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14 dicembre 2020

Problematicità di Ubirajara [AGGIORNAMENTO]

 

Diagramma dei resti conservati e ricostruzione di Ubirajara (da Smith et al. 2020)


Smyth et al. (2020) descrivono un esemplare parzialmente conservato di theropode dalla Formazione Crato (Cretacico Inferiore) del Brasile ed istituiscono Ubirajara jubatus.

L'esemplare è attualmente custodito in un museo tedesco, e fu espatriato alcuni decenni fa. Gli autori,  nessuno dei quali brasiliano, precisano che la modalità di espatrio e conservazione del fossile siano conformi alla legislazione brasiliana in materia di protezione del patrimonio culturale nazionale. Tuttavia, è doveroso rimarcare che alcuni paleontologi brasiliani abbiano notato online che le modalità di espatrio e pubblicazione di questo esemplare non siano conformi con la legislazione brasiliana.

Focalizzandomi sulle questioni paleontologiche, per le quali ho competenza, l'esemplare appare semi-articolato e parziale, dato che è privo del cranio, del bacino, degli arti posteriori e della coda. La colonna presacrale, il cinto pettorale e parte dell'arto anteriore sono in buono stato di preservazione. Inoltre, tracce di tessuti molli, in particolare del piumaggio, sono conservate attorno alle vertebre e agli arti anteriori: si tratta di uno dei pochi casi di resti di piumaggio in un dinosauro rinvenuto fuori dai celebri livelli Giurassico-Cretacici della Cina nord-orientale.

L'esemplare è interpretato essere immaturo in quanto non presenta la fusione completa degli archi neurali ai centri vertebrali corrispondenti. Gli autori classificano Ubirajara in Compsognathidae, un risultato confermato anche dalla mia analisi filogenetica. Tuttavia, è necessario rimarcare che numerosi taxa inclusi dall'analisi in Compsognathidae siano basati su esemplari immaturi, e che quindi non si possa escludere che questo risultato sia almeno in parte viziato dalla morfologia immatura condivisa da questi esemplari. Alcuni elementi dell'arto anteriore sono inusuali per un compsognathide, e potrebbero supportare altre posizioni in Tetanurae...

L'elemento più curioso di questo theropode è costituito da una striscia non-ossea che si irradia posteroventralmente allo scheletro, e che gli autori interpretano come una struttura tegumentaria rigida nastriforme, simile a quelle documentate in Beipiaosaurus. Sebbene gli autori ricostruiscano questa struttura come ancorata alla scapola, non ci sono evidenze di come articolasse al corpo, né che fosse isolata: la parziale disarticolazione dello scheletro e la frammentarietà della struttura nastriforme impediscono una qualsivoglia ricostruzione dell'aspetto esperiore dell'animale.


AGGIORNAMENTO DEL 23/12/2020: Alla luce delle problematiche etiche sollevate dalla comunità paleontologica brasiliana, l'articolo di Smyth et al. è stato ritirato. Non è chiaro quale sia il destino tassonomico di Ubirajara.


Bibliografia:

R.S.H. Smyth, D.M. Martill, E. Frey et al., A maned theropod dinosaur from Gondwana with elaborate integumentary structures. Cretaceous Research: https://doi.org/10.1016/j.cretres.2020.104686




09 dicembre 2020

Nuovo sostegno al legame tra dinosauromorfi e pterosauromorfi

 

Il modello standard delle relazioni tra i pan-aviani

I miei venticinque lettori ricorderanno che nei primi capitoli del Primo Volume de La Rivoluzione Piumata, ho introdotto i vari gruppi di rettili triassici che formano la parte iniziale della storia dei pan-aviani (ovvero, il ramo degli arcosauri che conduce agli uccelli). In particolare, ho concentrato l'attenzione su forme come gli afanosauri (di recente istituzione) e i primissimi dinosauromorfi, tra cui i lagerpetidi. Un terzo ramo di pan-aviani, o potenziali tali, è più problematico: gli pterosauri, i celebri rettili volanti mesozoici. 

Le origini degli pterosauri sono controverse, in particolare perché la documentazione fossile di questo gruppo non ci ha ancora fornito dei fossili che colleghino in modo inequivocabile i rettili volanti “veri e propri” con qualche altro gruppo di rettili triassici. In breve, ci mancano le "forme di transizione" che mostrino una indiscutibile origine della morfologia degli pterosauri da quella condivisa con gli altri pan-aviani. Sebbene la maggioranza dei paleontologi ritenga che pterosauri, dinosauri, lagerpetidi e afanosauri siano tutti membri di Pan-Aves, le prove anatomiche sono ambigue e in alcuni casi contraddittorie, e non è perfettamente delineata la sequenza di comparsa e fissazione delle innovazioni anatomiche che supportano questo scenario. L'interpretazione più seguita (immagine in alto) colloca gli afanosauri alla base dei pan-aviani, e gli pterosauri come ramo appena più prossimo al gruppo formato da lagerpetidi e dinosauri (gruppo, questo ultimo, detto Dinosauromorpha). Due tra i fattori che rendono questo scenario ancora in parte controverso sono la mancanza di informazioni sull'anatomia di buona parte dello scheletro dei lagerpetidi e, ripeto, la mancanza di “proto-pterosauri” che colmino il divario anatomico tra gli pterosauri “veri e propri” e gli altri pan-aviani.

In uno studio pubblicato oggi (Ezcurra et al. 2020), comprendente un folto team internazionale tra cui anche Fabio Marco Dalla Vecchia, sono presentate nuove informazioni sull'anatomia dei lagerpetidi che collegherebbero questi ultimi agli pterosauri, uno scenario inedito e che in parte rivoluziona la nostra visione di come i rettili volanti si inseriscano nella base della storia pan-aviana.

Lo scenario in Ezcurra et al. (2020)


In particolare, la scansione di un neurocranio ben conservato e riferito al lagerpetide Dromomeron ha permesso di identificare in questo gruppo una serie di caratteristiche in comune con gli pterosauri. Inoltre, la scoperta della dentatura del lagerpetide Ixalerpeton mostra denti dotati di cuspidi, condizione che si osserva anche in vari pterosauri triassici. Interessante risultato di questo studio è anche la conferma di Scleromochlus come membro di Pterosauromorpha, nonostante una recente revisione abbia sostenzialmente criticato questo scenario. Per quanto rivoluzionaria, questa nuova ipotesi non stravolge i fondamenti del "modello standard". Se questo scenario sarà confermato da studi ulteriori, l'interpretazione classica dei lagerpetidi, visti come dinosauromorfi primitivi, sarà sostituita dalla loro ricollocazione lungo la parte basale della linea pterosauromorfa. Questo, unito alla “conferma” di Scleromochlus negli pterosauromorfi, rafforza quindi il “modello standard” per l'origine degli pterosauri a partire da piccoli pan-aviani di struttura gracile.


(c) R. Nogueira



Bibliografia:

Martín D. Ezcurra, Sterling J. Nesbitt, Mario Bronzati, Fabio M. Dalla Vecchia, Federico L. Agnolin, Roger B. J. Benson, Federico Brissón Egli, Sérgio F. Cabreira, Serjoscha W. Evers, Adriel R. Gentil, Randall B. Irmis, Agustín G. Martinelli, Fernando E. Novas, Lúcio Roberto da Silva, Nathan D. Smith, Michelle R. Stocker, Alan H. Turner, Max C. Langer. 2020. Enigmatic dinosaur precursors bridge the gap to the origin of Pterosauria. Nature.

29 novembre 2020

Falcatakely è il cranio di Rahonavis?

 



Si tratta di un'ipotesi presa brevemente in considerazione dagli stessi autori della descrizione di Falcatakely. Purtroppo, per ora non abbiamo materiale sovrapponibile tra Rahonavis e Falcatakely, quindi possiamo solo fare delle valutazioni ipotetiche.

Pro:

1- I due taxa provengono dalla medesima formazione.

2- Usando il femore come approssimazione per stimare le dimensioni del cranio, ed usando i paraviani basali come riferimento, il cranio di Rahonavis è stimabile essere lungo tra 70 e 90 mm. O'Connor et al. (2020) stimano il cranio di Falcatakely intorno a 85 mm, quindi dentro il range di plausibilità per Rahonavis.

3- Entrambi i taxa mostrano una combinazione di caratteri da aviale con caratteri da non-aviano.


Contro:

1- Le posizioni filogenetiche dei due taxa non si sovrappongono molto nelle analisi svolte finora (ma questo può essere un artefatto del considerarli a priori come distinti: cosa succederebbe se analizzassimo separatamente il cranio ed il postcranio di uno scansoriopterygide? Probabilmente il primo si collocherebbe in Oviraptorosauria ed il secondo in Avialae).

