I miei lettori costanti sanno che in passati post ho proposto l’ipotesi che in almeno due cladi di theropodi mesozoici si siano evoluti alcuni adattamenti locomotori per uno stile di vita anfibio. Sebbene alcuni critici si siano soffermati su aspetti cranici che non erano inclusi nella formulazione di quelle ipotesi, ripeto che non ho mai pensato di attribuire a questi due gruppi di theropodi una particolare dieta acquatica, né un regime alimentare piscivoro. (Probabilmente, essi hanno frainteso la mia nozione di adattamento locomotorio anfibio - ovvero, un insieme di caratteri postcraniali, sopratutto a livello di coda e arti, funzionali sia in acqua che nella terraferma - con quella di adattamento cranico-alimentare acquatico o piscivoro - un’ipotesi che non ho mai citato, non essendo fondamentale alla mia argomentazione, la quale, ripeto, si focalizzava sulla locomozione e non era basata sull’alimentazione). Chi ancora si ostina a vedere nella mia ipotesi locomotoria anfibia un difetto basato sull’alimentazione, è pregato di rileggere attentamente le mie argomentazioni: l’ipotesi locomotoria anfibia implica un adattamento a condizioni ambientali, e non richiede un adattamento ad alimentazioni specializzate verso animali acquatici (nel senso che l’eventuale assenza di adattamenti alimentari acquatici non la invalida: un animale anfibio non deve essere necessariamente specializzato a nutrirsi di prede acquatiche, ma può avere un’alimentazione generalista, in linea con il suo sistema locomotorio ibrido). Continuo a trovare molto curioso e bizzarro l’accanimento di alcuni critici verso un aspetto che non è necessario né fondamentale per la validità dell’ipotesi anfibia. Infatti, se le loro argomentazioni fossero valide, allora animali come l’orso grigio, la lontra o il becco a scarpa non dovrebbero essere adatti a vite anfibie, dato che, a ben vedere, i loro crani non hanno lunghi musi muniti di numerosi denti conici, né rivolti rostralmente, occhi e narici dorsali, meccanismi di espansione orale e suzione dell’acqua o altri dei presunti vincoli anatomici ritenuti fondamentali (secondo i miei critici) per catturare del pesce. Detto questo, resto dell’idea che i due gruppi di theropodi da me citati (gli oviraptoridi ingeniini e l’abelisauride Majungasaurus) hanno delle morfologie postcraniali che permettono loro di spostarsi agevolmente in ambienti semi-acquatici: ciò non ha niente a che vedere con le loro diete, dato che, a mio avviso, essi avevano lo stesso regime alimentare dei loro parenti non-anfibi.
Tuttavia, voglio accettare in parte l’eventuale sfida dei miei critici: in questo post mostrerò che sia gli oviraptoridi che gli abelisauridi hanno un mix di caratteri cranici che non solo li differenzia da buona parte degli altri theropodi, ma che è perfettamente in linea con l’ipotesi che fossero (almeno potenzialmente) adatti a vivere in acqua, in quanto presentano specializzazioni muscolari simili a quelle di molti vertebrati acquatici, potenzialmente vantaggiose per un animale che apre la bocca in acqua.
Nell’immagine vedete un cranio di oviraptoride (Citipati) e uno di abelisauride (Majungasaurus): sebbene i due crani siano chiaramente differenti nelle morfologie dettagliate, essi sono molto simili nello sviluppo generale dei distretti muscolari deputati all’apertura e chiusura della bocca, in particolare nel sistema degli adduttori e depressori mandibolari. Tale similitudine è ancora più interessante se consideriamo che questi adattamenti non sono presenti con questo grado di specializzazione in nessun altro gruppo di theropodi.
In particolare:
1- Il processo retroarticolare è molto allungato. Negli altri theropodi questo processo non mostra un tale allungamento. Il processo retroarticolare è l’inserzione dei depressori della mandibola: negli animali adattati ad aprire la bocca in acqua, il processo è molto allungato, sia per aumentare l’area di inserzione muscolare, sia per aumentare il braccio della leva efficace. Questi adattamenti sono necessari per vincere la resistenza dell’acqua, molto più densa dell’aria, che si oppone al moto della mandibola (Sanderson & Wassersug, 1993).
