(Rough) Translator

26 aprile 2014

Ceratopsi Gondwaniani?

Non ho dubbi che una delle regole d'oro del bravo paleontologo sia “fare di necessità virtù”. La necessità, in questo caso, è data dalla incompletezza della documentazione paleontologica. La virtù è il saper trarre il massimo possibile di informazione dalla (altresì incompleta) documentazione paleontologica. Un'altra regola che dovrebbe guidare il bravo paleontologo è quella di distinguere tra assenza di dato e dato di assenza. L'assenza di dato, un modo brutale per ripetere il concetto di “incompleta documentazione” non dovrebbe mai essere usato come dato essa stessa (e quindi, come dato di assenza). Nondimeno, è difficile non ragionare induttivamente, e come ogni bravo tacchino pensare che ogni giorno sia uguale agli altri, e che se non ho trovato il tal fossile nella tal formazione, il tal fossile non è presente in tal formazione (ma poi arriva Natale, come ben sa il tacchino).
Questa lunga introduzione per prepararvi a ragionare su questa domanda: i ceratopsi sono vissuti nel Gondwana (o in qualche continente frammentato da Gondwana)?
Riflettiamo sui dati grezzi: Ceratopsia ha un record paleontologico temporalmente e geograficamente sbilanciato: Nordamerica ed Asia sono le quasi uniche regioni in cui questi dinosauri sono noti. La maggioranza dei ceratopsi ha un'età tardo-cretacica. Resti molto frammentari, dal Cretacico terminale, sono noti in Europa. I ceratopsi più antichi (e basali, esterni a Ceratopsidae), tuttavia, sono Giurassici. Nel Giurassico non esistevano quelle barriere geografiche che si presume siano presenti nel Cretacico Superiore. Cladi ampiamente diversificati nel Cretacico Superiore, come Titanosauria, Ankylosauria, Hadrosauridae e Paraves, hanno una distibuzione cosmopolita. Pertanto, non esistono – in teoria – motivi per cui i ceratopsi non possano aver avuto una distribuzione gondwaniana.
Inoltre, almeno due fossili gondwaniani sono stati riferiti a Ceratopsia.
Uno è un dentale patagonico di età tardo-cretacica, olotipo oggi perduto di Notoceratops. L'altro è un ulna quasi completa risalente alla metà del Cretacico australiano, olotipo di Serendipaceratops.
Questi fossili sono stati interpretati come ceratopsi, sebbene tali attribuzioni siano controverse. Alcuni autori hanno riferito i resti ad ornithischi non-ceratopsi, di cladi ben noti in Gondwana (Notoceratops a Hadrosauridae, Serendipaceratops ad Ankylosauria).
Rich et al. (2014) hanno analizzato l'olotipo di Serendipaceratops su basi morfometriche, confrontando le proporzioni di quell'ulna con le ulne di un ampio campione di dinosauri e non-dinosauri. La loro analisi indica che l'ulna dei ceratopsi sia caratterizzata da proporzioni caratteristiche, e che tale morfologia è distinguibile in modo robusto (statisticamente) dalle ulne degli altri dinosauri. In base a questi parametri, le ulne dei dinosauri non-ceratopsi sono comparabili a quelle dei non-dinosauri, ovvero che la morfometria dell'ulna ceratopsiana è apomorfica e costituisce un carattere filogeneticamente significativo: in base a questo risultato, essi concludono, l'ipotesi più parsimoniosa attualmente è che Serendipaceratops sia riferibile a Ceratopsia e non ad altri cladi. Gli stessi autori confrontano la descrizione e illustrazione del dentale di Notoceratops e riaffermano la sua attribuzione ai ceratopsi e non ad altri cladi.
Pertanto, se queste interpretazioni sono corrette, concludiamo che altri resti di ceratopsi (non necessariamente dei Ceratopsidae o altri sottocladi “laurasiatici”) siano in attesa di essere scoperti in Gondwana.

