Immaginate una situazione catastrofica, un'apocalisse come tante proposte da ciarlatani lettori di calendari Maya o astuti sceneggiatori di Hollywood. Un cataclisma che consumi un'enorme quantità di ossigeno atmosferico, al punto che la sua concentrazione al livello del mare passi dall'attuale 21% scendendo al 15%. Tale rarefazione dell'ossigeno è quella che oggi si vive a circa 4000 metri di quota. Cosa accadrebbe? Come ha sperimentato ogni maldestro alpinista, il deficit di ossigeno (detto "ipossia") è molto pericoloso, in particolare per il cervello. Senza una adeguata ossigenazione, il cervello può subire danni permanenti o la morte. Difatti, la biodiversità animale cala drasticamente in alta quota. I grandi animali d'alta quota sono molto rari, e spesso hanno stili di vita meno attivi ed intensi dei loro parenti di bassa quota. Eppure, non tutti gli animali risentono allo stesso modo della carenza di ossigeno. In effetti, se una simile catastrofe si abbattesse oggi sulla Terra, riducendo la quantità di ossigeno atmosferico, gli effetti sarebbero molto differenti a seconda del gruppo animale considerato. Chi non sopravviverebbe in questo mondo con scarso ossigeno? Chi, invece, potrebbe trarne grandi vantaggi, al punto da diventare la forma di vita dominante? Queste domande sono meno speculative di quanto sembri, dato che abbiamo prove che, effettivamente, qualcosa del genere accadde in passato.
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Anche se l'ossigeno atmosferico non lascia tracce fossili dirette, la sua concentrazione influisce su numerosi fenomeni geologici, ed è influenzata a sua volta da processi geodinamici e biologici. Sulla base di questi modelli relativi alle reazioni geochimiche dell'ossigeno è possibile stimare la concentrazione atrmosferica di questo gas durante le ere geologiche (Berner, 1999). Il grafico qui sotto illustra il probabile andamento a larga scala della concentrazione di ossigeno negli ultimi 500 milioni di anni (modificato da Berner, 1999).La linea azzurra orizzontale rappresenta il livello attuale. Gli intervalli della curva al di sopra di quella linea indicano periodi con una maggiore quantità di ossigeno atmosferico rispetto ad oggi.
Il grafico mostra un picco della quantità di ossigeno nella seconda metà del Paleozoico (circa 300 milioni di anni fa) che arriva al limite di 30%, oltre il quale probabilmente la concentrazione atrmosferica di O2 non può andare per l'insorgenza di meccanismi fisici che arrestano la crescita di ossigeno (ad esempio, una maggiore frequenza di incendi, che consumano l'ossigeno e distruggono la biomassa vegetale). Interessante osservare che la fine del Paleozoico è il periodo delle prime grandi foreste d'alto fusto. Inoltre, questa elevata quantità di ossigeno può spiegare l'evoluzione di insetti giganti, noti nel Carbonifero (aventi aperture alari di 70 cm): il sistema respiratorio degli insetti non permete efficaci scambi gassosi oltre una certa taglia corporea; è possibile che una maggiore quantità di ossigeno atrmosferico abbia spostato in alto il loro limite massimo di dimensione corporea rispetto al valore attuale. L'articolo di Berner (1999) si conclude con la seguente frase:
For example, did dinosaur evolution have anything to do with changing O2 levels during the Mesozoic era?Per rispondere a parte di questa domanda, riguardiamo il grafico in alto.
Dopo il picco di 300 milioni di anni fa, la curva dell'ossigeno cala, raggiungendo una base minima, attorno al 15% nell'intervallo tra 230 e 190 milioni di anni fa, ovvero, nel Triassico Superiore e all'inizio del Giurassico Inferiore (zona delimitata delle due righe verticali rosa). Se questi studi sono corretti, quindi, durante quell'intervallo di tempo la Terra sperimentò un mondo ipossico, come quello che ho fantasticato all'inizio del post! A quei tempi, quindi, la concentrazione di ossigeno al livello del mare fu simile a quella attuale sulle vette alpine.
Quali conseguenze può avere avuto una simile situazione?
Esattamente come nel caso degli insetti, è possibile che una riduzione dell'ossigeno abbia vincolato le dimensioni corporee di animali con sistemi respiratori non adatti a respirare in condizioni rarefatte ed abbia selezionato positivamente animali con sistemi respiratori capaci di assumere anche l'ossigeno in aria rarefatta. Quali animali hanno queste caratteristiche?
Non i mammiferi (ed in generale, probabilmente, i therapsidi da cui derivano i mammiferi). Non a caso, la ricca e florida fauna dei therapsidi del Permiano e del Triassico Inferiore si riduce drasticamente nel Triassico superiore, quando gli unici therapsidi abbondanti sono i cinodonti di piccola taglia, tra cui i primi mammiferi.