2- Esistono altri probabili aviali nella medesima formazione. ad esempio, Vorona ed un enantiornitino, ai quali è ugualmente lecito riferire Falcatakely. Tuttavia, nessuno di questi collima nelle dimensioni con Falcatakely quanto Rahonavis.

3- Il cranio di Falcatakely pare avere una ridotta dentatura (forse limitata solo a parte del premascellare) mentre il dentale riferito a Rahonavis mostra una serie completa di alveoli. Tuttavia, altri taxa di Coelurosauria mostrano una bizzarra combinazione di mandibola dentata e parte superiore della bocca con poca (o alcuna) dentatura (o viceversa): Harpymimus, Shenzhousaurus, Caudipteryx. Quindi, l'eventuale mix di dentatura superiore ridotta + dentatura inferiore sviluppata non sarebbe nuova né impossibile per un maniraptoriforme.


L'ipotesi è intrigante, ma solo la scoperta di nuovi resti cranici associati a postcranio potranno dipanare la matassa.

27 novembre 2020

Falcatakely: eterodossia e pluralismo nell'Anno di Oculudentavis [AGGIORNAMENTO]

 


Cranio in situ e ricostruzione di Falcatakely (Da O'Connor et al. 2020).


O'Connor et al. (2020) descrivono uno squisito cranio parziale dal Cretacico Superiore del Madagascar e istituiscono Falcatakely fosterae.

L'esemplare è basato su resti associati e semi-articolati, conservati tridimensionalmente, della regione anteriore del cranio di un piccolo arcosauro. Gli autori collocano Falcatakely tra gli uccelli, in particolare ad Enantiornithes, pur notando che, morfometricamente, questo nuovo taxon sia alquanto bizzarro rispetto alla maggioranza degli aviali mesozoici noti.

In questo drammatico 2020, abbiamo già incontrato bizzarri crani di uccelli mesozoici il cui destino è stato poi molto "eterodosso"...

Non voglio recitare la parte dell'eterno disfattista e polemista, ma la vicenda di Falcatakely ricorda troppo quella di Oculudentavis per non far nascere un (anche piccolo) sospetto sulla classificazione del fossile.

Come Oculudentavis, qui abbiamo un fossile basato unicamente su un cranio dalla morfologia bizzarra che pur ricordando gli uccelli è anche alquanto "eterodosso" ed anomalo per quel clade. La videnda di Oculudentavis si è risolta rapidamente perché quel cranio era palesemente non-arcosauriano. Qui la faccenda è più complessa. NOTA BENE: non sto sostenendo che Falcatakely sia automaticamente da considerare un nuovo caso "alla Oculudentavis", ma dico che sarebbe saggio valutare tutto con cautela.

Partiamo dalle "certezze": Falcatakely è un rettile con finestra antorbitale e denti conici (in alveoli?), quindi ragionevolmente classificabile in Archosauria (a differenza del lepidosauro Oculudentavis).

Dentro Archosauria, la forma del cranio vagamente "da uccello" non è limitata agli uccelli (Avialae) ma si osserva in varie linee, specialmente triassiche, oltre che in altri theropodi e negli pterosauri. L'età cretacica porta per ora a scartare l'attribuzione a qualche bizzarro gruppo triassico. L'assenza di fossa antorbitale intorno alla finestra antorbitale ricorda invece gli pterosauri, anche se la forma del muso e del mascellare, così come la separazione tra narice e antorbita sono troppo primitive per sostenere uno status pterodattiliano (come sospetteremmo per uno pterosauro del Cretacico Superiore).

Falcatakely potrebbe essere un theropode non-aviano? Alcuni elementi di questo cranio sono anomali per un uccello (membro di Avialae), mentre ricordano bene gli altri theropodi, ad esempio la posizione della narice esterna rispetto al mascellare, la forma del mascellare e la sua estensione anteriore, la proporzione tra premascellare e mascellare, l'inclinazione del lacrimale, l'estensione posteriore dello jugale ben oltre la barra postorbitale, la forma e sviluppo della base del lacrimale, la presenza di ornamentazione cornea nel mascellare, la curiosa mensola posterolaterale del nasale e la presenza di fosse dorsali, così come l'ornamentazione di nasale e lacrimale.

Non vi nascondo che ho il sospetto che l'attribuzione di questo fossile ad Avialae sia prematura, o perlomeno, sarebbe interessante testare posizioni alternative in Theropoda, anche fuori da Maniraptora.

Ad esempio, alcuni noasauridi come Limusaurus hanno evoluto cranio gracili e leggeri, hanno ridotto o perso la dentatura ed hanno fosse ed ornamentazioni nella zona nasale e lacrimale che ricordano Falcatakely: dato che il Cretacico Superiore della placca Indo-Malgascia ha fornito resti di noasauridi di dimensioni medio-piccole (come Masiakasaurus e Laevisuchus), sarebbe troppo azzardato considerare (anche solo come ipotesi di lavoro) una relazione con i noasauridi?

Ho testato Falcatakely in Megamatrice: l'analisi completa lo colloca come un Noasauridae Elaphrosaurinae! Occorrono 6 steps ulteriori per collocarlo in Coelurosauria, ed in quel caso esso risulta un dromaeosauride basale: interessante a quel proposito notare che anche Rahonavis, noto dalla stessa Formazione, sia stato ipotizzato essere un dromaeosauride basale. Possiamo escludere che Falcatakely sia il cranio (ancora sconosciuto) di Rahonavis? Le dimensioni stimate dei due animali collimano.

Come vedete, ci sono molti elementi per valutare almeno un qualche sospetto sulla classificazione in Enantiornithes.

Per ora, io non mi sbilancio, ma porto un punto di vista alternativo che meriterebbe di essere preso in considerazione.

L'onda anomala del "Caso Oculudentavis" è ancora troppo recente, a mio avviso, per essere ignorata.


AGGIORNAMENTO: Ho codificato Falcatakely nella matrice di Theropoda di Wang et al. (2016), matrice che comprende sia Limusaurus che i paraviani, e quindi è un buon test per le posizioni alternative discusse qui sopra. L'analisi colloca Falcatakely in Pygostylia, quindi supporta uno status avialiano per il fossile, come sostenuto da O'Connor et al. (2020). Nei prossimi giorni controllerò le codifiche in questa analisi ed eventualmente aggiornerò la mia matrice per vedere se questo rafforza o meno l'ipotesi risultata.

03 novembre 2020

Comportamento gregario (e coloniale?) in un mammifero mesozoico


 

Il comportamento sociale nei mammiferi è molto eterogeneo. Lo spettro di complessità delle relazioni va dal legame madre-figlio, alle grandi aggregazioni migratorie, alle complesse relazioni eusociali di alcuni primati e carnivori. Comportamenti sociali complessi sono assenti nei monotremi, limitati ai canguri nei marsupiali, e presenti in varie linee di placentali. Un marsupiale basale sudamericano dell'inizio del Cenozoico descritto alcuni anni fa documenta l'acquisizione di comportamenti sociali in linee oggi estinte, dopo l'estinzione di massa della fine del Cretacico. Evidenze di comportamenti sociali più complessi del legame madre-figlio erano finora assenti nei mammiferi mesozoici. 

Una scoperta recente supporta l'evoluzione di un comportamento gregario in un gruppo di mammiferi di grande successo vissuto dalla metà del Giurassico alla prima parte del Cenozoico, i multitubercolati, e documenta il primo caso di socialità complessa in un mammifero mesozoico.

Weaver et al. (2020) descrivono una serie di aggregazioni di ossa di mammifero multitubercolato dalla località Egg Mountain, del Cretacico Superiore del Montana (USA). Dal sito, sono stati estratti i resti riconducibili ad almeno una ventina di esemplari, tutti riferibili alla medesima specie di multitubercolato, e distribuiti in un volume di sedimento relativamente ridotto. Una delle aggregazioni, ampia meno di 40 centimetri quadri, contiene cinque individui (3 adulti e 2 subadulti). Sebbene il sedimento non mostri resti di cunicoli, in base al tipo di preservazione dei resti fossili, gli autori interpretano queste associazioni come tane sotterranee ed escludono fattori fisici (come corsi d'acqua o l'accumulo di sedimento eolico) tra le cause di questi letti di ossa monospecifici. La morfologia di questi animali è compatibile con uno stile di vita fossorio, e mostra adattamenti nelle vertebre e negli arti analoghi a quelli di molti mammiferi attuali adatti a scavare in substrati aridi e che costruiscono tane sotterranee. In passato, molti multitubercolati del Cretacico e del Cenozoico sono stati considerati analoghi ecologici a certi roditori moderni; non stupisce quindi che gli autori considerino questa nuova specie, Filikomys primaevus, convergente nello stile di vita con roditori terricoli quali il chipmunk minore. 