Bibliografia:

Thomas H. Rich, Benjamin P. Kear, Robert Sinclair, Brenda Chinnery, Kenneth Carpenter, Mary L.
McHugh, and Patricia Vickers-Rich (2014) Serendipaceratops arthurcclarkei Rich & Vickers-Rich, 2003 is an Australian Early Cretaceous ceratopsian. Alcheringa: An Australasian Journal of Palaeontology, DOI: 10.1080/03115518.2014.894809

19 aprile 2014

Un pulcino di Deltadromeus?

Il Cenomaniano continentale del Marocco è noto per i suoi theropodi giganti. Spinosaurus (ed il suo potenziale sinonimo Sigilmassasaurus), Carcharodontosaurus, Deltadromeus (ed il suo potenziale sinonimo – per ora solo egiziano – Bahariasaurus), Sauroniops, sono tutti taxa con dimensioni adulte che si attestano nella categoria dei mega-theropodi. Resti isolati di abelisauridi indicano la presenza di theropodi di taglia media, sebbene finora nessuno sufficientemente diagnostico per ricevere un nome. Questa asimmetria tassonomica sbilanciata nelle taglie forti fa sospettare – non a torto – che a monte di ciò ci siano dei fattori naturali (tafonomici-preservazionali) e artificiali (campionamento selettivo e non metodico). Pertanto, ogni nuovo esemplare attribuibile a theropodi di dimensioni medio-piccole è più che benvenuto.
Evans et al. (2014) descrivono due femori di theropodi di dimensioni medio-piccole (attribuibili ad esemplari del peso di circa 10 kg) dal Cenomaniano marocchino. L'esemplare meglio conservato è quasi completo, e presenta numerosi caratteri che permettono di collocarlo in Abelisauroidea, ed Evans et al. (2014) ipotizzano che sia riferibile ad un Noasauridae, e – nel caso fosse parte di questo clade – ad un esemplare immaturo di Deltadromeus. L'analisi istologica conferma che l'esemplare non sia maturo, la presenza di alcuni caratteri plesiomorfici per i noasauridi (nell'inclinazione del trovantere anteriore e nello sviluppo della cresta mediodistale) e l'inclinazione prossimale della testa del femore (condivisa con Deltadromeus) potrebbero effettivamente corroborare questa attribuzione.
Immesso in Megamatrice, l'esemplare marocchino risulta membro di Noasauridae, sebbene in posizione relativamente basale e non affine a Deltadromeus. Dato che anche Ligubueino risulta molto basale in quel clade, ed è anche esso basato su un esemplare immaturo, è possibile che tale risultato sia – almeno in parte – influenzato dallo stadio ontogenetico delle unità tassonomiche incluse. Nondimeno, l'analisi conferma che l'esemplare sia riferibile a Noasauridae.

Bibliografia:
Evans, D.C., Barrett, P.M., Brink, K.S., Carrano, M.T. 2014. Osteology and bone microstructure of new, small theropod dinosaur material from the early Late Cretaceous of Morocco. Gondwana Research doi: 10.1016/j.gr.2014.03.016

17 aprile 2014

The Most Badass Sauropod Picture Returns


Ricordate l'epico quadro realizzato da Troco e relativo al paleo-ambiente di Tataouinea?
La grande paleoarte, ispirata alla Natura, viene poi dalla Natura premiata con manifestazioni spettacolari come quelle fotografate recentemente in un fiume africano, dove dozzine di coccodrilli si accalacano sulla carcassa di un ippopotamo, in uno scenario non molto diverso da quello ritratto da Troco.

Fonte: Repubblica.it

La corrispondenza visiva è suggestiva e fonte di ispitazioni, sia artistiche che scientifiche (in questo caso, tafonomiche).