2 & 3- La finestra infratemporale e quella mandibolare esterna, e le relative camera per i muscoli temporali, sono espanse considerevolmente: nessun altro gruppo di theropodi ha finestre così espanse, e, di conseguenza, muscoli temporali così sviluppati. Indipendentemente dall’origine evolutiva di tali tratti, essi sono chiaramente vantaggiosi nel caso si debba chiudere la mandibola vincendo la resistenza dell’acqua.
4- Il rostro (la regione antorbitale del cranio) è corto rispetto agli altri theropodi. Questo tratto è legato ai precedenti: per lo stesso principio su cui si basano i remi, la forza necessaria a muovere la mandibola dal suo perno a livello del quadrato vincendo la resistenza del mezzo fluido in cui è immersa è direttamente proporzionale alla sua lunghezza: tanto più è lunga la mandibola, tanto più lavoro meccanico sarà necessario per muoverla vincendo la resistenza dell’acqua. Ne consegue che, tra i theropodi noti, quelli con i rostri più corti sono potenzialmente più adatti degli altri ad aprire la bocca in acqua. (Questo principio meccanico è lo stesso che rende le proporzioni tibiali di Majungasaurus, con processi estensori cnemiali allungati ma tibia corta, molto più adatte allo spostamento in acqua di quelle degli altri theropodi).
ATTENZIONE: questo non significa che i tratti citati presenti negli oviraptoridi e negli abelisauridi si sono evoluti proprio per la vita in acqua, né vuole essere una dimostrazione che essi fossero acquatici. Ovvero, è chiaro che la distribuzione di queste caratteristiche anche in taxa non acquatici (gli oviraptoridi non-ingeniini, gli abelisauridi non imparentati con Majungatholus) dimostra che non sono comparse come adattamenti specificatamente acquatici (cioè, non sono adaptations, nel senso di Gould & Vraba, 1983: caratteri evolutisi proprio in seguito a quella particolare pressione selettiva). Tuttavia, è innegabile che l’anatomia cranica di questi due gruppi di theropodi terricoli ha caratteri potenzialmente vantaggiosi in acqua, indipendentemente dalle cause che li hanno generati. Ovvero, questi caratteri, probabilmente evolutisi in ambiente terrestre, sono dei possibili exattamenti per la vita in acqua (exaptations, Gould & Vrba, 1983: caratteri evolutisi in un contesto differente dall’attuale che sono stati co-optati per la nuova funzione).
Il fatto che questa combinazione di possibili ex-aptations acquatici sia presente proprio nei due gruppi di theropodi all’interno dei quali sono presenti specie con caratteristiche postcraniali anfibie è un ulteriore sostegno all’ipotesi che qualche membro di tali gruppi occupò con successo una nicchia anfibia.
In una prossima puntata tornerò a parlare di crani ed acqua, e di come gli spinosauri usavano i loro rostri.
Bibliografia:
Gould S.J. & Vrba E.S., 1983 - Exaptation - a missing term in the science of form. Paleobiology 8: 4-15.
Sanderson S. L. & Wassersug R., 1993 - Convergent and alternative designs for vertebrate suspension feeding. 37–112. In Hanken J. & Hall B. K. (eds). The skull, volume III: functional and evolutionary mechanisms. University of Chicago Press, Chicago, 460 pp.
Tuttavia, voglio accettare in parte l’eventuale sfida dei miei critici: in questo post mostrerò che sia gli oviraptoridi che gli abelisauridi hanno un mix di caratteri cranici che non solo li differenzia da buona parte degli altri theropodi, ma che è perfettamente in linea con l’ipotesi che fossero (almeno potenzialmente) adatti a vivere in acqua, in quanto presentano specializzazioni muscolari simili a quelle di molti vertebrati acquatici, potenzialmente vantaggiose per un animale che apre la bocca in acqua.
