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10 ottobre 2008

Il Gigantismo, espressione mesozoica del bauplan dinosauriano. Il caso dei teropodi.


In un vecchio post sottolineavo come, apparentemente andando contro l’evidenza, uno studio quantitativo sulla distribuzione della taglia nelle specie di mammiferi ed uccelli, con entrambi i gruppi suddivisi al loro interno tra le categorie eco-morfologiche dei volanti e dei terricoli, mostrasse che in entrambe le categorie eco-morfologiche gli uccelli fossero mediamente e modalmente più grandi dei mammiferi. Un’implicazione di tale risultato è che, probabilmente, il piano di organizzazione corporea degli uccelli (il loro bauplan) è più adatto di quello mammaliano per l’evoluzione di una grande taglia in ambiente terrestre (i mammiferi sembrano meglio strutturati per il gigantismo marino, probabilmente perché gli uccelli, a differenza di mammiferi e squamati, non paiono conformati bene per la viviparità, e quindi devono sempre tornare a terra per riprodursi, con la conseguenza di non poter diventare dei giganti marini). Dato che il bauplan degli uccelli si chiama Theropoda, vediamo se nei teropodi esistono caratteristiche che li rendono intrinsecamente adatti al gigantismo.

Nell’ultimo numero di Science, Sander & Clauss (2008) propongono in maniera estremamente convincente una lista di caratteristiche dei sauropodi che ne spiegherebbero il gigantismo (in questo caso inteso come raggiungimento di dimensioni e masse mai eguagliate dagli altri cladi di vertebrati terrestri erbivori, in particolare mammiferi e ornitischi). Essi fanno notare che almeno uno di questi fattori può spiegare il gigantismo evolutosi anche nei teropodi. In effetti, a parte alcuni grossi mammiferi come Andrewsarchus che potrebbero aver superato la tonnellata di peso (ma le stime in proposito sono contraddittorie), solo alcuni coccodrilli cretacici e cenozoici raggiunsero le dimensioni raggiunte, invece, almeno 4 volte dai teropodi giganti, con almeno 12 metri di lunghezza e oltre 4 tonnellate. Tuttavia, va sottolineato subito, sia i coccodrilli giganti che, probabilmente, Andrewsarchus parrebbero animali con stili di vita anfibi, non esclusivamente terrestri: questo aspetto limita significativamente la validità di comparazioni dirette con i teropodi giganti, i quali sono invece dei bipedi prettamente terrestri (a parte forse un gruppo... ok, non vado oltre...).

Tornando all’articolo di Sander & Clauss (2008), vediamo se e quali dei caratteri citati dagli autori per spiegare l’evoluzione (ed il successo) del gigantismo nei sauropodi possono essere applicati anche per spiegare i casi di gigantismo nei teropodi.

Il gigantismo dei sauropodi non è riconducibile a particolari condizioni ambientali o geografiche mesozoiche, e va cercato in aspetti biologici di questi animali. Analogamente, la presenza di teropodi giganti non pare localizzata a particolari piani geologici, né a specifiche regioni geografiche o a condizioni ambientali, e deve quindi essere ricondotta ad aspetti intrinseci della loro biologia.

I sauropodi giganti si differenziano tra loro per i tipi di dentatura: ciò mostra che la causa del gigantismo non fu un particolare regime alimentare. Analogo discorso può essere fatto tra i teropodi: i tre cladi di teropodi giganti meglio noti (ed oggetto principale di questo post), Carcharodontosauridae, Spinosauridae e Tyrannosauridae, sono estremamente differenti tra loro per il tipo di dentatura: i primi hanno denti marcatamente compressi, fittamente seghettati e muniti di increspature di smalto; i secondi hanno lunghi denti conici con seghettatura vestigiale o assente; i terzi hanno denti espansi labio-lingualmente (“incrassati”).

I sauropodi non svilupparono meccanismi masticatori e pertanto non ebbero l’evoluzione di teste relativamente voluminose (per l’inserzione di muscoli masticatori e batterie dentarie) come invece accadde nei mammiferi e negli ornitischi cerapodi: il mantenimento di una testa relativamente leggera, e, quindi, la possibilità di evolvere colli particolarmente lunghi, fu un adattamento che permise di espandere l’area di foraggiamento da fermo. Nei teropodi giganti si osserva invece l’evoluzione di teste particolarmente voluminose, sebbene non necessariamente pesanti (questo grazie all’espansione delle finestre e alla pneumatizzazione delle ossa), adatte per la cattura e l’ingestione di prede voluminose. I colli, di conseguenza, evolvono un’ampia mobilità e un’ipertrofia dei processi muscolari, ma restano relativamente corte rispetto a molti altri saurischi.