08 aprile 2014

King Kong vs Theropod: The Final Proof

Una sottocultura "zoologica" diffusa online è quella delle cosidette "lotte interspecifiche". Nata come degenerazione di un'altra degenerazione (ovvero, i "documentari" in stile "Jurassic Fight Club"), questa bizzarra forma di discussione pseudo-naturalistica presume, assume e millanta di poter dedurre l'esito di una fantomatica lotta tra due esemplari di specie animali distinte (spesso, mai vissute nello stesso luogo, o nemmeno convissute sulla Terra nello stesso momento geologico). 
Queste infantili divagazioni hanno l'irritante pretesa di voler usare "argomenti scientifici" per sostenere affermazioni del tutto prive di valore scientifico. In particolare, si presume che l'esito di queste "lotte" sia deducibile da semplici parametri quali la massa corporea, la lunghezza adulta, la dimensione della testa, il numero dei denti o altri attributi ritenuti "importanti nella lotta".
Il video qui sotto dimostra la validità di queste "argomentazioni".
Gorilla è un grosso mammifero, pesante da adulto più di 150 kg. Gorilla può superare l'altezza di un uomo, e presenta una voluminosa struttura muscolare, mandibola corte e robuste dotate di canini e molari capaci di generare morsi molto profondi.
Un'oca (in questo caso, del genere Branta) è un uccello molto più gracile e leggero di un Gorilla. Il suo cranio è privo di denti, e la muscolatura del cranio molto ridotta e incapace di generare le forze che le mandibole del gorilla invece generano abitualmente. 
In base a quanto scritto, e seguendo la profonda "logica" dei fautori dei "combattimenti interspecifici", non ci sarebbe storia in uno scontro Gorilla vs Oca. L'esito sarebbe scontato e quasi inutile da discutere: abbiamo un animale molto più grande, massiccio e voluminoso, con una maggiore massa muscolare, denti e mandibole robuste, contro un animale molto più piccolo, gracile e persino privo di denti.
Infatti, guardate cosa succede...


Morale della favola: lasciate perdere le sciocche discussioni online e osservate gli animali in vita e nella loro complessità reale.

01 aprile 2014

Coming Soon: Megalofalcis stromeri

Dopo un secolo, Stromer è stato vendicato...

Anche se per oggi avevo in programma solamente il post sulla mia pubblicazione relativa agli sfenodontidi di Pietraroia, in queste ore è uscito un articolo molto importante che sapevo da tempo fosse in stampa, quindi accenno la notizia prima che - come sempre - la rete inizi a produrre i soliti pseudo-articoli sensazionalistici.
Da circa dieci anni, circolava il rumor che qualcosa della collezione paleontologica di Stromer, ritenuta distrutta completamente nel bombardamento alleato del 1944 su Monaco di Baviera, fosse effettivamente "sopravissuto". Il rumor accennava ad un contro-pavimentazione del museo bavarese, costruita nell'immediato dopoguerra, utilizzando materiale del museo originario. Questa contropavimentazione, che - paradossalmente - è un "fossile" del museo originario, è stata rinvenuta nei magazzini odierni del museo, e - con sorpresa e gioia dei paleontologi dell'istituto tedesco, è risultata rivestire una intercapedine letteralmente riempita da materiale fossile accatastato dopo il bombardamento. Il materiale, comprendente ossa lunghe, vertebre e coste, è indubbiamente dinosauriano. Estratto e studiato, esso corrisponde a parte del materiale descritto ed illustrato da Stromer (1934), ovvero, numerose ossa di theropodi medio-grandi dal Cenomaniano dell'Egitto. La fortuna ha voluto che parte di questo materiale fosse marcato con i numeri di catalogo originari della collezione, permettendo di associare tra loro le ossa dei vari individui. Un esemplare, in particolare, comprende un omero, lunghi ungueali falciformi, parte dell'ileo e del piede, ed è riferibile ad un grande megaraptoriano basale, il primo scoperto in Africa, battezzato Megalofalcis stromeri.
Megalofalcis condivide con Fukuiraptor la forma e proporzioni dell'omero, mentre è più simile ai Megaraptoridae gondwaniani nella forma e proporzioni degli ungueali, che sono falciformi con solchi collaterali asimmetrici. Le dimensioni di Megalofalcis sono comunque notevoli, dato che il femore, sebbene parzialmente completo, consente di stimare le sue dimensioni totali a circa 138 cm, quindi superiori a quelle di molti allosauroidi e tyrannosauroidi. Badate bene, la misura di 138 cm è relativa all'ampiezza mediolaterale in norma sagittale della diafisi in assenza dell'epifisi. Questo implica che le dimensioni ponderate dell'osso, in norma distale, senza considerare l'ampiezza dell'ectocondilo, sono riconducibili a quelle che, basandosi sul  semiasse mediolaterale conservato della diafisi, sono osservate nel femore subadulto dell'esemplare riferito di Chilantaisaurus. Ciò è notevole! Comprendete, quindi, che la stima dimensionale che si deduce da questi rapporti sia, al netto del margine di errore dato dall'inevitabile errore di campionamento (n=1), nell'ordine di grandezza dei massimi theropodi noti. Se così fosse, estrapolando le dimensioni totali dell'ungueale del primo dito della mano a partire dal frammento presenti, si ottiene una misura di 69 cm dalla faccetta articolare all'apice distale dell'ungueale! 
A questo punto, è lecito porsi la domanda se Megalofalcis sia sinonimo con altri taxa istituiti da Stromer. Ad esempio, è possibile che esso sia solamente un sinonimo junior di Bahariasaurus? Qui, è bene chiarire che solo l'olotipo di Bahariasaurus possa essere riferito senza dubbi a quel taxon. Il confronto con Megalofalcis è limitato, ma illuminante, dato che le immagini da Stromer (1934) mostrano una comune colorazione delle litografie, cosa che potrebbe - in via ipotetica - suggerire una sovrapposizione nelle ossa attribuite in modo provvisorio a quel taxon. Nondimeno, i due taxa sono differenti per un importante carattere tafonomico, che preclude la sinonimia: uno è stato scoperto in Egitto, mentre l'altro in Baviera.
Di tutto questo, e delle implicazioni di questa ri-scoperta, parlerò nel prossimo post.

