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23 gennaio 2009

Spinosaurid paleobiology, more than just “croc-mimic”


Perché gli spinosauri sono così “bizzarri”? Non ci sono dubbi che le loro peculiarità rispetto agli altri theropodi indichino una particolare ecologia, differente da quelle delle altre forme. Il fatto che gli spinosauri siano spesso ritratti come degli analoghi dei coccodrilli è un paragone sufficiente e completo? Questo post si propone di esplorare l’ecologia degli spinosauri, senza limitarsi alla solita questione del muso allungato e della dentatura conica (dettagli importanti, ma non gli unici per capire questi animali).

Non nego che esistano evidenti somiglianze tra spinosauridi e alcuni coccodrilli, in particolare nell’allungamento del rostro, nella forma “a rosetta spatolata” della zona premascellare, nella forma dei denti (conici, poco incurvati, con seghettatura vestigiale se non assente). Questi caratteri suggeriscono una ridotta capacità lacerante dei denti, sostituita da una migliore capacità di trafiggere e “impalare” prede di taglia medio-piccola. Sebbene la prima interpretazione di questa anatomia cranio-dentale sia la piscivoria, va sottolineato che gli spinosauridi non dovevano essere esclusivamente piscivori, come indicato dai resti di ornithopode di taglia media nel contenuto stomacale di Baryonyx (Charig & Milner, 1997) e dal dente di spinosaurino conficcato in una serie cervicale di pterosauro (vedere post relativo).

Come funzionava la mandibola di uno spinosauride? Recenti ritrovamenti dal Marocco (illustrati al SVPCA 2008) mostrano che il quadrato (l’osso del cranio su cui articola la mandibola) degli spinosauri era conformato per consentire la dilatazione in ampiezza dell’apertura boccale. Questo adattamento permetteva l’ingestione di prede relativamente voluminose, come pesci e vertebrati di taglia medio-piccola, senza quasi l’ausilio della masticazione. In precedenti post ho sostenuto che la morfologia della regione posteriore del cranio spinosauride sia meglio comprensibile ricostruendo una postura della testa non orizzontale, bensì rostroventrale, con l’apertura boccale rivolta parzialmente verso il basso. Se osservate il disegno qui sotto, vedrete che orientando il cranio con una simile postura abbiamo l’asse del principale dente mascellare, l’asse del lacrimale e dell’orbita che si dispongono verticalmente (linee azzurre), come nella maggioranza dei theropodi. Una interessante conseguenza di questa morfologia è che l’atto di chiusura della bocca spinge automaticamente la preda verso i denti mascellari e, contemporaneamente, verso l’interno della bocca (freccia verde). Questa postura ha anche il pregio di liberare il campo visivo dello spinosauro dall'ingombro dato dal proprio rostro, migliorandone l'eventuale stereoscopia (ma questo potremo stabilirlo solo con crani articolati ed indeformati).Il risultato è un morso “impalatore” che spinge la preda direttamente verso i denti conici, dove viene letteralmente trafitta. Inoltre, il fatto che il principale dente mascellare, quello che per primo impattava con la preda, sia parallelo alle linee di forza muscolare è un chiaro adattamento a massimizzare l’efficacia del morso.

Quanto era potente quel morso? Una quantificazione precisa non è possibile, tuttavia, va sottolineato che all’aumentare della lunghezza del rostro, aumenta il momento della forza esercitata dai muscoli mandibolari all’estremità del rostro. Il lungo cranio di uno spinosauro era adattato a resistere alle forze esercitate dal suo stesso morso? La sezione trasversale del rostro, triangolare, la presenza della lunga cresta nasale dorsale che fungeva da punto di scarico delle forze e la presenza del lungo palato secondario (un espediente meccanico per resistere alle torsioni), sono tutti adattamenti finalizzati a sostenere le intense sollecitazioni provocate da morsi molto potenti. Un ulteriore indizio di questa capacità è data, almeno in Spinosaurus, dalla posizione arretrata delle narici: questo fatto faceva sì che tutta la regione posta anteriormente alle narici fosse costituita solamente da ossa compatte, senza alcuna cavità o parte molle, e consentiva quindi di esercitare proprio a livello del rostro delle notevoli pressioni senza il rischio di danneggiare parti vitali quali la narice. Una dimostrazione della incredibile resistenza dei rostri di spinosauro è data dalla tafonomia: i rostri di spinosauro, come l’esemplare di Milano, si rinvengono spesso ancora perfettamente articolati dopo cento milioni di anni, mentre buona parte dello scheletro è andata perduta.