Associato con lo sviluppo di lunghi colli nei sauropodi è un accorgimento nella ventilazione che permetta di scambiare efficacemente l’aria dei polmoni senza avere un deficit respiratorio. Tale accorgimento è probabilmente da individuare nell’evoluzione di un sistema di ventilazione aviario, basato sui sacchi aerei (ne parlo ampiamente in alcuni post della scorsa settimana). La presenza di tali sacchi aerei è dimostrata nei sauropodi dal grado di pneumatizzazione estrema delle vertebre. Oltre ad alleggerire lo scheletro, i sacchi aerei, esattamente come negli uccelli, devono aver avuto un ruolo fondamentale per la termoregolazione, esigenza estremamente pressante in animali di tale massa, costantemente soggetti ad un eccesso termico sia per l’attività muscolare che per i processi di fermentazione digestiva necessari per sopperire all’assenza di masticazione. Da questo punto di vista, il sistema dei sacchi aerei, distribuito all’interno del volume corporeo, è funzionalmente più efficace del sistema di termoregolazione dei mammiferi, basato sugli scambi di calore solo a livello della superficie esterna, e può essere uno dei motivi per i quali i mammiferi non raggiunsero mai taglie paragonabili a quelle dei massimi sauropodi. Esattamente come nei sauropodi, anche i teropodi giganti mostrano di disporre di un complesso sistema di sacchi aerei, che, oltre a fungere da efficiente sistema di termoregolazione, implica un polmone estremamente efficiente negli scambi gassosi (ricordo che, a parità di massa, il polmone aviario ha una superficie interna deputata agli scambi quasi 10 volte maggiore di quella dei mammiferi, nonché un efficienza netta negli scambi gassosi doppia).

L’esistenza di un polmone di tipo aviario ha come conseguenza un’elevata efficienza nel reperimento dell’ossigeno, quindi permette un tasso metabolico elevato e pertanto la possibilità di avere un tasso di crescita molto rapido. Ciò è confermato dallo studio delle sezioni ossee, che mostra tassi di crescita elevati, che permettevano il raggiungimento della taglia adulta (sopra le 15-20 tonnellate) tra il 20° ed il 30° anno di età. L’esistenza di un simile tasso di crescita così accelerato è necessaria per due ragioni: la principale strategia difensiva dei grandi sauropodi è proprio la taglia, strategia che è inutile se tale taglia è raggiunta dopo molti decenni di crescita lenta (durante i quali non si può ancora sfruttare la mole come difesa); inoltre, studi di dinamica di popolazione indicano che una popolazione di individui che impiegano molti decenni per raggiungere la maturità sessuale è esposta particolarmente al rischio di estinzione. Pertanto, solamente l’evoluzione di un tasso di crescita accelerato permette un gigantismo vantaggioso a livello individuale e popolazionale. Gli studi sui tassi di crescita nei teropodi indicano che lo stesso tasso accelerato è responsabile del gigantismo nei dinosauri carnivori. In particolare, è stato dimostrato che Tyrannosaurus non superava gli altri tyrannosauridi nella taglia vivendo più a lungo o estendendo la fase adolescenziale, bensì proprio tramite un processo di accelerazione del tasso di crescita.

Associato al tasso di crescita accelerato, nei sauropodi abbiamo il raggiungimento rapido della maturità sessuale, associata ad un’alta produttività di uova. A differenza dei mammiferi giganti, che sono vincolati dal loro bauplan placentale a generare un numero bassissimo (spesso uno solo) di figli alla volta (spesso dopo lunghe gestazioni di uno o due anni), i nidi dei dinosauri mostrano che anche i sauropodi giganti, come i dinosauri “normali”, producevano nidiate di 20-30 uova per adulto all’anno. Questo dato dimostra che le popolazioni dei dinosauri giganti erano nettamente più prolifiche di quelle dei mammiferi giganti. Tale prolificità, ancora una volta, rende le popolazioni di dinosauri giganti meno esposte ai rischi di estinzione rispetto alle popolazioni di mammiferi giganti (che sono relativamente meno prolifiche e, sopratutto, più lente nel ricambio generazionale). I teropodi giganti mostrano analoghi tassi di riproduzione. Questa alta prolificità annuale ha come necessaria contropartita per mantenere costanti le popolazioni un elevatissimo tasso di mortalità giovanile. Oltre a generare una forte selezione individuale, un tasso così elevato di mortalità giovanile (tipico di tutti i dinosauri) implica che, a parità di individui nati, una popolazione di sauropodi giganti poteva fornire ai predatori un numero di giovani prede molto maggiore di quanto possa fare una popolazione simile di mammiferi giganti. Questo aspetto popolazionale, oltre a fornire una elevata biomassa di prede per i teropodi (giganti compresi) è un fattore che, applicato al caso dei mammiferi (relativamente meno prolifici) deve invece aver ridotto molto la probabilità di evoluzione di mammiferi carnivori giganti, nei confronti dei quali l’apporto di biomassa di prede giovanili (più abbondante e facile da abbattere di quelle adulta) era chiaramente minore che per i teropodi giganti. Ovvero: le popolazioni di mammiferi giganti (sia prede che predatori), nelle quali il tasso riproduttivo è più basso e i giovani sono meno abbondanti che nelle popolazioni di dinosauri, dovevano compensare tale deficit di prole con una maggiore protezione dei giovani, con la conseguenza che tale fonte alimentare era ancora meno accessibile per gli eventuali mammiferi predatori giganti.