La presenza di più aggregazioni del medesimo animale concentrate in uno spazio così ridotto è un forte indizio di una struttura sociale e coloniale in questo mammifero: il sito documenterebbe quindi episodi multipli di mortalità di massa durante la storia di una medesima colonia di mammiferi scavatori.


Bibliografia:

Weaver, L.N., Varricchio, D.J., Sargis, E.J. et al. Early mammalian social behaviour revealed by multituberculates from a dinosaur nesting site. Nat Ecol Evol (2020). https://doi.org/10.1038/s41559-020-01325-8


15 ottobre 2020

Sauroniops non è Carcharodontosaurus


Olotipo di Sauroniops in due viste anterolaterali.


Fin dalla pubblicazione originale di Sauroniops, ho rimarcato che le caratteristiche peculiari del frontale (olotipo di S. pachytholus) lo differenzino dagli altri grandi theropodi del Cretacico.

In particolare, il frontale di Sauroniops è distinguibile dagli altri carcharodontosauridi africani per le proporzioni generali dell'osso (più ampio che lungo rispetto a Carcharodontosaurus saharicus ed il frontale riferito a C. iguidensis), per la posizione della faccetta prefrontale (posta nella parte anteromediale del margine laterale (come in Eocarcharia) e non a ridosso della faccetta postorbitale (come è in Carcharodontosaurus), per la netta separazione delle faccette mediali per i nasali, che formano una profonda “U” rispetto alla più corta separazione presente in Carcharodontosaurus (in cui la faccetta nasale descrive una corta “V”) e per la presenza di una distinta cupola ossea data dall'espansione della regione articolare col lacrimale (al contrario della depressione presente in Carcharodontosaurus). Siccome alcuni di questi caratteri non possono variare lungo la crescita individuale (in particolare, la faccetta prefrontale non può migrare posteriormente “attraverso” la faccetta lacrimale) è altamente improbabile che Sauroniops sia uno stadio di crescita di Carcharodontosaurus.

Nonostante tutte questi elementi siano esplicitamente discussi in Cau et al. (2013), essi vengono ignorati o in alcuni casi persino fraintesi in un recente studio di Ibrahim et al. (2020) nel quale si sostiene che Sauroniops sia un sinonimo di Carcharodontosaurus.

Qui sotto, analizzo gli argomenti portati da Ibrahim et al. (2020):


Gli autori sostengono che il frontale di Sauroniops sia circa il 60% la dimensione di quello adulto di Carcharodontosaurus, e che quindi le differenze tra i due taxa siano riducibili a effetti dimensionali (ed eventualmente di stadio di crescita).

Tuttavia, è improprio affermare che il frontale di Sauroniops sia lungo solo il 60% di Carcharodontosaurus. Innanzitutto, non ci sono motivi per considerare solamente la lunghezza della parte del frontale posteriore alla faccetta nasale di Sauroniops rispetto alla lunghezza della parte esposta del tetto cranico di Carcharodontosaurus, dato che sono due parti non omologhe. In Sauroniops, come ho ricordato sopra, la faccetta nasale è più profonda ed a “U” rispetto alla più corta faccetta nasale di Carcharodontosaurus: di conseguenza, data la diversa estensione del contatto nasale-frontale nei due taxa, usare unicamente la zona posteriore in Sauroniops sottostima la sua dimensione. Siccome i rami nasali in Sauroniops partecipano al tetto cranico esattamente come in Carcharodontosaurus, la parte esposta nel primo è di almeno 19 cm e non solo 12 cm. Inoltre, siccome la parte anteriore del ramo nasale è mancante, la misura di 19 cm è una stima minima, per difetto. In conclusione, non ci sono motivi validi per affermare che Sauroniops sia il 60% di Carcharodontosaurus: i due frontali sono di dimensioni comparabili. A conferma di ciò, lo spessore dell'osso frontale lungo la sutura mediale e a livello della faccetta lacrimale in Sauroniops sono comparabili a quelli riportato per Giganotosaurus.

Paradossalmente, se assumessimo che la parte del frontale esposta dorsalmente nel tetto cranico di Sauroniops sia lunga solo il 60% di quella di Carcharodontosaurus, risulterebbe comunque che esso ha una faccetta lacrimale spessa quanto quella in Giganotosaurus (questa seconda misura è indipendente dalla prima). Quindi, in quel caso, la faccetta lacrimale di Sauroniops sarebbe in proporzione gigantesca rispetto a quella di Carcharodontosaurus: ciò sarebbe un carattere che molto difficilmente potremmo considerare condizione giovanile e che a maggior ragione quindi confermerebbe che si tratta di un taxon distinto da C. saharicus!

Ibrahim et al. (2020) sollevano poi un'obiezione sulle differenze da noi notate relative alla posizione della faccetta prefrontale in Sauroniops rispetto ai carcharodontosaurini:


Il commento qui sopra però non riporta correttamente quanto scritto in Cau et al. (2013), nel quale non si afferma che la faccetta prefrontale sia assente nel frontale di C. saharicus. Al contrario, noi scrivemmo:

“In the derived carcharodontosaurids, the prefrontal is fused with the lacrimal, forming a medial process of the posterodorsal corner of the latter (Coria and Currie, 2006), and the prefrontal-lacrimal facet is even more posteriorly expanded, approaching the postorbital facet and completely excluding the frontal from participating in the dorsal margin of the lateral orbital rim (Brusatte and Sereno, 2007). In these forms, a deep circular pit along the lateral surface of the frontal indicates the articular surface for the prefrontal process of lacrimal (Brusatte and Sereno, 2007).” 
(Cau et al. 2013)

Paradossalmente, Ibrahim et al. (2020) riconoscono che la condizione in Sauroniops è chiaramente differente da quella in Carcharodontosaurus, ma pare che ne sottostimino l'importanza, senza però portare argomenti su come si possa avere nella stessa specie una così radicale differenza nella topologia delle ossa che formano la barra preorbitale.

Apparentemente, Ibrahim et al. (2020) hanno frainteso quanto riportato nella diagnosi di Sauroniops in Cau et al. (2013):


Infatti, Cau et al. (2013) notano che Sauroniops non presenta le caratteristiche mensole ed invaginazioni nella regione temporale di Carcharodontosaurus. Sebbene il margine anteriore della fossa temporale in Sauroniops sia incompleto, esso è relativamente piatto e privo di invaginazioni nella sua porzione anteromediale, come presente invece in Carcharodontosaurus.

Inoltre, Ibrahim et al. (2020) confondono la presenza/assenza di caratteri nella diagnosi di Sauroniops quando commentano:


Come rimarcato prima, la forma ed estensione della faccetta nasale-frontale nei due taxa è differente, con Sauroniops avente una completa separazione dei due rami nasali, come evidenziato dalla presenza di una lunga faccetta mediale per il nasale e una fossa posterodorsale sul margine anteriore del tetto cranico, entrambi assenti in Carcharodontosaurus. A differenza di quanto scritto da Ibrahim et al. (2020), Cau et al. (2013) esplicitamente riportano che in Sauroniops, il setto interorbitale non è ossificato, e questo difatti contrasta con quanto presente invece in Acrocanthosaurus e nei carcharodontosaurini (e correttamente riportato da Ibrahim et al. 2020). Dato che le dimensioni del frontale di Sauroniops sono comparabili a quelle dei sopra citati taxa (come dimostrato ad inizio post), l'assenza di questo elemento è un ulteriore carattere distintivo che rende dubbia la sua attribuzione a Carcharodontosaurus.

Concludendo:

1) Il frontale di Sauroniops non è il 60% di quello di Carcharodontosaurus, bensì di dimensioni comparabili (e proporzionalmente più tozzo e ampio, ed entrambi sono estesi per oltre 19 cm sopra il tetto cranico).

2) La posizione della faccetta prefrontale di Sauroniops non è omologa a quella in Carcharodontosaurus (anteromediale nel primo, posterolaterale nel secondo).

3) Sauroniops non presente caratteri diagnostici di Carcharodontosaurus a livello della fossa temporale e del setto interorbitale.

4) Carcharodontosaurus non presenta il carattere diagnostico della cupola espansa a livello della zona preorbitale, né la profonda separazione dei rami nasali, diagnostici di Sauroniops.

Pertanto, non ci sono motivi per considerare i due taxa sinonimi (contra Ibrahim et al. 2020).