Gli spinosauri come muovevano il loro bizzarro cranio? L’anatomia occipitale di Irritator (Sues et al., 2002) è molto istruttiva: a differenza della condizione presente negli allosauroidi, nei quali i processi muscolari si sono specializzati per potenziare la capacità di abbassare la testa e di scuoterla lateralmente (adattamento “brontofagico” volto a lacerare profondamente il fianco di una preda di taglia medio-grande: aree rosse nel cranio di Allosaurus qui sotto), negli spinosauri sono assenti inserzioni muscolari specificamente adatte per incrementare il moto laterale della testa, o a spingerla potentemente verso il basso (come i tuberi basali, su cui si inseriscono importanti muscoli ventrali del collo). Quindi, il cranio non mostra adattamenti per scuotere violentemente la preda, la quale probabilmente era uccisa ad opera del morso e dei denti. La muscolatura mandibolare e cranica quindi suggerisce che gli spinosauri hanno evoluto un meccanismo di “impalamento” di prede medio-piccole, afferrate con un morso relativamente rapido e potente, trafitte profondamente con la dentatura rostrale e ingoiate quasi intere.

L’anatomia dell’arto anteriore, nota in Baryonyx e nel probabile spinosauroide Megaraptor, è in linea con questa ipotesi: come ho scritto recentemente, Megaraptor mostra adattamenti dell’arto anteriore che suggeriscono una tecnica di caccia basata su “impalamento” delle prede ad opera dell’enorme primo unguale falciforme della mano, mosso da potenti muscoli pettorali. Quindi, è probabile che gli spinosauri fossero degli “impalatori opportunisti”, theropodi specializzati alla cattura di prede medio-piccole (pesci e vertebrati terrestri), che venivano afferrate con la bocca e trafitte dall’azione concertata dei denti e dell’unguale ipertrofico della mano. Ovviamente, data la mole di Spinosaurus, è possibile che nel suo caso queste prede fossero anche di taglia media, come ornithopodi o giovani sauropodi.

Bibliografia:

Charig, A.J. & Milner A.C., 1997 - Baryonyx walkeri, a fish-eating dinosaur from the Wealden of Surrey. Bulletin of the Natural History Museum, Geology Series 53:11–70.

Sues, H.-D., E. Frey, D. M. Martill, and D. M. Scott. 2002. Irritator challengeri, a spinosaurid (Dinosauria: Theropoda) from the Lower Cretaceous of Brazil. Journal of Vertebrate Paleontology 22: 535–547.

2 commenti:

  1. La questione tafonomica nel KemKem è un po' più complessa.
    I rostri, sebbene davvero robusti, si trovano anche disarticolati e a volte molto frammentari.. La differenza in numero tra i rostri rinvenuti e le altre parti di cranio non è dovuta solo alla tafonomia ma è anche conseguenza di una selezione compiuta dall'uomo. I rostri sono tra le parti più riconoscibili e, dato che molti dei campioni sono raccolti dalla gente del luogo, sono tra le parti di cranio che finiscono spesso sui mercatini e alle mostre di fossili.
    La frammentarietà e l'assenza di scheletri completi dal KemKem in generale è dovuta al fatto che i fossili del Cenomaniano vengono estratti scavando cunicoli in falesie. Quando si raggiunge un fossile, si prende quella porzione e non ci si arrischia a scavare intorno, se no crolla il cunicolo e ci si resta sotto, per sempre..

    Per quanto riguarda le cavità interne del muso, altre strutture anatomiche e le loro potenziali implicazioni paleobiologiche porta pazienza qualche mese che poi avrai qualche dato in più su cui discutere nei tuoi futuri post su Spinosaurus. ;-)
    Simone Maganuco

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  2. Grazie, Simo.
    Ammetto che non conoscevo questo aspetto "antropologico" della tafonomia del Kem Kem: ritenevo che buona parte dei resti isolati si rinvenisse al suolo, esposto dall'erosione, e che la disarticolazione e frammentarietà dei resti fosse dovuta principalmente alle condizioni paleoambientali del Nordafrica del cretacico medio poco favorevoli alla preservazione di individui articolati.

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