Nei giorni scorsi, e per un numero
limitato di date, nei cinema nostrani è stato proiettato un
documentario dal titolo “Dinosaurs”. Dopo una rapida ricerca
online, scoprii che si trattava di una produzione italiana. Questo
documentario proiettato al cinema ha fatto molta leva sulla
promozione online, tranne che per un vistoso dettaglio: la
spettacolare esposizione di una copia dell'esemplare di Tyrannosaurus
noto come “Stan” nella stazione centrale di Milano (il motivo
dell'uso di quell'esemplare come “promotore” del film è chiaro
una volta visto il documentario proiettato in questi giorni).
Il trailer che circolava online è
molto spettacolare ed enfatico. Si capisce subito che il target del
documentario, lo spettatore ideale del film, non è, ovviamente, il
paleontologo che vi sta scrivendo. E forse nemmeno voi lettori
consueti del blog. Il target è lo spettatore che è sì curioso, ma
resta sostanzialmente agnostico verso i dinosauri, non ha particolari
atteggiamenti o posizioni in merito al complesso mondo della
paleontologia dinosaurologica e delle sue varie ramificazioni nella
società. Quel trailer combinava immagini in alta risoluzione,
riprese col drone e la reiterata mistica della paleontologia sul
campo, in regioni esotiche e lontano dalla civiltà. Già questo
faceva sospettare che il documentario fosse poco dedicato ai
dinosauri. E forse, pensai, quello potrebbe essere il suo unico punto
positivo, sinceramente quello più originale. Vedendolo, notando
alcuni dettagli del trailer, e riflettendo anche sulla promozione con “Stan”
alla stazione milanese, ebbi il sospetto che questo film, pur
intitolandosi “dinosauri”, parlasse poco o nulla di loro.
L'impressione, dal trailer, era che fosse un documentario dedicato al
mondo dei venditori di scheletri di dinosauro (se non lo sapete,
esiste chi di professione vende scheletri – o copie di scheletri –
di dinosauro).
Mi rendo perfettamente conto che se un
documentario si intitola “Venditori di scheletri di dinosauri” il
pubblico potenziale crolla rispetto a quello che vuole vedere il ben più accattivante
“Dinosauri” (per giunta, in inglese, persino nella versione
italiana), quindi non è certo sulla discutibile scelta di un così
banale titolo che avrei basato la mia valutazione, né sulla breve
visione di un trailer volutamente enfatico.
[Parentesi sull'esemplare di “Stan”
alla stazione milanese. Da circa 20 anni, il Museo di Storia Naturale
di Milano espone nella sala dei dinosauri una copia del Tyrannosaurus
“Stan”. Ovvero, una copia identica alla copia che in questi
giorni è stata mostrata alla stazione della medesima città. Ovvero,
per alcuni giorni, Milano è stata l'unica città al mondo ad avere
esposti al pubblico due copie identiche del medesimo scheletro di
dinosauro. Come spiegare una così bizzarra ridondanza? Credo che,
molto semplicemente, gli organizzatori dell'esposizione alla stazione
legata al film non fossero al corrente che il medesimo esemplare era già presente
in quella città. Purtroppo, sospetto anche che moltissimi tra coloro
che transitano quotidianamente per la principale stazione milanese
(uno degli snodi chiave del traffico ferroviario nazionale) non
fossero minimamente consapevoli che quel superbo scheletro esposto
temporaneamente nella stazione si può ammirare da due decenni nel
museo della stessa città, distante neanche mezz'ora a piedi dalla stazione. Già questo sarebbe materia per una
riflessione sul modo con cui i dinosauri sono “serviti” al
pubblico].
Ecco le mie impressioni dopo aver visto
il documentario:
Breve riassunto: si
tratta di una serie di filmati e interviste in alcune località di
scavo privato (in Svizzera e USA) nonché in alcune società private
che scavano, ricostruiscono o vendono fossili di dinosauro (in
Italia, Francia e USA).
