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23 gennaio 2023

Paleoarte sperimentale

La Paleoarte è l'insieme delle rappresentazioni iconografiche di specie ed ambienti del passato paleontologico. La parola unisce il termine paleo (che rimanda alla paleontologia, quindi alle scienze naturali, quantitative e sperimentali) e arte (che rimanda alla libertà creativa, all'estro e alla maestria dell'esecuzione). 

Le opere di paleoarte sono per me tutte, ed in particolare lo sono quelle realizzate da artisti dall'indiscutibile talento esecutivo, fonte di frustrazione, perché non avremo mai modo di verificare se ciò che hanno rappresentato sia effettivamente una fedele ricostruzione dei soggetti paleontologici.

Qualcuno dirà che comunque la paleontologia sta facendo progressi enormi nell'analisi e interpretazione dei fossili, e che mai come oggi abbiamo un'immagine scientificamente solida delle specie fossili. Sì, è vero, i progressi della paleontologia hanno fornito informazioni che fino a pochi anni fa parevano impossibili da determinare, come la presenza di piumaggio e la stima di alcune (ma non tutte!) le tonalità della pelle di alcune specie, e questo ha permesso ai paleoartisti di raffinare le loro opere, e di aggiungere elementi di "solida oggettività" a dettagli che prima parevano condannati in eterno al puro estro soggettivo dell'artista. Ma ciò non cambia la sostanza: la grande maggioranza dei dettagli di un animale estinto è andata perduta, e noi non potremo mai sapere se e quanto le nostre rappresentazioni si avvicinino all'originale vissuto milioni di anni fa.

Non disponendo di una macchina del tempo, non possiamo andare nel Mesozoico per verificare se il dinosauro da noi illustrato fosse effettivamente con quella postura, con quel tegumento, con quel colore, con quella corporatura, né se il suo occhio fosse acceso, oppure spento, vivo, oppure apatico, freddo, oppure emotivo, feroce oppure ottuso, né possiamo sapere se e come correggere errori che se fossero commessi nell'illustrare un animale vivente considereremmo piuttosto grossolani.

Per un ricercatore con una formazione scientifica come me, questo elemento di "non testabilità" della paleoarte è molto frustrante, specialmente nei casi di opere molto ben eseguite, così dette "accurate" e accattivanti da illuderci di essere "reali". Mi domando, quanto è effettivamente realistica una rappresentazione "iper-realistica"? Esiste un modo per testare il grado di "affidabilità" di una ricostruzione paleoartistica se non abbiamo modo di osservare l'oggetto della rappresentazione?

Ripeto, dal mio punto di vista, tutto questo è molto frustrante. E proprio riflettendo su quello che appare come un limite invalicabile e insuperabile della paleoarte mi sono domandato se sia possibile simulare la paleoarte in modo da "testarne" l'accuratezza in modo indiretto. Ovvero, mi sono chiesto se esista un modo per testare la capacità predittiva e la potenziale accuratezza della paleoarte, un modo che ci permetta di confrontare la ricostruzione con l'oggetto della ricostruzione. Badate bene, questa non è solo una domanda astratta e teorica, perché qualora fosse possibile realizzare questo tipo di "test", ne ricaveremmo un utile strumento per identificare i nostri limiti e per correggere eventuali errori ricorrenti.

Alla fine di questa riflessione, ho realizzato che un modo per testare la paleoarte esiste, ed è molto meno astratto e astruso di quanto si possa pensare: molto semplicemente, se applicassimo l'approccio paleoartistico ad uno scheletro di animale ancora esistente, senza conoscere le fattezze "in vita" dell'animale, avremmo simulato la tecnica paleoartistica e la nostra "qualità paleoartistica" su un soggetto biologico reale, quindi verificabile.

Non potendo chiedere a colleghi paleoartisti di sprecare il loro tempo nello svolgere un simile test, ho deciso di "testarlo" su me stesso. Ovvero, usando me stesso come "cavia paleoartistica" (pur non essendo io un vero paleoartista) ho scelto tre crani di tetrapodi viventi, da un archivio online, senza verificare a quale specie appartengano né cercando foto delle specie in vita. Partendo da queste tre foto di crani, e niente altro, ho realizzato tre ricostruzioni "pseudo-paleoartistiche" di queste specie. Ripeto: mentre realizzavo le ricostruzioni non avevo la minima idea a quali animali le specie appartenessero. Sì, ho colto a grandi linee i gruppi di appartenenza, ma non sono in grado di risalire alle loro specie (cosa che, sospetto, sia competenza solo degli zoologi specializzati proprio su quelle specie). 

