Un tema "extra-scientifico" legato ai dinosauri che mi appassiona molto è la persistenza di tutta una serie di dettagli nell'iconografia di questi animali, dettagli a prima vista secondari, ma che invece manifestano il sistema culturale in cui sono immersi gli autori di quelle iconografie. Dettagli che, non avendo mai visto questi animali dal vivo, gli autori delle opere devono necessariamente trarre da qualche concetto o immagine del mondo di oggi, e che sovente sono ripetuti meccanicamente e acriticamente.
Prendiamo un dettaglio sicuramente secondario, ma che inevitabilmente ogni rappresentazione in vivo di un dinosauro deve in qualche modo affrontare: come era fatta la zona del torace a ridosso dell'articolazione della spalla, tra l'attaccatura dell'omero e la regione pettorale? Nell'essere umano, questa zona è l'ascella, termine che però è improprio usare in un dinosauro. In breve, come era fatto l'omologo dinosauriano della zona ascellare?
Ve lo siete mai chiesti, specialmente se siete disegnatori di dinosauri? La domanda parrebbe un cavillo, ma non lo è, dato che durante la loro storia i dinosauri hanno subito molte e varie trasformazioni anatomiche a livello dell'articolazione della spalla, trasformazioni che hanno sicuramente inciso sul modo con cui, esternamente, doveva apparire la regione "ascellare". Già solo le innumerevoli evoluzioni dal quadrupedismo al bipedismo (e viceversa), che caratterizzano varie linee di dinosauri, così come l'evoluzione dell'ala, del piumaggio o la mera riduzione dimensionale delle braccia in vari gruppi, insomma, un numero non indifferente di episodi evolutivi ha coinvolto questa zona del corpo, e di conseguenza ha plasmato l'esteriorità di questo (solo apparentemente secondario) dettaglio anatomico. Pensare che tutti i dinosauri fossero fatti allo stesso modo in quella zona anatomica è quindi molto improbabile.
Nel disegno qui sotto, vi mostro come la nostra idea di "zona ascellare" può impattare l'iconografia dello stesso animale. In (A) abbiamo lo scheletro dell'animale, in (B) l'iconografia "classica" che più o meno tutti gli autori di ricostruzioni tendono a seguire in modo più o meno automatico (ovvero, con la zona ascellare a ridosso del glenoide pettorale, con al massimo la zona deltopettorale dell'omero inclusa nella parte ricoperta da muscoli e pelle della "ascella", ed il resto del braccio esposto e non incluso nella zona "toracica"), in (C) una versione alternativa, ma non per questo a priori meno legittima, in cui una quota importante di tessuto muscolare e cutaneo "sposta" la localizzazione della "zona ascellare" più distalmente lungo l'arto, di fatto inglobando buona parte dell'omero dentro i tessuti molli della zona toracico-ascellare.
Sono sicuro che la grande maggioranza di voi non ha mai valutato neanche la possibilità di (C), dando per scontato che (B) sia la sola ed unica opzione. Anzi, penso che quasi nessuno si sia mai seriamente posto la questione, immaginando automaticamente le cose come in (B). Eppure, ripeto, non avendo mai visto un dinosauro dal vivo, nessuno di noi può dire a priori quale delle due opzioni sia più valida.
Dimentichiamoci per un attimo l'iconografia, e ragioniamo unicamente su un piano anatomico. Ovvero, combiniamo le informazioni date dalle inserzioni muscolari sulle ossa, le posizioni e direzioni di moto delle articolazioni, e le caratteristiche negli omologhi attuali, e proviamo a dedurre in modo rigoroso una rosa di opzioni possibili per l'anatomia di quella zona. Siamo così sicuri che (B) sia più valida di (C)? In assenza di un'analisi rigorosa e motivata delle parti molli coinvolte, la versione (B) è valida solamente per tradizione, per consuetudine o per pigrizia intellettiva. Non sto dicendo che la (C) sia quella valida, sto solo invitando gli autori di ricostruzioni anatomiche ad essere meno meccanici nelle proprie opere e più aperti a riflettere in modo scientifico su questi dettagli, che non sono marginali.
Trovo questa ipotesi estremamente interessante, se non altro perché non sono drogato di una certa serie di film di mostri. Ad ogni modo, avrei una domanda: l'escursione laterale dell'arto e questa ipotesi possono coesistere, oppure in questo caso, l'arto si muoverebbe solo lungo il piano sagittale? Dagli scheletri articolati, è possibile fare delle ipotesi che possano seriamente essere prese in considerazione e, magari, farne anche uno studio? Mi scuso se la domanda sembra confusa, ma non sono un esperto. Ricordo comunque un post molto interessante di parecchi anni fa sull'arto di Allosaurus, ma non riescp a trovarlo.
RispondiEliminaS.
Domanda legittima, che ha una risposta sicura proprio dai theropodi di cui abbiamo più tracce di parti molli: gli uccelli hanno vari patagi di pelle che si estendono fino al gomito ed al polso, e ciò non incide in alcun modo sulla mobilità dell'ala (che ha un'escursione laterale maggiore di quella del braccio nella maggioranza degli altri theropodi). Non vedo quindi come un'eventuale estensione di tessuto in un theropode mesozoico possa comprometterne la mobilità.
EliminaC non limiterebbe troppo il movimento dell'arto anteriore?^
RispondiEliminaVa dimostrato.
EliminaGreat point. First we need to understand what they were doing with their arms. Besides hitchhiking..
RispondiEliminaIn effetti se riflettiamo sul fatto che la famosa coscia di pollo in realtà è lo stinco non si può dare nulla per scontato.
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