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06 marzo 2019

Un approccio eco-geografico all'estinzione dei dinosauri (in Nord America)

 Tre tra i taxa di maggiori dimensioni nelle faune del Maastrichtiano terminale della Laramidia. (c) Davide Bonadonna
Il registro fossilifero è imperfetto e non omogeneo. 
Questo fatto, tanto ovvio quanto banale, permea ogni elemento della paleontologia, al punto che potremmo definire il paleontologo colui che tenta di estrarre informazione biologica da un filtro geologico. L'imperfezione del dato, e la necessità di tenere in considerazione le cause e gli effetti di tale imperfezione, ha raffinato la paleontologia, che da disciplina prettamente "qualitativa" è divenuta una scienza quantitativa e probabilistica. Chi legge questo blog fin dalle sue origini, lo sa bene. E non soprende quindi che l'autore di uno studio che introduce una nuova metodica di analisi delle dinamiche paleontologiche sia un lettore storico di questo blog.
Chiarenza et al. (2019) utilizzano una metodologia che combina il registro fossilifero, i dati paleoclimatici e la modellizzazione ecosistemica, per stimare la distribuzione e la durata degli habitat a dinosauri durante il Campaniano-Maastrichtiano del Nord America. L'obiettivo dell'analisi è testare se le faune a dinosauri alla fine del Cretacico fossero in declino prima dell'impatto col bolide il cui cratere giace nello Yucatan (come sostenuto da alcuni studi) oppure se invece non ci fosse in atto alcuna crisi nella diversità a dinosauri (come concludono analisi sistemiche). Nello studio, gli autori quantificano l'estensione degli habitat nelle regioni in cui le associazioni a dinosauri affiorano attualmente e ne stimano l'estensione continentale anche dove il registro fossilifero è andato perduto (a causa dell'erosione) oppure non è affiorante. 
Il risultato delle modellizzazioni indica che effettivamente si osserva una contrazione della abitabilità nelle zone fossilifere note, ma che questo trend non si riscontra quando si stima il fenomeno alla scala continentale. Aldilà della questione più accattivante relativa all'estinzione finale dei dinosauri, quello che a mio avviso è il pregio di questo studio è l'aver introdotto un metodo che permetta di stimare se il nostro record fossile sia o meno adeguato per sostenere argomenti alla scala globale. Lo studio di Chiarenza et al. (2019) conclude che il record dei dinosauri maastrichtiani del Nordamerica non può e non deve essere "letto alla lettera" per avere informazioni sulle dinamiche ecosistemiche alla fine del Cretacico in Nordamerica. A maggior ragione, non deve quindi essere preso come "dato grezzo" per qualsivoglia argomentazione alla scala globale. Pertanto, qualsiasi argomentazione "su larga scala" in merito alla storia finale dei dinosauri vogliate sostenere, essa non può prescindere da una stima di quanto sia "andato perduto" in termini di distribuzione geografica, filtro tafonomico, ed estensione di linee evolutive deducibili filogeneticamente: solo combinando tutti i parametri è possibile "pesare" la robustezza dell'attuale record fossilifero.
Per quanto le famosissime faune della Formazione del Hell Creek siano sovente usate come "paradigma" della fine dell'era dei dinosauri, esse probabilmente non sono sufficienti per comprendere gli ultimi dinosauri del Nord America (in particolare) né dell'intero pianeta (in generale). 

Chiarenza AA et al. 2019. Ecological niche modelling does not support climatically-driven dinosaur diversity decline before the Cretaceous/Paleogene mass extinction. Nature Communications 10: 1091.

3 commenti:

  1. Il raffinamento epistemologico della paleontologia è un processo che sta accelerando sempre di più, un qualunque profano che legga questo blog da anni non può fare a meno di notarlo.
    Il transiente ricorda molto quello che hanno subito altre discipline e, nei casi che ho in mente, ho sempre apprezzato molto i vari epiloghi. Credo proprio che continuerò a frequentare il blog...

    Emanuele

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  2. Andrea scusa la domanda off topic, ma non sapevo dove altro farla. Abbiamo per caso qualche indizio paleontologico per capire come bevevano i dinosauri? Per i teropodi è facile, ma per quanto riguarda i quadrupedi come sauropodi, ornitopodi, thyreofori e ceratopsidi? Guardando i rettili attuali ci sono due metodi: aspirazione (tartarughe, varani, serpenti) e bere con la lingua come i cani (gechi, iguane, e scinchi). Si possono applicare questi due metodi alle classi erbivore che ho appena citato?

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    1. Non rispondo alle domande off-topic, altrimenti finisce che ho la casella invasa da mille domande di chiunque ha la minima curiosità.

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