Questo post è una riproposizione di un mio precedente scritto ultrazionale, di tre anni fa, aggiornato e adattato a Theropoda.
Sono fermamente convinto, e non sono il solo (vedere un illustre esempio) che è necessario sostituire le vecchie
cosmogonie con la moderna Storia Naturale: ciò implica anche il
superamento dell’impostazione moralistica che tende (a seconda
dell’interpretazione che si dà all’attuale) a idealizzare il passato in
opposizione al presente. Infatti, spesso, se si detesta l’oggi, allora il passato è
trasfigurato come “l’età dell’oro”, i “bei tempi”; oppure, se si ha un’impostazione progressista e
ottimisticamente (ingenuamente) proiettata al futuro, allora il passato
è l’età buia e arretrata, l’errore ed il caos primigenio. Purtroppo,
anche in molti di quelli che hanno riconosciuto la validità della Storia
Naturale come spiegazione alternativa delle origini, l’impostazione
moraleggiante che idealizza il passato tende a permanere, producendo
astruse distorsioni delle evidenze. In particolare, la consapevolezza
che l’umanità esiste da un tempo infimo della Storia Naturale deve risultare
particolarmente fastidiosa in tutti i malati di antropocentrismo, che
continuano a volersi sentire “necessari”, “previsti” e “inevitabili”. La
soluzione contorta che essi tendono a inventare è la favola
bio-progressista, la versione finalista dell’evoluzionismo biologico.
Essa afferma che la comparsa dell’umanità era inevitabile proprio in
virtù delle leggi dell’evoluzione: se l’evoluzione è sopravvivenza del
più adatto (errore concettuale ancora molto diffuso che confonde un tautologico slogan, semplificazione della selezione naturale, con la totalità delle cause dell'evoluzione di cui la selezione è solo una tra le varie componenti) e l’uomo è il più adatto/adattabile degli esseri viventi (sarà vero?)
allora l’evoluzione non sarebbe altro che la dimostrazione del cammino
necessario verso la nostra inevitabile esistenza.
Partendo da questo
preconcetto egocentrico (e miope), tutta la storia pre-umana può essere
distorta a nostro uso e consumo (consolatorio). Fortunatamente, tra i
ricercatori questo modo di vedere è stato superato, e più nessuno (o quasi) crede
di vedere negli eventi del passato remoto una necessaria anticipazione
della nostra comparsa. Al contrario, nella nebulosa galassia della
divulgazione e del giornalismo scientifico il pregiudizio permane: la
distorsione delle evidenze si attua con la manipolazione di tutti quei
casi della Storia che non rientrano nella nostra antropocentrica attesa
di linearità storica, oppure con la palese esaltazione di quelli che
possono avvalorare la consolante premonizione della nostra esistenza. Ad
esempio, la storia degli insetti non è quasi mai citata: eppure da soli
essi riempiono l’80% delle specie animali note, e probabilmente
occupano questa quota dal Carbonifero, da quando hanno le ali. Forse perché in animali
così lontani e poco umani non si riesce a trovare qualcosa di affine, di
nostro? Di fatto, gli eventi della storia degli insetti ricordati sono i
soliti due: acquisizione del volo nel Carbonifero (con solita immagine
delle libellula gigante) e coevoluzione con le piante a fiori nel
Cretacico. Punto e basta: trecentocinquanta milioni di anni e chissà
quante decine di milioni di eventi evolutivi ridotti a due citazioni ai
margini della Storia (quella che porta a Noi).
Ma il vero apice
della manipolazione è negli equivalenti moderni dei draghi e dei giganti
mitologici (ennesima prova che l’impostazione favolistica non è ancora
morta), negli unici animali fossili che siano noti a più del 1% della
popolazione: i dinosauri mesozoici. L’elenco delle distorsioni
concettuali applicate a questo clade di vertebrati è infinita. In parte, ciò si può spiegare
considerando che le nuove scoperte scientifiche iniziano a diffondere
nel resto della società con un ritardo di almeno una generazione, e che,
pertanto, la vulgata attuale sui dinosauri non è altro che la fedele
trascrizione dell’impostazione scientifica di mezzo secolo fa, quando
dinosauro era quasi universalmente riconosciuto come un “grande rettile
estinto... ovviamente estinto nella competizione con i più evoluti
mammiferi, nostri parenti ed antenati remoti”.