Infine, una volta realizzate le "ricostruzioni", ho controllato a quale specie appartenevano i tre crani e ho confrontato le mie opere con le immagini reali di questi animali.

Questi sono i tre crani:

Tre crani di tetrapodi "misteriosi": quale era il loro aspetto in vita? (fonte: Digimorph)


Ecco i risultati:

Il primo cranio appartiene ad uno squamato, Pogona vitticeps


Notare che nella mia ricostruzione ho sottostimato le dimensioni di narice e meato auricolare, e non abbia considerato la possibilità che la pelle fosse "spinosa", mentre ho speculato una colorazione più vistosa di quella reale.


Il secondo appartiene ad un anfibio ceciliano, Typhonectes natans:


Qui devo lamentarmi solo con me stesso, perché pur avendo riconosciuto che l'animale avesse occhi ridotti (come tutti i ceciliani) ho voluto dargli un occhio "funzionale" a differenza dell'occhio vestigiale dell'animale reale. Anche la pelle appare più "rettiliana" che da anfibio. In complesso, ho dato all'animale un aspetto troppo da serpente e poco da anfibio.


Il terzo appartiene ad uno squamato, Rhacodactylus auricolatus:


In questo caso, ho sottostimato le dimensioni del bulbo oculare (e non ho considerato la possibilità di una pupilla verticale), ho immaginato una qualche ornamentazione nasale, ma non ho immaginato le creste della zona postorbitale che danno alla specie il nome "auricolatus", ed ho immaginato una sacca golare inesistente. Come nel primo squamato, ho sottostimato le dimensioni del meato acustico. Notare che anche questo, come l'altro squamato, ha una geometria delle squame differente rispetto all'originale.


Che conclusioni trarne? Mi pare presto per trarre conclusioni. Il numero di "test" è troppo piccolo per fare delle generalizzazioni, ed inoltre tutte le opere sono state realizzate dalla stessa persona (il sottoscritto) quindi non è chiaro quanto di questi risultati sia manifestazione di "bias" personali tipici di Andrea Cau e quanto sia invece una genuina tendenza generale della paleoarte attuale. Ad esempio, la ricostruzione dell'anfibio potrebbe essere in parte "viziata" dal fatto che io non sono abituato a ricostruire anfibi, e quindi tendo più o meno consciamente a "rettilizzare" ogni specie. Cosa sarebbe successo se il test fosse stato svolto da altri?

Sarebbe molto interessante avere altri test, realizzati da altri autori (sia paleoartisti professionisti che non) così da avere un qualche campione diffuso da cui poter ricavare qualche informazione interessante.

Se qualcuno vuole cimentarsi, è benvenuto: vi basta ripetere l'esperimento su voi stessi, ovviamente usando crani di altre specie (e comunque, specie che non possiate associare immediatamente ad un aspetto in vita, altrimenti il risultato sarebbe falsato). L'importante è non barare, non è una gara a chi ricostruisce in modo più corretto, ma piuttosto un modo per individuare eventuali bias ricorrenti nelle nostre rappresentazioni.

20 gennaio 2023

MAKE ORNITHISCHIANS TERRIBLE LIZARDS AGAIN

Parasaurolophus e Triceratops: non come giocattoli pucciosi, ma come Lucertole Terribilmente Grandi


Dinosauria è il Clade che amo. Lì ho le mie pubblicazioni, le mie ricerche, i miei orizzonti. Lì ho imparato, dallo studio e dalla vita, il mio mestiere di paleontologo. Lì ho appreso la passione per il metodo scientifico.

Ho scelto di scendere nel campo paleoartistico e di occuparmi della ricostruzione dei dinosauri perché non voglio vedere una Paleoarte demagogica, soggetta ad interessi economici e ad autori legati a doppio filo con un filone scientificamente e artisticamente fallimentare.

Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho fondato oggi stesso un Movimento dedicato a combattere nel nome della Scienza la Mistificazione.