Un aspetto che inoltre renderebbe il gigantismo nelle popolazioni di teropodi evolutivamente più vantaggioso di quelle di eventuali mammiferi giganti è, a mio avviso, un’analogia che i teropodi giganti hanno con gli insetti olometaboli. Gli insetti olometaboli, ovvero le forme con ciclo larvale morfologicamente e ecologicamente differente dall’adulto (api, formiche, coleotteri, mosche, farfalle, ecc...), sono il gruppo di animali di maggiore successo sulla Terra. Uno dei fattori del loro successo è la marcata differenza alimentare tra giovani (larve) e adulti, che riduce moltissimo la competizione intraspecifica tra differenti fasi di età e permette ad una stessa specie di avere differenti regimi alimentari a seconda della fase. Osservato da questo inconsueto punto di vista, è evidente che il ciclo biologico dei teropodi giganti è molto più vantaggioso di quello mammaliano. Nei mammiferi i giovani (relativamente più grossi dei giovani teropodi se confrontati ai rispettivi genitori: ricordo che gli esemplari giovanili di Allosaurus pesavano 500-1000 volte meno dell’adulto, contro le “sole” 50 volte meno di un giovane orso) sono alimentati con il latte o con le prede catturate dagli adulti, quindi, in pratica, gli adulti spendono proprie energie per alimentare i giovani, i quali sottraggono risorse alimentari agli adulti. Nei teropodi giganti accade invece che, molto probabilmente, data l’enorme differenza di taglia, giovani ed adulti sfruttassero nicchie alimentari differenti. Esattamente come in molti uccelli terricoli attuali (ad esempio gli struzzi) e nei coccodrilli, è probabile che le cure parentali nei teropodi si limitassero alla sorveglianza per scacciare eventuali predatori della prole: i giovani, precoci e capaci di predare già poco dopo la schiusa, si procuravano il cibo autonomamente, un cibo che sicuramente non rientrava nella sfera alimentare dell’adulto (i giovani predavano invertebrati e microvertebrati, mentre gli adulti predavano vertebrati di taglia medio-grande). Questa ripartizione delle risorse riduceva fortemente l’investimento energetico adulto per i giovani (permettendo, a parità di energie spese, una maggiore prolificità rispetto alla strategia mammaliana) e praticamente annullava la competizione per le risorse tra generazioni differenti, aumentando le fonti alimentari complessive della specie.

In conclusione, appare chiaro che anche per i teropodi il gigantismo diffuso e persistente (abbiamo la prova che per almeno 80 milioni di anni esistettero sempre specie di teropodi sopra le 2 tonnellate, mentre sembra che mammiferi predatori di terraferma di taglia simile, se mai ne esistettero, non perdurarono più di qualche milione di anni, lasciando scarse testimonianze... e ricordo che il record fossile cenozoico è più dettagliato di quello mesozoico, quindi è improbabile che tale scarsità di mammiferi carnivori giganti sia dovuta a imperfezioni della documentazione) sia da ricondurre ad una combinazione vincente di plesiomorfie “rettiliane” (tassi riproduttivi elevati con alta mortalità giovanile, precocità giovanile) associate ad apomorfie saurischie (sistema di ventilazione aviario, termoregolazione efficiente, tassi di crescita accelerati) che permetteva un ricambio generazionale sufficientemente rapido capace di tamponare tutti quei fattori che, invece, devono aver limitato fortemente l’evoluzione delle specie di mammiferi giganti.

Bibliografia:

Sander P.M. & Clauss M., 2008 - Sauropod Gigantism. Science, 322: 200-201.

1 commento:

  1. Complimenti, questo articolo è davvero interessante. Premetto di non essere del settore, però la notizia mi aveva incuriosito, così avevo letto altri resoconti sull'articolo uscito su Science, ma la tua elaborazione mi ha aperto spunti di riflessione e comprensione più approfonditi.

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