Nell’immagine vedete un cranio di oviraptoride (Citipati) e uno di abelisauride (Majungasaurus): sebbene i due crani siano chiaramente differenti nelle morfologie dettagliate, essi sono molto simili nello sviluppo generale dei distretti muscolari deputati all’apertura e chiusura della bocca, in particolare nel sistema degli adduttori e depressori mandibolari. Tale similitudine è ancora più interessante se consideriamo che questi adattamenti non sono presenti con questo grado di specializzazione in nessun altro gruppo di theropodi.
In particolare:
1- Il processo retroarticolare è molto allungato. Negli altri theropodi questo processo non mostra un tale allungamento. Il processo retroarticolare è l’inserzione dei depressori della mandibola: negli animali adattati ad aprire la bocca in acqua, il processo è molto allungato, sia per aumentare l’area di inserzione muscolare, sia per aumentare il braccio della leva efficace. Questi adattamenti sono necessari per vincere la resistenza dell’acqua, molto più densa dell’aria, che si oppone al moto della mandibola (Sanderson & Wassersug, 1993).
2 & 3- La finestra infratemporale e quella mandibolare esterna, e le relative camera per i muscoli temporali, sono espanse considerevolmente: nessun altro gruppo di theropodi ha finestre così espanse, e, di conseguenza, muscoli temporali così sviluppati. Indipendentemente dall’origine evolutiva di tali tratti, essi sono chiaramente vantaggiosi nel caso si debba chiudere la mandibola vincendo la resistenza dell’acqua.
4- Il rostro (la regione antorbitale del cranio) è corto rispetto agli altri theropodi. Questo tratto è legato ai precedenti: per lo stesso principio su cui si basano i remi, la forza necessaria a muovere la mandibola dal suo perno a livello del quadrato vincendo la resistenza del mezzo fluido in cui è immersa è direttamente proporzionale alla sua lunghezza: tanto più è lunga la mandibola, tanto più lavoro meccanico sarà necessario per muoverla vincendo la resistenza dell’acqua. Ne consegue che, tra i theropodi noti, quelli con i rostri più corti sono potenzialmente più adatti degli altri ad aprire la bocca in acqua. (Questo principio meccanico è lo stesso che rende le proporzioni tibiali di Majungasaurus, con processi estensori cnemiali allungati ma tibia corta, molto più adatte allo spostamento in acqua di quelle degli altri theropodi).
ATTENZIONE: questo non significa che i tratti citati presenti negli oviraptoridi e negli abelisauridi si sono evoluti proprio per la vita in acqua, né vuole essere una dimostrazione che essi fossero acquatici. Ovvero, è chiaro che la distribuzione di queste caratteristiche anche in taxa non acquatici (gli oviraptoridi non-ingeniini, gli abelisauridi non imparentati con Majungatholus) dimostra che non sono comparse come adattamenti specificatamente acquatici (cioè, non sono adaptations, nel senso di Gould & Vraba, 1983: caratteri evolutisi proprio in seguito a quella particolare pressione selettiva). Tuttavia, è innegabile che l’anatomia cranica di questi due gruppi di theropodi terricoli ha caratteri potenzialmente vantaggiosi in acqua, indipendentemente dalle cause che li hanno generati. Ovvero, questi caratteri, probabilmente evolutisi in ambiente terrestre, sono dei possibili exattamenti per la vita in acqua (exaptations, Gould & Vrba, 1983: caratteri evolutisi in un contesto differente dall’attuale che sono stati co-optati per la nuova funzione).
Il fatto che questa combinazione di possibili ex-aptations acquatici sia presente proprio nei due gruppi di theropodi all’interno dei quali sono presenti specie con caratteristiche postcraniali anfibie è un ulteriore sostegno all’ipotesi che qualche membro di tali gruppi occupò con successo una nicchia anfibia.
In una prossima puntata tornerò a parlare di crani ed acqua, e di come gli spinosauri usavano i loro rostri.
Bibliografia:
Gould S.J. & Vrba E.S., 1983 - Exaptation - a missing term in the science of form. Paleobiology 8: 4-15.
Sanderson S. L. & Wassersug R., 1993 - Convergent and alternative designs for vertebrate suspension feeding. 37–112. In Hanken J. & Hall B. K. (eds). The skull, volume III: functional and evolutionary mechanisms. University of Chicago Press, Chicago, 460 pp.
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