L’esempio più stucchevole di questa visione
distorta viene da recenti scoperte effettuate in Cina. Nel 2005 è stato descritto un interessante mammifero mesozoico,
Repenomamus giganticus (He et al., 2005) dal Cretacico Inferiore cinese.
Come indica il nome specifico, questa specie è la più grande tra tutte
quelle di mammiferi mesozoici noti. Dato che la maggioranza dei
mammiferi mesozoici era grande come un grosso topo (e considerando la
taglia di altri vertebrati dello stesso periodo), il termine giganticus
va preso con le dovute precauzioni: tradotto in misure assolute, R.
giganticus era un animale lungo circa un metro e venti centimetri,
con una testa di circa 16 cm. Per gli standard mammaliani del Mesozoico è
notevole, anche se alquanto modesto rispetto ai mammiferi predatori
cenozoici. Aldilà della taglia dell’animale, ciò che ha destato
l’interesse dei giornalisti scientifici (di solito, purtroppo, poco
interessati ai mammiferi fossili) fu il titolo col quale i ricercatori
cinesi pubblicarono la loro scoperta sulla prestigiosa rivista Nature.
Andando per gradi, alcune ossa di un secondo animale furono rinvenute
all’interno del ventre dello scheletro di R. robustus (una specie
simile ma lunga solo 2/3 di R. giganticus): la loro posizione
non lasciava molte alternative all’interpretazione che fossero le ossa
dell’ultimo pasto del Repenomamus. Una volta analizzate, si
rivelarono quelle di un esemplare giovanile di Psittacosaurus, il
più diffuso dinosauro erbivoro di quei tempi in Asia Orientale. Un
adulto di Psittacosaurus non superava il metro e mezzo di
lunghezza, quindi, a maggior ragione, uno giovane poteva benissimo
essere il pasto (predato direttamete o come saprofagia, non sapremo mai) di Repenomamus.
Quelli i dati.
Essi non hanno nulla di particolarmente clamoroso, dato
che evidenziano le interrelazioni ecologiche tra prede e predatori di un
ecosistema del passato e le somiglianze con quelli attuali: usando
mammiferi e dinosauri attuali (uccelli) di taglie comparabili a quelle
di Repenomamus e Psittacosaurus, il rapporto taglia tra
predatore e preda è simile a quello tra una volpe e un grosso uccello da
cortile, come un tacchino: il primo non disdegna minimamente i pulcini
del secondo (se nessun cane o fattore si mette in mezzo), e non c'è niente di straordinario nell'eventuale scoperta di ossa di pollo nello stomaco di una volpe.
Ma, come sapete bene, tutto ciò che è Mesozoico DEVE essere mitizzato...
Passando
alla divulgazione giornalistica, ecco la manipolazione antropocentrica.
Nello stesso numero di Nature che descriveva i Repenomamus è
presente, nella sezione News & Views, un breve articolo
divulgativo di commento della scoperta (Weil, 2005). Dopo il riassunto dei dati e
delle implicazioni paleontologiche della scoperta, l’articolo dà una
curiosa estrapolazione evoluzionistica dei dati:
“Hypotheses developed to explain the evolution of mammalian size often focus on dinosaurs. The most frequently repeated speculation is that Mesozoic mammals were forced to remain small by a combination of heavy predation pressure from dinosaurs and the saturation of ecological niches by large reptiles.”.
Questa ipotesi ha senso solamente se si assume “a
priori” che i mammiferi debbano essere il gruppo “dominante” in
qualunque contesto, e quindi è necessario invocare una qualche causa per
la loro “inattesa” non-dominanza negli ecosistemi mesozoici. Indipendentemente dal valore che si può dare a questa ipotesi, essa è
chiaramente il riflesso di un pregiudizio pseudo-evoluzionistico.
Difatti, nessuno sembra mai porsi il perché i rettili lepidosauri
(“lucertole” e serpenti) nel mesozoico non raggiunsero nemmeno loro la
taglia degli arcosauri (coccodrilli e dinosauri): evidentemente, in
questo caso il pregiudizio che guida è l’opposto di quello che sembra
imporre la domanda per i mammiferi; ovvero: "un lepidosauro è primitivo, quindi la sua ridotta taglia è ovvia conseguenza del suo essere primitivo".