Dedico dunque il mio ruolo di blogger e di paleontologo per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.

So quel che non voglio e, insieme con i molti appassionati che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze scientifiche e paleoartistiche che sentono il dovere morale di offrire alla Paleontologia una alternativa credibile alla propaganda dei dinomaniaci e dei jurassicparkiani.

La vecchia generazione paleontologica degli anni '70 e '80 è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L'autoaffondamento delle loro iconografie, schiacciate dal peso delle evidenze e da nuovi metodi di analisi, lascia la Paleontologia impreparata e incerta nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a un nuovo Paradigma. Mai come in questo momento la Paleoarte, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare il Sistema.

Il rinnovamento paleoartistico dell'ultimo decennio ha condotto alla scelta di un nuovo sistema di rappresentazione delle specie estinte. Ma affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che al cartello jurassicparkiano si opponga un Movimento che sia capace di attrarre a sé il meglio di una comunità audace, ragionevole, moderna.

Di questo Rinnovamento delle Paleoarte dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali della scienza paleontologica, a partire da quel caposaldo irrinunciabile che è l'Anatomia Comparata, che ha solidamente contribuito alla Gloriosa Prima Età dell'Oro della Paleontologia nell'Ottocento. L'importante è saper proporre anche agli appassionati del Ventunesimo Secolo gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno consentito lo sviluppo della paleoarte prima della degenerazione commerciale.

Quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuna delle iconografie plagiate dalla moda pucciosa e giocattolesca, per quanto riverniciate e riciclate. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe fare eccezione proprio la Nuova Paleoarte. Gli orfani e i nostalgici degli anni '80 e '90, infatti, non sono soltanto impreparati alla gestione della Paleontologia. Portano con sé anche un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con le esigenze di una iconografia che voglia essere accurata in paleontologia e rigorosa in esecuzione.

Le schiere dinomaniacali pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate accurate. Ma non è vero. I loro autori sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nella Scienza, non credono nella ripetibilità dei risultati, non credono nella Documentazione Fossile, non credono nella testabilità degli scenari. Non credono che il paradigma possa migliorare attraverso l'apporto libero di tante personalità tutte diverse l'una dall'altra.

Non sono cambiati. Ascoltateli parlare, guardate i loro video, leggete la loro propaganda. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare la Paleontologia in una piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna.

Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nella Scienza, nella Paleontologia, nella Qualità, nella Coerenza, figlia della formazione e dell'ingegno.

Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo Movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi - ora, subito, prima che sia troppo tardi - è perché sogno, a occhi bene aperti, una Paleoarte Nuova, di paleoartiste e di paleoartisti, dove non ci sia la paura, dove al posto dell'invidia e della competizione stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l'amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la Scienza. I1 movimento paleoartistico che vi propongo si chiama, non a caso, Make Ornithischians Terrible Lizards Again, MOTLA.

Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di paleontologi e di artisti di tipo totalmente nuovo: non l'ennesima community o l'ennesima fazione che nascono per dividere, ma una forza che nasce invece con l'obiettivo opposto; quello di unire, per dare finalmente alla Palaeoarte una coesione e una coerenza all'altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla base di appassionati.

Ciò che vogliamo offrire è una forza paleontologica fatta di soggetti totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla paleoarte è un programma di metodologie fatto solo di principi concreti e comprensibili. Noi vogliamo rinnovare la comunità paleontologica, noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea bellezza e conoscenza, noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide scientifiche e artistiche della Paleontologia Moderna. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, in Paleontologia come in Paleoarte vogliamo un criterio e una professionalità che sappiano dare adeguata dignità al nucleo originario della nostra amata disciplina.

La storia della Paleontologia è ad una svolta. Da paleontologo, da blogger e ora da autore che scende in campo, senza nessuna timidezza ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato, vi dico che è possibile farla finita con una paleoarte di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di ciarlatanate senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di una Paleoarte più giusta, più generosa verso chi ha sete di sapere, più prospera e serena, più moderna ed efficiente protagonista nella Divulgazione e Popolarizzazione della scienza. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i paleoartisti di domani, un Nuovo Miracolo Paleoartistico.



PS: ogni riferimento a Silvio e Donald è puramente casuale.

