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30 giugno 2025

Cavernicoli nel Mesozoico

 

Un titolo alternativo per uno scenario evolutivo alternativo

Nei romanzi di fantascienza più o meno virati al fantastico, come nei film più o meno fondati scientificamente, ricorre il tema della preistoria generica nella quale i primi esseri umani (spesso vestiti con improbabili costumini di pelle) convivono con animali e piante di differenti ere geologiche. Lo scontro tra cavernicoli e dinosauri (non-aviani) è quindi uno dei classici della fantascienza. In generale, la preistoria fantastica non ha una datazione definita, dato che contiene specie vissute in realtà anche centinaia di milioni di anni una dall'altra. La "preistoria" di film e romanzi è quindi più simile ad un universo alternativo che ad un momento del passato, un universo nel quale la storia evolutiva terrestre ha preso una direzione analoga ma comunque differente da quella reale.

Come è mio solito, proviamo a sviluppare un ragionamento originale partendo da questa base, ma secondo logiche alternative. L'ispirazione del mio ragionamento è un articolo scientifico uscito in questi giorni, nel quale gli autori hanno analizzato quali siano stati gli elementi biologici che hanno reso certe specie del Quaternario superiore (Pleistocene finale e Olocene, ovvero gli ultimi 130 mila anni), in particolare mammiferi, più vulnerabili di fronte alla progressiva espansione geografica di Homo sapiens rispetto ad altre (Lemoine et al. 2025).

Gli autori identificano alcuni elementi chiave:

La distanza filogenetica da specie che da molto tempo hanno coesistito con Homo in Africa. 

Se una specie non è imparentata con specie che hanno convissuto con Homo per i primi milioni di anni della sua storia africana, ha maggiore probabilità di soccombere quando entra in contatto con Homo sapiens. Il motivo è che, presumibilmente, se un gruppo zoologico ha resistito per milioni di anni alla predazione umana in Africa, allora anche i suoi parenti extra-africani possono avere qualche caratteristica che li rende più resistenti all'interazione umana.

Le grandi dimensioni.

Le specie giganti, specialmente di uccelli e mammiferi, sono più fragili rispetto alle specie di piccola taglia dato che Homo sapiens è un animale che ha bisogno di molte risorse ambientali per vivere, e questo comporta che la sua espansione riduce la disponibilità di risorse per le grandi specie. Inoltre, Homo sapiens è un efficiente predatore di grandi animali, e questo lo porta ad avere una particolare pressione predatoria sui grandi animali. Questo è particolarmente dannoso per specie come i mammiferi giganti, che hanno una bassa prolificità e non sono in grado di ripopolarsi con sufficiente velocità se esposte ad una pressione predatoria prolungata.

L'insularità o il ridotto areale.

Legato al punto precedente, le specie che hanno un areale ridotto hanno maggiore probabilità di soccombere se in competizione per le risorse con Homo sapiens.

L'arto plantigrado.

Homo sapiens è un bipede plantigrado, un camminatore tenace ma alquanto scarso nella corsa. Pertanto, esso è più efficace nella predazione di animali non particolarmente veloci, come le specie plantigrade, mentre è meno efficace nella caccia di animali veloci. Gli animali corridori, digitigradi ed unguligradi, hanno quindi maggiore probabilità di resistere all'invasione umana nel loro ambiente. (Ovviamente, questo discorso vale soprattutto per i lunghi millenni prima dell'invenzione di armi da lancio, e ancor meno con la recentissima - in termini geologici - invenzione delle armi da fuoco).


Ispirato da questo studio, mi sono domandato quale sarebbe stato l'impatto della specie umana (con tecnologia paleolitica, ovviamente) sulle faune a dinosauri non-aviani. Dato che immaginare i dinosauri mesozoici traslati nel Pleistocene comporta uno scenario troppo complesso (nel senso che non possiamo sapere se e come il diverso clima e geografia quaternaria e la presenza degli altri animali pleistocenici inciderebbero sullo scenario che voglio sviluppare), ho invertito l'ordine dei fattori e mi sono domandato quale possa essere l'impatto di Homo sapiens (sempre ad un livello culturale paleolitico) se fosse traslato nel Mesozoico, ad esempio alla fine del Cretacico. Tralasciamo per un attimo di valutare come il clima mesozoico possa incidere sul successo di una popolazione umana, e limitiamoci a considerare i fattori discussi nello studio di Lemoine et al. (2025). Quali dinosauri mesozoici risulterebbero più vulnerabili alla competizione umana?