Bibliografia:

Cau, A; Dalla Vecchia, FM; Fabbri, M. 2013. A thick-skulled theropod (Dinosauria, Saurischia) from the Upper Cretaceous of Morocco with implications for carcharodontosaurid cranial evolution. Cretaceous Research. 40: 251–260.

Ibrahim, N; Sereno, PC; Varricchio, DJ; Martill, DM; Dutheil, DB; Unwin, DM; Baidder, L; Larsson, HCE; Zouhri, S; Kaoukaya, A. 2020. Geology and paleontology of the Upper Cretaceous Kem Kem Group of eastern Morocco. ZooKeys. 928: 1–216

 

13 ottobre 2020

Spectrovenator, un abelisauride "transizionale" dal Brasile


 

Il registro fossilifero degli abelisauridi si concentra principalmente nella seconda metà del Cretacico (100-66 milioni di anni fa). Tuttavia, resti frammentari risalenti all'inizio del periodo (130 milioni di anni fa) ed il possibile status abelisauride di Eoabelisaurus (risalente a 160 milioni di anni fa) implicano che la grande maggioranza della storia di questo gruppo sia ancora in larga parte sconosciuta. In particolare, quasi nulla è noto delle tappe che hanno portato gli abelisauroidi non-abelisauridi e le forme con una anatomia simile a quella dei ceratosauri giurassici ad acquisire la serie numerosa di innovazioni nel cranio, nelle vertebre e negli arti che osserviamo negli abelisauridi della fine del Cretacico. Uno studio appena pubblicato colma in parte una lacuna significativa lungo la sequenza evolutiva che porta agli abelisauridi. Spectrovenator ragei (Zaher et al. 2020), è probabilmente il theropode più interessante pubblicato questo anno. Questo theropode di taglia media proviene dal passaggio Barremiano-Aptiano (125 milioni di anni fa) del Brasile, ed è basato su uno scheletro parziale ma articolato (con gli elementi preservati in ottimo stato) rinvenuto in associazione con l'olotipo del titanosauro Tapuiasaurus macedoi. Lo scheletro di Spectrovenator comprende il cranio completo, parte delle vertebre cervicali e dorsali, il bacino, parte della coda e degli arti posteriori. L'animale mostra una combinazione di caratteri tipici degli abelisauridi (ad esempio, ossa dermiche del cranio ornamentate, nasale dotato di due serie di forami dorsali mediali alle creste laterali, regione circum-orbitale rinforzata, processi ossei per i muscoli epiassiali del collo ben sviluppati, coste caudali espanse “ad accetta”, quarto metatarsale divergente) combinate con caratteri più arcaici degli abelisauroidi (lamine paradentali non ornamentate, regione antorbitale allungata, processi per la muscolatura della nuca non eccessivamente prominenti, secondo metatarsale gracile, ungueali del piede con solchi collaterali biforcati). Spectrovenator è quindi il più classico dei taxa “transizionali” che i paleontologi sperano sempre di trovare e porre lungo una serie filogenetica, come risulta dall'analisi svolta dagli autori (e confermato da un'analisi preliminare con Megamatrice) che colloca questo nuovo theropode alla base di Abelisauridae (escludendo, per ora, Eoabelisaurus dalla discussione).

Purtroppo, la descrizione dello scheletro postcraniale è alquanto sintetica e ridotta al minimo, e questo non permette di codificare molti elementi anatomici chiave per la filogenesi abelisauroide: l'augurio è che gli autori stiano preparando una monografia dettagliata e questo sia solo l'articolo di introduzione.

Inoltre, non è chiaro lo stato di crescita dell'esemplare, e quindi se e quanto alcuni dei caratteri plesiomorfici siano piuttosto solamente condizioni giovanili di un individuo immaturo.


Bibliografia:


Zaher H., Pol D., Navarro B. A., Delcourt R. & Carvalho A. B. 2020. — An Early Cretaceous theropod dinosaur from Brazil sheds light on the cranial evolution of the Abelisauridae. Comptes Rendus Palevol 19 (6): 101-115. https://doi. org/10.5852/cr-palevol2020v19a6

01 ottobre 2020

Aprire le braccia come un dromaeosauride

Nandù e struzzo visti dal retro, con gli omeri orientati nella massima abduzione possibile. Questa postura è probabilmente un attributo di tutti i paraviani non-volatori, inclusi dromaeosauridi e troodontidi.


L'ala degli uccelli è un braccio dei theropodi mesozoici altamente specializzato per generare una spinta ascensionale e manovrare in volo. Pertanto, la orientazione e postura dell'ala moderna non rispecchiano fedelmente l'impianto originario delle forme non-volatrici, e prenderla come riferimento potrebbe quindi essere fuorviante per comprendere e ricostruire come gli antichi theropodi muovessero e orientassero le proprie braccia. In particolare, gli uccelli volatori hanno l'articolazione della spalla (glenoide) che è proiettata latero-dorsalmente al corpo, nei confronti della quale l'arto (a livello della testa dell'omero) scorre secondo un arco dorso-ventrale, producendo il battito alare. Gli scheletri articolati dei theropodi non-aviani mostrano che questa conformazione non era presente nei dinosauri non-volatori. La maggioranza delle specie ha il glenoide orientato posteroventralmente, mentre nei paraviani non-volatori (come i dromaeosauridi) la medesima articolazione è orientata lateralmente. In ambo i casi, l'omero non può generare un battito d'ala diretto dorsoventralmente. Novas et al. (2020) analizzano l'articolazione della spalla nei grandi uccelli non-volatori moderni, come struzzi e nandù, e notano che in questi uccelli la faccetta articolare e le ossa corrispondenti sono orientate in maniera molto simile a quello che si osserva nei paraviani non-volatori (come Buitreraptor) e nei primissimi aviali (incluso Archaeopteryx). Dato che i grandi uccelli corridori muovono il braccio secondo un arco anterolaterale-posteromediale (ovvero, spingono l'ala di lato in avanti o indietro contro il torace) ma non possono produrre una spinta dorsoventrale, gli autori concludono che anche i paraviani mesozoici inclusi i primi uccelli non fossero in grado di sbattere le ali secondo la direzione usata dagli uccelli volatori moderni.

Queste osservazioni quindi smentiscono l'idea di una postura delle braccia “da uccello volatore” nella maggioranza dei paraviani. Al tempo stesso, almeno per l'articolazione della spalla, è ragionevole usare i grandi uccelli corridori viventi come buon modello di riferimento per ricostruire le posture delle braccia in dromaeosauridi e troodontidi.


Bibliografia:

Novas F. et al. (2020). Pectoral girdle morphology in early-diverging paravians and living ratites: implications for the origin of flights. IN: Pennaraptoran theropod dinosaurs – Past progress and new frontiers. Bulletin of the American Museum of Natural History 440: 345-353.


17 settembre 2020

La chimica dell'Amore al tempo dell'Antropocene


Una commissione internazionale di psicologi e antropologi ha inviato una petizione alla Società Internazionale dei Chimici con la proposta per introdurre un nuovo elemento chimico, chiamato Amorium. L'Amorium (simbolo ♥) ha numero atomico 200, quindi molto al di sopra di qualunque elemento chimico finora scoperto. Ciò spiegherebbe come mai i chimici non siano stati in grado finora di isolarlo in laboratorio. Secondo i promotori, l'Amorium è un sentimento nobile, prima ancora che gas nobile, e come tale in grado di mediare una grande quantità di reazioni chimiche e fisiche. Nonostante ci siano dei critici che sostengono che un tale elemento non solo sia inesistente ma anche fisicamente impossibile in base ai principi quantistici che regolano la natura degli atomi, una simile critica viene rigettata dalle innumerevoli evidenze indirette sull'esistenza di quell'elemento chimico. Difatti, sostengono i promotori della petizione, l'Amorium è un elemento chimico in grado di spiegare una tale quantità di fenomeni, dall'affetto, alla simpatia, dal tifo da stadio alla formazione delle community online, che appare più che fondata la sua esistenza e quindi la sua inclusione nella Tavola Periodica degli Elementi. Dopo tutto, l'amore è sempre stato descritto come una "chimica", e quindi è evidente che sia mediato da un qualche elemento chimico, per l'appunto, l'Amorium.
Siccome così tanti fenomeni si comprendono bene introducendo l'Amorium, le critiche sollevate contro la sua istituzione non paiono rilevanti, dicono i promotori della petizione. Anzi, esse probabilmente rispecchiano una scarsa duttilità e ridotta apertura mentale dei chimici nei confronti delle evidenti rivoluzioni paradigmatiche che l'Amorium apre di fronte alla comunità scientifica. L'auspicio è quindi che non solo l'Amorium sia introdotto e accettato in Chimica, ma - sopratutto - che si avviino interi filoni di ricerca finalizzati a comprendere, interpretare ed applicare l'Amorium. 

