La Paleoarte è l'insieme delle rappresentazioni iconografiche di specie ed ambienti del passato paleontologico. La parola unisce il termine paleo (che rimanda alla paleontologia, quindi alle scienze naturali, quantitative e sperimentali) e arte (che rimanda alla libertà creativa, all'estro e alla maestria dell'esecuzione).
Le opere di paleoarte sono per me tutte, ed in particolare lo sono quelle realizzate da artisti dall'indiscutibile talento esecutivo, fonte di frustrazione, perché non avremo mai modo di verificare se ciò che hanno rappresentato sia effettivamente una fedele ricostruzione dei soggetti paleontologici.
Qualcuno dirà che comunque la paleontologia sta facendo progressi enormi nell'analisi e interpretazione dei fossili, e che mai come oggi abbiamo un'immagine scientificamente solida delle specie fossili. Sì, è vero, i progressi della paleontologia hanno fornito informazioni che fino a pochi anni fa parevano impossibili da determinare, come la presenza di piumaggio e la stima di alcune (ma non tutte!) le tonalità della pelle di alcune specie, e questo ha permesso ai paleoartisti di raffinare le loro opere, e di aggiungere elementi di "solida oggettività" a dettagli che prima parevano condannati in eterno al puro estro soggettivo dell'artista. Ma ciò non cambia la sostanza: la grande maggioranza dei dettagli di un animale estinto è andata perduta, e noi non potremo mai sapere se e quanto le nostre rappresentazioni si avvicinino all'originale vissuto milioni di anni fa.
Non disponendo di una macchina del tempo, non possiamo andare nel Mesozoico per verificare se il dinosauro da noi illustrato fosse effettivamente con quella postura, con quel tegumento, con quel colore, con quella corporatura, né se il suo occhio fosse acceso, oppure spento, vivo, oppure apatico, freddo, oppure emotivo, feroce oppure ottuso, né possiamo sapere se e come correggere errori che se fossero commessi nell'illustrare un animale vivente considereremmo piuttosto grossolani.
Per un ricercatore con una formazione scientifica come me, questo elemento di "non testabilità" della paleoarte è molto frustrante, specialmente nei casi di opere molto ben eseguite, così dette "accurate" e accattivanti da illuderci di essere "reali". Mi domando, quanto è effettivamente realistica una rappresentazione "iper-realistica"? Esiste un modo per testare il grado di "affidabilità" di una ricostruzione paleoartistica se non abbiamo modo di osservare l'oggetto della rappresentazione?
Ripeto, dal mio punto di vista, tutto questo è molto frustrante. E proprio riflettendo su quello che appare come un limite invalicabile e insuperabile della paleoarte mi sono domandato se sia possibile simulare la paleoarte in modo da "testarne" l'accuratezza in modo indiretto. Ovvero, mi sono chiesto se esista un modo per testare la capacità predittiva e la potenziale accuratezza della paleoarte, un modo che ci permetta di confrontare la ricostruzione con l'oggetto della ricostruzione. Badate bene, questa non è solo una domanda astratta e teorica, perché qualora fosse possibile realizzare questo tipo di "test", ne ricaveremmo un utile strumento per identificare i nostri limiti e per correggere eventuali errori ricorrenti.
Alla fine di questa riflessione, ho realizzato che un modo per testare la paleoarte esiste, ed è molto meno astratto e astruso di quanto si possa pensare: molto semplicemente, se applicassimo l'approccio paleoartistico ad uno scheletro di animale ancora esistente, senza conoscere le fattezze "in vita" dell'animale, avremmo simulato la tecnica paleoartistica e la nostra "qualità paleoartistica" su un soggetto biologico reale, quindi verificabile.
Non potendo chiedere a colleghi paleoartisti di sprecare il loro tempo nello svolgere un simile test, ho deciso di "testarlo" su me stesso. Ovvero, usando me stesso come "cavia paleoartistica" (pur non essendo io un vero paleoartista) ho scelto tre crani di tetrapodi viventi, da un archivio online, senza verificare a quale specie appartengano né cercando foto delle specie in vita. Partendo da queste tre foto di crani, e niente altro, ho realizzato tre ricostruzioni "pseudo-paleoartistiche" di queste specie. Ripeto: mentre realizzavo le ricostruzioni non avevo la minima idea a quali animali le specie appartenessero. Sì, ho colto a grandi linee i gruppi di appartenenza, ma non sono in grado di risalire alle loro specie (cosa che, sospetto, sia competenza solo degli zoologi specializzati proprio su quelle specie).
Infine, una volta realizzate le "ricostruzioni", ho controllato a quale specie appartenevano i tre crani e ho confrontato le mie opere con le immagini reali di questi animali.
Questi sono i tre crani:
Tre crani di tetrapodi "misteriosi": quale era il loro aspetto in vita? (fonte: Digimorph) |
Ecco i risultati:
Il primo cranio appartiene ad uno squamato, Pogona vitticeps.
Notare che nella mia ricostruzione ho sottostimato le dimensioni di narice e meato auricolare, e non abbia considerato la possibilità che la pelle fosse "spinosa", mentre ho speculato una colorazione più vistosa di quella reale.
