Questo è il mio secondo
contributo al Carnevale della Biodiversità.
Non capirò mai perché persone
istruite, colte, o comunque dotate di intelligenza e acume, spesso smentiscano
queste doti dichiarando di dare valore agli oroscopi. E a nulla serve spiegare loro
che l’oroscopo non ha alcuna validità predittiva, non solo perché quasi sempre
scritto in modo da risultare sufficientemente vago da adattarsi a qualsiasi
lettore, ma, sopratutto, perché il fondamento materiale dell’oroscopo, ovvero,
le costellazioni, non esiste nella realtà.
Una costellazione è fondamentalmente
un doppio arbitrio: sia perché è un’associazione puramente contingente e
arbitraria di stelle nella volta celeste, associate in forme create
soggettivamente, sia perché quelle stelle risultano “vicine” solo in virtù di
una illusione dimensionale, chiamata “volta celeste”. Nello spazio cosmico
tridimensionale, infatti, quelle stelle sono quasi sempre distanti tra loro più
di quanto alcune siano distanti dalla stessa Terra, mostrando l’assurdità di
raggrupparle in insiemi reali distinti dall’osservatore. Eppure, il feticcio
accattivante della “costellazione” deve essere talmente potente da persistere
nei desideri dell’uomo medio. Un analogo feticcio, derivante da una mutilazione
dimensionale, esiste nelle scienze dell’evoluzione, e prende il nome di
“adattamento”. L’adattamento, l’idea che un sistema biologico complesso sia
stato selezionato progressivamente per una funzione attualmente evidente, è, al
pari delle costellazioni, l’effetto di una percezione distorta della
distribuzione degli oggetti, ma non nello spazio, bensì nel tempo. Esattamente
come le parti di una costellazione (=stelle) appaiono (=apparenza, illusione,
nel senso parmenideo del termine) associate in un unico oggetto coerente sulla
volta celeste solamente per la perdita della profondità spaziale reale, così,
noi identifichiamo gli adattamenti negli animali principalmente perché
dimentichiamo che le parti di quel adattamento sono in realtà eventi nettamente
distinti, spesso separati tra loro, non connessi direttamente in modo causale.
Tale separazione, al pari della separazione delle stelle nello spazio
tridimensionale (invisibile nella piatta volta celeste) è percepibile solamente
aumentando la dimensione dello spazio in cui osserviamo e manifestano i
fenomeni. E qual'è la dimensione supplementare in cui osservare la reale
distribuzione delle parti componenti l’adattamento, la dimensione aggiuntiva
che permette di svelare il consolante feticcio dell’adattamento? Il Tempo
Profondo dell’evoluzione, la dimensione paleontologica.
Dato che questo blog parla di
theropodi, dato che gli uccelli sono gli unici theropodi attualmente viventi, e
dato che il vostro blogger si è occupato molto dell’evoluzione degli uccelli,
l’esempio che userò per mostrare la tesi che ho appena argomentato sarà proprio
l’esempio classico di adattamento relativo agli uccelli: l’ala.
La vulgata classica,
iper-semplicistica, afferma che le ali degli uccelli sono un adattamento al
volo. Ovvero, la selezione naturale avrebbe progressivamente affinato un organo
degli uccelli (l’arto anteriore) dalla primitiva funzione locomotoria
rettiliana fino a renderlo un’ala capace di volo.
Questa frase pare ovvia per chi
non è consapevole della smisurata vastità e discontinuità del Tempo nel quale
tale “adattamento” si sarebbe assemblato, così come ovvie sono le costellazioni
per chi non conosce la profondità delle stelle, il modo per misurare la loro
posizione e velocità di spostamento e la struttura a larga scala della
Galassia. Eppure, quella frase è una distorsione dei fatti, proprio come lo è
una costellazione per un astronomo. Per far capire quanto sia vana e riduttiva
l’affermazione che “le ali sono adattamenti al volo”, basterà mostrare come le
differenti parti costituenti l’ala (vi ricordate, le stelle che costituiscono
la costellazione?) siano entità disgiunte, evolutesi in momenti distinti, sotto
condizioni generali differenti, separate una dall’altra da milioni di anni di
processi spesso del tutto slegati dalla “funzione del volo”.