Se non avete colto la parodia, non esiste alcuna commissione di psicologi ed antropologi che sostiene la fantomatica esistenza dell'Amorium. La storiella è ovviamente ridicola ed assurda, dato che non avrebbe molto senso che una commissione di esperti di un campo imponga l'introduzione di un concetto radicale in una disciplina che non è quella di loro competenza.

Eppure, nella realtà qualcosa del genere è avvenuto, e noi ne stiamo osservando anche gli effetti.
L'Antropocene è un concetto pseudo-stratigrafico nato in ambito ecologico e conservazionista, ma che si sta diffondendo come nuovo potenziale intervallo della cronologia del pianeta. 
Se pensate che il paragone sia eccessivo ed ingiustificato, vi sbagliate. L'Antropocene, nonostante il nome dia questa illusione, non è un concetto stratigrafico valido, e non è stato definito in modo consistente con la stratigrafia né risulta coerente con gli altri intervalli stratigrafici dei quali dovrebbe essere l'ultimo e più recente rappresentante. Difatti, non esiste alcuno stadio "Antropocene" nella carta cronostratigrafia internazionale, l'unica classificazione stratigrafica ufficialmente riconosciuta dalla comunità geologica, né è in atto tra gli stratigrafi alcuna valutazione sull'introduzione di tale termine.
Nonostante le ovvie e motivate resistenze della comunità stratigrafica all'uso di quel termine, l'Antropocene si sta diffondendo nella letteratura scientifica, nonostante le contraddizioni che esso genera e consolida. Esso è usato in particolare nella letteratura ecologica ed ambientalista. Alla pari dell'Amorium chimico, l'Antropocene è un concetto "di comodo" solo in certi contesti, ma privo di valenza universale, poco (se non per niente) utile ai geologi ed agli stratigrafi, i quali rimarcano che non sussistono motivi geologici validi per introdurre una notazione speciale alla parte più recente dell'Olocene. L'Antropocene "funziona" solo per certi temi (che hanno poco di stratigrafico) come l'ecologismo (notare, non l'ecologia) e il conservazionismo, ma è alquanto ridondante in stratigrafia. E siccome la terminologia stratigrafica ha senso solo se coerente con i principi della Stratigrafia, non ha senso introdurre un termine "pseudo-stratigrafico" che di stratigrafico ha solamente il suffisso nel nome.
Al pari dell'Amorium della mia parodia, l'Antropocene corre il rischio di diventare un brand di moda prima ancora che un potenziale strumento per il progresso della conoscenza. E ciò potrebbe, alla lunga, essere più dannoso che utile, persino per coloro che, in buonissima fede, ritengono che l'uso di questo termine pseudo-stratigrafico possa avere delle positive ricadute per la causa ambientalista ed ecologista. Il punto, purtroppo, è proprio quello: la scienza non può e non deve essere riformata in base a motivazioni ideologiche, anche quando spinte dalle più nobili intenzioni.


03 settembre 2020

Vectaerovenator, un nuovo, enigmatico theropode inglese

Elementi noti di Vectaerovenator (da Barker et al. 2020)


Barker et al. (2020) descrivono alcune vertebre di dinosauro dalla Formazione Ferruginous Sandstone dell'isola di Wight, risalenti a circa 115 milioni di anni fa. I resti di dinosauro europeo, ed in particolare di theropode, di quella età (Aptiano) sono piuttosto rari, e quindi anche la scoperta di pochi elementi ossei (come in questo caso) è significativa.

Le ossa comprendono una serie disarticolata di vertebre non associate, raccolte nella medesima località. Sebbene rinvenute isolate una dall'altra, esse sono interpretabili come parte di un medesimo esemplare per una serie di ragioni:

1. la improbabilità di trovare molti resti di dinosauro in questa formazione composta da sedimenti marini: ciò suggerisce che i resti appartengano ad un singolo animale disarticolato piuttosto che a più animali distinti tutti fossilizzati nel medesimo fondale.

2. l'uniformità di dimensioni, preservazione dei resti e matrice sedimentaria associata.

3. la condivisione di numerosi recessi pneumatici nelle vertebre presacrali, tutti riconducibili ad un teropode particolarmente pneumatizzato.

I resti sono quindi riferiti ad un nuovo taxon, Vectaerovenator inopinatus. 

L'estrema frammentarietà dei resti rende inevitabilmente provvisoria qualsiasi collocazione filogenetica. Usando la mia analisi del 2018 sull'evoluzione del piano corporeo aviano, gli autori collocano l'esemplare in Tetanurae, e valutano alcune posizioni in termini di differenza di eventi evolutivi necessari a descrivere i dati noti: sebbene la posizione più parsimoniosa lo collochi in Megaraptora (e Tyrannosauroidea), la differenza di step per posizioni alternative in Allosauroidea o Megalosauroidea è troppo piccola per poter essere ignorata. 

In attesa di nuovi resti, è quindi saggio considerare Vectaerovenator un Tetanurae incertae sedis.


Bibliografia:

Barker C. et al. 2020. A highly pneumatic ‘mid Cretaceous’ theropod from the British Lower Greensand. Papers in Palaeontology.

27 agosto 2020

"V" come "Teilhard de Chardin"

 

Teilhard de Chardin, il dinosauroide e Jane Badler nel ruolo di "Diana" in V-Visitors



Cosa può legare un gesuita, filosofo e paleontologo della prima metà del XX secolo con la più famosa scultura di zoologia speculativa e con una serie cult degli anni '80?

Se ricordate, 10 anni fa (gasp!) speculai su una ispirazione più o meno diretta della celebre serie tv di fantascienza "V-Visitors" (1983-1985) con il dinosauroide di Russell, pubblicato nel 1982.

Ieri, in un commento su Facebook, il paleontologo Hans Sues ha sottolineato l'influenza del paleontologo e gesuita Teilhard de Chardin (1881-1955), ed in particolare la sua concezione teleologica dell'evoluzione della coscienza, sulle idee evoluzionistiche di Russell in merito alla "inevitabilità" dell'evoluzione dell'autocoscienza, idee che sono alla base dell'ipotesi del dinosauroide come "alternativa cosciente" all'uomo qualora i dinosauri non si fossero estinti.

Un simile nesso non può non affascinare.

25 agosto 2020

Mostri marini giurassici nella laguna di Venezia


(c) Fabio Manucci
(c) Fabio Manucci


In una nota preliminare che sarà pubblicata il prossimo mese, Cau e Bizzarini (2020) descrivono i resti parziali e semi-articolati di un rettile marino da un blocco di Rosso Ammonitico incluso nelle barriere frangiflutti della Laguna di Venezia. Si tratta del secondo caso in cui resti di rettili giurassici sono scoperti in blocchi di pietra usata per le barriere lagunari, dopo la scoperta, una ventina di anni fa, di resti di ittiosauro. 

Questo secondo caso riguarda ossa identificate nel 2008 da un giovane geologo, Flavio Panin, e descritte in via preliminare nello studio pubblicato in questi giorni. Le ossa includono la parte posteriore di un tetto cranico, una vertebra cervicale, alcuni denti e una serie di ossa lunghe di difficile interpretazione. La morfologia del cranio esclude l'attribuzione ai metriorinchidi o agli ittiosauri, ed è compatibile con un plesiosauro pliosauride. Allo stato attuale delle conoscenze, non si può escludere che i resti siano riferibili quindi ad Anguanax.

Ringrazio Flavio Panin per la scoperta e segnalazione alle autorità competenti, ed a Fabrizio Bizzarini per avermi ingaggiato per l'identificazione e descrizione dei resti.


Bibliografia:

Cau A., Bizzarini F. 2020 - Preliminary report of a new pliosaurid specimen (Reptilia, Plesiosauria) from the Rosso Ammonitico Veronese Formation (Middle-Upper Jurassic of Italy). Bollettino della Società Paleontologica Italiana 59: 175-177. doi:10.4435/BSPI.2020.14

 

06 agosto 2020

Billy World 3: Cladominion



Trapelano le prime indiscrezioni sulla trama di Billy e il Clonesauro 6, alias Billy World 3: "Cladominion".
Per una volta, abbiamo almeno una buona notizia, ovvero il ritorno di Alan Grant, quindi di quel mitico attore che è Sam Neill, che noi apprezziamo sempre e in ogni pasta, sia che diriga un radiotelescopio, segua le orme del Capitano Cook, attraversi l'Atlantico con un sottomarino sovietico o vada a salvare bimbiminkia su isole costaricane.
Nell'imminente "BW 3 - Cladominion", in uscita prevista per il prossimo anno, vedremo i nostri protagonisti costruire una macchina del tempo per rimandare i dinosauri indietro nella loro epoca. Ma qualcosa andrà storto, e Alan Grant finirà spedito nel 1870, dove incontrerà il suo bisnonno, Thomas Huxley, con il quale cercherà di rispondere alla domanda se Ornithoscelida fosse stato concepito per essere il nome del nodo "Neotheropoda + Ornithischia" invece che "Dinosauria + Compsognathus"... il resto lo vedrete al cinema.

