notare - al centro dell'immagine a sinistra- la macula scura all'interno della cavità orbitale.

L'esemplare di Shulingornis è uno scheletro quasi completo ed articolato, grande come un grosso merlo. L'analisi istologica della sezione di osso prelevata dall'ulna indica che l'animale era un giovane adulto al momento della morte. 

Analisi istologica dell'ulna.

A parte la zona pelvica, che è incompleta, lo scheletro è perfettamente conservato e solo moderatamente compresso dalla fossilizzazione. Oltre allo scheletro, il fossile preserva alcune tracce delle piume, in particolare a livello delle mani, e due macule brunastre in corrispondenza della cavità oculare e della zona pelvica, che rappresentano tracce di tessuti molli. La macula oculare è interpretata come la parziale fossilizzazione della retina dell'occhio. L'analisi della traccia di parti molli nella zona pelvica mostra invece delle caratteristiche compatibili con la fossilizzazione di qualche tessuto viscerale.  

Relazioni evolutive di Shuilingornis all'interno degli uccelli mesozoici. I gansuidi indicati dal rettangolo rosso, gli uccelli moderni dal rettangolo blu. Le foto dei quattro gansuidi non sono in scala tra loro.

Nel nostro studio (Wang et al. 2024), ho analizzato le affinità evolutive di Shuilingornis immettendolo nella mia matrice filogenetica di Theropoda: esso risulta incluso in una linea genealogica distinta ma pur sempre prossima a quella del gruppo da cui originano gli uccelli moderni. In questo gruppo, i Gansuidae, l'analisi colloca, oltre al nuovo fossile, altre forme cinesi del Cretacico Inferiore, come Gansus, IteravisKhinganornis, ed il bizzarro Changzuiornis, oltre all'enigmatico Hollanda dal Cretacico superiore della Mongolia. Sebbene Shuilingornis appaia una forma relativamente meno specializzata rispetto agli altri gansuidi (alcuni dotati di zampe posteriori chiaramente adatte al nuoto, altri caratterizzati da musi più allungati), esso mostra una curiosa dentatura che potrebbe indicare l'adattamento ad una dieta particolare. Il quadro che risulta dalla nostra indagine implica un'ampia diversità ecologica all'interno di Gansuidae, ben maggiore di quanto ritenuto in precedenza. Il gruppo dimostra che una radiazione adattativa di uccelli semi-acquatici del Cretacico Inferiore precedette di almeno 30 milioni di anni l'affermazione della linea ornithurina dalla quale emersero poi, nella seconda metà del Cretacico, i precursori di tutti gli uccelli viventi.

*A Piero Angela era già stata dedicata una specie vivente: Babylonia pieroangelai, un mollusco gasteropode (Cossignani 2008). Shuilingornis angelai è la prima specie fossile a lui dedicata.

Nota sul nome di specie "angelai"

Qualcuno forse contesterà che "angela" sia una parola che termina con la lettera "a" e quindi sia da declinare secondo la prima declinazione latina: in tal caso, il nome della specie dovrebbe essere "angelae". La contestazione non sarebbe valida. Il Codice Internazionale di Nomenclatura Zoologica stabilisce in modo esplicito come declinare i nomi delle specie basati su nomi di persone, nell'Articolo 31:

Article 31 (a): A species-group name formed from a personal name may be either a noun in the genitive case [1], a noun in apposition [2], or an adjective [3] or participle [4]. [1] Article 31 (a) (ii): A species-group name, if a noun in the genitive case formed directly from a modern personal name, is to be formed by adding to the stem of that name -i if the personal name is that of a man, -orum if of men or of man (men) and woman (women) together, -ae if of a woman, and -arum if of women. 
[grassetto aggiunto da me]

Ovvero, la declinazione della specie non distingue tra le cinque declinazioni latine, ma per i nomi maschili assume che la parola sia sempre della 2a declinazione. Pertanto, se dedicate una specie a Piero Angela (persona di sesso maschile), la specie è angelai. Se avessi dedicato la specie ad una signora di nome Piera Angela (persona di sesso femminile), la specie sarebbe stata angelae.


Bibliografia:

Cossignani T. 2008. Malacologia Mostra Mondiale 61(4) : 22-23.

Wang X., Cau A., Wang Y., Kundrát M., Zhang G., Liu Y., Chiappe L.M. 2024. A new gansuid bird (Avialae, Euornithes) from the Lower Cretaceous (Aptian) Jiufotang Formation of Jianchang, western Liaoning, China. Cretaceous Research doi: 10.1016/j.cretres.2024.106014. [Open Access]

19 settembre 2024

The Ordovician Rings of Power

 

Ipotetico anello intorno alla Terra di 460 milioni di anni fa (fonte).