Il primo elemento non è rilevante, dato che in questo caso non esistono specie di dinosauri mesozoici che sono parenti di dinosauri africani del Quaternario, quindi presumo che tutti i dinosauri del Cretacico siano ugualmente "vergini" di fronte all'arrivo di Homo sapiens, senza distinzioni.

Il secondo elemento, le grandi dimensioni, è interessante, ma difficile da considerare, perché nell'articolo originario è stato tarato sui mammiferi, i quali evolvono le grandi dimensioni secondo meccanismi diversi da quelli che plasmano i dinosauri. Il fatto che le dimensioni giganti siano state svantaggiose per i mammiferi nella competizione con l'uomo, è una prova automatica che lo stesso accadrebbe ai dinosauri? Non penso. Guardiamo il coccodrillo del Nilo, o quello d'acqua salata australiano: entrambi raggiugono grandi dimensioni, ma non per questo sono stati particolarmente danneggiati dall'interazione con Homo sapiens. Le popolazioni di grandi dinosauri avevano un tasso riproduttivo più alto delle popolazioni di grandi mammiferi. Se uccidi la matriarca di un branco di elefanti, di fatto metti in ginocchio l'intero gruppo. Se abbatti una madre di rinoceronte condanni a morte anche il suo cucciolo. Ma se uccidi un sauropode adulto, le sue uova appena deposte daranno comunque alla luce una trentina di piccoli autosufficienti, in grado di cavarsela da soli e di mandare avanti la popolazione. Quindi, è possibile che un qualche impatto umano sulle popolazioni di grandi dinosauri ci sia, ma che sia minore di quello risultato sui grandi mammiferi.

L'areale è un elemento interessante, ma a parte le specie di dinosauri vissute nell'arcipelago europeo del Cretacico Superiore, è probabile che le specie di grandi dinosauri della fine del Mesozoico avessero areali a scala continentale, quindi poco suscettibili di soccombere all'espansione umana, almeno fino a che questa non diventi veramente pressante e numerosa.

L'elemento legato alla locomozione è interessante, dato che alcuni dinosauri erano probabilmente più veloci di altri. Probabilmente, sauropodi, therizinosauridi e dinosauri corazzati erano meno veloci di altri, quindi è possibile che questi gruppi abbiano da temere maggiormente l'impatto antropico rispetto a specie come i coelurosauri e certi ornitopodi. Quindi, è possibile che certe specie di dinosauro siano potenzialmente più vulnerabili alla predazione umana di altre.

In conclusione, è possibile che in un mondo alternativo dove Homo sapiens vive nel Cretacico finale, esso abbia influito sulla sopravvivenza di certe specie in modo simile a quanto avvenuto nel nostro mondo reale, ma è anche plausibile che certi dinosauri fossero probabilmente una preda troppo difficile per le capacità tecnologiche (e le dinamiche di popolazione) dell'uomo paleolitico. Anche se è realistico immaginare una pressione predatoria umana sulle covate, sulle specie non particolarmente veloci o quelle con areali ridotti, è improbabile che animali con stadi di crescita relativamente agili, areali molto estesi, e tassi riproduttivi elevati abbiano rischiato l'estinzione con la stessa facilità con cui abbiamo soppresso megateri, gliptodonti e moa.

19 giugno 2025

Notte prima dell'Antropocene

Guzzanti interpreta una parodia di cantante per una parodia di unità geologica


Ieri, il Ministero dell'Istruzione e del Merito ha incluso tra le tracce del tema dell'esame di Stato (esame di Maturità, come si diceva ai miei tempi) un brano tratto da un libro del filosofo della biologia Telmo Pievani, relativo all'Antropocene.