10 gennaio 2023

Il dinosauro in sé ed il dinosauro in me

 

Tyrannosaurus Osborn 1905 sensu Osborn 1917

Il clamore mediatico sollevato dall'articolo sulla stima del numero dei neuroni telencefalici nei dinosauri è l'ennesimo episodio del "conflitto" esistente tra due diverse visioni dei dinosauri. Questo conflitto contrappone la ricerca del dinosauro in quanto tale (fossile di organismo passato) rispetto alla conferma della propria idea di dinosauro (rappresentazione di come fosse l'organismo passato). Chiamo questo conflitto il dissidio tra il dinosauro in sé ed il dinosauro in me.

Il dinosauro in sé (DIS) è, per definizione, irraggiungibile. Almeno fino alla invenzione della macchina del tempo (quindi, sospetto, mai). Anche se DIS è irraggiungibile, noi possiamo progressivamente avvicinarci a lui, ampliando e raffinando la conoscenza paleontologica. Anzi, è proprio la fiducia nell'esistenza di DIS che ci spinge a continuare la ricerca paleontologica, a migliorare i metodi di indagine, a correggere e raffinare i nostri sistemi teorici e le nostre interpretazioni. L'esistenza ed irraggiungibilità di DIS è anche il motivo per cui non ha senso affezionarsi troppo a questa o quella ipotesi, rappresentazione o concezione legata ai dinosauri, perché esse sono sempre e comunque parziali, incomplete e provvisorie. 

Il dinosauro in me (DIM) è l'idea di dinosauro che ognuno di noi ha nella propria testa. Di fatto, DIM è il dinosauro con cui noi effettivamente facciamo interazione. DIM è il prodotto della nostra particolare conoscenza paleontologica, ma è anche figlio del tempo e del sistema culturale a cui facciamo riferimento per ricostruire ed interpretare la documentazione fossile e la produzione scientifica. DIM è pertanto una creatura mentale e virtuale, non necessariamente legata alla particolare traiettoria che stiamo seguendo in direzione di DIS.

In quanto paleontologo che studia i dinosauri, mi sforzo continuamente di ignorare DIM per puntare unicamente a DIS. Questo perché DIM è, in misura difficilmente determinabile, anche figlio delle particolari inclinazioni della persona in cui si sviluppa. I "bias" di varia natura, sia culturali che personali, incidono nella costruzione di DIM, e non sempre è possibile identificare e distinguere ciò che è allineato alla traiettoria verso DIS da ciò che invece è "extrascientifico". 

Ad esempio, l'attenzione (spesso eccessiva, almeno dal mio punto di vista) verso certi elementi delle ricostruzioni paleoartistiche è sovente una manifestazione del DIM e non è legata alla tensione verso il DIS. Tale attenzione (che non sto qui giudicando, ma solamente riportando) verso dettagli del DIM spesso distoglie l'attenzione dal DIS, dirottando tempo ed energie utili su questioni che non hanno un reale significato paleontologico ma sono, piuttosto, le espressioni della particolare cornice culturale dentro la quale si è costruito il proprio concetto di dinosauro.

Il mio timore è che molti non siano affatto consapevoli della distinzione tra DIS e DIM, e confondano la ricerca del DIS con il consolidare il proprio DIM. Mi domando se e quanto certi "appassionati" continuerebbero ad appassionarsi di paleontologia dei dinosauri se nuove scoperte ci rivelassero che il DIS non può essere in alcun modo il DIM a cui sono legati. Quanto si è disposti a rivedere e persino abbandonare il DIM? Le vecchie (e nuove) bufere online su come ricostruire il piumaggio, le labbra, oppure a collocare filogeneticamente certi cladi, oppure a come interpretare comportamento e metabolismo nei dinosauri, sono la prova che il DIM è molto potente e che spesso è difficile metterlo in discussione o abbandonarlo, persino quando le evidenze scientifiche ci impongono di farlo.