Sì, la trama è idiota e assurda, ma perlomeno non è una brutta copia di qualche episodio precedente. 

05 agosto 2020

L'inusuale coda di Tethyshadros: un adattamento ad ambienti estremi?


Tethyshadros insularis è il secondo dinosauro mesozoico italiano descritto, ufficialmente battezzato nel 2009 da Fabio Dalla Vecchia. Questo hadrosauroide è molto peculiare, e si discosta dai suoi più celebri parenti asiatici ed americani per una serie di specializzazioni nel cranio, negli arti e nella coda.
La coda, in particolare, è molto inusuale per un iguanodontiano, ed in alcuni elementi ricorda invece un theropode.
Negli anni, ho avuto modo in varie occasioni di discutere con l'amico Fabio Dalla Vecchia proprio di queste curiose caratteristiche nella coda di Tethyshadros. Erano queste caratteristiche semplicemente il prodotto di una bizzarra evoluzione in condizioni di isolamento geografico, oppure furono adattamenti specifici del particolare ambiente carsico nel quale questo dinosauro viveva? Come nel caso di Balaur, vissuto nel medesimo momento in un'altra zona dell'antico arcipelago europeo di fine Cretacico, l'ipotesi della "bizzarria insulare" mi era sempre parsa una "non-spiegazione" ad hoc: se un animale mostra elaborate specializzazioni in più distretti anatomici del suo corpo, è plausibile che essi siano parte di un adattamento funzionale, e non la mera sommatoria di mutazioni casuali fissate in popolazioni ridotte.
In uno studio pubblicato oggi, Dalla Vecchia (2020) descrive nel dettaglio la coda di Tethyshadros, la confronta con quelle degli altri dinosauri (in particolare, iguanodontiani) e ricostruisce l'estensione dei principali muscoli confrontando la sua anatomia con quella dei rettili moderni. 
Tethyshadros risulta dotato di enormi muscoli caudofemorali, i quali, combinati con la coda assottigliata distalmente, le proporzioni delle zampe posteriori e la specializzazione della mano, sono coerenti con uno stile di vita cursorio, con capacità locomotorie sostenute. Inoltre, la morfologia della parte prossimale della coda e dell'ischio implicano un marcato allungamento della parte terminale della zona viscerale e della cloaca, le quali possono indicare un ampliamento dell'intestino e della zona urogenitale. Queste due condizioni potrebbero essere adattamenti ad un ambiente carsico e quindi povero d'acqua superficiale: l'aumento della lunghezza del tratto retto-cloacale è difatti uno dei principali adattamenti per prevenire la disidratazione nei rettili che vivono in ambienti con ridotte disponibilità di acqua.
Penso quindi che sia ragionevole immaginare questo dinosauro italiano come una forma adatta a muoversi a lungo e senza sforzo in condizioni carsiche e/o aride, alla ricerca di cibo relativamente poco ricco d'acqua: il bizzarro mix dei suoi adattamenti estremi risulta quindi coerente con l'ambiente estremo documentato dai livelli fossiliferi della regione peri-adriatica del Cretacico Superiore.


02 agosto 2020

Spinosaurus vs Tyrannosaurus - The Ultimate Truth

Finalmente, ora che disponiamo di un esemplare decentemente completo di Spinosaurus per tentare una stima plausibile delle sue dimensioni, possiamo mettere la parola FINE alla più lunga, accesa, dibattuta, ma, sopratutto, importante * discussione nella storia della paleontologia dei dinosauri.
Chi è più grande tra "Sue" il T.rex e l'esemplare milanese di spinosauride dal Kem Kem?



In lunghezza, con 14 metri e mezzo, vince lo spinosauro. In massa, con nove tonnellate, vince il tirannosauride.
In realtà, questo esito si sapeva già da oltre trenta anni (vedere Paul, 1988), ma questa è un'altra storia...

Bibliografia;
Paul, G.S. (1988) Predatory Dinosaurs of the World. Simon & Schuster, New York. 464 pp.

*sarcasmo

01 agosto 2020

Disparità dimensionale





Uno dei motivi del grande successo di Dromaeosauridae è sicuramente la disparità dimensionale esistente tra le specie di questo gruppo, che permetteva loro di sfruttare una ampia gamma di ambienti e nicchie ecologiche. L'immagine sopra rende bene l'idea più di qualsiasi discorso.

Come riconoscere una pagina web scientifica attendibile?


La rete è una enorme fonte di informazione scientifica. Tuttavia, l'informazione online non è tutta uguale. Il proliferare delle informazioni contraffatte (fake news) e della pseudo-scienza (che si atteggia, nella forma, ad informazione scientifica, ma che nella sostanza non lo è) rende difficile per il lettore poter discriminare le differenti fonti, per separare una conoscenza fondata sul metodo scientifico da quella che è, nella migliore dei casi, propaganda e mistificazione o, nel peggiore dei casi, una truffa.
Come navigare nel mare della pseudoscienza senza restare ammaliato dalle sirene o inabissarsi tra i tentacoli del kraken? La pseudoscienza è un virus che infetta la mente, e come tutti i virus si sconfigge fornendo al lettore gli anticorpi per riconoscere e contrastare i siti di finta scienza. In questo modo, il lettore stesso diventa veicolo per la lotta alla mistificazione, e non solamente un passivo esecutore di una direttiva "dall'alto". Sebbene sia doveroso segnalare ai lettori i siti pseudo-scientifici, affinché li evitino, spiegando loro perché tali pagine siano non solo infondate ma spesso anche dannose, ritengo che sia molto più utile alla causa della scienza formare il lettore affinché sia in grado, in autonomia, di riconoscere la pseudo-scienza quando la incontra.

Ecco quindi una serie di regole, molto semplici, per immunizzarsi dalla pseudo-scienza. Apprenderle ed applicarle non richiedono né una laurea né un dottorato scientifico, poiché si basano su una consapevole combinazione di buon senso e spirito critico, tutti valori che, si spera, ogni cittadino adulto dovrebbe disporre anche con un bagaglio minimo di competenze tecniche.

Come comportarsi quando si naviga online e ci si imbatte in una pagina che fornisce informazioni (anche solo apparentemente) scientifiche? Come riconoscere le fonti affidabili dai ciarlatani?

Regola 1: l'identità degli autori.
Può sembrare banale, ma se gli autori di un sito sono anonimi o celati da pseudonimi, è improbabile che siano fornitori di informazioni scientificamente attendibili. Il motivo è che nessuno scienziato serio si nasconde dietro uno pseudonimo, ma anzi è più che felice di poter associare il suo nome ad un concetto scientifico: sia perché, umanamente, anche lo scienziato ha una sacrosanta vanità e ci tiene ad essere riconosciuto per le proprie opere, ma anche e sopratutto perché buona parte dei modi con cui uno scienziato può ricevere finanziamenti e supporto sia dal pubblico che dal privato è definita della propria produzione scientifica riconosciuta e certificata.
Pertanto, se capitate su una pagina della quale non sia chiaro né identificabile il nome degli autori, è bene dubitare della validità e accuratezza di tale fonte.

Regola 2: il curriculum degli autori.
Il fatto che il sito sia passato indenne alla Regola 1 non lo rende automaticamente attendibile. Avere il nome e cognome degli autori del sito non è immediatamente una prova che la pagina sia una fonte di informazione scientifica valida. Anche in questo caso, è bene fare una piccola ricerca online sulle generalità degli autori, per determinare se essi abbiano una competenza ed esperienza consolidate nel tema di cui parlano online. Ad esempio, se il sito è di astronomia ma nessuno degli autori è un astronomo, non ha mai svolto alcuna ricerca astronomica, non ha alcuna pubblicazione in ambito astronomico, non ha mai collaborato né lavorato con qualche istituto di astronomia, o con qualche centro di divulgazione scientifica associato ad enti di ricerca astronomica, è legittimo dubitare che questi autori abbiano la sufficiente competenza per creare e gestire un sito di astronomia che sia da considerare attendibile.
Chiariamo subito un concetto per evitare fraintendimenti: ovvio che il curriculum da solo non rende qualcuno automaticamente una fonte attendibile di informazione, ma, a maggior ragione, il non fornire alcuna prova della propria esperienza e competenza in quell'ambito ci legittima ad essere scettici verso una pagina gestita da qualcuno che, a parte tale pagina, non pare aver mai lavorato in quel campo. Difatti, per quanto possa sembrare banale, è difficile credere che qualcuno sia un esperto in qualcosa solamente per il fatto che gestisca una pagina online su quel tema. Si presume, piuttosto, che prima di aprire una pagina tematica qualcuno abbia prima acquisito esperienza e conoscenza di quel tema "nel mondo reale". Se non esiste alcuna prova di tale esperienza e competenza "nel concreto", è legittimo mettere in dubbio l'attendibilità di tale pagina.

