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28 maggio 2019

L'Arte di ritrarre il nostro Stelo

Due diverse visioni del concetto di "ragazza neanderthaliana". A sinistra, un'opera di Tom Bjorklund, a destra, una scultura dei Fratelli Kennis.
Per quanto la paleoarte che rappresenta i dinosauri o altre mitiche creature del remoto passato sia sicuramente una delle più suggestive forme di iconografia scientifica, nessun altro clade fossile può liberare le energie dei veri artisti quanto Hominini*.
Nessun altro gruppo di creature estinte suscita in noi più fascino ed emozione dei nostri parenti più prossimi, gli unici potenziali "esseri umani", nonché rami del medesimo stelo dal quale l'umanità è nata. E proprio per l'enorme carica di suggestione che "gli antenati" hanno in noi, la paleoarte umana è, a differenza di ogni altro tema della iconografia paleontologica, quella dove più potente e prepotente si manifesta l'indole dell'artista talentuoso. 
Non è mia intenzione fare una digressione stilistica, estetica o filosofica, mi limito a connotare due tendenze principali, forse troppo grossolane, che identifico nella paleoarte umana degli ultimi decenni: il "realismo" contrapposto al "idealismo". 
Il realismo, che sovente sfocia nel virtuosismo iper-realistico, ha nei Fratelli Kennis i suoi più famosi esponenti. Il realismo paleoartistico pretende (si illude?) di trasportarci indietro nel tempo per mostrarti gli antichi stem-Homo (Hominini) come "avrebbero potuto essere" dal vivo. La cura del dettaglio anatomico si fa maniacale, il rigore del clima pleistocenico si fa rigore estetico e puritanesimo entropico: il nostro ominide è quindi sporco, abraso, spettinato e solcato da cicatrici. La pelle porta i segni delle sofferenze di una vita selvatica o consumata. Lo sguardo del soggetto è lucido, tagliente, ma spesso velato dal peso della sopravvivenza. 
L'artista qui trasmette, o si diverte a trasmetterci, l'illusione della verosimiglianza. Quella che vediamo, quindi, è la simulazione del reale, così come concepita dalle categorie (esse stesse astrazioni) dell'artista, il quale intende la "rappresentazione" come aderenza ad un principio attualistico per cui il principale motore dell'umanità, ieri come oggi, è lo sporcarsi le mani, il prendere su di sé il peso della vita in tutta la sua asprezza a crudezza. La ruvida scorza degli ominidi dei fratelli Kennis ci ricorda che entropia e caducità sono sempre stati (e lo saranno sempre) i principali motori dell'agire e divenire umano. L'ominide rugoso, solcato e abraso dal sole è quindi, prima di tutto, una rappresentazione dello stato immutabile della condizione umana.

Vi confesso che, per quanto notevoli, le opere iper-realistiche dei fratelli Kennis non mi hanno mai colpito particolarmente. Esse sono sicuramente eccellenti, e non nego l'enorme lavoro di documentazione e realizzazione. Ma sono, e restano, pur sempre dei virtuosismi. Esse portano all'estremo la grande illusione di tanta paleoarte dei nostri tempi: l'illusione di poter "rappresentare" scientificamente qualcosa di ormai perduto, senza "filtri" dati dalla particolare concezione culturale dell'artista. L'illusione di annullare l'artista creatore dietro quella che deve apparire come pura opera della Natura. Quella esigenza (ossessione?) per il dettaglio è quindi, il tentativo di compensare l'enormità del dato reale irrimediabilmente perduto con la mole minuziosa di elementi "immutabili" della condizione umana (la polvere, il sangue, la cicatrice) che possiamo trarre direttamente dall'uomo di oggi per completare l'uomo di ieri. L'artista, pare quasi voglia sminuirsi, ci vuole far credere di aver soltanto rimesso insieme i pezzi del mosaico naturale.