Non voglio sembrare ipocrita: anche io ho un DIM, anche io ho una concezione particolare a cui faccio riferimento, ed anche io potrei essere restio a rivedere il DIM alla luce di nuove scoperte inattese o persino antitetiche al sistema teorico che seguo nei miei studi. Tutti abbiamo un DIM, e nessuno è immune dal suo fascino. L'importante è l'essere consapevoli che il DIM esiste e che, al tempo stesso, è distinto dal DIS. L'importante è essere sempre consapevoli che il DIS è più importante del DIM. Per questo motivo, ho scritto sopra che mi sforzo continuamente di ignorare DIM per puntare unicamente a DIS: non per snobismo o elitismo verso questa o quella idea di DIM, ma proprio perché riconosco che il DIM esiste e non necessariamente è ispirato dalla spinta al DIS, riconosco che la sua attrattiva è potente, e sono consapevole che esso può andare persino contro quello che è il vero obiettivo della paleontologia dei dinosauri: la ricerca del DIS.


07 gennaio 2023

Il dinosauro più intelligente del Mesozoico (senza bisogno del dinosauroide)

Dale Russell era del tutto fuori strada? La realtà supera la fantasia?


Quale era il dinosauro "più intelligente"? No, non è Troodon. E non è nemmeno il famigerato dinosauroide di Russell! Possibile che abbiamo sbagliato tutto nel dibattito sull'intelligenza nei dinosauri? Possibile che la risposta sia altrove, e sia forse persino più esaltante del fantasioso dino-umanoide che ricorre ogni volta che si parla di dinosauri con capacità cognitive sofisticate? 

Parlo di una specie vera, ma che non avreste mai immaginato sotto questa luce.

Ma andiamo per gradi.

Nel mio podcast di ieri, ho commentato lo studio di Herculano-Houzel (2023), nel quale l'autrice propone un nuovo metodo per stimare la densità ed il numero dei neuroni telencefalici nei dinosauri mesozoici, neuroni che, nelle specie dotate di grande cervello (e una peculiare organizzazione del cervello) sono di fatto i responsabili delle capacità cognitive di un animale.

L'autrice mostra che nei theropodi mesozoici il rapporto massa (stimata) del cervello e massa (stimata) del corpo segua il medesimo andamento che si osserva nelle specie di aviani moderni più basali (come galliformi e ratiti), e che da ciò sia possibile calcolare il numero di neuroni telencefalici. In base a questa stima, Tyrannosaurus risulterebbe possedere più di 3 miliardi di neuroni telencefalici, ovvero lo stesso ordine di grandezza di un babbuino. Dato che, sostiene Herculano-Houzel (2023), il numero dei neuroni telencefalici è il vero indicatore delle prestazioni cerebrali (e non la sua relazione con la massa totale dell'animale), l'autrice suggerisce la sconvolgente possibilità che i grandi theropodi, in virtù del loro numero relativamente elevato di neuroni telencefalici, possano aver avuto una "intelligenza" simile a quella dei mammiferi e degli uccelli più "smart".

Immaginare Tyrannosaurus come dotato di un'intelligenza corvina è sicuramente accattivante e sono sicuro sarà il nuovo dogma dei dinomaniaci, ma io continuo a ragionare da paleontologo il più possibile ancorato al terreno e non mi limito a considerare l'intelligenza di un animale solamente in base al numero dei neuroni calcolati. Il numero è importante ma conta anche come sono organizzati tali neuroni.

Come ho commentato nel podcast, anche ammettendo che i calcoli di Herculano-Houzel (2023) siano validi, ciò non implica automaticamente che il gran numero di neuroni telencefalici di Tyrannosaurus fosse usato per elaborare concetti e comportamenti sofisticati. Il neurocranio di Tyrannosaurus ha una organizzazione generale che ricorda molto quello dei coccodrilli, e poco quello degli animali "più intelligenti", come corvi e scimmie. La regione telencefalica è tubolare e ospita un enorme bulbo olfattorio, e non appare riorganizzata per elaborare informazioni più astratte dei classici segnali odorosi. Pertanto, aver calcolato un enorme numero di neuroni telencefalici in Tyrannosaurus conferma la sua eccezionale acutezza olfattiva (già ipotizzata da studi neurologici precedenti) ma non implica alcuna sofisticazione intellettiva.

