La Tafonomia è la Cenerentola della
Paleontologia. Bistrattata, dimenticata, emarginata, quando del tutto
ignorata, essa è invece la Regina della nostra disciplina, senza la
quale il mondo paleontologico sarebbe caos, anarchia, invaso da
mitologie e superstizioni. In numerose occasioni, in questo blog, ho
rimarcato come l'indagine su un fossile, in particolare per
determinare informazioni su fenomeni raramente fossilizzabili, debba
sempre partire dall'analisi tafonomica: ovvero, l'analisi delle
condizioni fisiche, ambientali, geologiche che portano alla
formazione e manifestazione del fossile. L'analisi tafonomica in
un fossile è sempre prioritaria rispetto ad inferenze biologiche,
per l'ovvio motivo che un fossile è prima di tutto un oggetto
geologico formatosi in un contesto geologico. Dimenticare la
tafonomia e guardare un fossile come se fosse un resto di animale
morto oggi, quindi come se fosse un oggetto esclusivamente biologico,
è il peccato originale di molta “paleobiologia” (spesso
enfatizzata dai media), che non esito invece a chiamare
“paleo-mitologia”.
Il caso di oggi mi pare un classico da
manuale del “come fare paleo-mitologia”. Non se la prenda
l'autore dello studio, ma dopo aver letto l'articolo che sto per
citare, non ho potuto evitare la famosa frase fantozziana sulla
corazzata Potemkin.
Rothschild (2014) discute di alcuni
resti ossei isolati di dinosauri recanti segni di morso
interpretabili come lasciati da theropodi (in particolare,
Tyrannosauridi) e, usando un ragionamento deduttivo tratto
dall'analisi del comportamento di predatori attuali, conclude che
quei segni di morso non furono prodotti durante la consumazione di
quelle ossa (ovvero, come segni lasciati da un predatore o saprofago
su una carcassa), bensì sarebbero interpretabili come prova che
quello specifico theropode giocò con quell'osso. In breve,
Rothschild (2014) ritiene che sia possibile identificare prove di un
comportamento ludico in un fossile mesozoico.
Prima che qualcuno, affascinato
dall'ipotesi di un Tyrannosaurus che gioca con un osso di
dinosauro, mordicchiandolo come farebbe un cane con la propria palla,
possa schierarsi anima e cuore con questa idea, va chiarito subito un
aspetto epistemologico fondamentale: il problema se i dinosauri in
vita giocassero ed il problema se i fossili attuali conservino prove
di gioco sono due problemi separati. Si può discutere per
ore, in base ad analogie, comparazioni ed inferenze neurologiche ed
etologiche tra dinosauri ed animali viventi, se l'ipotesi del gioco
nei dinosauri sia plausibile o meno. Quello è il “problema
astratto” sul gioco, ovvero, una discussione puramente teorica,
quasi filosofica. Difatti, se non prende in considerazione le prove
dirette, mi pare un problema più filosofico che scientifico. Il
secondo problema, che è quello su cui invece vale la pena discutere,
è chiaramente paleontologico: ovvero, se effettivamente esistano (o
possano esistere) fossili che mostrino prove di gioco, e se il gioco
sia un comportamento in grado di lasciare tracce fossili
identificabili in modo non-ambiguo. Spero che la distinzione sia
chiara. A me non interessa discutere del gioco in “modo astratto”.
La mera inferenza filogenetica, in questo caso, è irrilevante. Prima
di tutto, per affermare il gioco nei dinosauri, occorre chiarire se e
come il gioco possa fossilizzare, ovvero, se quel fenomeno sia
incluso nell'ambito di azione della scienza paleontologica, la
scienza dei fossili. Ed è qui che l'argomento di Rothschild (2014)
fallisce per la debolezza delle sue argomentazioni sul piano
tafonomico.
Rothschild (2014) parte da una domanda:
tutte le tracce di morsi nei fossili sono tracce dovute ad un
comportamento alimentare (ovvero, morsi lasciati sulle ossa per
strappare tessuti commestibili)? Ovviamente, no: ad esempio, abbiamo
morsi lasciati tra animali che, probabilmente, erano in lotta tra
loro, morsi con segni di rigenerazione dell'osso che implicano che
quell'animale non era morto quando ricevette il morso. Questo primo
passo logico quindi permette di ammettere comportamenti
non-alimentari come causa di segni di morso in ossa. Permette, ma non
implica.
Il secondo passo del ragionamento di
Rothschild (2014) è quello di chiedersi se alcune aree dello
scheletro siano evitate dai predatori quando consumano una preda. Ad
esempio, i piedi, formati in larga parte da ossa e tendini, sono poco
appetibili e, quindi, tendono ad essere evitati da animali che
consumino una carcassa. Questo ragionamento, tuttavia, non permette
di generare una regola generale. Ad esempio, anche se i piedi sono
evitati da un animale che consuma una carcassa intera e ricca di
carne, divengono appetibili quando la carcassa è già stata
ampiamente spolpata: un saprofago affamato che arrivi in ritardo al
banchetto è capace di mangiare anche i piedi se quello è ciò che
rimane da consumare. Inoltre, alcuni fossili di theropodi (ad
esempio, l'olotipo di Sinocalliopteryx) mostrano che anche i
piedi erano consumati, ingoiati e quindi, eventualmente, oggetto di
morsi (nel caso del Sinocalliopteryx, la gamba intera di un
microraptorino, con anche i piedi, era presente nell'addome del
predatore).