Il testo prosegue più avanti
con:
“It seems likely that small dinosaurs experienced predation pressure from mammals. Indeed, in describing the diminutive Sinovenator changii, which lies evolutionarily at the base of a lineage closely related to that of birds, Xu et al. (2002) express surprise that, although the avian lineage continued an evolutionary trend towards small size, closely related dinosaurian lineages became larger again”.
La prima frase è una semplice constatazione
dell’evidenza emersa con Repenomamus, e come accennato prima, non
implica nulla più di quanto suggerissero già le teorie delle dinamiche
ecologiche, cioè l’esistenza di complesse catene trofiche tra le specie viventi negli
ecosistemi, oggi come 125 milioni di anni fa.
Il resto è
invece un’estrapolazione gratuita basata su un’incompleta (e forzata)
interpretazione dei dati:
Sinovenator è un deinonychosauro basale. Oltre ad essere vissuto nelle stesse aree di Repenomamus,
Sinovenator è uno dei più primitivi rappresentanti di Troodontidae. La caratteristica interessante di Sinovenator (e
degli altri troodontidi primitivi) è che esso è più simile agli uccelli
primitivi rispetto a quanto sembrino i troodontidi più evoluti: sia
nella taglia che nella morfologia dello scheletro, esso ricorda molto
gli uccelli primitivi come Archaeopteryx o Jeholornis, vissuto nella stessa
epoca, meno dei troodontidi più evoluti, come Troodon, che sono
più grandi e con una morfologia meno “da uccello”. Ciò è semplicemente
in accordo con il concetto di evoluzione: se due gruppi strettamente
imparentati (Aves e Troodontidae) tendono a divergere morfologicamente reciprocamente nel tempo (questo è infatti il senso della parola "evoluzione"), ne deriva
che i loro rispettivi rappresentanti primitivi si assomiglieranno tra
loro più di quanto si assomiglino tra loro le forme successive di ambo i
gruppi, entrambe più evolute (= più modificate rispetto alla comune
condizione primitiva condivisa dalle due linee al momento di divergere).
L’idea
che gli uccelli mesozoici seguano un trend verso la riduzione della
taglia è un semplicismo “riduttivo” della diversità avicola mesozoica:
non tutte le specie note sono sempre più piccole della taglia dei loro
antenati (ad esempio, gli euorniti Yanornithidae e gli enantiorniti
Avisauridae più derivati sono uccelli mesozoici più grandi dimensionalmente rispetto agli euorniti primitivi e agli enantiorniti primitivi).
La conclusione della citazione di
sopra, infine, è l’obiettivo della mia critica, la dimostrazione dello
sciovinismo mammaliano:
“Maybe these small dinosaurs got larger — or got off the ground — to avoid the rapacious mammals”.
A parte l’assurdità di usare un legame
preda-predatore tra un mammifero ed uno Psittacosaurus (dinosauro
ornitischio ceratopso) per dedurre qualcosa sull’evoluzione di uccelli e
troodontidi (dinosauri sì, ma saurischi paraviali, quindi
morfologicamente ed ecologicamente ben diversi da Psittacosaurus);
ma cosa implica l’affermazione appena riportata? Essa vede l’acquisizione
di una taglia maggiore (nei troodonti evoluti) e lo sviluppo del volo
arboricolo (negli uccelli derivati) come prodotti dalla selezione operata dai
mammiferi predatori sui piccoli teropodi. In pratica, assume che i
comportamenti predatori di un numero ristretto di specie di mammifero
siano sufficienti per indurre/produrre (e quindi spiegare) ampie
trasformazioni in interi gruppi di altre specie (non bisogna dimenticare
che di mammiferi mesozoici grandi come Repenomamus se ne
conoscono pochi, e appare plausibile che queste specie “giganti” fossero
effettivamente poche rispetto alla maggioranza dei mammiferi). Basare
l’origine di due eventi macroevolutivi in Aves e Deinonychosauria (fenomeni che si dispiegano in
decine di milioni di anni) sull’estrapolazione di un solo evento di
predazione individuale rinvenuto in un mammifero (per giunta esponente
della minoritaria taglia “extralarge”) può solo spiegarsi con la nostra
volontà di attribuire ai membri della nostra stirpe (in questo caso la
nostra stirpe è considerato l’intero Mammalia) un “valore” evolutivo particolare,
una capacità di incidere sul resto della biosfera con una forza maggiore
rispetto ad altre stirpi; ovvero si fonda su un pregiudizio di
“superiorità” evolutiva. Dare credito a questa consolante visione
dell’evoluzione sarebbe assurdo come darlo all’ipotesi (ugualmente
“illegittima”) di vedere nelle tracce di predazione da parte dei leopardi
sui crani di Australopithecus africanus scoperti in Sudafrica la causa principale che generò
l’evoluzione umana! Nel secondo caso appare subito palesemente assurdo
perché ci risulta più spontaneo cercare un complesso di cause
(sopratutto cause attive e “nobili”) alla base della nostra evoluzione,
mentre applichiamo tranquillamente una logica distorta (spesso a
vantaggio dei nostri parenti/antenati) per l’evoluzione di altri gruppi, sopratutto se non imparentati direttamente con noi.