All'opposto del iper-realismo, è invece una forma di arte che definisco "idealismo paleoantropologico", e che ha il migliore esempio nelle opere di Tom Bjorklund. Questa forma di paleoarte umana segue una logica diametralmente opposta a quella del realismo. Invece di colmare le enormi lacune informative traendole dai dettagli minuti della vita reale che si ritiene siano "invarianti" della condizione umana, l'idealismo paleoartistico trasfigura l'antico alla luce delle categorie ideali moderne. Le meravigliose madonne paleolitiche di Bjorklund hanno sguardi, languori e atteggiamenti sfacciatamente moderni. Questo non è realismo! Non ci sono dubbi che, nel Pleistocene, nessuna donna (o "stem-donna") di quel tempo avesse l'aspetto, l'atteggiamento e lo sguardo di una dama europea del XVIII secolo. Eppure, è questo che Tom Bjorklund infonde nelle sue realizzazioni. Sia chiaro, egli non trascura minimamente la cura anatomica e il dettaglio, ma, a differenza dei Fratelli Kennis, essi non sono il fine dell'opera, bensì, il dettaglio scientifico è il supporto e l'impalcatura per permettere all'Anima di una Dama Moderna di essere infusa in un corpo pleistocenico. L'ideale moderno della donna, della paternità, del bimbo, tutte categorie che difficilmente avremmo potuto identificare e attribuire in popolazioni distanti 20, 30, 100 mila anni da noi, sono così trasfigurate (e trasfigurano) nella paleontologia umana.
Per questo motivo, l'Arte di Tom Bjorklund è superiore a quella dei fratelli Kennis. Chiunque, data la giusta quantità di informazioni paleontologiche e il necessario background tecnico, può tentare di realizzare una opera di iper-realismo paleoantropologico. Ma per creare una Dama Pleistocenica occorre quel ulteriore salto concettuale che distingue la formulazione di una teoria universale dalla mera raccolta minuziosa dei dati. 
Tom Bjorklund ci trasmette una Idea dell'uomo, non solo una rappresentazione della sua Realtà perduta. Ed è in questa maggiore tensione all'ideale sopra la tecnica, che noi riconosciamo l'artista e non il mero realizzatore di ricostruzioni. 


*Hominini si può considerare un clade fossile, dato che oggi è formato da una singola specie, per quanto molto pervasiva.

11 commenti:

  1. sono d'accordo sull'orientamento estetico (nel rispetto della capacità tecnica), aggiungo anche che mi lascia sempre perplesso l'immaginario "sporco" ... non vedo per quale ragione i nostri antenati non dovessero essere puliti quanto noi... facendo un'estrapolazione attualistica sicuramente discutibile, mi sembra che gli attuali cacciatori-raccoglitori tendano ad essere alquanto puliti

    Emiliano

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  2. Sporco e pulito sono qualità temporalmente determinate (oltre che variabili sub-culturali), tutti siamo "sporchi" prima di pulirci.

    Alcuni si puliscono ossessivamente, altri quasi mai, ed altri nel mezzo.

    Comunque Ishi, l'ultimo indigeno nord-americano "selvaggio" considerava gli americani bianchi molto sporchi perchè non si lavavano 2 volte al giorno (in un ruscello gelido...).

    Mentre Jemmy Button, il fueghino compagno di viaggio di Darwin in Inghilterra si vestiva e si puliva come un dandy, ma appena potè ritronò ad essere nudo, coperto di grasso di foca, per lui pulirsi voleva dire aggiungere un ulteriore strato di grasso.

    Insomma il mondo è "bello perchè vario", la varietà degli individui rispetto a qualsiasi archetipo è alla base dell'idea darwiniana, e anche dell'evoluzione culturale.
    Piuttosto tutti noi cerchiamo, all'interno del nostro contesto di cultura e sub-cultura, ad apparire puliti, e siamo sporchi solo nei momenti in cui ci sporchiamo.

    Mi piace molto Tom Bjorklund, anche per le ricostruzioni storiche, ma apprezzo anche ricostruzioni più iper-realiste, barocche/caravagesche, ellenistiche, capaci di mostrare la fatica, il sudore, la sofferenza del vivere.
    Che, per carità, non riguardano tutti per tutto il tempo, e per fortuna.

    Tom Bjorklund è bravissimo, ma ha un sapore un po' art noveau, un po' il Mucha della paleoarte. E sia detto per inciso, amo molto Mucha, ma non amo solo Mucha.