Se siete tra quelli che non si interessano alle versioni amazzoniche delle bozze tolkeniane, forse siete tra chi, come me, è rimasto felicemente colpito dall'ipotesi pubblicata in questi giorni da Tomkins et al. (2024). Gli autori analizzano una serie di evidenze geologiche risalenti alla prima metà del Paleozoico, in particolare la quarantina di milioni di anni dell'Ordoviciano tra 460 e 420 milioni di anni fa. Le evidenze analizzate riguardano l'abbondanza di materiale di origine extraterrestre (polveri e frammenti rocciosi) e la distribuzione geografica e l'età dei crateri da impatto, i quali mostrano una anomala concentrazione in quell'intervallo stratigrafico. Secondo gli autori, l'ipotesi classica per spiegare questa anomala concentrazione di materiale e impatti, ovvero la frammentazione di un asteroide in orbita nel Sistema Solare (che avrebbe fornito la "sorgente" per una serie di bolidi causa degli impatti distributi in vari milioni di anni), non spiega bene alcune caratteristiche osservate a livello geologico. In particolare, se localizziamo gli impatti ordoviciani rispetto alla paleo-geografia del periodo, i crateri si concentrano nella fascia equatoriale secondo una distribuzione che non è compatibile con una serie di impatti "sparati a caso", indipendenti uno dall'altro e provenienti dallo spazio interplanetario. Secondo gli autori, un'ipotesi alternativa, che spiegherebbe meglio la distribuzione equatoriale degli impatti, è ammettendo che l'asteroide-sorgente non si frammentò nello spazio remoto, esterno all'orbita terrestre, bensì in prossimità della Terra, a causa delle forze di marea del pianeta, producendo un anello di detrito attorno al nostro pianeta, dal quale anello, nell'arco di 40 milioni di anni, i corpi maggiori sarebbero progressivamente precipitati sulla Terra producendo i crateri.

In breve, gli autori propongono che durante l'Ordoviciano, la Terra ebbe un sistema di anelli, derivati dalla frammentazione dell'asteroide-sorgente, e forse persino una "piccola luna" (la parte principale dello stesso asteroide), simile a quelle di Marte.

L'ipotesi è estremamente intrigante e suggestiva, e sarà sicuramente discussa e dibattuta dai planetologi e dai geologi del Paleozoico. 

Restiamo in attesa di eventuali conferme o falsificazioni di questa ipotesi.

03 settembre 2024

Il mio grosso, grasso matrimonio dimensionale

 

Stime dimensionali originarie (grigio) e successive revisioni (nero) in vari taxa fossili, da Gayford et al. (2024)



Le dimensioni gigantesche di molte specie fossili hanno catturato l'immaginazione fin dagli albori della paleontologia. Dinosauri sauropodi lunghi più di quaranta metri e pesanti un centinaio di tonnellate. Rettili volanti con l'apertura alare di un piccolo aereo. Squali lunghi venti metri. L'ennesimo theropode più grosso di tutti gli altri. Il Gigantopithecus grande due volte un gorilla. Cetacei super-obesi. Ittiosauri e pliosauri grandi come balenottere. Molluschi lunghi come autobus. Una costante di questi incredibili record biologici è la frammentarietà del materiale usato per stimare simili colossi. Meno ossa a disposizione, più enorme risulta la bestia in questione. Più è frammentario, più esorbitante tende ad essere la stima. I super-sauropodi sono tutti basati su singole ossa, alcune delle quali per giunta ormai perdute (e della cui effettiva esistenza e dimensione non abbiamo nemmeno la certezza!). I super-squali sono noti principalmente da denti. Non esiste uno scheletro completo di pterosauro gigante. Le dimensioni di Spinosaurus fondate solo sul suo muso vanno prese con estrema cautela. Tutti i più grandi rappresentanti di qualsivoglia clade sono basati su pochissime ossa. 

Spesso, è proprio la frammentarietà del campione a produrre il valore esorbitante. A volte, la stima in eccesso è frutto di un errore nelle dimensioni dell'esemplare "normale" usato per la stima, altre volte è l'effetto della formula non-lineare usata per la stima, che tende ad "ingigantire" le dimensioni mano a mano che si stima la taglia di un oggetto posto troppo oltre i margini dentro cui tale formula fu elaborata.

Io stesso sono caduto nella trappola di estrapolare una dimensione partendo da un campione di dati ridotto: la stima originaria che proponemmo nel 2016 per Machimosaurus rex (9 metri e mezzo) fu un errore dato dall'aver usato una lunghezza pubblicata per Machimosaurus mosae (6 metri) risultata in seguito essere un errore di battutura delle dimensioni reali dell'esemplare (5 metri). Da allora, ho imparato a non fidarmi delle stime dimensionali di un esemplare frammentario stimato con un metodo privo di consistenza statistica.

A questi elementi matematici, accademici e metodologici, Gayford et al. (2024) aggiungono anche un ulteriore fattore, un fattore umano: la pressione per pubblicare, per pubblicare su riviste impattanti, per pubblicare qualcosa che faccia notizia, qualcosa che faccia notizia nei canali che contano, qualcosa che possa essere speso per ottenere visibilità e finanziamenti, sono tutti elementi in grado di indurre più o meno consciamente un autore a proporre stime dimensionali eccezionali. Persino la pressione o le reazioni (anche solo immaginate) dei "paleo-fan" online del tale animale estinto possono in qualche modo spingere a stime "accattivanti" ed "emozionanti". I paleontologi sono esseri umani, e fattori umani, troppo umani, come la fama, il successo (anche solo mediatico) ma soprattutto i soldi (intesi brutalmente come "lo stipendio per tirare a campare", senza scomodare i milioni di dollari che comunque girano in certe pieghe della paleontologia) possono influenzare la decisione di avallare o meno una stima dimensionale che faccia parlare di sé, che buchi lo schermo, che ti faccia avere quel quarto d'ora di celebrità dedicato alle notizie curiose.

Dobbiamo tutti impegnarci per cercare di essere il più rigoroso possibile, in particolare quando elaboriamo stime eccezionali a partire da resti non eccezionali. Il vecchio ma attualissimo detto: "affermazioni straordinarie richiedono evidenze straordinarie" resti sempre il nostro faro nella navigazione attraverso il fantasmagorico mondo delle dimensioni preistoriche.