Modelli digitali della regione endocranica in Majungasaurus (A), Allosaurus (B), Tyrannosaurus (C), Struthiomimus (D), Deinonychus (E), Archaeopteryx (F): notare che la forma della regione telencefalica (indicata con "cer") diventa sempre meno "rettiliana" e tubolare ed assume una forma più globosa e "aviana" tanto più ci avviciniamo filogeneticamente ad Aves. Tyrannosaurus non mostra un telencefalo particolarmente "aviano" e probabilmente aveva solo un enorme sistema di elaborazione del segnale olfattivo "da rettile", ma nessuna speciale sofisticazione cognitiva. Immagine da Witmer e Ridgely (2009).


Ciò significa che, probabilmente, il numero elevato di neuroni telencefalici in queste specie era principalmente legato alle loro specializzazioni sensoriali, in particolare quelle legate al senso dell'olfatto, come accade nella maggioranza dei vertebrati (il telencefalo ospita in origine il sistema olfattivo, e solo in certi gruppi evolve come organo "cognitivo superiore"), ma non implica automaticamente una sofisticazione cognitiva.

Questo significa che lo studio di Herculano-Houzel (2023) è completamente sbagliato? Forse no. Come l'autrice stessa sottolinea nella sua analisi dei dati, non è corretto assumere una singola "traiettoria" cerebrale nei dinosauri: ci sono taxa con cervelli più "rettiliani" e ci sono taxa con cervelli più "aviani", e questo sicuramente si rifletteva anche nelle modalità di processamento delle informazioni. L'autrice ha portato un contributo interessante per capire l'intelligenza dei dinosauri perché ha mostrato che oltre alla organizzazione generale del cervello esisteva anche un secondo fattore che poteva incidere sull'intelligenza dell'animale: le dimensioni assolute del cervello (ovvero, il numero totale di neuroni). Ovvero, a parità di organizzazione generale, il cervello di un dinosauro gigante era "più intelligente" di quello di un dinosauro dello stesso gruppo ma di dimensioni totali inferiori. Questo risultato è analogo a quanto osserviamo negli elefanti, la cui intelligenza è anche legata alle dimensioni assolute dei loro grandi cervelli, nonostante che essi non appartengano ai gruppi di mammiferi con specializzazioni cerebrali superiori (come cetacei e primati).

Pertanto, se volessimo cercare il "dinosauro più intelligente", dovremmo cercarlo tra quelli con l'organizzazione cerebrale più simile a quella aviana ed al tempo stesso aventi le dimensioni assolute maggiori. Ovvero, è nei maniraptoriformi giganti che forse possiamo incontrare qualche dinosauro con capacità cognitive superiori (per la media dei rettili).

Usando i dati presenti in Herculano-Houzel (2023) ho quindi calcolato la relazione tra massa del cervello e massa del corpo nei maniraptoformi (i theropodi con i cervelli più simili a quelli aviani) e usando questa relazione ho calcolato il numero di neuroni telencefalici in Gigantoraptor ed in Deinocheirus: il primo risulta avere 2 miliardi e 700 milioni di neuroni telencefalici, più o meno quanto un babbuino, mentre il secondo risulta averne 3 miliardi e 800 milioni, un valore persino superiore a quelli stimati per Tyrannosaurus, ma con la differenza che in questo caso la componente telencefalica non appare esclusivamente specializzata per l'elaborazione del segnale olfattorio, e potrebbe quindi essere stata deputata anche ad elaborare una qualche forma di "intelligenza".

Se prendiamo queste stime come buone, e assumiamo che il telencefalo dei maniraptoriformi non fosse "rettiliano" come quello di Tyrannosaurus, allora, forse, e lo dico con tutte le virgolette possibili, forse i maniraptori giganti, endotermici, dotati di lunghi arti anteriori, come Deinocheirus e Gigantoraptor, potrebbero essere stati i dinosauri più intelligenti in assoluto. La domanda finale, ovviamente, è: erano capaci di prestazioni cerebrali complesse e sofisticate, forse comparabili a quelle delle specie più "furbe" viventi oggi? Per rispondere a questa domanda, dovremo trovare nuovi fossili, analizzare i calchi endocranici, trovare tracce di sistemi socio-famigliari complessi. Ovvero, continuare a fare ricerca paleontologica e non solo elegante speculazione matematica.

Non vi nascondo che l'idea che Deinocheirus possa essere stato "speciale" anche a livello cognitivo, elevandolo intellettualmente sopra i suoi simili, solleva delle eccitanti considerazioni sull'uso delle sua enormi mani prensili...