Inoltre, Rothschild (2014) ritiene che
il comportamento alimentare sia da escludere quando queste ossa “non
appetibili” e con segni di morsi siano rinvenute isolate e non
associate a carcasse. Il ragionamento, in questo caso, è il
seguente: se un animale trova un osso isolato (e quell'osso non è
“appetibile” perché proviene da parti anatomiche prive “di
carne”) e morde quell'osso, allora lo farà per motivi
non-alimentari. Anche qui, il ragionamento è basato su un'errata
analogia etologica e dimenticando di ragionare tafonomicamente: il
fatto che un osso fossile con segni di morso sia rinvenuto isolato
oggi non implica che, in origine, quei morsi furono lasciati
quando l'osso era già isolato dallo scheletro. Generalmente, un osso
fossile isolato indica che la carcassa fu smembrata (da vari agenti:
dai saprofagi all'acqua di un fiume), ma è difficile – se non
impossibile – stabilire se i morsi nell'osso furono inflitti prima
o dopo che la carcassa fu smembrata e disarticolata. Pertanto, non si
può leggere “alla lettera” quell'osso e concludere che
isolamento dell'osso fu precedente al morso sull'osso, e quindi non
si può interpretare quel fossile come prova di “comportamento su
un osso isolato non appetibile”.
Tuttavia, Rothschild (2014) pare non
considerare queste obiezioni, e quindi conclude che i segni di morso
in regioni scheletriche “non appetibili” non possano essere
interpretati come segni di consumazione e che, “di conseguenza”,
la spiegazione di tali morsi debba essere cercata in comportamenti
non-alimentari, ad esempio, comportamenti privi di effettiva finalità
pratica, che, nell'ambito dell'etologia (dei viventi) sono inclusi
nell'ampia categoria dei comportamenti ludici.
Ovvero, la logica che fonda l'ipotesi
di Rothschild (2014) è: segni di morsi in ossa – i quali non sono
plausibili come segni di consumazione – sono invece interpretabili
come segni lasciati da un animale che stava giocando con
quell'osso.
No. Il ragionamento non regge.
L'esempio principale portato da
Rothschild (2014) è a mio avviso paradossale della inconsistenza
logica ed empirica di questa ipotesi. Esistono numerosi condili
occipitali isolati di ceratopside con segni di morso: Rothschild
(2014) sostiene che il condilo occipitale non sia una parte anatomica
appetibile, e che quindi morsi in quella zona del cranio siano
non-alimentari. Ciò è paradossale, dato che il condilo occipitale
articola il cranio con il collo, ed è circondato dai muscoli che
connettono collo e testa, sia quelli che si inseriscono nella nuca
che quelli che si connettono al basicranio. Il condilo occipitale è
proprio il punto di attacco della testa: chiunque voglia staccare una
testa da un corpo deve praticare una serie di tagli che hanno una
buona probabilità di colpire il condilo occipitale. In breve, l'idea
che il condilo occipitale non sia target di morsi alimentari è
ridicola.
Inoltre, e qui torno a onorare Sua
Maestà Tafonomia: il condilo occipitale è, per sua natura, un osso
ideale a preservarsi isolatamente, dato che è molto robusto e di
forma arrotondata, e quindi ha la tendenza a rotolare via e a
conservarsi a lungo anche dopo che la carcassa è stata smembrata e
disarticolata: pertanto, è molto probabile che si rinvenga isolato
dalle altre ossa, trascinato lontano dagli agenti fisici. Chi ha ben
chiara la tafonomia di queste ossa, non si stupisce di rinvenire un
condilo occipitale isolato, e non ha bisogno di qualche bizzarra
ipotesi per spiegare il ritrovamento di condili occipitali isolati.
Concludendo, indipendentemente
dall'argomento “astratto” sulla presenza o meno di comportamenti
ludici in animali estinti, l'argomento “empirico” di Rothschild
(2014) pecca di ingenuità e iper-semplificazione. In particolare, la
quasi completa assenza di analisi tafonomica e di argomentazioni
tafonomiche sull'origine di questi fenomeni, esclude questa ipotesi
dall'ambito della paleontologia (la scienza dei fossili), relegandola
all'ampio insieme delle bizzarre speculazioni sugli animali del
passato.
La speculazione è un gioco, ma la
paleontologia è altro.
Bibliografia:
Bruce M. Rothschild (2014) Unexpected
behavior in the Cretaceous: tooth-marked bones attributable to
tyrannosaur play, Ethology Ecology & Evolution. DOI:
10.1080/03949370.2014.928655