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19 marzo 2024

Sei bellissima anche struccata

 

(c) AdobeStock

In questo periodo, sto revisionando una corposa serie di articoli paleontologici che mi sono stati inviati da varie riviste scientifiche internazionali. In alcuni casi, si tratta di riviste con un "Impact Factor" elevato, quel tipo di riviste nelle quali molti desiderano pubblicare perché "fa bene" al curriculum ed alla carriera. Si tratta di riviste che applicano una forte selezione sui manoscritti che ricevono, perché il numero di sottomissioni che ricevono è maggiore dello spazio che possono dedicare alla pubblicazione (o così almeno ti dicono loro). Tutti sappiamo che, in queste riviste, non basta soltanto la qualità scientifica del manoscritto, ma conta anche (e forse, troppo) l'eventuale "impatto globale" dello studio, ovvero, la spettacolarità, la natura del tutto inattesa, l'esito controverso o la carica innovativa dello studio. Tale opera di selezione non è svolta da noi revisori, ma è operata dagli editori che poi inviano a noi revisori i manoscritti "sopravvissuti" alla cernita. Questo (discutibile) criterio di selezione delle pubblicazioni in tali riviste ha generato un acceso dibattito etico ed epistemologico, ma ha anche prodotto un cinico meccanismo di adattamento lamarckiano da parte di molti autori: se il mio articolo deve essere "fico" al fine di essere preso in considerazione, allora farò in modo che esso appaia tale. Chiariamo subito: non sto parlando di frodi scientifiche, né di falsificazioni di dati per creare qualcosa di straordinario. Quelli sono reati e non rientrano in ciò che sto discutendo in questo post. Qui parlo delle varie tecniche retoriche con cui gli autori provano a (sperano di) convincere gli editori della rivista che il loro articolo sia meritevole di essere preso in considerazione (e poi inviato ai revisori). Sto parlando di quegli espedienti linguistici con cui si vuole trasformare un articolo già di per sé scientificamente valido ma forse non sufficientemente "fico" agli occhi della rivista in una "supermodella a cui nessuno può dire no". Chiamo questo atteggiamento "make-up del manoscritto": l'aggiunta di frasi, formule retoriche ed espressioni che non hanno alcuna utilità scientifica, non servono a chiarire alcunché sulla parte scientifica del testo, e che non sono pertinenti allo studio, ma che gli autori sentono il bisogno di includere nel manoscritto affinché così esso appaia "fico" agli occhi degli editori.

Esempi di make-up sono titoli iperbolici al limite della supercazzola monicelliana, in cui si vuole presentare il proprio studio come qualcosa di assolutamente sbalorditivo, oppure gli abstract che dipingono la discussione scientifica come una irrisolvibile controversia ormai impaludata in attesa di qualcosa di innovativo, oppure le formulette retoriche con cui si gonfia l'eccezionalità del proprio studio, oppure le palesi mistificazioni ed omissioni della letteratura al fine di dipingere chi ha già lavorato su quel tema come un mezzo cialtrone incompetente, senza dimenticare l'abuso di superlativi e termini enfatici per abbellire il proprio progetto.

Ci siamo passati tutti per quella fase. Durante il dottorato, io iniziai a sentire che il modo di scrivere gli studi in cui ero coinvolto stava degenerando in quella direzione, e mi sono sentito addosso un senso di sudiciume. Per mia fortuna, riconobbi la malattia incipiente e ho cercato di uscirne sano (e, spero, di averlo fatto). In quei momenti, mi pareva che la qualità dello studio non fosse sufficiente, che fosse necessario rendere lo studio "fico" perché così si poteva sottometterlo su riviste "fiche". Ed il motivo non era la pubblicazione in sé, ma l'eventuale vantaggio in termini di "carriera", "posizione", "finanziamento". Ovvero, il fine era niente che sia intimamente legato alla vera essenza dell'essere uno scienziato. Come accennato sopra, il dibattito su questo fenomeno ha riconosciuto che la causa a monte di questi comportamenti è una spietata competizione per trovare un lavoro decente e stabile dentro l'Accademia, a tutto svantaggio dei giovani scienziati precari. Siccome il principale (ma non unico) metro di valutazione dentro il mondo scientifico è la produttività (numero e significatività delle pubblicazioni), e siccome - purtroppo - gli indici bibliometrici con cui quantifichiamo la produzione letteraria nelle scienze sono mutati geneticamente da semplice misura dell'apprezzamento delle tue opere a vera e propria moneta di scambio e fine ultimo della ricerca scientifica, ecco che il sistema accademico è diventato un mediocre surrogato triste del mondo della finanza, piena di squali assetati di citazioni e di aggiungere impact factor al proprio CV.

