La filogenetica è una
complessa disciplina evoluzionistica. La ricostruzione delle
relazioni filetiche tra organismi è un processo di indagine perlopiù
arcano e ignoto anche alla maggioranza degli appassionati di scienze
naturali. Quello che sovente è noto a molti è solamente la
superficie nominalistica dell'edificio sistematico. Lo noto
sopratutto a livello di appassionati online. Molti destreggiano nomi
di cladi e li citano nei più disparati contesti. Ma quanti di questi
taxo-nominalisti sono anche consapevoli di ciò che sta a monte dei
termini che menzionano? A monte di ogni termine tassonomico ci sono i
motori di ogni ricerca scientifica: i materiali ed i metodi.
L'ignoranza dei materiali e dei metodi è ciò che caratterizza di
solito il profano che parla di taxa, rispetto all'esperto. Non basta
sapere che l'insieme di organismi X è chiamato "Taxon A",
per essere conoscitori di tale insieme. Bisogna conoscere il
perché ed il come tale insieme è stato riconosciuto come taxon.
La banalità dell'ultima
frase è più apparente che reale, ed è più generale di quanto
possa sembrare. Difatti, esistono differenti livelli di
consapevolezza della "materialità e metodocità" di un
clade. La frase che ho scritto in grassetto non è rivolta solo ai
profani, ai taxo-nominalisti ed ai nomencla-troll, ma anche ai
ricercatori. Ad esempio, quanto spesso lo studio sulla validità di
un taxon è corredato da una serie di indagini volte a scovare la
debolezza di tale clade? Di solito, noi ci soffermiamo sulla
robustezza del clade, piuttosto che sulla sua debolezza. Esprimiamo
tale robustezza in termini quantitativi, misurando quanto tale
ipotesi sia confermata dai dati. Sul piano epistemologico
(molto grezzo, lo ammetto), questo approccio equivale a misurare la
verificabilità dell'ipotesi in base ai dati. Quanto spesso, invece,
ci soffermiamo sul grado di falsificabilità di un'ipotesi? La
faccenda in questo caso diventa molto sottile, a tratti sfuggente.
Valutare la falsificabilità di qualcosa in scienze naturali è
spesso rischioso. Orde di filosofi possono infatti discutere per
giorni sul mero significato della parola "falsificabile".
Ed io non voglio impelagarmi in tale palude (sia chiaro fin da ora a
certi lettori, che a volte commentano convinti di essere su un blog
di filosofia della scienza). Infatti, piuttosto che arrogare una
pretesa epistemologica così forte, quale è il discutere di
falsificabilità filogenetica, vi propongo un approccio molto più
umile, modesto e pragmatico, sebbene collegato: indagare sui punti
deboli di uno scenario filogenetico. Ovvero, propongo di indagare
se e come un insieme di materiali-e-metodi usato per sostenere una
struttuta filogenetica sia dotato di debolezze interne. Notate che
sto parlando dell'insieme dei materiali-e-metodi, non dei soli
materiali.
Tutta questa lunga
premessa per introdurvi un articolo, pubblicato oggi su PeerJ, ed
avente come autori Daniel Madzia (Istituto di
Paleobiologia dell'Accademia delle Scienze di Varsavia) ed il
vostro paleo-blogger (Madzia e Cau 2017). In questo studio,
focalizzato sulla filogenetica, sistematica e tassonomia di
Mosasauroidea, abbiamo indagato le debolezze del sistema di
materiali-e-metodi attualmente in uso per sostenere Mosasauroidea.
L'articolo è un esempio di come si possa analizzare la
struttura filogenetica di un clade cercando di scovare quelle aree
più deboli e quindi più interessanti, in quanto potenziali fonti di
revisione significativa. Alla luce di questa indagine, noi proponiamo
una revisione tassonomica e nomenclaturale di Mosasauroidea, che sia
coerente con la storia tassonomica dei cladi finora definiti ma al
contempo non sia eccessivamente suscettibile verso i "punti
deboli" che abbiamo identificato nella struttura sistematica.
L'articolo è scaricabile
liberamente dal sito di PeerJ.
Ringrazio Daniel, che mi
propose questo progetto un paio di anni fa, con cui ho attraversato
la lunga e laboriosa elaborazione e revisione di questo articolo.
Bibliografia:
Madzia D., Cau A. 2017 -
Inferring ‘weak spots’ in phylogenetic trees: application to
mosasauroid
nomenclature. PeerJ
5:e3782. DOI:10.7717/peerj.3782
grazie, scaricherò e leggerò, sperando di capirne qualcosa. essendo un tecnico di un'altra disciplina (molto più, come dire? "morbida"?) so come è facile fraintendere quello che si legge senza avere un background adeguato.
RispondiEliminaEmiliano
Complimenti per la pubblicazione!
RispondiEliminaValerio
L'argomento è intrigante. Lo leggerò cercando di districarmi tra gli inevitabili termini tecnici
RispondiEliminaNell'articolo descrivete come scegliere l'outgroup. L'articolo è uso di coloro che già sanno come scegliere l'outgroup e quindi non risponde a quello che ti voglio chiedere.