Accenno
solo le successive degenerazioni divulgative (in riviste scientifiche
di serie B, e da lì in rete e nei telegiornali), nelle quali Repenomamus
è citato addirittura come possibile causa dell’estinzione dei dinosauri
(!): qui lo sciovinsimo mammaliano tocca la vetta del ridicolo, perché cerca di dare
nuovamente credito ad un’illogica teoria del secolo scorso che vedeva
nei mammiferi, predatori di uova (PS: non è mai stato provato che lo fossero!), la
causa dell’estinzione dei dinosauri (ipotesi che non reggeva allora, non
potendo spiegare come mai uccelli, coccodrilli, squamati e tartarughe,
che anch’essi depongono uova, si salvarono; ma che comunque non regge
assolutamente oggi che sappiamo che i dinosauri praticavano intense cure
parentali sulle covate). Usare Repenomamus è ridicolo anche solo dal punto di
vista cronoLogico: gli anni trascorsi tra la sua epoca (125 milioni di
anni fa) e l’estinzione dei dinosauri mesozoici (65 milioni di anni fa)
sono 60 milioni! Ovvero, seguendo la stessa logica, giacché io un giorno
ho visto un gatto con un passero in bocca, allora ne devo dedurre che
tra 60 milioni di anni gli uccelli si estingueranno per competizione coi
mammiferi! (Piccola nota ironica: Repenomamus appartiene ad una linea
evolutiva di mammiferi basali che non ha rappresentanti viventi e che
probabilmente si estinse decine di milioni di anni prima della fine del Mesozoico).
Credo che in questo caso per interpretare queste
“mal-divulgate” sia sufficiente invocare l’ignoranza e la grossolanità
di chi ricopia le notizie da altre fonti rimasticate, più che il
pregiudizio sciovinista.
Per chi non fosse ancora convinto della
mia argomentazione, ecco il finale:
Nel 1998, sempre dalla Cina, è stato descritto brevemente un coelurosauro basale, ancora senza nome ed attribuito provvisoriamente (ma penso erroneamente) a Sinosauropteryx prima (Cheng et al., 1998), proveniente da strati quasi della stessa età di quelli
del R. giganticus. Dato importante qui, nella cavità addominale
di quello scheletro furono trovate ossa di un mammifero, anche in questo caso l’ultimo pasto
dell’animale.
Come potremmo “interpretare” questa scoperta, in
analogia con quella di Repenomamus? Dovremmo dedurre che la pressione selettiva dei coelurosauri basali abbia plasmato l'evoluzione dei mammiferi e che questi, per salvarsi dalla predazione, svilupparono una maggiore propensione alla vita arboricola, e che questa, dopo milioni di anni di evoluzione, produsse le scimmie, e quindi noi stessi? Siamo figli indiretti dei fieri sopravissutri alla carneficina dei piccoli compsognati predatori?
Come vedete, è facile creare favole che degenerano nel ridicolo. Purtroppo, ci accorgiamo del ridicolo solo quando non intacca le nostre più amate speranza di immortalità (sia nel futuro che nel passato). Solamente la persistenza di obsolete teorie
pseudo-evolutive (figlie di obsoleti sciovinismi pro-mammaliani) può
spiegare le differenze nei modi di vedere/divulgare due prove
paleoecologiche analoghe. Ed il perché di tale persistenza è totalmente
a-scientifico: è un pregiudizio ibrido, che fonde un’impostazione
“archetipica” (che dà un’intrinseca -e indimostrabile- superiorità
adattativa a qualunque animale che sia etichettato come “nostro simile”,
in questo caso un mammifero nel Mesozoico) con un’irrazionale bisogno
di giustificare la nostra esistenza anche in contesti nei quali non
avrebbe senso cercarla.
