(Rough) Translator

12 settembre 2012

Forma Sublime

La rivoluzione informatica nella quale siamo immersi (e nella quale ci stiamo immergendo sempre più) è talmente rapida che solo un decennio fa, aldilà di facili battute numerologiche, sembra un altro secolo.
L'avvento delle fotocamere digitali ha reso le pellicole fotografiche un “vvv”, un vecchio vestigio vintage. Eppure, almeno nel mio caso, quasi tutte le fotografie vecchie di almeno 5 anni sono ancora care vecchie pellicole, quelle che, trascurando le bizzarre sette della Polaroid, si stampavano da un maniscalco ormai desueto e marginalizzato per la nicchia del wedding-planning noto come “fotografo”.
Nella maggioranza dei casi, le vecchie foto dell'era pre-digitale sono “atemporali”. Alcune, una minoranza, presentano sulla faccia inferiore una data, corrispondente a quella di stampa, la quale, comunque, non corrisponde esattamente al momento in cui tali immagini si impressero sulla pellicola. Altre, ancor più minoritarie, appartenenti a quella fase di transizione tra il Paleozoico fotografico ed il Cenozoico digitale, presentano una orribile data in caratteri digitali impressa sulla stessa foto. Ammetto senza remore di detestare quella soluzione, che deturpava la foto e la rendeva “fredda”, se non altro perché ricorda i fotogrammi di certi film fantascientifici anni '80 (come “Terminator” e “Robocop”) in cui, inspiegabilmente, il robot/androide/cyborg di turno ha un punto di vista letteralmente sovraimposto ad una schermata di computer, con puntatori, calibri e ridicole sovrascritture come “target” e “unknown” (che senso ha per un robot di “leggere” sulla propria visuale i concetti che deve elaborare?).
Immaginate di essere un meticoloso fotografo dilettante dei bei tempi andati, pre-digitali, il quale abbia una ampia raccolta delle foto del proprio figlio, dalla nascita al giorno della agognata laurea. Le foto sono raccolte per ordine cronologico, ma nessuna ha un'indicazione della data, né sul retro né, per fortuna, sulla foto stessa. Le foto sono raccolte in scatoloni, tutti impilati in uno sgabuzzino. Immaginate che un giorno, il colossale e maldestro alano del nostro fotografo, una femmina di nome “Matilde”, entri nello sgabuzzino e con la tipica noncuranza dei cani di quella mole rivolti completamente l'intera raccolta di fotografie, rovesciandola a terra. Dopo di che, interviene il gatto di casa, di nome “Gatto” (non so il perché del nome), a completare il disastro, giocando con le foto, mangiucchiandone alcune, facendone slittare altre sotto il vecchio ed irremovibile armadio della prozia, e di fatto disperdendole in modo del tutto caotico nel pavimento del corridoio. In breve, l'intera raccolta di foto è stata stravolta, ed il suo ordine originario perduto.
Come potrebbe il nostro sciagurato fotografo rimettere ordine alle foto?
In parte, potrebbe affidarsi alla memoria diretta (“questa foto è stata scattata nel 1978, perché questo tipo di pellicola non si produce più dal 1979”), anche se è improbabile che un uomo normale abbia in memoria l'esatta sequenza delle foto che ha scattato, sopratutto se il numero di queste è, nel nostro ipotetico caso, molto elevato. Il modo più rapido ed efficace per cercare di ristabilire un ordine nelle foto sarebbe quello di basarsi sulle immagini presenti, correlandole in base ad un criterio. Ad esempio, se le foto sono in maggioranza focalizzate sul proprio figlio, sarà saggio ordinarle in gruppi in base alla “forma” del figlio come appare nelle foto. Le foto dove esso è palesemente un infante formeranno un gruppo, quelle dove è ancora caruccio e pettinato in un altro gruppo, quelle dove è brufoloso e coi capelli lunghi in un altro gruppo, e quelle con la cravatta e una pergamena in un altro ancora... Una volta stabiliti criteri così grossolani, si procederebbe a stabilire ulteriori sotto-gruppi: il caro bisnonno Alfio ci ha lasciati prima che nostro figlio imparasse a camminare, quindi le foto col bisnonno sono raggruppabili in un gruppo intermedio tra quelle “infante” e quelle “bambino pettinato bene”. La prima gatta “Felix” era presente prima che nostro figlio si iscrivesse all'università, quindi è probabile che le foto in cui compare Felix possano separare un sottogruppo “capellone brufoloso pre-università” da un “capellone brufoloso universitario”. E così via, tanti più dettagli si useranno per discriminare le foto, tanti più gruppi e sottogruppi si potranno individuare.
Alla fine, il nostro sciagurato fotografo, dopo aver lasciato Matilde e Gatto in giardino, e speso 10 ore a rimettere in sesto le sue foto, avrà probabilmente assemblato un qualche pattern generale con cui ordinare le fotografie, uno schema ramificato, in cui le foto, raggruppate in base alle caratteristiche simili condivise, formeranno gruppi, e poi gruppi di gruppi, e poi gruppi di gruppi, fino al gruppo totale, che comprende tutte le foto... perlomeno quelle sopravissute alle catastrofiche incursioni di Matilde e Gatto. Noteremo immediatamente che non tutte le foto presentano sempre gli stessi soggetti: a volte è presente il figlio soltanto, altre volte con la sorella, altre volte con i cugini, o con la zia, o con i compagni di scuola, e non sempre con gli stessi compagni. In breve, alcuni raggruppamenti potrebbero non mostrare fasi di una singola storia, ma piccole storie secondarie emerse dal confronto delle foto. Sarebbe quindi una struttura ben più articolata della semplice serie di foto di una sola vita, qualcosa che, nella sequenza originaria, prima dell'arrivo devastante di Matilde, forse non emergeva nella sequenza ordinata di foto raccolte nello sgabuzzino.
Lo schema prodotto, quindi, potrebbe avere una forma complessa e non molto diversa da questa. All'estremità di ogni linea sarebbe una o più fotografie.

