Gli organi sensoriali hanno scarsissime possibilità di fossilizzare. Nondimeno, è possibile ricostruire alcuni tratti del sistema sensoriale dei taxa estinti sulla base delle evidenze ossee e delle inferenze filogenetiche.
Spiego la seconda, per non propagare malintesi. L'inferenza filogenetica (il protocollo chiamato "Phylogenetic Bracketing", o PB) ci dice che i caratteri diffusi nella serie dei parenti attuali delle forme fossili devono essere assunti come più probabile ricostruzione per i fossili. Ovviamente, tale inferenza non deve entrare in conflitto con eventuali dati diretti del fossile. Ad esempio: la maggioranza degli uccelli e dei rettili attuali non ha guance carnose a ricoprimento dell'apparato masticatore. Pertanto, l'inferenza filogenetica indurrebbe a non ricostruire guance nei dinosauri. Nondimeno, l'apparato masticatore degli ornitischi genasauri ha una morfologia che può essere interpretata come supporto per un qualche tipo di guancia carnosa, pertanto, affermare che gli ornithischi non avessero guance basandosi esclusivamente sul PB è, a mio avviso, affrettato e prematuro. Al contrario, il PB ci indica che i padiglioni auricolari non esistono tra i sauropsidi (rettili e uccelli), pertanto, data l'assenza di alcun tratto osseo a sostegno di tali appendici carnose, un'ipotesi sull'esistenza di padiglioni auricolari nei dinosauri è molto poco plausibile (ed, in effetti, non mi pare sia mai stata proposta: l'ho citata qui per fare un esempio chiaro di come operi correttamente il PB).
Tornando al sistema sensoriale, in questo post parlerò della vista nei teropodi, e di quello che può essere ricostruito scientificamente in proposito.
Partendo dal PB, deduciamo che l'ipotesi più plausibile è che i dinosauri avessero una percezione dei colori molto più raffinata della nostra. Ciò perché tutti i sauropsidi attuali dispongono di 4 tipi distinti di coni (recettori della retina che permettono la visione a colori). Per contro, tutti i mammiferi, ad eccezione dei primati, hanno solo 2 tipi di coni (nei primati come noi si è evoluto un terzo tipo di cono, il quale non è omologo a uno dei due in più presenti nei sauropsidi, bensì deriva dalla mutazione di uno dei due preesistenti in tutti i mammiferi): è probabile che tale scarsa capacità di discriminazione cromatica nei mammiferi sia l'effetto di un lungo "collo di bottiglia" ecologico avvenuto durante la loro storia evolutiva (ovvero, sulla base della loro anatomia, si presume che per 2/3 della loro storia i mammiferi furono principalmente degli animali notturni, con raffinati sistemi uditivi, ma che perdettero buona parte delle capacità visive dei loro antenati permo-triassici prettamente diurni).
Tornando ai dinosauri, è probabile che ad una raffinata capacità di visione cromatica corrispondesse, come nei sauropsidi attuali, uno sfoggio di pelli variamente colorate e di vistose elaborazioni corporee.
Cosa possiamo dire della visione dei teropodi basandoci sulle anatomie ossee? Un aspetto che può essere ricostruito è il grado di visione binoculare. La visione binoculare deriva dal grado di sovrapposizione dei campi visivi dei due occhi. La visione binoculare permette di percepire la tridimensionalità dello spazio senza alcun movimento relativo della testa, inoltre è fondamentale per le forme cursorie che si spostano velocemente e per i predatori, in particolare nei casi di prede fortemente criptiche con l'ambiente (solo una visione tridimensionale permette di distinguere un animale mimetizzato dallo sfondo che lo occulta). Quindi, il grado di visione binoculare è un ulteriore indicatore di eventuali adattamenti predatori o cursori in animali fossili.
Stevens (2005) ha ricostruito il grado di visione binoculare di alcuni teropodi. Utilizzando crani articolati e modelli ricostruiti, egli ha utilizzato le metodologie ottiche e oculistiche per determinare il grado di visione binoculare e per inferire l'acutezza visiva (quest'ultima assumendo in base al PB un grado di visione pari a quello di rettili e uccelli attuali).
I risultati sono molto interessanti.
Il grado di visione binoculare negli allosauroidi Allosaurus e Carcharodontosaurus è analogo a quello dei coccodrilli. Ciò è dovuto principalmente alla forma del cranio, che non permette un amplissimo grado di sovrapposizione dei campi visivi.
In tutti i celurosauri studiati si osserva invece un grado di visione binoculare analogo a quello degli uccelli predatori attuali. In particolare, i paraviali, come Troodon e Velociraptor, e i tyrannosauridi hanno lo stesso livello di binocularità presente in gufi e falchi.