Il documentario, come sospettavo, non è
scientifico e non parla né di paleontologia né di dinosauri. Nessun
paleontologo professionista è citato nella consulenza, e le poche
nozioni paleontologiche che sono presentate sono, oltre che
grossolane, in alcuni casi persino errate (ad esempio, il limite K-Pg non è un livello in cui abbondando dinosauri, è un limite cronostratigrafico). L'unico personaggio
presentato tra i vari interventi che formano il documentario ad avere
una parziale produzione scientifica è Peter Larson, il quale,
tuttavia, nel documentario parla sopratutto della sua società
privata di scavo e vendita di fossili. Pertanto, come sospettavo,
questo documentario, a dispetto del titolo, non parla di dinosauri.
Parla di uomini, di società e di vicende private. Tutto
rispettabilissimo e anche interessante da scoprire, ma che non
riguarda sostanzialmente i dinosauri. Se i personaggi protagonisti
del documentario avessero nella loro vita lavorato su ammoniti o
mastodonti invece che dinosauri, il documentario su di loro e sulle
loro vicende sarebbe stato praticamente identico a questo.
Come ho scritto sopra, non solo i
dinosauri non sono oggetto del documentario, ma nemmeno la
paleontologia è il tema della narrazione. Si accenna alla vita sul
campo, si mostrano alcune persone che scavano in zone sperdute del
Nord America, si mostra un campo di scavo svizzero, ma praticamente
nulla in merito alla ricerca e allo scavo paleontologico viene
trasmesso. A guardare il documentario, uno scavo paleontologico è
sostanzialmente una serie di badilate, svangate, spennellate, colate
di colla, impacchettamento in camicie di gesso e fuga dai temporali.
Nessuna menzione alla prospezione, indagine stratigrafica, tafonomica o paleoecologica. Nessuna apparenza di paleontologia vera, quindi. Le scene trasmettono l'idea romantica che la paleontologia sia sostanzialmente uno "scavare qualcosa di antico", e che i dinosauri siano solamente ossa fossili da scavare.
Paradossalmente, il film funzionerebbe nella sua narrazione persino rimuovendo in toto i dinosauri. Se al posto delle
ossa di dinosauro, gli scavi fossero stati su un sito egizio o
romano, il risultato per la logica del documentario sarebbe stata
identica.
In alcuni momenti, sopratutto nella
seconda metà del documentario, viene il sospetto che tutto il film
sia una enorme pubblicità (più o meno occulta) per alcune delle
società mostrate. E come ogni pubblicità, essa è edulcorante e
apologetica. I personaggi sono trattati in modo romanzato e
stereotipato, positivamente caricaturale. Lo scavatore del sito è tratteggiato in modo
romantico, e non traspare nulla delle reali difficoltà legate alla
gestione e sviluppo di uno scavo. Il restauratore di scheletri viene
descritto come uno scienziato-investigatore che “riporta in vita”
i dinosauri, senza focalizzarsi sul fatto che qualsiasi
“ricostruzione” di un dinosauro comporta inevitabilmente una
perdita di informazione, e non certo una acquisizione di qualcosa perduto.
Uno scheletro parziale che viene “completato” smette di essere un
oggetto scientifico e diventa un artefatto: un oggetto meritevole di
essere acquistato ed esposto, ma sicuramente compromesso per chiunque
voglia veramente comprendere i dinosauri. Il banditore d'asta o il
commerciante di fossili sono, ovviamente, professionisti nel loro
mondo, ma a loro interessa poco o nulla della paleontologia e dei
dinosauri.
Un documentario che dedichi una decina
di minuti ad un venditore di fossili e nemmeno un minuto ai
paleontologi non parla di dinosauri. Non è un documentario sui
dinosauri. Da questo punto di vista, non secondario né banale, il
documentario è una delusione piena.
Non mi soffermo sui tempi morti, sulla
stereotipata caratterizzazione delle vicende menzionate, né su alcune imprecisioni della traduzione.
Non mi dilungo sull'abuso del drone accompagnato da una piatta colonna
sonora.
Forse, un documentario senza colonna
sonora sarebbe stato più gradevole.
Forse, un documentario con i dinosauri
sarebbe stato più gradevole.