Bibliografia:
Cheng et al. (1998). An exceptionally well-preserved theropod dinosaur from the Yixian Formation of China. Nature 391: 147-152.
Hu et al. (2005). Large Mesozoic mammals fed on young dinosaurs. Nature 433: 149-152.
Weil (2005). Living large in the Cretaceous. Nature 433. 116.
Xu, et al. (2002). A basal troodontid from the Early Cretaceous of China. Nature 415: 780-783.
Segnalo due recenti prodotti 'divulgativi' (entrambi hanno come sfondo la cosidetta guerra mitologica tra i due "fratelli amnioti"):
RispondiEliminaUn articolo sulla rivista "Focus" (Gennaio 2010):
"NOI, PIU' CATTIVI DEI DINOSAURI - solo creature notturne e piccole? No: i nostri antenati mammiferi erano anche diurni e di grandi dimensioni. E 130 milioni d'anni fa, nell'era dei maxi rettili, cacciavano persino i dinosauri" Insieme al titolo figura una tavola di Hallett, in cui un gruppo di _Repenomamus giganticus_ accerchia e trafuga il nido di un piccolo teropode. Mi limiterò ad aggiungere la frase di apertura, che in definitiva ha saputo riassumere l'intero articolo: "Le oltre 5 mila specie viventi di mammiferi -tra cui l'uomo- non devono più ringraziare l'asteroide che 65 milioni di anni fa cadde vicino alla penisola dello Yucatan (Messico), provocando l'estinzione dei dinosauri" Ora la spada di San Giorgio ha anche un cavaliere.
Un (lungo) documentario di Discovery Channel intitolato 'Mammals VS Dinos: the rise of mammals' Ne sono visibili alcune parti su You Tube.
Fabio M
Se posso permettermi la domanda: al di la del tuo anti mammalocentrismo, sul quale concordo in pieno, vorresti chiarire il perchè del tuo anti antropocentrismo?
RispondiEliminaL'antropocentrismo, lo dice la parola, è la tendenza a vedere ogni cosa dal punto di vista umano. Quindi, l'antropocentrismo è niente altro che soggettivismo elevato a "specie". Dato che la scienza deve essere (il più possibile) oggettiva, e non soggettiva, l'antropocentrismo è negativo per la scienza, intesa, ripeto, come tentativo di descrizione e comprensione (il più possibile) oggettiva della realtà.
RispondiEliminaSe la domanda è relativa alla paleontologia dei dinosauri, la risposta è ancora più ovvia che per l'anti "mammalocentrismo": che senso ha interpretare aspetti della storia evolutiva totalmente slegati ed indipendenti da noi e dalle nostre origini in funzione della nostre speranze e aspettative? Nel Mesozoico non eisteva niente di antropico, né in atto né tanto meno in potenza. Forse che dovremmo interpretare i fatti della nostra vita attuale sulla base di specie che potrebbero nascere tra 100 milioni di anni? E' assurdo... eppure chiunque interpreta i dinosauri in modo antropocentrico lo fa.
Se la domanda è "generale", penso che l'antropocentrismo sia talmente radicato in noi (per "definizione") che temo che contaminerà sempre e comunque qualunque tentativo di osservazione oggettiva della realtà. Quindi, se non può essere cancellato, ben venga qualunque suo contenimento e limitazione, qualunque modo di svelarlo e di metterlo a tacere. Troppi sono plagiati da questo modo di leggere la paleontologia, e non se ne accorgono.
Ok. Hai ragione. Ho esposto la domanda in maniera incompleta, e tu hai risposto in maniera ineccepibile. Mi spiego meglio. Ho dato per scontato, che chi sostiene l'antropocentrismo, crede nella superiorità umana. Chi è contro invece, è spesso convinto della profonda fallacità di questo ragionamento. Mi sembra che tu sia un esponente di quest'ultimo gruppo di persone, ma vorrei fossi tu a dirmi con esattezza come la pensi, piuttosto che metterti "le parole in bocca". In realtà, la mia domanda, come hai certamente intuito, verteva su questo. Ovviamente, se ho ragione, mi piacerebbe sapere perchè la pensi così.
RispondiEliminaPenso che hai un po' semplificato la questione.