Corollario delle Regole 1 e 2: un sito attendibile include al suo interno una pagina (o un link che manda a tale pagina) relativa al curriculum dell'autore. Se tale pagina manca, abbiamo motivo per dubitare della qualità dell'autore del sito.

Regola 3: diffidate dei "lupi solitari".
La Scienza è un tessuto vivente, interconnesso ed intricato. Ogni ricercatore è una cellula di tale tessuto, e come ogni cellula vive grazie alle connessioni con le altre cellule e collabora con quelle per mantenere il tessuto vivo ed in crescita. L'idea che possa esistere uno scienziato "autonomo", separato dalla comunità vivente che forma la Scienza, e che per giunta egli sia l'unico gestore di un sapere inaccessibile agli altri, solitario difensore di una "verità" di cui solo egli è il depositario, è del tutto insostenibile. Chi si propone come "lupo solitario" nella Scienza è quindi palesemente un falso scienziato. Diffidate quindi dai siti che si auto-descrivono come "alternativa", "soli contro tutti", perché è molto probabile che siano siti di pseudo-scienza. La Scienza è collettiva, mai isolazionista. Se un sapere è veramente innovativo, si diffonde rapidamente nella comunità scientifica, poiché tutti ne riconoscono i meriti e i benefici. Se una posizione rimane invece isolata, e tanto più si proclama "verità" tanto meno si diffonde, allora è probabile che non sia attendibile sul piano scientifico. La Scienza si basa su un metodo condiviso e ripetibile: è proprio la ripetibilità delle osservazioni e la condivisione dei risultati che produce la comunità scientifica. Chi si tira fuori da tale metodo si tira fuori dalla Scienza, perché nega la validità delle basi stesse dell'universalismo scientifico. 
Pertanto, se un sito descrive sé stesso come una "alternativa" alla scienza "ufficiale", state già navigando nella pseudo-scienza e nella mistificazione. Le parole sono indicative. Per quanto accattivante e avvincente, un sito che usi tale retorica per attirare a sé le simpatie del lettore, sta invece tentando di compensare la propria debolezza sul piano scientifico con argomenti non-scientifici. Non è un caso che, spesso, questi siti "alternativi" siano più interessati ad attaccare sistematicamente il resto della comunità scientifica piuttosto che dedicarsi a portare prove oggettive e verificabili delle proprie argomentazioni. Sovente, questi siti degenerano nel complottismo: per continuare a giustificare il proprio isolamento, difatti, essi devono imbastire una qualche teoria del complotto, per cui la "scienza mainstream" è dipinta come una contorta macchinazione finalizzata a nascondere "la verità" (di cui quel sito è invece promotore), per non ben specificati motivi o interessi di potere. La degenerazione dei siti pseudo-scientifici in siti complottisti è una inevitabile conseguenza della loro incapacità di spiegare il mondo reale con la stessa efficacia e robustezza della "scienza mainstream" da loro osteggiata: più la pseudo-scienza fallisce nello spiegare come funziona il mondo, tanto più deve ricorrere a fantomatici complotti a lei ostili che giustificare il proprio fallimento.
Pertanto, diffidate da un sito che si auto-proclami "verità" in contrapposizione al resto della comunità scientifica, e che imbastisca una serie di teorie di complotto per giustificare la propria incapacità di sostituirsi in modo efficace alla scienza "mainstream": se esso fosse veramente portatore di innovazione scientifica oggettiva, testabile e riproducibile, la scienza stessa sarebbe la prima a promuoverlo e seguirlo.

Concludendo, queste tre regole non sono certamente esaustive e definitive nel riconoscere la pseudo-scienza online, ma forniscono un bagaglio base con il quale applicare quel minimo di spirito critico con cui anche il lettore generico può da solo scremare una grossa percentuale delle informazioni non attendibili. In generale, è bene ricordare che la Scienza è un sistema di connessioni che si alimentano a vicenda, e che è molto improbabile che un singolo sito, in autonomia e isolamento, sia da considerare una fonte attendibile se intorno a sé mantiene (e spesso, alimenta) una netta separazione col resto della comunità scientifica. Risalire alle fonti e alle esperienze degli autori del sito, così come alle loro connessioni col resto del mondo scientifico, è difatti il modo più rapido per capire se e quanto solida sia la credibilità di ciò che viene proposto in quelle pagine.

30 luglio 2020

28 luglio 2020

Twitter e l'Effetto Dunning-Kruger

Non proprio il mio aviale estinto preferito...
Non proprio il mio aviale estinto preferito...


"Ignorance more frequently begets confidence than does knowledge" 
(C. Darwin)

Recentemente, ho rimosso il mio account Twitter.
Era una decisione che stavo maturando da tempo, e che ha trovato nell'ennesimo episodio spiacevolmente inutile la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.

Quel social network ha dei limiti intrinseci dovuti al fatto di essere stato pensato inizialmente come sistema per inviare messaggi molto brevi e concisi, ma che col tempo è diventato il ricettacolo di qualsiasi forma di arrabbiatura sociale e frustrazione polemica. E purtroppo, come altri hanno notato, pare che il social stesso incentivi con la sua logica interna la proliferazione della rabbia e della irrazionalità.

Dato che quel social non mi dava alcunché di positivo rispetto ad altri media, ed anzi era divenuto solamente una fastidiosa perdita di tempo con interlocutori poco o per niente interessanti, ho chiuso il mio account.

Ritengo fondamentale l'argomentazione come base per qualsiasi ragionamento complesso: come ho avuto modo di constatare direttamente, Twitter è il luogo peggiore per sviluppare discorsi argomentati.
Conseguenza inevitabile di come Twitter è strutturato è che qualsivoglia messaggio si voglia riportare là, e che sia appena al di sopra del livello minimo di banalità, esso sarà inevitabilmente frainteso, distorto e strumentalizzato. 
Esiste una vasta popolazione di utenti di Twitter che è a mio avviso eccessivamente emotiva ed irrazionale, capace di trarre motivo di polemica e lamentela da qualsiasi cosa tu possa scrivere. 
Twitter, privilegiando i messaggi brevi e spezzettati, incentiva l'emotività e impedisce l'argomentazione razionale. Non appena tu proverai a esprimere la tua opinione (peggio ancora se argomentata), sarai oggetto di una serie crescente di attacchi e lamentele da parte di qualcuno "sensibile" a qualche elemento da te sottinteso (o presunto tale). E qualsiasi tentativo di argomentare una replica a simili polemiche, spesso del tutto futili ed emotive, risulta frenato e sabotato dalla struttura stessa di Twitter, che ti impone di spezzettare il tuo argomento in frammenti seriali.

Non importa cosa scriverai o come proverai a replicare: ci sarà sempre qualcuno che dalle tue parole troverà motivo per lamentarsi, spesso persino per motivi non pertinenti il tema delle tue parole. E questo attirerà a sua volta nugoli di commenti emotivi e fuori luogo, sempre meno gestibili. 

Se ciò vale in generale, nel caso in cui tu sia portatore di una posizione argomentata e razionalmente strutturata, il risultato è devastante.

Se alla sostanziale emotività del lettore medio unite l'epidemica diffusione dell'Effetto Dunning-Kruger tra i commentatori, il risultato è una bomba deflagrante che non avete alcun modo di arginare. Ogni tentativo di replicare in modo argomentato genera uno stuolo di nuovi commenti emotivi, aggressivo-passivi (il vittimismo come giustificazione è dilagante) e, sopratutto, infondati alla pari dei precedenti.
Il paradosso è che tanto più l'esperto prova a portare argomenti validi a difesa di una posizione, tanto più ottusa e dilagante sarà la reazione dell'opinione più ignorante, la quale si auto-legittima nel nome della "libertà di opinione". 
La marea vi sommerge. Nulla del vostro discorso originale rimane, annacquato da uno tsunami di piagnistei, lamentele, autodifese risentite e frasi fatte.