Perché, lo ripeto, i dinosauri in
questo documentario sono solo soprammobili da spolverare ed esporre,
grottesche sculture da mettere all'asta.
E qui si torna al principale problema
per la paleontologia dei dinosauri nel XXI secolo: la sua massiccia
commercializzazione extra-paleontologica, che distorce tutto e tutti
per logiche che di paleontologico hanno poco o nulla. Si scava per
vendere. Si restaura per vendere. Si traffica per vendere. Si espone
per vendere. Tutto questo, di per sé, non è né un bene né un
male. Ma non è paleontologia: è commercio.
Raramente, purtroppo, questo denaro
viene investito a favore della ricerca e dei ricercatori. Diventa
puro e semplice flusso di denaro, non di conoscenza. Ovvio che non
possiamo certo biasimare le persone viste in questo film, e che a
malapena riescono a vivere di questi lavori tanto rari e inusuali. E
non voglio nemmeno fare una sterile polemica contro il banditore che
una volta nella vita si trova a gestire l'asta di uno scheletro che è
al 75% una ricostruzione di gesso, né contro il commerciante che
riesce a piazzare un simile artefatto ad un prezzo tanto esorbitante.
Come altro chiamare degli scheletri completi che solo in parte sono
composti da vero materiale fossile? Artefatti. Bellissimi artefatti.
Ma, allora, si abbia la decenza di non
chiamarli “Dinosaurs”.
Mi stavo giusto chiedendo se avremmo visto una tua recensione su questo film. L'ho visto lunedì e in alcuni punti mi stavo persino addormentando. Avevo notato alcune imprecisioni, ad esempio nella scheda tecnica dell'Allosaurus le sue dimensioni mi sembravano esagerate (12 m di lunghezza per 5 di altezza, non sono le misure di Tyrannosaurus?). O la scheda del teropode per eccellenza, con tanto di immagine presa da Jurassic World.
RispondiEliminaL'asta finale poi mi ha ricordato l'ultimo Jurassic World.
Due domande:
1. Ma quindi nella vicenda di Larson, se non fosse intervenuto il Governo Federale, oggi Sue apparterebbe a qualche ricco collezionista?
2. Hai per caso visto il film "Alpha"? Che ne pensi?
1. Non saprei. La normativa americana non è il mio forte, e nessuno sa come sarebbero andate le cose in quel caso.
Elimina2. Mamma mia... il trailer mi ha fatto venire la scabbia.
Alpha l'ho visto con un mio amico molto giovane che si chiama Alpha... giusto per la coincidenza del nome. E' un film per ragazzi direi, immagini molto sontuose, scientificità zero, per il mio amico andava più che bene, io mi sono abituato a vedere anche gli Avengers :) per Andrea non può che essere insostenibile.
Eliminapurtroppo mi sono perso lo scheletro di tirannosauro alla stazione Centrale...non sapevo che ci fosse e non passo di lì tutti i giorni, ma ci sono passato settimana scorsa senza vedere nulla. è anche vero che gli ambienti sono enormi e dispersivi quindi può passare inosservato se non si fa la strada giusta.
la questione della commercializzazione dei fossili è una cosa che continua a farmi letteralmente accapponare la pelle... non conosco le normative, probabilmente sono un po' moralista, probabilmente sopravvaluto il valore dei reperti (che non saranno tutti ugualmente preziosi), ma rimango sempre "basito" di fronte alla possibilità che qualcosa di prezioso o di unico possa essere sottratto al patrimonio collettivo.
Emiliano
Più che "insostenibile", io lo trovo piatto e monotono.
Eliminatecnicamente un "filmetto" ma girato con molti mezzi. anche banalotto e retorico se vogliamo proprio dirla tutta... però ne ho approfittato per "spiegare" qualcosina a un ragazzo che non sa nulla di nulla della preistoria umana. non è una qualità del film naturalmente...
EliminaEmiliano
Oltre a concordare in tutto nella recensione, ha messo nausea anche l’uso eccessivo della camera a mano, in un documentario non lo trovo opportuno.
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