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31 ottobre 2025

Epistemologia di Nanotyrannus

 

Cranio dell'esemplare NCSM 40000 descritto da Zanno e Napoli (2025)

Apro questo post citando un brano del mio libro in uscita il 7 Novembre prossimo:

"In mezzo a tutti i temi relativi a Tyrannosaurus che hanno generato un clamore mediatico esagerato, quello che meno di ogni altro accende il mio interesse riguarda un esemplare scoperto nel 1942, descritto per la prima volta nel 1946, ristudiato nel 1988, rivisto criticamente nel 1999 e oggetto di un dibattito a tratti grottesco nel secolo corrente: Nanotyrannus lancensis. Per dimostrare l’ossessione dei paleontologi per questo fossile, basta notare che il binomio «Nanotyrannus lancensis» non fu coniato in un solo momento. Il nome della specie, «lancensis», originariamente considerata parte del genere Gorgosaurus, nasce nel 1946, in un’opera postuma del paleontologo Charles Gilmore. Il nome del genere, «Nanotyrannus», fu invece creato oltre quarant’anni dopo, nel 1988, da Robert Bakker assieme ad alcuni colleghi, che scorporarono la specie lancensis dal genere in cui era stata istituita." [grassetto aggiunto qui]

Nanotyrannus è tornato. Esso ci perseguita come un personaggio da soap opera, che muore e poi nella stagione successiva si scopre che non era morto ma solamente finito in sanatorio, il caratterista bello e tenebroso che non vuole smettere di ossessionare gli appassionati di dinosauri, perché affascina e porta colpi di scena. Ma la colpa non è sua. Nanotyrannus è solo un nome, ed i fossili sono solo pezzi di roccia. Il problema siamo noi, o meglio, quella minuscola fettina dell'ipodigma di Homo sapiens che è emotivamente attaccata a questo nome ed alla controversia scientifica intorno a questo nome. L'ipodigma di una specie è l'insieme degli individui (da vivi; esemplari da morti) che includiamo nell'insieme che chiamiamo "la specie Nome cognome".

Il dibattito su Nanotyrannus mi affascina principalmente per le sue emanazioni extra-scientifiche, mentre - devo essere onesto - io non sono mai stato molto appassionato di Tyrannosauridae della fine del Cretacico. I tyrannosauroidi basali pre-Cenomaniani sono molto più intriganti, mentre le forme tardive nordamericane (come T. rex) le ho sempre viste come troppo commerciali, troppo inflazionate, troppo mitizzate. De gustibus.

Ma torniamo alla parole "ipodigma", perché è intorno a questo concetto che si articola il nuovo studio pubblicato ieri da Zanno e Napoli (2025): gli autori descrivono un nuovo esemplare di tyrannosauroide dal Cretacico Terminale del Nord America, lo confrontano con l'olotipo del famigerato Nanotyrannus lancensis e dimostrano che esso NON sia riferibile a Tyrannosaurus rex. Ovvero, il nuovo articolo introduce una grande quantità di NUOVI DATI, i quali ci impongono di rivedere lo scenario sostenuto da una parte dei paleontologi (me compreso, per quel poco che vale la mia opinione in questo caso), scenario che considerava "Nanotyrannus" un taxon non valido, poiché basato su un individuo immaturo riferibile alla sequenza di crescita di Tyrannosaurus rex.

Questo è il punto più importante da sottolineare, ben più importante della questione se Nanotyrannus e Tyrannosaurus siano o meno la stessa "entità": l'introduzione di nuovi dati modifica il sistema di riferimento intorno al quale noi cerchiamo la spiegazione più robusta delle osservazioni. Finora, il dibattito orbitava intorno al primo esemplare, un cranio isolato, deformato, e in parte restaurato. Un cranio molto intrigante, ma pur sempre un solo cranio, senza il resto dello scheletro. Il problema di Nanotyrannus era anche legato alla limitata quantità di materiale riferibile con sicurezza a quel taxon. Ora cambia il sistema, si arricchisce di elementi che prima non conoscevamo, e questo ci spinge a modificare la spiegazione a cui fare riferimento. La Scienza progredisce così. Uno scienziato non è un fanatico religioso che difende la sua fede fino alla morte. Uno scienziato deve essere sempre pronto a rivedere la sua posizione, a cambiare opinione, non per debolezza o superficialità, ma perché il giudice supremo delle nostre decisioni non è il nostro attaccamento emotivo a questa o quella ipotesi, bensì la coerenza con i fatti documentati che a mano a mano si accumulano.