Il secondo appartiene ad un anfibio ceciliano, Typhonectes natans:
Qui devo lamentarmi solo con me stesso, perché pur avendo riconosciuto che l'animale avesse occhi ridotti (come tutti i ceciliani) ho voluto dargli un occhio "funzionale" a differenza dell'occhio vestigiale dell'animale reale. Anche la pelle appare più "rettiliana" che da anfibio. In complesso, ho dato all'animale un aspetto troppo da serpente e poco da anfibio.
Il terzo appartiene ad uno squamato, Rhacodactylus auricolatus:
In questo caso, ho sottostimato le dimensioni del bulbo oculare (e non ho considerato la possibilità di una pupilla verticale), ho immaginato una qualche ornamentazione nasale, ma non ho immaginato le creste della zona postorbitale che danno alla specie il nome "auricolatus", ed ho immaginato una sacca golare inesistente. Come nel primo squamato, ho sottostimato le dimensioni del meato acustico. Notare che anche questo, come l'altro squamato, ha una geometria delle squame differente rispetto all'originale.
Che conclusioni trarne? Mi pare presto per trarre conclusioni. Il numero di "test" è troppo piccolo per fare delle generalizzazioni, ed inoltre tutte le opere sono state realizzate dalla stessa persona (il sottoscritto) quindi non è chiaro quanto di questi risultati sia manifestazione di "bias" personali tipici di Andrea Cau e quanto sia invece una genuina tendenza generale della paleoarte attuale. Ad esempio, la ricostruzione dell'anfibio potrebbe essere in parte "viziata" dal fatto che io non sono abituato a ricostruire anfibi, e quindi tendo più o meno consciamente a "rettilizzare" ogni specie. Cosa sarebbe successo se il test fosse stato svolto da altri?
Sarebbe molto interessante avere altri test, realizzati da altri autori (sia paleoartisti professionisti che non) così da avere un qualche campione diffuso da cui poter ricavare qualche informazione interessante.
Se qualcuno vuole cimentarsi, è benvenuto: vi basta ripetere l'esperimento su voi stessi, ovviamente usando crani di altre specie (e comunque, specie che non possiate associare immediatamente ad un aspetto in vita, altrimenti il risultato sarebbe falsato). L'importante è non barare, non è una gara a chi ricostruisce in modo più corretto, ma piuttosto un modo per individuare eventuali bias ricorrenti nelle nostre rappresentazioni.
sai che mi sorprende molto l'anfibio? in effetti è molto "rettiloso" forse hai realmente un bias... la pelle è davvero strana, sicuramente la mia conoscenza degli anfibi non è sufficiente per poter sapere se ci sono animali con una pelle confrontabile a quella che hai messo tu. per il resto esperimento molto interessante ed istruttivo, sarei davvero curioso di vedere lavori di altri paleoartisti/paleontologi disegnatori.
RispondiEliminapurtroppo ci affidiamo molto alle immagini, ci affezioniamo anche, mentre l'ideale sarebbe avere un'immagine molto fluida e poco definita degli animali estinti e soprattutto spostare attenzione e affezione agli scheletri (quando disponibili) e alle ricostruzioni scheletriche.
Emiliano
Come paleontologo, nella mia testa c'è in primo luogo il concetto del fossile, e solo come elemento accessorio la sua "ricostruzione grafica". Quindi mi posso divertire a giocare con le ricostruzioni con relativo distacco.
EliminaComunque, ci sono salamandre con pelli bitorzolute, e molti rospi sono granulosi, quindi non è impossibile avere un anfibio vagamente "rettiloso" (con questo non sto giustificando il disegno, quella specie ha pelle liscia e vive in acqua).
be' non mi riferivo certo a te o ai tuoi colleghi con quella prima persona plurale :), pensavo più ai profani, agli appassionati. devo essere sincero, sembrerà strano, ma è così anche per me. un po' perchè fin da bambino sono sempre rimasto stupefatto di fronte alla "sopravvivenza" di tracce di forme di vita così lontane (e trasformate) e quindi ho sempre avuto un interesse fortissimo con i fossili in sè, un po' forse perchè sono passato attraverso la rivoluzione piumata e ho assistito alla trasformazione di paradigna senza nessuna resistenza, anzi, con stupore e interesse e anche qualcosa di più. Insomma da un lato mi interessano più i fossili che le ricostruzioni, dall'altro mi interessa la conoscenza che so essere un processo in divenire e non un dato acquisito una volta per tutte, quindi mi attendo che i punti di vista cambino e non mi scompongo troppo di fronte alla fluidità che ne consegue
RispondiEliminaper finire, direi che la questione dell'anfibio aggiunge forse un altro tassello al tema: forse non sapevi che si trattasse di una specie acquatica (immagino: non so quanto tu sia competente in anfibi) quindi mancandoti una parte del contesto (e anche la tafonomia mi viene quasi da dire...) e uno studio approfondito dell'esemplare, risalire al suo aspetto solo sulla base dei resti scheletrici decontestualizzati diventa ancora più problematico.
Emiliano
Per curiosità, quali strumenti usi per le ricostruzioni? sono estremamente fotorealistiche, sono collage di parti di foto di animali reali?
RispondiEliminaSì, niente di fantasmagorico, solo qualche smanettata con Photoshop da foto reali.
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