L’ala degli uccelli è costituita
da numerosi elementi, sia ossei che nervosi, muscolari e tegumentari. Ne
tratterò solo alcuni. In generale, l’ala è un braccio svincolato dalla funzione
deambulatoria. Tale svincolo compare oltre 240 milioni di anni fa con
l’acquisizione del bipedismo nei primi dinosauromorfi. A quel tempo, il braccio
non serviva certamente a volare. Questo braccio presenta una muscolatura
deltopettorale sviluppata, grazie alla presenza di una robusta cresta ossea
(detta “deltopettorale”), che acquista la forma e le proporzioni tipiche degli
uccelli ben 230 milioni di anni fa, con i primi dinosauri. A quel tempo, il
braccio non serviva a volare. L’ala degli uccelli si proietta lateralmente
rispetto al corpo, grazie a modificazioni dell’articolazione della spalla
avvenute 170 milioni di anni fa in alcuni theropodi coelurosauri. In nessuno di
quei theropodi il braccio serviva a volare. L’ala degli uccelli è in grado di
manovrare agilmente grazie alla mobilità del primo dito della mano, che agisce
da “flap aerodinamico”. Tale mobilità a livello del primo dito della mano è
stata acquisita 225 milioni di anni fa, con i primi dinosauri saurischi. In
nessuno di quei dinosauri il braccio serviva a volare. Il battito dell’ala è
permesso da un’articolazione a livello del polso, dovuta alla riduzione delle
ossa carpali ed alla loro fusione in un unico osso di forma semilunata. Questa
sommatoria di caratteristiche si verificò in momenti distinti, il primo circa
200 milioni di anni fa, il secondo una ventina di milioni di anni dopo. In ogni
caso, in nessuno dei dinosauri che acquisì tali caratteristiche, il braccio
servì mai a volare. La superficie alare degli uccelli è formata dalle penne,
munite di un vessillo aerodinamico. Le penne si svilupparono circa 175 milioni
di anni fa, e non furono impiegate come supporto aerodinamico per decine di
milioni di anni. Infatti, è probabile che i primi theropodi capaci di volare
attivamente comparvero “solo” 135-140 milioni di anni fa (almeno 20 milioni di
anni dopo i primi animali che chiamiamo “uccelli”), quindi decine di milioni di
anni dopo che la maggioranza delle singole parti che noi oggi identifichiamo
come “parti integranti” dell’adattamento al volo (l’ala) si originarono. In
ogni caso, dato che un adattamento è, per definizione darwiniana, una struttura
plasmata dalla selezione naturale in quanto conferisce un vantaggio in un
contesto attuale, nemmeno le ali degli uccelli attuali sono “veri” adattamenti.
L’adattamento chiamato “ala” fu tale nel primo theropode che, 135-140 milioni
di anni fa, riuscì a compiere un volo battuto ed attivo, grazie alla sommatoria
cumulativa, non direzionale e fortemente contingente di decine di caratteri
anatomici assemblatisi nei precedenti 100 milioni di anni, ognuno comparso per
motivi svariati, sotto pressioni selettive diverse dal volo, in contesti
ecologici lontani da quelli di quel primo volatore piumato. Negli uccelli di
oggi, non si compie più quell'adattamento, ma si limita a persistere. Gli
uccelli attuali, quindi, in senso stretto, non sono ad-attati al volo, bensì
ex-attati, ovvero, hanno ereditato e conservato un insieme di attributi
pre-esistenti, ma non hanno essi stessi acquisito l’ala “ex-novo” per selezione
attiva ed attuale di quel sistema locomotorio. Ovviamente, l’ala è parte
integrante del loro sistema vitale (per quelli che volano), ma non è, in senso
rigoroso, un adattamento attuale, un fenomeno plasmato dalla selezione operante
qui e ora sulle loro esistenze. Pertanto, sarebbe vano tentare di spiegare perché
le ali degli uccelli siano così come le vediamo osservando le pressioni
selettive attuali. Nessuna condizione attuale degli uccelli ripete le
condizioni particolari per ognuno dei singoli caratteri che formano l’ala. Non
esiste più il Giurassico Superiore, nel quale comparvero le penne dotate di
vessillo asimmetrico, né il Triassico Medio, durante il quale il braccio smise
di essere un arto per camminare e divenne libero, ecc...