Il nuovo esemplare porta elementi molto significativi, che fino ad ora erano limitati ad affermazioni anedottiche che circolavano online tra gli appassionati. In particolare, il nuovo esemplare, a differenza del primo esemplare (l'olotipo) di Nanotyrannus lancensis, include gran parte dello scheletro postcraniale, in particolare un arto anteriore e la coda in eccellente stato di conservazione. Il braccio del nuovo esemplare e la coda mostrano caratteristiche che sono troppo differenti da quelle note negli esemplari di Tyrannosaurus per poter essere spiegate unicamente in termini di "variazioni ontogenetiche legate alla crescita individuale". Ad esempio, il braccio è molto differente nelle articolazioni ed inserzioni muscolari per essere riconducibile a quello di T. rex. Inoltre, in rapporto alle dimensioni del corpo, le braccia sono molto più grandi che in Tyrannosaurus. Non esistono casi di "atrofia di crescita" nelle zampe dei vertebrati terrestri, quindi, è veramente difficile sostenere che questo tipo di braccio fosse robusto nel giovane e poi atrofizzasse nell'adulto. Una tale metamorfosi appendicolare è sconosciuta nei vertebrati terrestri. Possiamo ammettere che T. rex fosse speciale nel modello di crescita, e seguisse una modalità unica e bizzarra di riduzione degli arti durante la maturazione individuale? La spiegazione più semplice è che queste siano differenze tra specie. 

Allo stesso modo, la coda del nuovo esemplare appare completa e comprende 35 vertebre, di cui le prime 14 dotate di coste. Questi numeri sono relativamente bassi per un Tyrannosauridae. La coda di "Sue" (uno dei T. rex più completi) è parziale ma comprende già 35 vertebre, di cui 17 dotate di coste. Dato che la coda di "Sue" è sicuramente incompleta (e probabilmente aveva almeno 40 vertebre), essa dimostra che in Tyrannosaurus il numero di vertebre caudali e di vertebre con coste è maggiore di quelle del nuovo esemplare. Questa differenza è spiegabile con una variazione all'interno della popolazione? Purtroppo, non abbiamo sufficienti dati per dare una risposta definitiva. Possiamo immaginare che durante la crescita dallo stadio "giovanile" a quello "adulto" si sviluppino nuove ossa della coda e che queste aumentino anche il numero di paia di coste? Mi pare una spiegazione troppo forzata. La distinzione tassonomica è quindi un'opzione legittima.

Ulteriori elementi a sostegno di questa tesi sono nel cranio, a livello di canali e forami neurovascolari che differiscono da quelli presenti negli esemplari di Tyrannosaurus. Anche in questo caso, può la trasformazione legata alla crescita individuale produrre queste differenze? In alcuni casi, la spiegazione ontogenetica non è in teoria impossibile, ma un po' forzata. In altri casi, la spiegazione tassonomica è quella più semplice.

Sommando tutti questi elementi, appare quindi legittimo considerare l'ipotesi che non tutti gli esemplari di Tyrannosauroidea provenienti dai livelli finali del Cretacico nordamericano occidentale siano riferibili alla medesima specie T. rex

Questa serie di argomenti prende una connotazione differenze quando aggiungiamo nuovi dati istologici realizzati sulle ossa di questo esemplare, il quale risulta relativamente maturo: è realistico pensare che le differenze tra diversi stadi maturi di Tyrannosaurus includano una così ampia gamma di dimensioni, proporzioni, inserzioni muscolari e strutture interne del cranio? Il modello di crescita in questa specie risulterebbe veramente bizzarro e inusuale per un grande rettile. Pare molto poco probabile, e ci porta a sostenere una distinzione tra specie.

Se prima Nanotyrannus pareva una spiegazione superflua, ora diventa una spiegazione legittima.