Al contrario dei mammiferi, gli uccelli hanno un polmone perfettamente adattato a respirare aria rarefatta, senza subirne alcuna conseguenza. Ciò è dimostrato dal fatto che gli uccelli possono svolgere l'attività muscolare più complessa e dispendiosa, ovvero il volo, anche a 9000 metri di altezza, permettendo, ad esempio, il valico dell'Himalaya alle oche indiane, e l'attraversamento dell'intero Oceano Pacifico ad uccelli marini migratori, senza alcuno scalo durante la traversata. Questa capacità è data dal loro polmone che, come ho spiegato qui, è il più complesso ed efficiente nel mondo animale. Nessun mammifero è capace di simili prestazioni muscolo-respiratorie.
Numerosi dati confermano l'ipotesi che il sistema ventilatorio degli uccelli sia un carattere di tutti i dinosauri saurischi (theropodi e sauropodomorfi). Inoltre, come ho discusso qui, solo il sistema respiratorio degli uccelli permette la ventilazione ad animali con trachee (e colli) lunghissimi, come quelli dei sauropodi. Pertanto, non ci sono obiezioni logiche ad ammettere che i saurischi avessero le stesse capacità respiratorie degli uccelli, tra cui la capacità di reperire con successo l'ossigeno anche in condizioni di aria rarefatta.
Non è forse un caso che i saurischi raggiungano grandi dimensioni corporee già nel Triassico Superiore (con i primi sauropodi, lunghi 8-10 metri) e con i primi grandi neotheropodi (come Dracovenator e Zupaisaurus, lunghi 5-6 metri), mentre gli ornithischi siano rimasti di piccole dimensioni almeno fino alla fine del Giurassico Inferiore. Possibile che il successo dei saurischi alla fine del Triassico sia stato un effetto della loro capacità di respirare anche aria rarefatta, permettendo loro di evolvere grandi dimensioni in condizioni dove gli altri animali a postura eretta non potevano, vincolati dall'impossibilità di assumere tutto l'ossigeno necessario ad una grande mole corporea?
Pare plausibile. Infatti, dopo questa fase di ipossia, la curva dell'ossigeno tornò a crescere per il resto del Mesozoico, permettendo agli ornithischi di evolvere grandi dimensioni, ed ai saurischi sauropodi di diventare i più giganteschi animali terrestri di tutti i tempi, con dimensioni mai raggiunte dai mammiferi e dagli ornithischi (i theropodi, essendo carnivori e bipedi, probabilmente non possono superare le dimensioni di Tyrannosaurus e Spinosaurus).
Bibliografia:
Berner RA. Atmospheric oxygen over Phanerozoic time. Proc Natl Acad Sci USA 1999; 96(20): 10955-10957.
Ciao
RispondiEliminaBerner per caso avanza anche un'ipotesi per spiegare la bassa concentrazione di ossigeno del medio triassico? Glaciazioni? Vulcanismo? Clima? Riscaldamento globale? Problemi per il fitoplacton?
Fu un processo relativamente lento, o geologicamente veloce? Dal grafico parrebbe lento e graduale, ma non so che scala utilizzasse Berner.
Erodoto
Il modello è molto complesso, e non si basa su una sola causa, bensì su una rete di retro-azioni collegate. Incidono i tassi di deposizione e seppellimento dei sedimenti ferrosi e sulfurei, i carbonati ed altri tipi di sedimenti che possono sottrarre ossigeno libero dall'aria e dall'acqua. Incidono anche i cicli del carbonio legati agli organismi, in particolare la biomassa vegetale come fonte di ossigeno. Questo sistema ipercomplesso evolve gradualmente, e ciò spiega la curva graduale spalmata in milioni di anni. Non credo che eventi catastrofici improvvisi possano influire a questa scala (anche se, nel breve termine, possono contribuire).
RispondiEliminaQuindi gli Ornitischi non possedevano un sistema respiratorio aviano?
RispondiEliminaSimone
Simone, non è detto. Può darsi che lo avessero ma che questo non penetrasse le vertebre e quindi non lasciasse tracce come nello scheletro dei saurischi. La presenza negli pterosauri può giustificare questa interpretazione.
RispondiEliminaSalve, avrei una domanda: se per caso, oggi, la concentrazione di ossigeno (fantascientificamente parlando) ritornasse di colpo alle concentrazioni del mesozoico, quali potrebbero essere le conseguenze per l'essere umano? Grazie! :)
RispondiEliminaDipende dalla velocità con cui avverrebbe il fenomeno (anni? secoli?), che comunque sarebbe catastrofica alla scala geologica. In ogni caso, probabilmente la specie umana abbandonerebbe tutti i luoghi sopra una certa altitudine (che non so stimare quale) e si concentrerebbe solo sulle coste a livello del mare dove l'ossigeno è alla massima concentrazione. Probabilmente, i malati di anemia morirebbero tutti, e i sani vivrebbero come oggi vivono gli anemici.