Io ora sono fuori dal tunnel del "publish or perish", e sono libero di pubblicare come, dove e quando mi pare (al netto, ovviamente, delle legittime esigenze di eventuali coautori, dentro o fuori tale tunnel, che rispetto quando non sono palesemente patologiche), ma so che molti giovani ricercatori e aspiranti paleontologi stanno per entrare in quel sistema perverso, e forse non sono consapevoli di cosa aspetta loro. 

Pubblicare su Nature o su una rivista scientifica non impattante affiliata ad una università italiana, non fanno più tanta differenza per me. Ciò che conta è che possa dare un contributo interessante allo sviluppo della mia amata disciplina paleontologica.

Un appello ai giovani che stanno entrando nel mondo: se i vostri studi, le vostre ricerche, i vostri progetti sono validi sul piano scientifico, saranno bellissimi anche senza il make-up necessario per finire in chissà quale blasonato giornale fissato con le iperboli. 

Un altro sistema accademico è possibile: liberarsi dalla ossessione dell'Impact Factor è il primo passo per costruire una Scienza libera dalle storture in cui si sta avvitando. Basta solo volerlo.


16 marzo 2024

Trocosmogonia [Recensione di "Tempo Profondo" di Troco, Manucci, Maganuco, Ambasciano, 2024]

 


"Mi contraddico? Va bene, e allora mi contraddico (sono vasto, contengo moltitudini)."

W. Whitman

Se è vero che le donne hanno il monopolio sulla Creazione della Vita, agli uomini è stato concesso il diritto di Creare gli Universi. Anche solo a parole. Miti, leggende, modelli cosmologici, cupole affrescate, scimmie di celluloide che toccano monoliti. La volontà di potenza (anche solo immaginifica) del demiurgo caratterizza gli uomini dalla mente più acuta e visionaria, oltre che inquieta. Non ci basta vivere, dobbiamo dare un senso all'incessante fluire delle cose materiali e spirituali. Un senso che si possa cantare, narrare, per il quale si possa infiammare il cuore e che ci induca la pelle d'oca.

Generalmente, si attribuisce la creazione dell'Universo ad un singolo autore, oppure ad un consorzio di demiurghi minori che hanno ricevuto l'appalto dal Grande Capo. Qualcosa del genere accade anche con le opere cosmogoniche che ci narrano tale creazione. Non sappiamo quanti siano gli autori della Genesi biblica, la cosmologia ufficiale del mondo occidentale per numerosi secoli, mentre conosciamo chi ha scritto il Silmarillion, chi ha tentato di editarlo, chi ha provato a pubblicarlo. In ogni caso, dietro la pura narrazione di eventi, l'elenco di gesta e dinastie, l'enumerare delle Ere e degli Eoni, c'è una particolare concezione religiosa, o spirituale, anche quando dichiaratamente atea e laica. 

Il libro che ho letto in questi giorni si pone l'ambizioso obiettivo di narrare il Tutto, si proietta come Cosmogonia e Mitologia Laica, pur provando un'invidia palese per i suoi illustri antecedenti religiosi. Dato che gli autori dell'opera sono tutti personaggi che conosco da ormai 15-25 anni, e che posso considerare amici nel senso più onesto del termine, intelligenze di cui stimo la personalità e creatività, posso (anzi, devo!) permettermi di essere schietto ed onesto con il loro libro, come deve essere un amico sincero.

"Tempo Profondo", sottotitolo "La storia della vita sulla Terra", edito da Tip.Le.Co., è un'opera a otto mani dell'artista Emiliano Troco, del paleoartista Fabio Manucci, del paleontologo Simone Maganuco, e dello storico Leonardo Ambasciano. Se otto sono le mani degli autori, due sono quelle che hanno plasmato e forgiato la Creatura, quelle di Troco, che è autore delle immagini, del testo, del "concept generale" e supervisore stilistico. Manucci ha contribuito nei testi e nella ricerca iconografica. Maganuco ed Ambasciano sono stati i supervisori scientifico e storico. Non credo si offenderanno gli altri tre se quindi concludo che il Creatore dell'Opera, Demiurgo e Primo Motore del libro è principalmente (e sostanzialmente) Troco. La mia ossessione per coniare neologismi mi porta a ribattezzare l'opera con il nome di Trocosmogonia (da pronunciare con la voce di Luigio Guastardo della Radica). 

 

"Ah! La Trocosmogonia!"


