Artwork di J. Csotonyi (da Brown et al. 2021) |
La Paleontologia è la scienza dei fossili. Lo ripeto spesso, quasi alla noia, perché è un concetto fondamentale che sembra essere ignorato (o dimenticato) dai vari sostenitori del "Illuminismo dei Dinosauri", fautori di una libertà speculativa e "anarchia creativa" (spesso volutamente eccessiva) nei discorsi sulla vita del passato. Essere la "scienza dei fossili" significa che la paleontologia ha come obiettivo quello di spiegare i fossili, e non di speculare sulla "vita di epoche passate". Se un fenomeno non lascia tracce fossili, da un punto di vista rigorosamente paleontologico esso non esiste, ed è saggio non parlarne. Pertanto, senza evidenze fossili, non ha alcun senso speculare su qualche elemento biologico di un determinato taxon estinto. Questa rigorosa delimitazione del campo paleontologico sicuramente deluderà i tanti amanti della scienza speculativa. Ma così stanno le cose. Non vedo niente di male a fare zoologia speculativa, ma essa non è paleontologia, e non deve essere confusa con questa ultima.
Chi pensa che la paleontologia rigorosa sia noiosa e frustrante in quanto limitata nel suo campo di applicazione, probabilmente non è veramente appassionato di paleontologia, e non conosce l'enorme piacere che, invece, noialtri proviamo nell'accettare la dura sfida lanciata dai fossili.
Un esempio di come la scienza dei fossili possa illuminarci sulla vita delle creature estinte senza scadere nella speculazione sempliciotta è dato dal recente studio di Brown et al. (2021).
Brown et al. (2021) presentano un dettagliato censimento delle lesioni ossee (più o meno rimarginate) presenti sulle ossa del cranio di un ampio campione di Tyrannosauridae dal Cretacico Superiore del Canada, in larga parte riferibili ad Albertosaurus, Daspletosaurus e Gorgosaurus. Gli autori analizzano la posizione, orientazione e profondità delle lesioni sulle ossa, le distribuiscono in base alle dimensioni dell'animale, il tipo di osso e l'eventuale grado di rimarginazione. Essi poi confrontano questi dati con le dimensioni dell'animale a cui appartengono, stimano le dimensioni minime dell'autore delle ferite (deducibile dalle dimensioni dei solchi prodotti dai loro denti), e comparano le due distribuzioni dei dati. Infine, essi calcolano la robustezza statistica di questi risultati e li confrontano con studi analoghi svolti su vertebrati viventi oggi.
Le analisi indicano che le lesioni facciali si manifestano quando gli animali hanno raggiunto circa la metà della dimensione adulta, una taglia corporea che corrisponde alla fase della crescita in cui si ritiene questi animali raggiungevano la maturità sessuale. Con l'aumentare delle dimensioni corporee (e quindi l'età dell'animale) aumenta la frequenza e abbondanza di lesioni rimarginate. Le lesioni si osservano su circa il 60% degli esemplari campionati, secondo una distribuzione non omogenea sulle ossa del cranio. Le regioni più ricche di lesioni sono il mascellare ed il dentale, ovvero i lati del muso. Le lesioni mostrano anche una diversa distribuzione in base alla loro forma: lesioni più "puntiformi" si ritrovano soprattutto lungo la superficie dorsale del muso e ventrale della mandibola, mentre le lesioni allungate si distribuiscono maggiormente lungo i lati del muso. L'orientazione dei solchi lungo il mascellare è diretta principalmente dall'alto verso il basso e leggermente all'indietro, mentre lungo la mandibola è principalmente dal basso verso l'alto e leggermente in avanti. Infine, l'autore delle lesioni è quasi sempre un animale della stessa classe dimensionale dell'animale ferito.
Se confrontiamo queste caratteristiche con gli studi sugli animali odierni, vediamo che l'analogo più simile è nei coccodrilli, sia nella frequenza e distribuzione delle lesioni a seconda delle dimensioni dell'animale e dello stadio di crescita, sia nella diversa distribuzione del tipo di lesione sulla testa.
Brown et al. (2021) concludono quindi che la causa principale delle lesioni sul muso dei tyrannosauridi fosse la competizione sessuale tra individui maturi della stessa specie. Gli animali tendevano ad assumere un comportamento stereotipato, che li portava a fronteggiare altri animali della stessa taglia, contro cui era ingaggiato uno scontro a morsi, durante i quali si tentava di afferrare la mandibola dell'altro trattenendola tra le proprie mandibole. Gli autori notano che la frequenza dei morsi nella popolazione possa indicare che un sesso era più attivo dell'altro nel produrre ferite, anche se non è possibile stabilire se siano i maschi o le femmine. Tuttavia, questa ultima ipotesi è statisticamente debole e potrebbe essere influenzata da errori di campionamento.
Infine, gli autori notano che le lesioni sul cranio sono presenti in un gran numero di grandi theropodi, ma che siano quasi del tutto assenti tra i taxa di taglia minore, in particolare i maniraptoriformi. Non si può escludere che la rarità di tracce sui giovani tyrannosauridi sia almeno in parte dovuta al medesimo fattore. Ovvero, non è chiaro se ciò sia in parte legato ad un effetto di scala (animali più piccoli producono morsi più deboli che quindi non lasciano tracce sulle ossa) o sia una prova effettiva di un diverso comportamento nei dinosauri a seconda delle dimensioni corporee: non possiamo escludere che la differenza tra specie di grande e di piccola taglia sia solamente nella possibilità di lasciare tracce sulle ossa, e non sia legata a un diverso comportamento.
Una nota finale su questo interessante studio. Noi non abbiamo modo di osservare direttamente il comportamento dei dinosauri, ma solo quelle tracce che possono diventare documentazione fossile: se un animale non ha le dimensioni (e quindi la forza) tali per lasciare tracce di morsi sulle ossa, quel comportamento è destinato a non entrare nel registro fossilifero. Di conseguenza, è possibile che le valide considerazioni fatte da Brown et al. (2021) dentro il range di dimensioni che lascia tracce di morsi non siano applicabili fuori da tale range.
Perché alla fine, in paleontologia, l'ultima parola spetta sempre e solo ai fossili.
Bibliografia:
Brown C.B., Currie P.J., Therrien F. 2021 - Intraspecific facial bite marks in tyrannosaurids provide insight into sexual maturity and evolution of bird-like intersexual display. Paleobiology https://doi.org/10.1017/pab.2021.29: 1-32.
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