Al pari delle costellazioni
astrologiche, infatti, l’ala appare come un sistema funzionale adattativamente
integrato solamente se dimentichiamo che esiste una dimensione supplementare a
quella della nostra osservazione attuale, nella quale il sistema si è
assemblato in modo non-lineare, non consequenziale e non direzionale. Quando il
braccio divenne libero dalla locomozione quadrupede (caratteristica
fondamentale per l’ala degli uccelli), nessuna condizione ambientale era
indirizzata al volo, né l’animale che divenne bipede fu selezionato per “il
volo”. E così per la maggioranza dei caratteri che oggi riconosciamo come
integrati nell’adattamento al volo. In quel Tempo sconfinato e non-causale, nel
quale le “stelle” evolutive del remoto passato sono state appiattite in
“costellazioni attuali”, la consolante logica del binomio “struttura-funzione”
si dissolve, e noi percepiamo tutta la fallacia delle abusate spiegazioni
adattative. Per capire il perché esistano le complesse funzioni attuali è
quindi necessario ridimensionare il mito dell’adattamento, inquadrandolo alla
scala dei tempi geologici. L’alternativa è la costruzione di favolette
evolutive autoreferenti, veri e propri feticci “fissisti e panglossiani” ancora
persistenti nella mente di molti osservatori della Natura, non ancora del tutto
consapevoli della Rivoluzione darwiniana, il cui autore oggi festeggiamo.
Un altro grande mito che racchiude un pò questa convinzione è lo sviluppo dell'arto con le dita e la leggenda della "conquista della terraferma" da parte dei primi tetrapodi. Anche qui, probabilmente si tratta di quello che dici tu, di un ex-attamento, poichè la struttura cinto-omero- due ossicini- dita era già presente in organismi strettamente acquatici.
RispondiEliminaSarebbe bello analizzare tutti i casi di questi finti adattamenti.
comunque gran bel post, complimenti.
Marco
Anche il volo degli insetti, se ben ricordo quanto scrisse a suo tempo Gould, dovrebbe essere un ex-adattamento, perché le ali furono, inizialmente, delle strutture di richiamo (anche sonoro) per il partner.
RispondiEliminaUna volta però che un insetto prese il volo, mentre cercava di corteggiare la propria partner con "ali" sempre più grandi, grazie alla selezione sessuale, iniziò a svilupparsi un'evoluzione del volo adattativa.
Erodoto
bel post, un ottimo esempio di come l'evoluzione non sia un'entità "cosciente", e quindi a maggior ragione impossibile da contrastare con favole come il disegno intelligente.
RispondiEliminaCapisco il ragionamento. Però vorrei una chiarificazione: ormai risulta chiaro che ogni cambiamento nel fenotipo degli esseri viventi deriva dalla mutazione casuale di uno o più geni che nell'immediato trovano un vantaggio sugli alleli, o comunque rimescolamento casuale nel caso della riproduzione sessuale, quindi la finalità implicita contenuta nel termine "adattamento" non trova più posto. Più che un ridimensionamento si tratterebbe di una vera e propria abolizione. O sbaglio?
RispondiEliminaL'adattamento rimane, ma ridimensionato appunto come "selezione in quel momento specifico a quelle particolari condizioni".
RispondiEliminaL'ala è un supersistema, e non può essersi evoluta per "selezione in quel momento specifico a quelle particolari condizioni", pertanto non è un adattamento, ma una sommatoria cumulativa di ex-aptations.
Stephen Jay Gould docet
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