Voglio rimarcare il senso del titolo di questo post: personalmente, a me non cambia la vita se Nanotyrannus è valido oppure è solo un semaforonte di Tyrannosaurus. Ho sempre descritto questa diatriba con relativo distacco, senza attaccamenti partigiani emotivi pro o contro una delle opzioni discusse. Spesso, ho trovato divertente l'eccessivo attaccamento emotivo dei "fanboy" di questa o quella ipotesi. A parte le goliardate, quello che mi interessava era il peso empirico e la logica utilizzate pro o contro le diverse ipotesi. In certi casi, le argomentazioni portate da una o l'altra parte sono risultate deboli, ambigue, oppure troppo forzate e arbitrarie. Il nuovo esemplare sposta la questione a favore della distinzione tra Nanotyrannus e Tyrannosaurus, ma non risolve tutte le controversie. La Scienza non è mai una risposta monolitica, perché la realtà è sempre più complessa dei nostri discorsi. Ad esempio, quali esemplari dall'ipodigma completo sono riferibili a Nanotyrannus e quali a Tyrannosaurus? Qui arriviamo al punto fondamentale che molti paiono spesso dimenticare: perché introduciamo delle specie (o le rimuoviamo)?

Le specie sono "scoperte" oppure sono "invenzioni"? Ovvero, le specie esistono a prescindere dalla nostra osservazione oppure sono strumenti mentali che noi introduciamo al fine di raffinare la nostra comprensione dei dati? In passato, avrei sostenuto che le specie "esistono a prescindere" e che noi semplicemente le "scopriamo". Invecchiando, sto perdendo questa sicurezza, e ora sono almeno in parte scettico sulla effettiva "realtà" delle specie, specialmente quelle fossili. Una specie è sì fondata su esemplari, ma è anche una costruzione mentale che noi imponiamo alla realtà: i taxa sono solo spiegazioni che noi introduciamo per dare un senso alle osservazioni? Se le specie sono entità ibride, che esistono anche in funzione del nostro punto di vista, che si dissolvono qualora noi modifichiamo il sistema di riferimento, fin dove dobbiamo (o possiamo) spingerci nella nostra ricostruzione del passato?

Più che discutere pro o contro Nanotyrannus lancensis, dibattito che lascio ai colleghi specializzati sui Tyrannosauridae, forse dovremmo domandarci con più forza e consapevolezza cosa intendiamo quando parliamo di specie fossili, se ci sia un limite di risoluzione tassonomica oltre il quale la documentazione fossile non può portarci.


Bibliografia:

Zanno L. and Napoli J. (2025) Nanotyrannus and T. rex coexisted at the close of the Cretaceous Nature (advance online publication) DOI: 10.1038/s41586-025-09801-6

22 ottobre 2025

PaleoarTerminator - the Rise of the Machines and the fall of human-based paleoart

Io non sono un paleoartista, ma comunque mi diverto a disegnare dinosauri fin da quando ero bambino. Il mio livello artistico è medio-basso, e difatti il mio soggetto preferito è il banalissimo animale in vista laterale, il livello base dell'illustrazione. La mia premura è più nella rappresentazione di certi dettagli anatomici, piuttosto che la cura nell'esecuzione. Posso definirmi un discreto paleo-scarabocchiatore. 

L'immagine qui sotto è un'illustrazione della testa di Triceratops che ho realizzato con Photoshop un paio di anni fa. L'immagine compare nel mio libro "Ricostruire di Dinosauri" dove parlo dei modi per ricostruire le parti molli della testa nei dinosauri (muscoli, pelle, ornamentazioni).


 

Non sono in grado di quantificare con precisione quanto tempo abbia speso per realizzarla, aggiustarla, rivederla, rifinirla. Penso comunque nell'ordine di varie ore. 

Qui sotto, ho caricato un video realizzato da Grok, il noto chatbot di Intelligenza Artificiale, ottenuto dando all'AI l'immagine qui sopra e digitando un paio di istruzioni. Il suono è una scelta personale dell'AI, io non ho chiesto una parte sonora. L'intera procedura ha richiesto poco più di un minuto.


Se avessi voluto realizzare un simile video, fotogramma per fotogramma e con qualche programma per realizzare i video, sicuramente avrei impiegato molto più tempo di quello speso dalla AI (per realizzare i fotogrammi, per imparare a realizzare il video, ecc...). Non sono in grado di quantificare questo tempo (giorni? settimane?), né la quantità di energia spesa dalla AI per svolgere questa funzione in un minuto.