Bibliografia:
Ernstmer S., Grant A., Levine R., and Challenger L.-W. (2014). Re-discovery of the Stromer theropods reveals the Most Badass Killer Machine Ever. Serious? Science Awesome Research 4: 1-14.




"Il Buono, il Piccoletto ed il Cattivo" a Pietraroia



Ricostruzione dei tre sfenodonti di Pietraroia (opera di E. Troco)


Continua la prolifica serie di nuovi studi sui rettili mesozoici italiani!
Il post di oggi parla di un nuovo articolo, del quale sono co-autore assieme a Mattia Baiano, dell'Università 'Federico II' di Napoli – ed attualmente presso l'ICP a Barcellona – e Pasquale Raia, paleontologo dell'ateneo napoletano (Cau et al. 2014). La collaborazione che ha prodotto questo articolo deriva dall'amicizia nata tra me e Mattia nel 2010, entrambi soci dell'Associazione APPI. Difatti, si può considerare questo articolo un “figlio” dell'APPI.
La località beneventana di Pietraroia è nota nel mondo paleontologico per i suoi giacimenti ad elevata conservazione, risalenti a circa 110 milioni di anni fa, noti fin dalla fine del XVIII secolo. Il taxon più famoso proveniente dai livelli fossiliferi di Pietraroia è sicuramente il theropode Scipionyx samniticus. Il clade di tetrapodi più abbondante a Pietraroia è invece Lepidosauria (il gruppo a cui appartengono lucertole e serpenti), rappresentato da 4 specie, tre squamati (Costasaurus rusconi, Chometokadmon fitzingeri e Eichstattesaurus gouldi) ed uno sfenodonte (Derasmosaurus pietraroiae). Un secondo sfenodonte, frammentario, era già noto da Pietraroia: questo esemplare è significativo per presentare tracce dei tessuti molli intestinali, oltre al cranio di una sua preda – un piccolo squamato – insieme a resti di massa fecale, ancora presenti nella zona addominale. Nel nostro nuovo studio, abbiamo descritto un terzo scheletro di sfenodonte, scoperto una quindicina di anni fa ma mai studiato prima, ed abbiamo valutato la disparità degli sfenodonti di Pietraroia tramite analisi filogenetiche.
Gli sfenodonti sono poco noti al grande pubblico, se non altro perché oggi ne esiste una sola specie, famosissima invece tra i naturalisti ed i biologi: Sphenodon punctatus, che popola alcune isole al largo della Nuova Zelanda. Sovente considerato un “fossile vivente”, in realtà Sphenodon è una forma molto derivata appartenente ad un clade relativamente stabile e conservatore di rettili lepidosauromorfi, originatosi nel Triassico, che nel Giurassico aveva distribuzione cosmopolita, e che ha prodotto forme sia erbivore che acquatiche. A partite dal Cretacico Inferiore, questo gruppo ha progressivamente ridotto la propria distribuzione, scomparendo dall'Emisfero Settentrionale prima della fine del Mesozoico. Difatti, gli sfenodonti di Pietraroia sono tra gli ultimi membri di questo clade vissuti a nord dell'Equatore. Analizzarne la diversità e le affinità evoluzionistiche è quindi un tassello utile per comprendere la storia evolutiva di questi rettili.
