Questa settimana sarà dedicata (salvo eventuali news meritevoli) ad un solo argomento, del quale cercherò di mostrare le sue diramazioni anatomiche, funzionali, filogenetiche ed ecologiche. Si tratta di una struttura anatomica evolutasi esclusivamente nei celurosauri mesozoici, che non ha analoghi attuali: l’arctometatarso. La difficoltà di pronunciarne il nome (che comunque è più semplice di quello dato al suo “opposto” che descriverò nella quarta puntata) è superata solo da quella di visualizzarlo tridimensionalmente. In effetti, è una struttura complessa ed elegante, dotata di una sua intrinseca bellezza, che allude (come vedremo) ad un pregevole “disegno ingegneristico” di tipo darwiniano.
Il termine “arctometatarso” (dal latino: “metatarso incuneato”) fu introdotto da Holtz (1994) per definire una particolare morfologia di metatarso presente in numerosi teropodi del Cretacico costituita da:
1- Il terzo metatarsale (d’ora in poi, MT III), marcatamente ridotto nella sua regione prossimale e compresso sia craniocaudalmente che mediolateralmente (vedere figura sotto per orientarsi tra le diciture anatomiche: in alto, metatarsi di Appalachiosaurus in vista craniale, in basso, sezione trasversale del metatarso di Gorgosaurus in vista distale. I numeri indicano i caratteri qui elencati. Immagini modificate da Carr et al., 2005, e Snively & Russell, 2003).
2- MT III che si espande distalmente, assumendo una sezione triangolare, con un vertice rivolto caudalmente, ed incuneandosi tra i due metatarsali adiacenti (MT II e IV). (Ricordo che nei teropodi il quinto metatarsale è ridotto e non ha falangi, mentre il primo ed il dito corrispondente sono corti e poco funzionali, tranne che nei therizinosauroidi derivati, negli scansoriopterygidi e in buona parte degli aviali).
3- MT II e IV che prossimalmente convergono cranialmente nella zona di riduzione di MT, fino a contattarsi, sovrapponendosi a MT III.
4- MT II e IV che distalmente convergono caudalmente a MT III, il quale si sovrappone parzialmente agli altri due metatarsali.
Nella maggioranza dei teropodi (in particolare, in tutti i non-celurosauri) il piede non ha queste caratteristiche, dato che MT III conserva una cospicua espansione prossimale e non si incunea distalmente tra MT II e IV, i quali, inoltre, non convergono cranialmente nella regione prossimale, né caudalmente nella regione distale.
Questa particolare morfologia è presente solamente in alcune linee di celurosauri: nei Mononykinae (Mononykus, Shuvuuia, Parvicursor), in alcuni Oviraptorosauria (Avimimus, Elmisaurus, Chirostenotes), Troodontidae (Troodon, Saurornithoides, Borogovia, Tochisaurus), Ornithomimidae e Tyrannosauridae. Negli altri teropodi questa struttura è assente, oppure è solo parzialmente sviluppata (ad esempio, in molti Deinonychosauria basali, in Harpymimus, Garudimimus, Caudipteryx ed in molti oviraptoroidi ad eccezione degli “ingeniini”) con la così detta condizione “sub-arctometatarsale”, che non mostra le specializzazioni estreme dei taxa citati sopra.
L’arctometatarso non sembra essere vincolato a una particolare taglia, dato che è presente in animali di piccola taglia come Parvicursor, grande come un pollo, fino a giganti come Tyrannosaurus. Ovviamente, come ogni struttura, esso è soggetto a variazione allometrica in funzione della taglia, tuttavia, la sua persistenza lungo tre ordini di grandezza implica che questo tratto anatomico deve essere vincolato ad un qualche fattore funzionale oppure filogenetico.
Come vedremo nel corso della settimana, la filogenesi, l’anatomia funzionale e la biomeccanica dell’arctometatarso mostrano che esso è un adattamento vincente legato alla locomozione bipede sia cursoria che graviportale. Vedremo quando e come è comparso, perché non si osserva in altri teropodi (e nei vertebrati attuali) e quali vantaggi conferisca. In particolare, nell’ultima puntata vedremo come esso possa contribuire a spiegare le differenze anatomiche e, forse, anche alcune ecologiche, tra i teropodi giganti del Gondwana (in particolare i Carcharodontosauridi) e quelli del Laurasia (i Tyrannosauridae).
Bibliografia:
Carr T.D., Williamson T.E., Schwimmer D.R., 2005 - A new genus and species of tyrannosauroid from the Late Cretaceous (Middle Campanian) Demopolis Formation of Alabama. Journal of Vertebrate Paleontology 25: 119-143.
Holtz T.R. Jr., 1994 - The arctometatarsalian pes, an unusual structure of the metatarsus of Cretaceous Theropoda (Dinosauria: Saurischia). Journal of Vertebrate Paleontology 14: 480–519.
Snively E., Russell A.P., 2003 - A kinematic model of tyrannosaurid arctometatarsus function (Dinosauria: Theropoda). Journal of Morphology 255: 215–227.
Post splendido. Ogni volta che imparo qualcosa di nuovo e importante mi emoziono, dico sul serio. Tu dovresti veramente scrivere un libro sui teropodi, hai tutte le carte in regola, anche per quel che concerne la spiegazione semplice ma non banale. Complimenti vivissimi.
RispondiEliminaSimone