(Rough) Translator

03 settembre 2024

Il mio grosso, grasso matrimonio dimensionale

 

Stime dimensionali originarie (grigio) e successive revisioni (nero) in vari taxa fossili, da Gayford et al. (2024)



Le dimensioni gigantesche di molte specie fossili hanno catturato l'immaginazione fin dagli albori della paleontologia. Dinosauri sauropodi lunghi più di quaranta metri e pesanti un centinaio di tonnellate. Rettili volanti con l'apertura alare di un piccolo aereo. Squali lunghi venti metri. L'ennesimo theropode più grosso di tutti gli altri. Il Gigantopithecus grande due volte un gorilla. Cetacei super-obesi. Ittiosauri e pliosauri grandi come balenottere. Molluschi lunghi come autobus. Una costante di questi incredibili record biologici è la frammentarietà del materiale usato per stimare simili colossi. Meno ossa a disposizione, più enorme risulta la bestia in questione. Più è frammentario, più esorbitante tende ad essere la stima. I super-sauropodi sono tutti basati su singole ossa, alcune delle quali per giunta ormai perdute (e della cui effettiva esistenza e dimensione non abbiamo nemmeno la certezza!). I super-squali sono noti principalmente da denti. Non esiste uno scheletro completo di pterosauro gigante. Le dimensioni di Spinosaurus fondate solo sul suo muso vanno prese con estrema cautela. Tutti i più grandi rappresentanti di qualsivoglia clade sono basati su pochissime ossa. 

Spesso, è proprio la frammentarietà del campione a produrre il valore esorbitante. A volte, la stima in eccesso è frutto di un errore nelle dimensioni dell'esemplare "normale" usato per la stima, altre volte è l'effetto della formula non-lineare usata per la stima, che tende ad "ingigantire" le dimensioni mano a mano che si stima la taglia di un oggetto posto troppo oltre i margini dentro cui tale formula fu elaborata.

Io stesso sono caduto nella trappola di estrapolare una dimensione partendo da un campione di dati ridotto: la stima originaria che proponemmo nel 2016 per Machimosaurus rex (9 metri e mezzo) fu un errore dato dall'aver usato una lunghezza pubblicata per Machimosaurus mosae (6 metri) risultata in seguito essere un errore di battutura delle dimensioni reali dell'esemplare (5 metri). Da allora, ho imparato a non fidarmi delle stime dimensionali di un esemplare frammentario stimato con un metodo privo di consistenza statistica.

A questi elementi matematici, accademici e metodologici, Gayford et al. (2024) aggiungono anche un ulteriore fattore, un fattore umano: la pressione per pubblicare, per pubblicare su riviste impattanti, per pubblicare qualcosa che faccia notizia, qualcosa che faccia notizia nei canali che contano, qualcosa che possa essere speso per ottenere visibilità e finanziamenti, sono tutti elementi in grado di indurre più o meno consciamente un autore a proporre stime dimensionali eccezionali. Persino la pressione o le reazioni (anche solo immaginate) dei "paleo-fan" online del tale animale estinto possono in qualche modo spingere a stime "accattivanti" ed "emozionanti". I paleontologi sono esseri umani, e fattori umani, troppo umani, come la fama, il successo (anche solo mediatico) ma soprattutto i soldi (intesi brutalmente come "lo stipendio per tirare a campare", senza scomodare i milioni di dollari che comunque girano in certe pieghe della paleontologia) possono influenzare la decisione di avallare o meno una stima dimensionale che faccia parlare di sé, che buchi lo schermo, che ti faccia avere quel quarto d'ora di celebrità dedicato alle notizie curiose.

Dobbiamo tutti impegnarci per cercare di essere il più rigoroso possibile, in particolare quando elaboriamo stime eccezionali a partire da resti non eccezionali. Il vecchio ma attualissimo detto: "affermazioni straordinarie richiedono evidenze straordinarie" resti sempre il nostro faro nella navigazione attraverso il fantasmagorico mondo delle dimensioni preistoriche.