I tre sfenodonti di Pietraroia possono essere simpaticamente soprannominati come: “Il Buono”, ovvero Derasmosaurus pietraroiae, che è l'esemplare più grande e completo; “Il Piccoletto”, ovvero il nuovo esemplare che abbiamo descritto, e che è quello di dimensioni minori; ed “Il Cattivo”, l'esemplare menzionato prima, che è quello meno completo, sebbene conservi parte dei tessuti molli ed il cranio di una sua preda nell'addome.
Il Buono è quasi completo, e ciò ha permesso di collocarlo filogeneticamente con relativa sicurezza: esso risulta un lontano parente di Sphenodon, ma con affinità più dirette con alcuni sfenodonti giurassici tedeschi. Questo risultato non sorprende, dato che affinità simili sono emerse per alcuni squamati di Pietraroia.
Il Piccoletto è grande la metà di Derasmosaurus, e potrebbe stare sul palmo di una mano. Le ridotte dimensioni potrebbero essere dovute alla sua età relativamente giovanile, tuttavia, alcune caratteristiche del cranio e delle articolazioni degli arti indicano che, forse, esso era maturo, e quindi potrebbe essere una forma nana. La forma delle vertebre dorsali esclude che esso sia riferibile a Derasmosaurus. La posizione filogenetica del Piccoletto è problematica, dato che alcune delle sue possibili condizioni primitive potrebbero essere un effetto della piccola taglia e/o della giovane età. Nondimeno, esso pare appartenere alla medesima linea evolutiva di Sphenodon e Derasmosaurus.
Il Cattivo è quello più difficile da collocare filogeneticamente, data la relativa frammentarietà. Le nostre analisi lo collocano alla base di una linea distinta da quella degli altri due sfenodonti campani, e prossimo a forme bizzarre come gli Eilenodontini, un clade che comprende alcuni sfenodonti giganti patagonici del Cretacico Superiore (lunghi circa 1 metro).
In conclusione, il nostro studio dimostra che a Pietraroia sono presenti tre linee evolutive (e quindi, specie distinte) di sfenodonti: ciò porta la diversità dei lepidosauri di questa associazione a ben 6 specie. Le affinità con altri lepidosauri del Giurassico Superiore tedesco implicano che Pietraroia fosse un “rifugio” per linee filetiche vecchie di almeno 40 milioni di anni prima del Cretacico, e ciò non sorprende, se consideriamo che Pietraroia era parte di un sistema di isole al centro della Tetide, relativamente isolato dalle principali masse continentali.

Il sito di Pietraroia è un santuario paleontologico inestimabile, che probabilmente ha ancora molte sorprese da regalarci: la speranza è che prossimamente si possa tornare a studiare questo piccolo tesoro italiano.

Ringrazio il Centro Musei delle Scienze Naturali di Napoli ed il Museo Paleontologico dell'Università di Napoli che hanno permesso lo studio di questi esemplari. Un grazie particolare va, ovviamente, a Mattia e Pasquale, miei coautori nello studio, ma anche per l'amicizia e l'ospitalità che mi hanno manifestato durante la mia permanenza a Napoli.
Un ringraziamento anche al sempre geniale Troco, autore del quadro che ritrae i tre sfenodonti di Pietraroia.

Bibliografia:
Cau, A., Baiano, M.A., Raia, P. 2014. A new sphenodontian (Reptilia, Lepidosauria) from the Lower Cretaceous of Southern Italy and the phylogenetic affinities of the Pietraroia Plattenkalk rhynchocephalians. Cretaceous Research 49: 172-180. doi.org/10.1016/j.cretres.2014.02.001