Alla fine della lettura, la mia impressione è come un gatto dentro una scatola contenente una fialetta di veleno collegata ad un rilevatore dello stato quantico di un elettrone. Ambiguamente positiva e negativa. L'opera è notevole e coraggiosa, ma simultaneamente incompleta e vittima delle proprie paure. Umana, molto umana, prima ancora che opera di un Dio Creatore. Dall'inizio alla fine, traspare l'egemonia del primo autore, la sua indole di artista, il suo carattere ruvido, e le sue umanissime contraddizioni.

Nonostante l'anticipazione dell'opera abbia fatto credere a tutti noi bramosi di leggerla che essa affrontasse l'epica lotta tra uomo e dinosauri per il dominio del mondo (cit.), o che perlomeno fosse una sorta di remake di "Quando l'Uomo non c'era", libro che tutti noi paleo-addicted over-40 abbiamo amato da bambini, in realtà la Trocosmogonia non è quello che il titolo potrebbe erroneamente (ma implicitamente) far credere.

Operazione nostalgia?


Ovvero, essa non è un libro di paleontologia. Gli autori lo chiariscono subito nella introduzione: non è un trattato scientifico (indipendentemente da quanto annacquato sul piano divulgativo). Non troverete fossili, non troverete ipotesi o teorie, modelli o metodi, in questo volume. La Scienza fa da ispiratrice, forse persino da Musa a cui gli autori si sono rivolti con devozione, ma non è la protagonista né l'ambientazione. Dal mio punto di vista di paleontologo, questa scelta non è un problema, dato che non è da un libro come questo che traggo informazioni o elementi teorici. Il protagonista dell'opera è la Storia, la suggestione che scaturisce dagli eventi, l'epica associata alle catastrofi ed alle dinastie, e non c'è spazio per l'argomentazione, l'analisi, l'elaborazione. Sarebbe superficiale credere che trattandosi di un libro dedicato in larga parte a ipotesi cosmologiche e paleontologiche, esso sia da classificare nella letteratura scientifica: ciò che definisce la scienza non è l'oggetto di studio bensì il metodo di studio, e questo libro non affronta alcun elemento del metodo scientifico. E, ripeto, ciò non è un difetto, poiché è una scelta esplicitamente dichiarata dagli autori. Volendo essere radicale, potrei dire che l'oggetto del libro è la mente di Troco, la sua visione particolare ed idiosincratica del rapporto tra uomo, scienza, evoluzione e realtà. Mente di Troco puntellata in più parti dai contributi dei coautori.

Troco vi prende per mano, vi strattona in alcuni momenti per destarvi dal vostro torpore, e vi racconta la sua personalissima visione della Storia Cosmica sotto forma di immagini potenti e suggestive. Sì, ci sono anche i contributi scritti, ma quello che muove la sequenza è lo scorrere delle immagini. La spettacolare sequenza di visioni vi trasporta dai confini ancestrali dell'Universo, lungo galassie e sistemi planetari, vi fa collidere con pianeti embrionali, apre il sipario con esplosioni titaniche che distruggono mondi arcaici e forgiano ambienti improbabili eppure necessari, fino alla genesi della vita su questo pianeta. Il cammino verso il presente continua, come la successione di faune, flore ed ambienti, scandito da date che fanno da titolo di ciascun capitolo, a ricordarci che il tempo fisico è sì relativo, ma quello della Storia Cosmica è irreversibile e ordinato, lineare ma non uniforme, e non richiede parole per essere espresso. Basta il numero.

L'aver chiamato ogni capitolo con una data del tempo, con un grezzo numero privo di fronzoli artistici, ha inevitabilmente stuzzicato la mia mente analitica. Mi sono chiesto se l'impegno e l'approfondimento con cui l'opera affronta la sequenza dei molteplici eventi narrati fosse descrivibile da una curva semplice. Regna il Caos nella Trocosmogonia? Oppure il Demiurgo, per quanto orgogliosamente anti-accademico, l'artista anarcoide e volitivo, abbia alla fine dovuto piegarsi - anche solo inconsciamente - al linguaggio matematico che da 4 secoli definisce il sapere scientifico? Per verificarlo, basta plottare le date che intitolano i vari capitoli con il numero di pagina di ciascun capitolo. Se la distribuzione è casuale o caotica, avrà vinto l'estro anarchico dell'artista, ed il libro non sarà descrivibile da una formula matematica. Ma se la distribuzione segue una curva matematizzabile in modo semplice, allora avrà vinto Galileo Galilei. Quindi, c'è un ordine matematico nella Storia Cosmica concepita da Troco? 