Abbiamo ricostruito la serie storica delle foto?
No, perché il sistema di raggruppamenti non ha ancora al suo interno una “linea del tempo”, ma soltanto una serie di legami basati sulle reciproche somiglianze. Come possiamo stabilire il “tempo” in queste foto? Un modo sarebbe di prendere un punto della struttura, assumerlo come “radice” dell'intera struttura e definire come “passato” qualunque direzione che porti a quel punto, e “futuro” qualunque direzione che ci allontani da quel punto. E quale punto scegliamo come “radice”? Le foto non possono dirci questo. Dobbiamo decidere noi, in base ad un criterio valido, robusto, e non vincolato alle caratteristiche delle foto, il criterio per cui una foto sia da considerare “radice” della struttura. Nell'insieme di tutte le foto, una soltanto mostra il figlio del fotografo all'interno di una culla ospedaliera, palesemente neonato, con gli occhi ancora chiusi, la faccetta raggrinzita e l'inconfondibile fascettina al polso come quelle che mettono ai neonati. Quella foto è la radice della struttura, e definisce sia il verso del “passato” che quello del “futuro” per qualsiasi traiettoria noi volessimo seguire per percorrere la serie di fotografie che abbiamo faticosamente (tentato di) ricostruire.
Pertanto, la stessa forma iniziale, priva di radice, ora si può ridisegnare in questo modo.

Si tratta della stessa forma che abbiamo visto prima, con l'aggiunta del “passato” e del “futuro” definiti appunto come distanza lungo la struttura dalla foto che abbiamo scelto come “radice” (in questo caso, il punto al centro della spirale, corrispondente al rametto posto più in basso e a destra nella prima figura).
Questa nuova sequenza ci permette, in modo approssimativo ma abbastanza fedele, di ripercorrere la storia testimoniata dalle foto, e persino di riconoscere sotto-storie prima non evidenti nelle foto. Perché ogni storia, dopo tutto, è un processo ben più complesso di quello che le nostre narrazioni vorrebbero imporre. Sovente, nel tentativo di ripercorrere le serie storiche, se ci sforziamo di basarci su tutti i fattori presenti, e non solo sul dettaglio a noi più caro, come può essere la vita di nostro figlio, otteniamo qualcosa di più ricco di quello che volevamo trovare, nonostante che, forse, tale ricerca sia partita proprio per capire quel dettaglio specifico a noi caro.

Inutile che vi dica che le due immagini non sono disegnate a caso, ma sono il grafico “senza radice” e “con radice” della filogenesi studiata con Megamatrice, così come esse emergono dalla visualizzazione grafica del risultato dell'analisi della distribuzione degli oltre 1500 caratteri definiti in oltre 300 taxa di dinosauromorfi mesozoici. Nel primo caso è un'enigmatica simmetria, nel secondo un elegante frattale.
Che sia la storia di una famiglia umana o quella dei Theropodi, i principi generali con cui tentiamo di dare un senso alla mole di informazioni che li caratterizzano non cambiano molto.

3 commenti:

  1. Ma le altre piccole storie secondarie che vengono rappresentate da alcune foto potrebbero forse rappresentare una radice di inizio per un altro schema?
    Per fare un esempio:
    nella foto in cui il figlio del fotografo è un infante ha in braccio il fratellino piccolo di un suo amico.Quella foto potrebbe rappresentare la radice per un altro schema in cui vi sono le foto della vita del fratellino del suo amico e della sua famiglia?
    Grazie.
    Giulio.

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    1. Non penso che si dovrebbe forzare in modo così letterale la metafora usata nel post. Tieni presente che l'obiettivo della costruzione dello schema era di ricostruire la sequenza andata distrutta dal cane. Se nelle foto non ci sono sufficienti foto di quella seconda famiglia, è impossibile ricostruire quella storia. Non è un caso che ho descritto una raccolta di foto focalizzate su una sola persona, il figlio del fotografo.
      Per farti capire l'esempio fuori di metafora, in Megamatrice ci sono 330 theropodi, perché l'analisi è focalizzata sui theropodi, ma ci sono anche 5 sauropodomorfi: tu puoi trarre una piccola sequenza della evoluzione dei sauropodomorfi anche da Megamatrice, ma è una serie molto piccola e quindi ti fornisce pochissimi dati sull'evoluzione dei sauropodomorfi, esattamente come la storia del fratellino dell'amico e della sua famiglia è una vita poco rappresentata nella serie di foto focalizzata sul figlio del fotografo.

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  2. OK.
    Grazie della risposta.
    Originale la metafora del post.

    Giulio.

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