"Antropocene" è il nome di una presunta unità del tempo geologico, divenuto molto popolare nell'ultimo decennio come possibile nome dei tempi attuali, unità rigettata formalmente dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia e dall'Unione Internazionale delle Scienze Geologiche nel 2024.

Il brano dal libro di Pievani è del 2022, quindi è comprensibile che in quel periodo egli usi il termine "Antropocene" come se fosse il nome di qualcosa di (almeno in teoria) scientificamente sensato. Nel 2022, il concetto di una unità del tempo geologica chiamata "Antropocene" era ancora dibattuto nella comunità scientifica. Chi segue questo blog da lungo tempo sa che io appartengo alla folta schiera di geologi, paleontologi e naturalisti che si è sempre opposta all'introduzione di una unità chiamata "Antropocene", opposizione fondata su numerose motivazioni geologiche, paleontologiche ed epistemologiche. Ho ripetuto spesso che l'Antropocene, se visto da una prospettiva politica, è più dannoso che utile alla causa ambientalista, per motivi che, purtroppo, molti non sembrano cogliere. Ho rimarcato più volte che l'Antropocene non è altro che l'Antropocentrismo che rientra dalla finestra dopo che lo avevamo fatto uscire dalla porta della Scienza.

L'Antropocene è stato molto di moda. Molti si sono innamorati del suo concetto. Alcuni si sono arricchiti col suo spauracchio. Fortunatamente, la Commissione Internazionale di Stratigrafia, il solo organo scientifico deputato a stabilire la validità delle unità geologiche, ha rigettato l'Antropocene.

Tuttavia, come molti feticci di moda, come molti idoli pseudoscientifici, l'Antropocene rimane nei cuori di molti, sia dentro che fuori la scienza. Apparentemente, il Ministero ha ritenuto l'Antropocene un concetto meritevole di essere incluso nelle tracce del tema di maturità. Questa scelta può essere di natura più politica ed ideologica che scientifica.

Badate bene, nulla impedisce di includere l'Antropocene nei temi della maturità. Il fatto che sia un concetto pseudoscientifico (e di moda) è di per sé un ottimo argomento per indurre nei ragazzi maturandi una riflessione ed un dibattito degno di un tema scritto. Il tema di Italiano non è un esame di Geologia, non è un esame di scienze, non è una tesi di paleontologia. Pertanto, parlare di Antropocene non implica necessariamente avallare la consistenza scientifica di quel concetto. Esattamente come proporre un tema sul Nazismo non implica avallare l'ideologia di Hitler nella mente degli studenti.

(Mi raccomando, ora partiamo con la stupida polemica: "ma l'Antropocene non è il Nazismo!")

Mi domando, tuttavia, se chi ha inserito l'Antropocene nelle tracce d'esame abbia avuto la consapevolezza della complessità del tema, specialmente oggi che il termine è stato formalmente rimosso dal linguaggio scientifico. Esiste un Antropocene extra-scientifico, esattamente come esistono i dinosauri extra-scientifici. Ed entrambi sono interessanti per un tema di Italiano tanto quanto i loro omologhi scientifici (anzi, forse di più). Il brano di Pievani avrebbe potuto essere accompagnato da commenti di geologi e paleontologi, commenti che lo contestualizzassero e inquadrassero nel dibattito odierno sul cambiamento climatico. L'ascesa e caduta del concetto di Antropocene avrebbe potuto ispirare una discussione storica e culturale molto ricca e variegata.

Invece, l'Antropocene è stato presentato come un nome scientifico consolidato e "mainstream". Evidenziare la natura contingente e arbitraria del concetto di Antropocene avrebbe potuto ispirare negli studenti una riflessione più profonda rispetto alle (ormai abusatissime) digressioni pseudo-apocalittiche e catastrofistiche che formano la parte consistente del discorso popolare sul tema del cambiamento climatico, questo sì un concetto fondamentale dei nostri tempi, ben più rilevante del dibattito sul nome geologico da dare all'ultimo mezzo secolo. Ma così non è stato.

L'Antropocene continua a fare danni anche da morto.