RispondiEliminaPer capire come i paleontologi scelgono l’outgroup per le analisi filogenetiche mi rivolgo a internet. Non sono in grado di selezionare le affermazioni vere.
A volte leggo che gli stati di carattere dell'outgroup sono considerati basali, ossia più simili all'antenato comune del'ingroup in studio.
A volte leggo che gli stati di carattere in comune tra outgroup e ingroup sono considerati basali.
In entrambi i casi l’outgroup dovrebbe essere scelto tra i sister group dell’ingroup. Ma nel primo caso la scelta dovrebbe cadere su una OTU che altre analisi filogenetiche hanno già stabilito come basale per il suo gruppo, mentre nel secondo caso la scelta può cadere anche su una OTU anche più derivata.
Nel tuo articolo scrivi di scegliere un outgroup filogeneticamente lontano per evitare di mettere nell’outgroup OTU che potrebbero essere dentro l’ingroup e così facendo prendere una decisione arbitraria.
TI chiedo se puoi chiarirmi le idee in proposito, sempre che ne abbia voglia o se puoi indirizzarmi verso qualche lettura valida.
Ti ringrazio in anticipo
Non esiste una ricetta unica o una formalizzazione standard, perché l'outgroup non è uno stato assoluto di un taxon, ma una condizione formale relativa all'analisi che si sta svolgendo. La recente ipotesi di Ornithoscelida, qualora confermata, ci dimostra che l'outgroup più usato nelle analisi filogenetiche di Theropoda negli ultimi 30 anni (i sauropodomorfi) potrebbero non essere adeguati rispetto agli ornithischi.
RispondiEliminaLa soluzione saggia è quella di scegliere più outgroup e fare dei test alternativi, ed eventualmente usare un outgroup più remoto come base dell'intero processo. In ogni caso, l'atto stesso di definire un ingroup è esso stesso una ipotesi da testare, quindi l'outgroup non può essere definito secondo un metodo unico. Alla fine, conta molto l'esperienza maturata nello svolgere filogenetica.
In conclusione, la "ricetta" non consiste nel modo perfetto per scegliere gli outgroup, ma nel definire un criterio ripetibile che permetta di correggere eventuali errori risultati dalla scelta dell'outgroup. Il senso ultimo del nostro articolo era proprio quello.
Avrei alcune domande per meglio capire il paragrafo "Character sampling".
RispondiEliminaI "compound character" sono quelli che uniscono dettagli anatomici diversi in un'unica definizione di
carattere?
Il carattere multistato ordinato definisce una sequenza evolutiva, dove lo stato con ordine 0 è comparso prima dello stato con ordine 1 e così via e dove non sia prevista la possibilità di ritorni a uno stato precedente?
Se è così non è possibile avere caratteri multistato ordinati, dove una OTU può avere una codifica che comprende più stati non consecutivi.
E' corretto?
Risposte:
RispondiElimina1- Sì.
2- Sì, definisce una sequenza evolutiva, ma è ammessa la reversione. In alternative, si può imporre che la sequenza sia irreversibile. Di solito si lascia libertà di direzione alla transizione di stati.
Puoi anche codificare stati non consecutivi... ma di solito tale polimorfismo nei multistato ordinati non ha senso.
Grazie. Ho ancora un dubbio ma vorrei scrivertelo con un minimo di chiarezza e prima devo chiarirmelo io.
RispondiEliminaHo trovato quella "incongruenza" (nel senzo di congruenza che non sono riuscito a capire) di cui ti scrivevo.
RispondiEliminaNell'articolo scrivi di impostare gli stati di un carattere come ordinato quando una precedente analisi filogenetica, con
lo stesso carattere non ordinato, ha dato come risultato un ordine ben preciso degli stati di questo carattere (una seguenza evolutiva).
La mia perplessità è la seguente:
Perchè impostare il carattere come ordinato e rieseguire l'analisi? Il risultato non dovrebbe essere identico?
Perchè mantenere il carattere ordinato quando si eseguirà un'altra analisi dopo l'aggiunta di ulteriori informazioni
(cambi di stato di carattere, nuovi caratteri, nuovi taxa, ....). I nuovi dati potrebbero modificare l'ordinamento degli stati di
quel carattere. Impostarli obbligatoriamente ordinati non è una decisione a priori?
Anche il non imporli ordinati è una decisione a priori. Molti autori spesso non colgono questo concetto, e pensano che impostare i caratteri tutti non-ordinati non sia una decisione a priori, quando invece lo è.
RispondiEliminaAd esempio, se avere 3 falangi in un dito è condizione primitiva, qualsiasi riduzione del numero di falangi rispetto a 3 è derivata. Se impongo i caratteri non-ordinati a priori, impongo a priori che un taxon con 2 falangi può solo formare un clade con altri taxa con due falangi, perché impongo che perdere 1 falange sia diverso da perderne 2. Eppure, anche un taxon con una sola falange ha perso una singola falange (come i taxa con due falangi), solo che poi ne ha persa anche una seconda. Ovvero, se impongo i caratteri ordinati, posso ammettere che un taxon con 1 sola falange sia interno ad un clade con 2 falangi. Imponendo i caratteri come non-ordinati, non permetto quella possibilità, e quindi impongo a priori solo un sottoinsieme dei possibili scenari evolutivi.