Aspetto molto interessante, appare evidente che lungo l'evoluzione dei tyrannosauridi si sviluppi un grado sempre più grande di visione binoculare. Comparato ad Albertosaurus, Tyrannosaurus ha occhi molto distanziati e fortemente frontali (diretti anteriormente), nonché un muso più basso, che produce un minore ingombro visivo della regione antorbitale rispetto ai due occhi.
L'evoluzione di una visione binoculare avanzata nei celurosauri (ed in particolare nei tyrannosauri) è in linea con ciò che abbiamo visto a proposito dell'arctometatarso: incremento delle capacità predatorie e cursorie, e capacità di poter occupare e controllare areali di foraggiamento ben più ampi rispetto ad altri tipi di teropodi. Tale tendenza raggiunge l'apice proprio nei tyrannosauridi, i principali predatori arctometatarsali laurasiatici.
Stevens (2005) fa notare che l'estrema capacità binoculare, sommata alle grandi dimensioni della retina (con bulbi oculari stimati di 14 cm di diametro), alla distanza relativa dei due occhi (che amplia la parallasse del campo visivo e quindi la distanza massima di percezione di oggetti), unita alla presenza di ben 4 tipi di coni (tipica di tutti i sauropsidi) rende Tyrannosaurus l'animale con il miglior senso della vista di tutta la Storia Naturale, capace di una definizione del dettaglio, valutazione delle distanze e percezione cromatica per noi impossibile senza supporti tecnologici.
Bibliografia:
Stevens K., 2005 - Binocular vision in theropod dinosaurs. Journal of Vertebrate Paleontology, 25: 321-330.
Spiego la seconda, per non propagare malintesi. L'inferenza filogenetica (il protocollo chiamato "Phylogenetic Bracketing", o PB) ci dice che i caratteri diffusi nella serie dei parenti attuali delle forme fossili devono essere assunti come più probabile ricostruzione per i fossili. Ovviamente, tale inferenza non deve entrare in conflitto con eventuali dati diretti del fossile. Ad esempio: la maggioranza degli uccelli e dei rettili attuali non ha guance carnose a ricoprimento dell'apparato masticatore. Pertanto, l'inferenza filogenetica indurrebbe a non ricostruire guance nei dinosauri. Nondimeno, l'apparato masticatore degli ornitischi genasauri ha una morfologia che può essere interpretata come supporto per un qualche tipo di guancia carnosa, pertanto, affermare che gli ornithischi non avessero guance basandosi esclusivamente sul PB è, a mio avviso, affrettato e prematuro. Al contrario, il PB ci indica che i padiglioni auricolari non esistono tra i sauropsidi (rettili e uccelli), pertanto, data l'assenza di alcun tratto osseo a sostegno di tali appendici carnose, un'ipotesi sull'esistenza di padiglioni auricolari nei dinosauri è molto poco plausibile (ed, in effetti, non mi pare sia mai stata proposta: l'ho citata qui per fare un esempio chiaro di come operi correttamente il PB).
Tornando al sistema sensoriale, in questo post parlerò della vista nei teropodi, e di quello che può essere ricostruito scientificamente in proposito.
Partendo dal PB, deduciamo che l'ipotesi più plausibile è che i dinosauri avessero una percezione dei colori molto più raffinata della nostra. Ciò perché tutti i sauropsidi attuali dispongono di 4 tipi distinti di coni (recettori della retina che permettono la visione a colori). Per contro, tutti i mammiferi, ad eccezione dei primati, hanno solo 2 tipi di coni (nei primati come noi si è evoluto un terzo tipo di cono, il quale non è omologo a uno dei due in più presenti nei sauropsidi, bensì deriva dalla mutazione di uno dei due preesistenti in tutti i mammiferi): è probabile che tale scarsa capacità di discriminazione cromatica nei mammiferi sia l'effetto di un lungo "collo di bottiglia" ecologico avvenuto durante la loro storia evolutiva (ovvero, sulla base della loro anatomia, si presume che per 2/3 della loro storia i mammiferi furono principalmente degli animali notturni, con raffinati sistemi uditivi, ma che perdettero buona parte delle capacità visive dei loro antenati permo-triassici prettamente diurni).
Tornando ai dinosauri, è probabile che ad una raffinata capacità di visione cromatica corrispondesse, come nei sauropsidi attuali, uno sfoggio di pelli variamente colorate e di vistose elaborazioni corporee.
Cosa possiamo dire della visione dei teropodi basandoci sulle anatomie ossee? Un aspetto che può essere ricostruito è il grado di visione binoculare. La visione binoculare deriva dal grado di sovrapposizione dei campi visivi dei due occhi. La visione binoculare permette di percepire la tridimensionalità dello spazio senza alcun movimento relativo della testa, inoltre è fondamentale per le forme cursorie che si spostano velocemente e per i predatori, in particolare nei casi di prede fortemente criptiche con l'ambiente (solo una visione tridimensionale permette di distinguere un animale mimetizzato dallo sfondo che lo occulta). Quindi, il grado di visione binoculare è un ulteriore indicatore di eventuali adattamenti predatori o cursori in animali fossili.