RispondiEliminaNon è detto che l'antropocentrismo implichi l'idea in una "superiorità umana". Io vedo che la maggioranza degli "amici degli animali" (animalisti, vegetariani o attivisti anti-vivisezione) spesso sono fortemente antropocentrici, perché attribuiscono ad altri animali delle caratteristiche umane che, a mio avviso, quelle specie non hanno, e che è sbagliato attribuire con leggerezza a loro. Essere antropocentrici significa estendere molti "valori" e "significati" evolutisi solamente in Homo sapiens ad altre specie. Io sono contrario a ciò. Bada bene, che io sono comunque per la difesa dei diritti degli animali, ma sono assolutamente contrario a considerare gli animali come "esseri umani". Mi pare scorretto innanzitutto verso gli altri animali. Essere un animale non-umano non è un difetto, e non capisco perché certe persone invece si ostinino a vedere gli altri animali come "uomini" se non lo sono. Ad esempio, io penso che sia necessario limitare la sofferenza in tutti gli essere capaci di provarla, dall'uomo ai cani a, che ne so, le aringhe e i polpi. Non estendo questi attributi ad una zanzara, che reputo solo una macchina biologica priva di sensazioni e di sofferenza (e lo faccio sulla base di motivazioni scientifiche e non per una mia limitata sensibilità verso gli insetti).
Analogamente, io non estendo quei diritti esclusivi degli esseri autocoscienti come l'uomo a quegli animali palesemente privi di autocoscienza (la grande maggioranza delle altre specie). Questo non significa credere che l'uomo è superiore. La "superiorità" sembra un'etichetta imposta a priori, che evito. Allo stesso modo, non ha senso pensare che gli altri animali abbiano questi attributi esclusivi degli individui adulti e sani di mente di Homo sapiens. Al tempo stesso, io sono contrario a chi pensa che:
1- La biosfera è in funzione di una minoranza di esseri (gli adulti sani di mente di Homo sapiens) solamente perchè quella minoranza è la sola dotata di "razionalità complessa".
2- Pensare che i valori e gli attributi complessi umani possano spiegare il resto della biosfera.
In conclusione, non sono "antropocentrista" in quei campi in cui non ha senso esserlo (capire i non-umani), e lo sono in quei campi dove è saggio esserlo (capire parte della mente umana).
Ho una flessibilità mentale nelle cose...
Avrei molto da dire su tutto questo tuo intervento Andrea, ma finirei fuori tema rispetto al blog...scrivi un post appropriato su Ultrazionale e ci confronteremo meglio...intanto pensa alla zanzara anche dal punto di vista energetico
RispondiEliminaNon volevo aprire una polemica sulle intenzioni degli "amici degli animali". Ho usato il termine per far capire a chi mi riferivo.
RispondiEliminaPer il resto, non rientro nell'eterna discussione su cosa sia un "portatore di diritti".
Una zanzara è un nano-missile ematofago termoguidato a base di carbonio. Energeticamente è come me: un sistema termodinamico aperto.
Scusa se continuo dopo tutto questo tempo, ma ho avuto qualche grattacapo.
RispondiEliminaVediamo se ho capito bene. La questione della superiorità umana, non ha nulla a che fare con il tuo anti antropocentrismo. Piuttosto, è la distorsione ideale che provoca l'antropocentrismo stesso, a portarti fastidio.
Quindi, se ho capito veramente, il motivo per cui hai scritto diverse volte, che l'essere umano è evoluto, per molti aspetti, in maniera peggiore degli altri animali (anche nel bipedismo), ha come unico scopo, il mettere dei dubbi, agli ignoranti saccenti che infestano la rete e il mondo reale. Giusto?
Non penso che l'uomo è "evoluto in maniera peggiore". Gli adattamenti sono confrontabili in vari modi, ad esempio in termini di efficienza nella soluzione di determinate prestazioni. In alcuni ambiti, l'essere umano non rappresenta la soluzione migliore disponibile. Evolvere non implica un "peggiore" o "migliore", ma solo un differenziarsi rispetto alla condizione dell'antenato.
RispondiEliminaL'uomo, e come lui qualsiasi altro organismo, non è perfetto: ha adattamenti mirabili in alcuni aspetti, e adattamenti meno efficienti in altri.
La questione che mi preme è però interpretativa, non oggettiva. Ovvero, come i nostri naturali limiti cognitivi e percettivi, tarati dalla nostra particolare storia evolutiva, distorcano più o meno consciamente l'interpretazione che abbiamo di altri organismi e della loro storia (la quale dovrebbe essere la più oggettiva possibile, e non una metafora della nostra soggettività).