Per più di un decennio in questo blog ho avuto a che fare con commenti a diversi livelli di professionalità ed emotività, ed ho imparato a gestirli. Nei casi estremi, ho bannato direttamente il commentatore che andava oltre qualsiasi livello di maturità o decenza. Twitter non permette un medesimo arginamento dell'onda emotiva e della marea polemica. In certi casi, la risposta migliore sarebbe l'ironia che raffredda dei toni inutilmente accesi. Purtroppo, pare che su Twitter tutto sia sempre e comunque "serio": il sarcasmo e l'ironia, usate per disinnescare l'eccesso di polemica, sono viste come insulto e mancanza di rispetto (tutto deve essere sempre e comunque pesantemente serioso). Inoltre, purtroppo, l'argomentazione è vista come "elitismo" (quasi che l'ignoranza in ciò di cui si parla sia un valore di cui vantarsi), e questo scatena una seconda ondata di commenti polemici da parte di autoproclamati "guerrieri sociali", una curiosa ibridazione tra il moralismo bigotto e l'estremismo egualitario.

Tutti abbiamo diritto di esprimere la nostra opinione. Ma un'opinione infondata, solo perché viene espressa, non risulta uguale ad una fondata .
Tutti abbiamo diritto a replicare in difesa della propria opinione. Come mai questo diritto viene negato (o accusato di elitismo e arroganza) quando ad esercitarlo è la persona esperta che dimostra con fatti documentati l'infondatezza della posizione altrui? 
Pare che su Twitter si confonda il diritto di replica con il valore della replica: e nel nome del "diritto" si faccia a pezzi qualsivoglia valore e merito, fondamento e argomento.

Alla fine, la sola soluzione sensata e produttiva è stato l'abbandono di quel social network: qualsiasi tentativo di sviluppare una argomentazione in quel luogo è risultato essere solo un circolo vizioso nella polemica inutile e nella pioggia di emotività, ed una perdita di tempo.
Il gioco non vale la candela.

27 luglio 2020

Halszkaraptor era un animale fossorio e scavatore?



Mi segnalano che online (in alcuni forum e social network) circola una ipotesi "alternativa" sull'ecologia di HalszkaraptorSecondo tale ipotesi, la sua anatomia peculiare sarebbe un adattamento per uno stile di vita scavatore e/o fossorio, col quale Halszkaraptor si sarebbe nutrito di piccoli animali nascosti dentro tane e cunicoli.
Secondo tale scenario, Halszkaraptor avrebbe acquisito un'ecologia simile a quella di certe lucertole e serpenti che vivono sotto terra e scavano cunicoli.

Qualsiasi ipotesi morfo-funzionale per dedurre l'ecologia di un animale deve basarsi sul supporto dato, per esempio, dall'esistenza di analoghi nel mondo biologico attuale. Altrimenti, risulta solamente un'idea del tutto speculativa e infondata.
Nel descrivere ed interpretare questo maniraptoro, io ho mostrato che Halszkaraptor si differenzia dagli altri paraviani per una serie di caratteristiche, le quali nelle specie moderne distinguono le forme semi-acquatiche da quelle terricole. Ho inoltre mostrato che, tra gli animali viventi oggi, il peculiare mix di caratteri di Halszkaraptor è condiviso con gli anatidi mergini, i quali sono animali piscivori e nuotatori. Tutte queste considerazioni e analogie tratte dalla biologia quindi concorrono a interpretare Halszkaraptor come un animale semi-acquatico. 

L'ipotesi "fossoria" è ugualmente robusta ed ha dalla sua parte delle prove valide?
Proviamo a ripetere il medesimo approccio col quale ho dedotto lo scenario semi-acquatico per testare se e quanto l'ipotesi fossoria sia compatibile con l'anatomia di Halszkaraptor.

Se confrontiamo gli animali di oggi con adattementi fossori con i loro parenti non-fossori, notiamo una serie di caratteri ricorrenti. Qualora anche Halszkataptor si differenzi dai suoi parenti maniraptori sulla base di analoghe specializzazioni, l'ipotesi fossoria sarebbe da considerare legittima:

Nelle specie fossorie:

1- Il cranio tende ad avere il muso corto e robusto, ed il numero dei denti si riduce. 
Questo NON accade in Halszkaraptor, il cui cranio è dotato di un muso affusolato con il maggior numero di denti premascellari di tutto Dinosauria.

2- Le orbite si riducono e si sviluppano protezioni ossee per proteggere gli occhi dal materiale del suolo che viene spostato durante lo scavo o può cadere dalle pareti del cunicolo.
Questo NON accade in Halszkaraptor, le cui orbite sono molto ampie e le cui ossa postorbitali e suborbitali (che formano il bordo dell'orbita) sono gracili, prive di qualsiasi protezione per gli occhi.

3- Il tetto del cranio si ispessisce e le ossa del neurocranio si fondono per proteggere il cervello da eventuali cedimenti dei cunicoli.
Questo NON accade in Halszkaraptor, il cui neurocranio è del tutto simile ai tipici paraviani.

4- Le ossa del collo e quelle del torace si irrobustiscono e spesso si fondono, per aumentare la resistenza della colonna vertebrale alle sollecitazioni derivanti dallo scavo.
Questo NON accade in Halszkaraptor.

5- Gli arti sono molto tozzi e robusti.
Questo NON accade in Halszkaraptor. L'arto anteriore è relativamente corto, ma non è certo tozzo come si osserva invece negli animali scavatori. La gamba ha le classiche proporzioni dei maniraptori.

6- Nell'arto anteriore, l'avambraccio sviluppa un processo olecranico enorme, su cui si inseriscono gli enormi muscoli estensori dell'avambraccio deputati al movimento di scavo.
Questo NON accade in Halszkaraptor.

7- Nella mano, le dita sono dotate di falangi corte e tozze che terminano in ungueali adatti allo scavo, ampi e bassi in sezione trasversale.
Questo NON accade in Halszkaraptor, le cui mani sono dotate di falangi gracili e gli ungueali sono appiattiti lateralmente, non dorsoventralmente, risultando quindi inadatti allo scavo.

8- Il piede sviluppa adattamenti per lo scavo, in particolare processi flessori prominenti e ungueali ampi e tozzi. 
Questo NON accade in Halszkaraptor.

In conclusione: NESSUNO degli adattamenti tipici degli animali fossori e scavatori è presente in Halszkaraptor. Quale che sia l'ecologia di Halszkaraptor, esso NON era adatto ad uno stile di vita scavatore e fossorio rispetto agli altri maniraptori, e non mostra alcun adattamento tipico degli animali che scavano o penetrano nei cunicoli per vivere o per nutrirsi. L'ipotesi quindi non ha alcun fondamento ed è da rigettare.

16 luglio 2020

Tripod Spinosaurus - Reloaded




Restyling della versione tripode di Spinosaurus con la coda aggiornata.

12 luglio 2020

Il Crocoduck esiste e conferma il legame evolutivo tra uccelli e coccodrilli!



Secondo la propaganda creazionista, se l'evoluzione fosse una teoria valida nel sostenere un legame genealogico tra uccelli e coccodrilli, allora dovremmo aspettarci di trovare animali "ibridi" con caratteristiche di ambo i gruppi. Inutile rimarcare che i dinosauri sono proprio quegli animali: come ho mostrato in innumerevoli post, il modello anatomico dinosauriano (mesozoico) è proprio un mix di caratteri coccodrilliani e aviani.
La retorica creazionista ha persino creato un fantomatico "crocoduck", animale ipotetico e caricaturale, che mescola elementi da anatide con quelli da coccodrillo, usato per ridicolizzare l'evoluzionismo. Ignoriamo per un attimo la complessità della teoria evoluzionistica (quella reale, non la caricatura dipinta dai creazionisti), e accettiamo la sfida lanciata dai creazionisti: se l'evoluzione è vera, allora deve esistere un animale con caratteristiche sia da coccodrillo che da anatra.
Apparentemente, il Creatore deve essere un fervente evoluzionista, dato che ha previsto le assurdità dei creazionisti ed ha messo al mondo il Crocoduck ben 75 milioni di anni prima che Kirk Cameron lo menzionasse: Halszkaraptor
A parte le battute, se l'esistenza di un animale imparentato sia con gli uccelli che con i coccodrilli e che presenta un mix di caratteristiche di entrambi i gruppi costituisse un sostegno all'evoluzionismo (come sostiene il noto ex-attore e fervente creazionista Kirk Cameron), allora Halszkaraptor è il perfetto Crocoduck a sostegno della teoria evoluzionistica!