Bibiliografia:

Herculano-Houzel S. (2023) Theropod dinosaurs had primate-like numbers of telencephalic neurons. Journal of Comparative Neurology DOI: 10.1002/cne.25453



06 gennaio 2023

Musivavis by Loana Riboli



Apro l'anno con un bel regalo paleoartistico dell'amica Loana Riboli, amica ed illustratrice naturalistica italiana con una peculiare e mai banale produzione paleoartistica. Loana ha realizzato una ricostruzione dell'enantiornite Musivavis amabilis, specie che ho pubblicato lo scorso anno in collaborazione con Wang Xuri.

04 gennaio 2023

Le più frequenti patologie paleoartistiche dei dinosauri

"Prevenire è meglio che curare"

Questi tre anni sono stati la più esplicita dimostrazione di questa massima. La prevenzione si realizza in primo luogo con l'informazione e la consapevolezza. Perché spesso sono comportamenti inconsapevoli, fatti in buona fede e senza alcuna intenzione di diffondere una epidemia, che purtroppo finiscono per fare il gioco del virus.

Apro il 2023 con un post dedicato ad una serie di luoghi comuni iconografici più o meno ripetuti in modo acritico nelle illustrazioni paleontologiche, in particolare relative ai dinosauri. Lo scopo è di dare al lettore una dose di anticorpi per difenderlo dalla quotidiana esposizione ai virus della iconografia pacchiana.

CELLOFANITE

La prima e più nota patologia paleoartistica è la cellofanite, nota in inglese col termine di "shrink-wrapping". La cellofanite consiste nel ridurre al massimo (letteralmente, all'osso) la parte molle dell'animale, che viene rappresentato in forme che rasentano l'apologia dell'anoressia.

La ricostruzione affetta da cellofanite si riconosce per le forme molto affusolate dell'animale, per l'ostentazione di non-ben-specificati fasci muscolari sottocutanei, spesso più o meno appressati alle sottostanti parti scheletriche. La cellofanite ha una causa storica, dato che è una infiammazione cronica del Rinascimento dei Dinosauri insorto negli anni 70. L'eccessiva ossessione nel riprodurre dinosauri dinamici e energeticamente esuberanti ha prodotto fisionomie ed iconografie grottescamente asciutte e fibrose.


SCHELELATRIA

In parte simile alla cellofanite, è un'altra patologia detta schelelatria. Questa è una forma di ansia da prestazione che porta l'artista a mostrare implicitamente la sottostante base scheletrica dalla quale è partito per la ricostruzione. Il motivo di tale ostentazione, del tutto immotivato, è l'idea che se si palesa lo scheletro di riferimento si dimostra di essere un paleoartista scientificamente accurato. La schelelatria quindi è ossessionata dal mostrare il margine osseo di finestre del cranio, di fosse sulle vertebre, l'angolo di attacco delle inserzioni muscolari, e qualsiasi dettaglio che palesi il rigore scheletrico preso come riferimento. Un tipico dinosauro affetto da schelelatria ha una vistosa ornamentazione della testa che corre proprio lungo il margine delle sottostanti finestre del cranio.


TOYPODISMO

Anche questa patologia è simile alla cellofanite, ma a differenza della schelelatria non è ossessionata dalla sottostante struttura scheletrica. Il toypodismo è la patologia che porta la ricostruzione delle zampe ad essere sostanzialmente un diagramma per la realizzazione di un giocattolo snodabile. La spalle mostrano giunzioni per l'aggancio delle braccia, e le cosce sono bordate completamente dal punto di inserimento al corpo. Gomiti e ginocchia sono nodosi come se dovessero occultare gli snodi di un giocattolo. Il toypodismo è il frutto di una carenza di osservazione zoologica ed è legato ad una dieta eccessivamente ricca di modellismo, che porta l'autore a credere che un animale sia un oggetto rigido e modulare, possibilmente di plastica. 