Stevens (2005) ha ricostruito il grado di visione binoculare di alcuni teropodi. Utilizzando crani articolati e modelli ricostruiti, egli ha utilizzato le metodologie ottiche e oculistiche per determinare il grado di visione binoculare e per inferire l'acutezza visiva (quest'ultima assumendo in base al PB un grado di visione pari a quello di rettili e uccelli attuali).
I risultati sono molto interessanti.
Il grado di visione binoculare negli allosauroidi Allosaurus e Carcharodontosaurus è analogo a quello dei coccodrilli. Ciò è dovuto principalmente alla forma del cranio, che non permette un amplissimo grado di sovrapposizione dei campi visivi.
In tutti i celurosauri studiati si osserva invece un grado di visione binoculare analogo a quello degli uccelli predatori attuali. In particolare, i paraviali, come Troodon e Velociraptor, e i tyrannosauridi hanno lo stesso livello di binocularità presente in gufi e falchi.
Aspetto molto interessante, appare evidente che lungo l'evoluzione dei tyrannosauridi si sviluppi un grado sempre più grande di visione binoculare. Comparato ad Albertosaurus, Tyrannosaurus ha occhi molto distanziati e fortemente frontali (diretti anteriormente), nonché un muso più basso, che produce un minore ingombro visivo della regione antorbitale rispetto ai due occhi.
L'evoluzione di una visione binoculare avanzata nei celurosauri (ed in particolare nei tyrannosauri) è in linea con ciò che abbiamo visto a proposito dell'arctometatarso: incremento delle capacità predatorie e cursorie, e capacità di poter occupare e controllare areali di foraggiamento ben più ampi rispetto ad altri tipi di teropodi. Tale tendenza raggiunge l'apice proprio nei tyrannosauridi, i principali predatori arctometatarsali laurasiatici.
Stevens (2005) fa notare che l'estrema capacità binoculare, sommata alle grandi dimensioni della retina (con bulbi oculari stimati di 14 cm di diametro), alla distanza relativa dei due occhi (che amplia la parallasse del campo visivo e quindi la distanza massima di percezione di oggetti), unita alla presenza di ben 4 tipi di coni (tipica di tutti i sauropsidi) rende Tyrannosaurus l'animale con il miglior senso della vista di tutta la Storia Naturale, capace di una definizione del dettaglio, valutazione delle distanze e percezione cromatica per noi impossibile senza supporti tecnologici.
Bibliografia:
Stevens K., 2005 - Binocular vision in theropod dinosaurs. Journal of Vertebrate Paleontology, 25: 321-330.
Quindi, l'analisi di Stevens smonterebbe la teoria che il T.Rex fosse più un goffo spazzino che un super predatore.
RispondiEliminaGuilala
gogodinosaurs.splinder.com
L'ipotesi che Tyrannosaurus fosse un puro saprofago è più una leggenda persistente del web e di alcuni documentari che una vera ipotesi scientifica. Come ho accennato in altri post, nessuno studio scientifico ha mai sostenuto tale ecologia per Tyrannosaurus: tutti i dati (compreso lo studio di Stevens) avvalorano una visione più in linea con gli altri grandi teropodi, ovvero, che Tyrannosaurus fosse un predatore, probabilmente con stili e prede differenti a seconda dell'età, e che, come qualsiasi altro predatore, non disdegnasse cibarsi anche di animali morti o uccisi da altri predatori.
RispondiEliminaMi chiedo sempre perché la pretestuosa dicotomia/dibattito saprofago vs predatore persista in reta... forse è più una materia geomitologica che paleontologica.
Mah, mi sembra le notizie in rete abbianno la tendenza ad avere un carattere smitizzante. E poi si crede forse un po' troppo alla rete, come una volta alle 'voci di corridoio'.
RispondiEliminaGuilala
Purtoppo in rete è molto facile diffondere disinformazione... c'è poco filtro scientifico e scarsa educazione ad un senso critico nella valutazione delle fonti.
RispondiEliminaSarà l'oggetto del mio prossimo post.
Stupefacente... Però c'è una cosa che non mi è chiara, e non riguarda i Teropodi, bensì i Mammiferi: se, nel corso della loro evoluzione, sono stati animali prettamente notturni, non avrebbero dovuto sviluppare una vista più acuta anzichè meno efficiente? Discriminare oggetti nel buio totale(a cui noi siamo poco avvezzi, in città... Basta andare in un bosco perchè le tenebre ci sembrino molto più fitte)è più difficile che farlo sotto la luce del sole... Ma forse ho frainteso acutezza visiva con capacità di distinguere i colori, che in effetti nel buio impenetrabile non sarebbe molto utile...
RispondiEliminaEDIT: Il "dubbio sul mio dubbio" che ho espresso alla fine dello scorso commento era fondato: si parla di "discriminazione cromatica", non di acutezza visiva... Lol.
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