Il tema dell'impatto delle AI nella vita, nel lavoro, nella società, è enormemente complesso. Personalmente, io sono preoccupato dalle ricadute ambientali e sociali di queste macchine, due temi che sono molto più importanti e profondi della questione paleoartistica che invece affronto qui. Lo scrivo per evitare che qualche giustiziere di Internet fraintenda le mie parole e inizi a commentare per farmi sapere che usare le AI è sbagliato e che io non dovrei usarle per fare questi video. Grazie, non mi serve la lezioncina di moralità spicciola. 

Le AI esistono. Le AI sono usate in modo sempre più massiccio e pervasivo. Nella battaglia tra la "paleoarte in AI" e la vera paleoarte, la seconda non pare avere speranze. La paleoarte in AI è immediata e facilmente realizzabile, e per la grandissima maggioranza del pubblico, essa è sufficientemente accattivante da essere un buon sostituto della vera paleoarte realizzata da artisti professionisti.

Ad esempio, la facilità con cui le AI permettono di avere della "paleoarte" di qualità sufficiente per le esigenze del pubblico medio portano sempre più soggetti e preferire questi prodotti alle opere dei veri artisti. Senza una consapevolezza del problema da parte dei committenti delle opere, è improbabile che i paleoartisti possano sopravvivere all'ascesa delle AI.

Recentemente, mi sono opposto all'uso delle AI per un progetto nel quale sono coinvolto: i committenti, semplicemente, non erano a conoscenza del problema, ed avevano entusiasticamente promosso l'uso delle AI per produrre "paleoarte". Mi domando in quanti altri casi analoghi non c'è stato nessuno a prendere le difese della vera illustrazione scientifica, favorendo la proliferazione di prodotti delle AI...

Questo è un tema che il mondo della divulgazione paleontologica dovrebbe affrontare con maggiore consapevolezza. Io qui segnalo la questione, ma mi domando quanto sia realmente compresa dal pubblico. So benissimo che la cerchia dei paleoartisti (professionisti ed amatoriali) è consapevole della questione, ma essi sono comunque una piccolissima minoranza rispetto al pubblico, il quale è il solo "soggetto" in grado di avere un reale effetto sul problema. 

Il pubblico non pare essere toccato da questo tema, anche perché nessuno pare interessato a spiegare al pubblico cosa sta succedendo. 

14 ottobre 2025

Il più giovane Allosaurus porta nuove prove della presenza di labbra nei dinosauri

Mascellare di giovane Allosaurus (da Malafaia et al. 2025). La linea rossa in A indica il livello delle gengive deducibile dal pattern di erosione dello smalto.


I lettori abituali del blog conoscono la premura che ho sempre dedicato nel diffondere la consapevolezza che la tafonomia sia la spina dorsale della paleontologia, e che nulla in paleontologia abbia senso se non è fondato sull'analisi tafonomica. Sovente, ciò che noi osserviamo in un fossile è comprensibile solamente dopo che abbiamo decifrato il contesto nel quale esso (il fossile, non l'organismo originario) si è formato: tale decifrazione è proprio il lavoro della tafonomia. Inoltre, particolari condizioni di preservazione (svelate dalla tafonomia) ci aiutano a spiegare particolari altrimenti enigmatici, spiegazione che, a sua volta, può portare a conclusioni inaspettate su altri elementi della biologia estinta che non avremmo potuto ricavare da fossili preservati in condizioni differenti.

Malafaia et al. (2025) hanno analizzato la tafonomia di un piccolo esemplare di mascellare dal Giurassico Superiore del Portogallo, originariamente descritto nel 2005 da Rauhut e Fechner, e riferibile ad Allosaurus. Si tratta di uno degli esemplari più piccoli ed immaturi riferibili a questo taxon.

L'analisi tafonomica dell'esemplare ha evidenziato una particolare erosione della superficie esterna del mascellare, ed in particolare la completa mancanza dello smalto nella punta delle corone dei denti, che ha esposto la dentina sottostante: nel resto della corona, lo smalto è invece preservato. Quale processo fisico o chimico può produrre una tale conservazione? Perché lo smalto è assente sulla punta dei denti ma non nel resto della corona, nonostante sia formata dalla medesima combinazione di smalto e dentina?