PUBITANESIMO

Affine al toypodismo, poiché prodotta da una eccessiva dose di modellini e giocattoli per bambini prodotti in un'età bigotta fino al ridicolo, è un'altra patologia, più difficile da cogliere ma non per questo meno diffusa: il pubitanesimo. Il pubitanesimo colpisce prettamente i dinosauri e non altri gruppi fossili (ad eccezione, forse, di alcuni pseudosuchi) poiché è una patologia specifica delle specie con ossa pubiche molto allungate e dotate di espansioni distali. Questa patologia porta l'autore (o i suoi committenti) a "censurare" la regione addominale a ridosso dell'estremità del pube. Questa assurda patologia è tutta figlia di logiche di mercato e da paranoie tipiche di questo secolo. L'assurdità di "censurare" l'addome di un animale è accentuata dal fatto che la regione distale del pube non è la zona genitale: come tutti i rettili, difatti, i dinosauri avevano la cloaca e non portavano genitali esterni (o, anche qualora li avessero, sicuramente non erano a livello della parte terminale dell'osso pubico). Inizialmente, il pubitanesimo era una patologia secondaria indotta dal cellofanismo, per poi evolvere a condizione autonoma.


GEOPENTRISMO

Il geopentrismo è un'altra patologia derivata da una infiammazione cronica del Rinascimento dei Dinosauri. Si ritiene che sia causata da patogeni simili a quelli della schelelatria. Il geopentrismo è una forma di ansia patologia che colpisce l'autore dell'opera. Tale ansia impone di mantenersi rigorosamente fedeli ad una concezione della coda il più possibile allineata con uno dei grandi risultati del Rinascimento Dinosauriano, ovvero la postura semi-orizzontale della base della coda, che non era usata come appoggio nella postura bipede. Il geopentrismo, in quanto infiammazione parossistica di una condizione sana, estremizza all'intera coda questa interpretazione e si manifesta con l'impossibilità di toccare il terreno, pena - evidentemente - la morte professionale dell'autore. Il risultato sono posture alquanto ridicole, in cui persino la parte terminale della frustra di una coda di diplodocide, lunga una dozzina di metri, è incapace di avvicinarsi al suolo, quasi che emani un campo antigravitazionale. 


COELOPALATO

Il coelopalato è una patologia che colpisce la zona orale dei rettili fossili, e si ritiene sia provocata da una scarsa premura di comprendere l'interno della bocca di questi animali. Si tratta quindi di una malattia prodotta da una dieta povera di anatomia, e deriva da una assuefazione alla vista laterale dello scheletro (è quindi, spesso, una conseguenza di forme croniche di schelelatria). Conseguenza del coelopalato sono bocche internamente vuote e cavernose del tutto prive di elementi palatali, enormi grotte cave, spesso buie peste nonostante l'animale sia illustrato in pieno giorno.



ENDOFTALMO

L'endoftalmo, detto anche "Morbo di Rexy", è la tendenza a ricostruire la testa dell'animale in modo da accentuare l'incavo della cavità orbitale. Questo morbo si manifesta inoltre con opportuni accorgimenti di colorazione e di chiaro-scuro, volti ad accentuare la profondità della cavità oculare. Questa patologia deriva da una dismorfofobia scatenata da esigenze cinematografiche, che porta l'autore a temere che bulbi oculari troppo esposti sulla testa non rendano l'animale sufficientemente "figo", pauroso, spaventoso e aggressivo. La patologia è accentuata dal fatto che l'animale in cui questa patologia si è manifestata più esplicitamente, il T-rex di Jurassic Park, è una specie dotata di rilievi e mensole sopraorbitali, che in qualche modo esaltano tale aspetto: ciò ha generato, in modo epidemico, l'illusione che quindi il possedere bulbi oculari incassati dentro al cranio sia "la norma", nonostante che coccodrilli, uccelli, tartarughe e la maggioranza dei vertebrati dimostrino il contrario.


ETEROTOPIA OTOTEMPORALE (detta "ETOTO")

Questa patologia paleoartistica è diffusissima, e non si limita ai dinosauri. Essa si manifesta con una localizzazione eterotopica del meato acustico o, quando presente, del padiglione auricolare. In particolare, queste localizzazioni patologiche colpiscono le finestre temporali. La patologia si manifesta in due forme:

Etoto diapside, tipica dei rettili, in cui il meato acustico sbocca dalla finestra infratemporale diapside.

Etoto sinapside, tipica dei sinapsidi, in cui i meati acustici (e i padiglioni auricolari nel caso di mammaliamorfi) sono posizionati sulla finestra temporale sinapside.