    Valerio


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    1. si naturalmente siamo tutti sporchi prima di pulirci e nessuno impedisce ad un artista di ritrarre qualcuno in un momento di fatica o prima di lavarsi, ma l'insistenza sul dato mi ricorda un po' l'iconografia del teropode a bocca spalancata, sempre e comunque.
      è una visione anche ideologica - non c'è niente di male, è del tutto legittima, ma la condivido poco e la trovo riduttiva, in più mascherata dall'apparente oggettività del tratto iperrealista. Rispetto la capacità tecnica (faccio un mestiere artistico e so quanto si sudano le capacità tecniche) e apprezzo anche il risultato, ma meno di altri.

      Lo strato di grasso non era per sentirsi pulito, ma per ripararsi dal freddo :) poi, ovviamente le culture sono molteplici (e noi europei siamo stati uno dei "popoli" più sporchi del mondo per un numero considerevole di secoli) e formano abitudini da cui è difficile scostarsi e a cui si torna volentieri.
      Emiliano

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    2. Mah il concetto di pulizia e sporcizia dipende molto dalla cultura..le tribù indigene si cospargevano di ocra e grasso e forse non emanavano un buon odore secondo gli standard occidentali odierni...comunque era una patina funzionale nel loro ambiente. Detto questo ci siamo tappati il naso solo a sentire delle parrucche piene di pidocchi e dei vestiti lordi dei nobili europei del 1600/1700 che rispondevano solo a canoni estetici e non ambientali e quindi dobbiamo sempre guardare al passato con cognizione e non con preconcetti o altro. Tornando ai neanderthal visto l'enorme variabilità umana moderna penso che sarebbero passati inosservati o quasi. I dati genetici confermano la presenza di pelle chiara/occhi chiari/capelli rossi nei neanderthal europei e che questi geni sono stati trasmessi tramite ibridazione alle attuali popolazioni europee e che questi geni non sono presenti nei nativi africani...quindi l'opzione artistica neander con capelli rossi e occhi azzurri non è campata in aria

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    3. non ho detto nulla sui capelli e gli occhi ... conosco i dati genetici anch'io. e non parlavo dei Neanderthal, ma in generale
      "le tribù indigene" è un po' vago... e comunque cospargersi di ocra e grasso non è essere sporchi (di polvere, fuliggine, sangue etc), anzi è essere decorati e/o attrezzati per il proprio ambiente.
      essere sporchi potrei intenderlo come "non togliersi di dosso quello che arriva dall'ambiente o i prodotti di scarto del corpo" (che non hanno nessuna funzione, nemmeno o estetica).
      temo che tutti guardiamo al passato con preconcetti, purtroppo, è inevitabile: lo guardiamo attraverso la nostra prospettiva che non è mai neutra.
      Emiliano

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    4. Tenete presente che noi conosciamo i dati genetici di alcuni (ma non tutti) i ceppi neandertaliani, quindi non cadiamo nella generalizzazione di immaginarli tutti rossi con occhi chiari. Io personalmente non considero i neandertaliani mostrati nelle due immagini sopra "plausibili", ma questo non ha nulla a che vedere con il loro valore artistico (che è il tema del post) e sul fatto che qualsiasi rappresentazione è SEMPRE il filtro personale dell'artista, e che quindi, la presenza o meno di ornamenti/pigmenti o persino di "sporcizia/trascuratezza" sono il riflesso delle idee dell'artista e non sono "dati scientifici".

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    5. ma assolutamente non ho mai immaginato che tutti i Neanderthaliani avessero quella pigmentazione, è possibile, ma non abbiamo dati a sufficienza.
      sul resto sono totalmente d'accordo con te, non considero mai oggettiva una rappresentazione, nemmeno una fotografia lo è, ne dà l'illusione, ma non lo è.
      Emiliano

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  3. Dato che nessuno di noi ha modo di determinare il grado di pulizia di un ominino fossile, qualsiasi rappresentazione di "sporco" è sempre una costruzione della nostra mente, una manifestazione della nostra personale idea di "preistorico".

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  4. PS: io adoro l'art nouveau, quindi ben venga il paragone.

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    1. Si, facevo della polemica inutile, in realtà è bravissimo, proprio perché a me comunica, in molte sue opere sul paleolitico, un senso di normalità e placidità, di tranquilla vita in campagna, che in effetti è raro trovare in un paleoillustratore a tema "uomini peristorici grandi caccitori".

      Valerio

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  5. A me affascinano tutti e due.

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