EliminaLa situazione potrebbe essere anche meno drammatica, specie dopo un più o meno lungo periodo.
RispondiEliminaOggi esistono già due popolazioni, i tibetani e gli andini, dotate di adattamenti per vivere in ambienti a bassa concentrazione di ossigeno.
In Bolivia e in Tibet la moda delle donne europee non può concepire un figlio, mentre i locali prosperano. La variabilità genetica del genere umano è scarsa, ma in questa scarsità abbiamo già esperimenti di sopravvivenza ad alta quota con concentrazioni di ossigeno basse.
Io stesso ho qualche piccolo problema di salute perché ho il "sangue pesante", cioè ho una concentrazione anomala di globuli rossi nel sangue, che devo tenere sotto controllo, e che con contrazioni di ossigeno normali non è utile. Nelle mie medesime condizioni esistono milioni di individui, una esigua minoranza, ma non uno zero statistico.
Nel caso che la concentrazione di ossigeno al livello del mare diventi simile a quella oggi esistente a 4.000 metri di quota assisteremo ad un massiccio cambio delle popolazioni, ovvero quelle persone che, per adattamento genetico (tibetani, andini) o per anomalia genetica casuale (io), sono in grado (magari, come gli andini, anche con altri adattamenti, come ad esempio polmoni mediamente più ampi di quelli dell'europeo medio) di prosperare, vivere e riprodursi con poco ossigeno conquisterebbero le pianure e i loro tratti genetici diventerebbero dominanti nelle popolazioni mondiali di esseri umani.
Altri, come gli anemici, si estinguerebbero.
Certamente questo processo sarebbe traumatico, ma oggi in Bolivia vivono più esseri umani che in tutto il mondo durante il neolitico. Mentre molte altre popolazioni (gurkas, iranici, papua, ecc, ecc.) hanno già al loro interno porzioni elevate di persone con il sangue pesante.
Nel lunghissimo periodo si selezionerebbero individui in grado di sopravvivere in condizioni di ossigeno ancora più scarse di quelle oggi presenti a 4000 metri di quota. Ma ovviamente questo richiederebbe tempi lunghissimi.
Però va anche rimarcato che a occhio e croce l'80% della popolazione mondiale attuale vive sotto i 600 metri di quota (e, sempre a occhio e croce il 50% è a meno di 200 km dal mare), quindi la parte più fertile, abitabile, ricca, e utile all'umanità del pianeta terra sarebbe ancora abitabile.
Semmai il danno sarebbe per l'ecosistema tutto, con molte specie meno adattabili della nostra.
Valerio
Valerio,
Eliminami scuso per aver scritto una frase in modo improprio che ha generato confusione. Non è corretta la mia frase "quella che oggi si vive a circa 4000 metri di quota", ma sarebbe più corretto scrivere "tale concentrazione ridotta sarebbe simile, negli effetti, a ciò che oggi genera l'ipossia respiratoria a circa 4000 metri di quota". Ma si tratta di fenomeni differenti, con cause e soluzioni molto diverse.
Pertanto, è falso scrivere che i tibetani e gli andini hanno adattamenti per vivere in ambienti a bassa concentrazione di ossigeno. Ad alta quota, la concentrazione dell'ossigeno è la medesima che al livello del mare. Quello che rende difficile la respirazione in quota è la bassa tensione dell'ossigeno, data dalla bassa pressione atmosferica, che rende l'aria più rarefatta, ovvero con una minore quantità di ossigeno/volume di aria (ma non meno concentrata di ossigeno). Quei popoli hanno adattamenti per migliorare la ventilazione polmonare, ma non hanno adattamenti per vivere in atmosfere con una minore concentrazione di ossigeno. Una concentrazione ridotta, come nel Triassico, è una faccenda differente da una bassa pressione data dalla quota altimetrica: significa che la quantità eggettiva di ossigeno presente è minore (ossigeno/altri gas), non che occorre una maggior energia di tensione per effettuare gli scambi a livello degli alveoli.
Se per adattarsi alle condizioni triassiche bastasse quel poco di adattamento polmonare che in qualche millennio ha plasmato gli andini, non si capirebbe come mai molti vertebrati triassici abbiano evoluto trasformazioni anatomiche radicali come il sistema di ventilazione unidirezionale o i sacchi aerei...
Inoltre, il tuo scenario adattazionista e antropocentrico (con gli andini che dominano il mondo e gli escosistemi che non sono in grado di fare lo stesso) è un po' troppo "just so selfish story". Non penso che nel Triassico sia bastato che qualche popolazione montana si sia espansa nelle terre per diventare dominante e rendere la specie adatta alle nuove condizioni: è stato necessario modificare l'apparato ventilatorio, migliorando l'efficienza di reperimento di una risorsa che non era più abbondante come prima.