Sì, ed è descrivibile da una curva semplice ed elegante, che chiamo TMMA in onore delle iniziali dei quattro autori. 

Distribuzione del tempo cosmico lungo le pagine del libro

La distribuzione degli eventi nel libro segue una curva esponenziale, la cui uniformità è interrotta da solo due discontinuità: una a 4 miliardi e 570 milioni di anni fa (origine della Terra), l'altra a 530 milioni di anni fa (inizio del Fanerozoico). Per Troco, l'Universo ha attraversato solo 3 grandi fasi: la storia cosmica (lentissima e lineare), la storia precambriana (lenta e blandamente sigmoide), il fanerozoico (in accelerazione perpetua). Dal Cambriano fino al 2024, ci sta dicendo Troco, la Storia è sempre stata la medesima, unica e uniforme nelle sue tappe. Sono cambiati gli attori, ma non la spinta generale. Quello che accade nel Medioevo e quello che accade nel Mesozoico sono solo espressioni particolari di un singolo andamento, elegantemente illustrato dalla curva qui sopra. Non sappiamo se ciò sia vero, ma sicuramente è così che l'Autore e Demiurgo ci vuole trasmettere la sua visione del divenire cosmico, perché è così che il Libro risulta organizzato. 

Dato che il volume non si propone di essere un trattato di Scienza, non mi soffermo troppo su alcune sviste nei dati citati, né sulle licenze artistiche in alcune ricostruzioni o nelle scene illustrate. Non è la coda mozzata di un Tyrannosaurus vivo ed in piedi sulle sue gambe (qualcosa di impossibile sul piano sia anatomico che statico, e difatti privo di qualunque base scientifica in letteratura) che può intaccare la potenza suggestiva delle immagini. Se una parte delle rappresentazioni è abbastanza convenzionale e "canonica", alcune opere invece si candidano a "canone" per le prossime generazioni: intriganti ed inattese, sia nel contenuto (specie ammesse per la prima volta nel mondo della paleoarte) che nella composizione. Credo che questo mix di "conservazione e innovazione" risenta anche della peculiare storia che ha prodotto la collezione di opere mostrate: una parte (penso maggioritaria) fu concepita e realizzata ben prima della ideazione di questo progetto. Difatti, sarà interessante capire quanto la struttura interna del volume sia stata adattata alle opere già esistenti, e quanto le opere esistenti siano state selezionate e inserite in funzione della logica interna dell'opera.

Il penultimo punto di questa recensione lo dedico all'unico elemento del libro che non ho apprezzato per niente. Sarò diretto e forse brutale, proprio per rendere chiaro quanto quello che sto per descrivere lo senta stonato col resto di un libro altresì lodevole per il coraggio espresso ed il lavoro prodotto. Al termine della Epica Serie di eventi ed immagini, gli autori (ma sospetto che qui a parlare sia solo Troco) hanno sentito il bisogno di introdurre una manciata di pagine di testo "esplicativo", con un paio di annotazioni ed una "riflessione". Trovo che questa decisione sia molto infelice ed approssimativa. Per due motivi. Le annotazioni trasmettono un'immagine dell'autore palesemente "difensiva", quasi "giustificativa". Se gli autori hanno deciso di non includere note e riferimenti bibliografici, non devono spiegarlo, né "giustificarsi". L'aver "spiegato" la mancanza di bibliografia, e con una affermazione abbastanza infelice (le citazioni bibliografiche non sono "noiose", e dispiace dover leggere una simile affermazione in un testo così profondamente ispirato da innumerevoli fonti esterne) stona con la risolutezza incontrata fino a quel momento, ed appare più la manifestazione di una insicurezza malcelata con un tono sprezzante. Inoltre, gli autori non paiono cogliere la palese contraddizione esistente tra ciò che dichiarano nelle note sul testo e la riflessione aperta nella pagina immediatamente successiva. Se si sostiene che la scienza aiuti ad ovviare a "preconcetti intuitivi" quali la dicotomia tra "noi e loro", allora perché poi si ridicolizza la stessa scienza che ha abolito i termini parafiletici, questi ultimi proprio l'espressione in sistematica di ormai superati preconcetti intuitivi che classificavano a forza la molteplicità delle forme viventi dentro false categorie dicotomiche come "primitivo ed evoluto"? Un gruppo parafiletico è, per definizione, una falsa categoria fondata sull'idea che la primitività sia una condizione distintiva. L'aver abbandonato i termini parafiletici non è una "complicazione del tutto superflua" (come sostenuto dagli autori) bensì proprio l'affermazione di una visione scientificamente matura della complessità biologica che non si piega alle semplificazioni dicotomiche tipiche dei preconcetti intuitivi umani. Il fatto che all'intuito preconcetto dell'autore la parola "prosauropode" appaia divulgativamente utile, non la rende scientificamente valida né tanto meno portatrice di un significato evolutivamente sensato. Essa è e resta l'espressione di un modo contradditorio - e proprio per questo superato - di concepire l'evoluzione biologica. Si può rispettare la scelta stilistica di usare certi termini anche senza condividerla, ma la palese contraddizione di predicare bene dopo aver razzolato male intorno ai "preconcetti intuitivi" è qualcosa che fa stonare fragorosamente quelle due pagine con il resto dell'opera.  