Gli autori dimostrano che tale pattern di erosione dei denti non è dovuto a processi geologici, né a particolari condizioni di acidità del terreno, né è dovuta all'azione delle piante. Il solo processo in grado di produrre tale decalcificazione parziale dei denti è l'azione dei succhi gastrici. Pertanto, il piccolo mascellare di Allosaurus fu parzialmente digerito prima di fossilizzare. La digestione parziale suggerisce che il predatore abbia rigurgitato il mascellare, forse in modo analogo a quanto osserviamo oggi in vari mammiferi, pesci ed uccelli carnivori che rigurgitano le parti non edibili delle loro prede.

Gli autori mostrano che la dissoluzione della corona dello smalto dei denti è frequente nei resti rigurgitati di lucertole (Smith et al. 2021), e che questa è legata al grado di esposizione dei denti nella bocca. Per comprendere questo meccanismo occorre distinguere tra due agenti digestivi presenti nel succo gastrico: l'acido cloridrico e gli enzimi digestivi. L'acido cloridrico è più rapido nell'azione rispetto agli enzimi digestivi, e colpisce principalmente la parte inorganica, quindi la superficie dei denti. Gli enzimi digestivi invece attaccano la parte organica della preda, come tessuti molli (pelle, muscoli, ecc...), ma più lentamente. Quando una mandibola di lucertola viene ingerita da un predatore, l'acido cloridrico inizia subito a consumare la parte esposta dei denti, mentre agisce più lentamente sulla parte organica, contro la quale lavorano più lentamente gli enzimi. Quando questi resti vengono rigurgitati, la digestione è stata solo parziale, e non ha ancora iniziato ad attaccare la parte organica. Di conseguenza, solamente la punta dei denti è stata erosa al punto da esporre la dentina sottostante lo smalto. Cosa ha protetto il resto dei denti? La gengiva carnosa, la quale, essendo di natura organica, non è stata a sufficienza nello stomaco per essere pienamente attaccata dai lenti enzimi digestivi.

Pertanto, la preservazione particolare dei denti del piccolo mascellare di Allosaurus si spiega unicamente assumendo che in vita l'animale avesse delle spesse gengive simili a quelle delle lucertole, le quali avvolgevano la metà basale della corona dei denti, facendo esporre solamente la punta dei denti. Questo implica che Allosaurus avesse una bocca più simile a quella delle lucertole (con spesse gengive a protezione dei denti) e non come nei coccodrilli, nei quali gran parte della corona del dente è esposta. Si tratta quindi di un ulteriore sostegno all'ipotesi che i dinosauri predatori avessero un tegumento periorale più simile a quello dei lepidosauri (con labbra, spesse gengive e importante lubrificazione del cavo orale) che a quello dei coccodrilli moderni (privo di labbra e più estesamente corneificato).


Bibliografia:


Malafaia, E., Maggia, B., Rauhut, O. 2025. Taphonomic insights from a corroded maxilla of a hatchling Allosaurus from the Upper Jurassic of Guimarota (Portugal). Abstracts Book X Jornadas Internacionales sobre Paleontología de Dinosaurios y su Entorno. 4-6 septiembre. Salas de los IInfantes. Burgos, España. 143-146.

Rauhut, O. W. M., Fechner, R. (2005): Early development of the facial region in a non-avian theropod dinosaur. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 272, 1179-1183.

Smith, K. T., Comay, O., Maul, L., Wegmüller, F., Le Tensorer, J.-M., Dayan, T. (2021): A model of digestive tooth corrosion in lizards: experimental tests and taphonomic implications. Scientific Reports, 11(1), 12877.

10 ottobre 2025

Il Dilemma dei Dinosauri


Esce oggi una nuova edizione di un mio precedente manoscritto (originariamente autoprodotto col titolo "L'Enigma del Sangue Caldo"), realizzata per Bollati Boringhieri:
https://www.bollatiboringhieri.it/libri/andrea-cau-il-dilemma-dei-dinosauri-9788833946054/