Chiudo con l'elemento che più ho apprezzato ed ammirato dell'opera, forse perché del tutto inatteso: la serie di immagini incluse nella sezione finale ("schemi mappe e tabelle"). Alcune sono prodotti sublimi e superbi, alle quali il formato di impaginazione forse non rende pienamente giustizia. Nella loro fattura si coglie il punto di forza di questa opera così suggestiva e trascinante, e traspare tutta la passione che ha guidato Troco e tutti gli altri autori nella produzione di questo originale ed idiosincratico racconto cosmico.

Voto complessivo: 9

PS: non includo immagini del volume perché dovete acquistarlo, sfogliarlo, così da annusarne la carta, soppesarne il volume e la massa, coglierne la fisicità.











08 marzo 2024

Theropoda alla radio ed un pensiero sullo scorrere del tempo

 


Ieri, sono stato a Milano, ospite di Radio Statale, la radio della omonima Università del capoluogo lombardo. Ho partecipato al programma Breaking Lab, in veste di paleontologo e dispensatore di consigli musicali. Non avevo mai partecipato ad un programma radiofonico in studio (generalmente, le mie comparsate radiofoniche avvengono telefonicamente [esempio]), quindi è stata una simpatica novità. L'occasione mi ha permesso di conoscere alcuni giovani studenti dell'ateneo milanese che organizzano e gestiscono questa realtà radiofonica. Nei prossimi giorni, la registrazione della puntata sarà disponibile online, quindi non mi soffermo sui dettagli di ciò di cui abbiamo parlato (non ci vuole un premio Nobel per intuire che si è parlato di dinosauri).

Mi sarebbe piaciuto essere in un team radiofonico universitario, ai tempi ormai remoti quando fui studente di Scienze Naturali, ma non mi risulta che il mio ateneo abbia mai avuto un simile mezzo di comunicazione. Dopo la puntata in diretta, ho passato un paio d'ore con alcuni dei ragazzi del programma (l'unico che conoscevo già è Gabriele Bindellini, che fa parte da anni del team che studia il famigerato spinosauro dal Marocco pubblicato nel 2014). Li chiamo "ragazzi" perché questo sono ai miei occhi: la loro differenza di età rispetto a me va da 13 a 25 anni in meno, quindi rispetto a me sono, letteralmente, un'altra generazione. Un paio di loro sono nati negli anni in cui mi stavo laureando (con una tesi sull'evoluzione degli uccelli dai dinosauri, tanto per cambiare), e questa coincidenza di eventi (nascita per alcuni, laurea per me), devo ammetterlo, mi ha fatto un certo effetto. Ho sentito molto (ma non troppo) la differenza di età. Questo è inevitabile, é nella natura delle cose, e chi meglio di un paleontologo può sentire (ma anche apprezzare) il peso, la stratificazione ed il succedersi delle generazioni biologiche? 

L'errore che non dobbiamo commettere noi anzianotti è di atteggiarci a dispensatori di verità. So che per il giovane ventenne appassionato di dinosauri, il paleontologo di cui legge i libri e segue il blog può apparire come chissà quale luminare della saggezza, ma non è così, e la cosa più sciocca e vanesia che un uomo della mia età può fare è giocare sulla differenza di età per costruirsi una piccola e mediocre nicchia di notorietà costruita sulla sincera e spontanea passione dei giovani. Anche perché questo atteggiamento ha come effetto collaterale la inevitabile constatazione che tu NON sei più giovane, che quell'età è andata, e che il testimone sta per passare ad altri.

In realtà, se mi soffermo sulla mia formazione, ho ancora molto da imparare, e questo ha due conseguenze rilevanti: che non ho alcun diritto né autorità per atteggiarmi a "saggio", e che sono ancora (almeno in parte) giovane. Fintanto che c'è qualcosa di nuovo da imparare, non si è mai vecchi.