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31 ottobre 2008

"Stranezze" del cranio degli Spinosauridi: possibili implicazioni ecologiche

In questo post riprendo ed espando un discorso già trattato su Ultrazionale (vedere link clikkando sul titolo del post): una sintesi dell’anatomia e della funzionalità del cranio degli spinosauri, al fine di determinarne plausibili ecologie. Molto è già stato detto in proposito, e non credo che aggiungerò alcunché di nuovo.

Le analogie tra il cranio dei coccodrilli e degli spinosauri sono evidenti (nella dentatura, soprattutto quella degli spinosaurini, nella morfologia “a rosetta” del rostro, nella presenza di un lungo palato secondario). Tuttavia, spesso tale analogia è espressa in maniera grossolana. Lo studio della Rayfield et al. (2006) è stato molto utile al riguardo, evidenziando come il migliore analogo biomeccanico per Baryonyx non sia il coccodrillo nilotico o l’alligatore, bensì il gaviale. La regione posteriore del cranio (nota in Baryonyx e Irritator) è citata meno spesso a proposito dell’ecologia spinosauride, sebbene, a mio avviso, aggiunga informazioni ed arricchisca ulteriormente lo scenario emerso dalla regione anteriore del cranio. Due aspetti, associati, sono a mio avviso fondamentali.

1- L’angolo lacrimale della fossa antorbitale degli spinosauridi è molto stretto, pari a circa 60° (nella maggioranza dei teropodi, tale angolo è prossimo a 90°). Questo angolo può essere interpretato in più modi, tuttavia, ritengo che la spiegazione più plausibile di tale angolatura sia da cercare nell’inclinazione del lacrimale (e quindi l’asse dorso-ventrale dell’orbita) rispetto alla dentatura. Henderson (2002) ha mostrato che nei teropodi di grande taglia l’asse dorso-ventrale dell’orbita tende a porsi parallelamente all’asse dorso-ventrale dei denti mascellari: ciò è riconducibile alle linee di scarico delle forze durante il morso. Applicando questo ragionamento agli spinosauri, è presumibile che l’angolo antorbitale anomalo rispecchi una marcata inclinazione rostrale dei denti mascellari. Effettivamente, in Spinosaurus si osserva ciò (Dal Sasso et al., 2005).

2- Il basisfenoide degli spinosauri (ed in generale, l’intera base del neurocranio) è molto modificato: il suo asse principale è dorsoventrale (nella maggioranza dei teropodi tale asse è rostro-caudale). Tale carattere è evidente nei due neurocrani spinosauridi noti, in Baryonyx ed in Irritator. Ciò implica che la regione posteriore del cranio si proiettava marcatamente in basso.

Come interpretare questi due dati? Sebbene sembrino due fatti slegati, essi sono invece coerenti: entrambi implicano che la regione postorbitale del cranio era marcatamente inclinata in basso rispetto alla preorbitale. Tale inclinazione può essere interpretata in due modi, a seconda di come posizioniamo il cranio articolato al collo:

Versione A- Il cranio presenta il proprio asse rostro-caudale sub-orizzontale. In tal caso, il punto di attacco con il collo formava con l’occipite un angolo inclinato rostro-dorsalmente (linea verde nella figura sopra).

Versione B- Il cranio presenta il proprio asse rostro-caudale inclinato rostro-ventralmente. In tal caso, il punto di attacco con il collo formava con l’occipite un angolo sub-orizzontale (linea rosa nella figura sotto).

Come espresso in precedenti post, trovo che la seconda interpretazione sia più plausibile perché:

1- Si adatta al probabile asse principale della colonna cervicale, sub-orizzontale o al più lievemente sigmoide, ma non certo inclinata dorsalmente a livello della prima vertebra.

2- Permette di mantenere la bocca costantemente aperta in acqua, senza rischiare l’annegamento: come indicato dalle frecce rossa e verde, in base a questo modello, il flusso dell’aria dalle narici alle coane del palato risulta costantemente sopra il livello dell’acqua.

Tale modello quindi è coerente con le specializzazioni piscivore dedotte dal rostro e dalla dentatura.


Bibliografia:

Dal Sasso, C.; Maganuco, S.; Buffetaut, E.; and Mendez, M.A. 2005. New information on the skull of the enigmatic theropod Spinosaurus, with remarks on its size and affinities. Journal of Vertebrate Paleontology 25:888–896.
Henderson, D.M. 2002. The eyes have it: the size, shape and orientations of theropod orbits as indicators of skull strength and bite force. Journal of Vertebrate Paleontology 22: 766-778.
Rayfield E.J., Milner A.C., Xuan V.B. & Young P.G. 2006 - Functional morphology of spinosaur ‘crocodile-mimic’ dinosaurs. Journal of Vertebrate Paleontology, 26: 892-901.
Sues, H.-D., E. Frey, D. M. Martill, and D. M. Scott. 2002. Irritator challengeri, a spinosaurid (Dinosauria: Theropoda) from the Lower Cretaceous of Brazil.
Journal of Vertebrate Paleontology 22: 535–547.

30 ottobre 2008

Valdoraptor (Lydekker, 1889) Olshevsky, 1991

L'illusione di avere una seppur vaga consapevolezza di cosa sia il Tempo Profondo agisce spesso da filtro interpretativo. La Storia dei teropodi del Cretacico è spesso descritta come una storia di semplici (e quindi false) dicotomie: Laurasia in mano ai Celurosauri, Gondwana in mano ai non-celurosauri (il triumvirato Abelisauroide - Spinosauroide - Carcharodontosauride). Tuttavia, l’interscambio faunistico tra le due sponde della Tetide fu sicuramente molto più variegato di quello che siamo soliti credere. Ciò è particolarmente vero per l’Europa, continente Laurasiatico che per buona parte del Cretacico dovette mantenere attivi scambi con la Gondwanissima Africa.

Ne sono una prova Baryonyx e Neovenator, del Barremiano Inglese, che hanno uno stretto legame con gli spinosauridi ed i carcharodontosauridi africani. Che dire di altri teropodi del Barremiano Inglese? Uno di questi è l’enigmatico Valdoraptor (Lydekker, 1889) Olshevsky, 1991, un teropode basato solamente su un piede incompleto, ma nondimeno diagnostico (Naish & Martill, 2007). L’anatomia di Valdoraptor è molto interessante: il secondo metatarsale è marcatamente compresso trasversalmente e ridotto in lunghezza (non raggiunge l’epifisi distale del terzo), il terzo, al contrario, appare robusto e con le superfici laterale e mediale subparallele che paiono formare dei margini affilati con la superficie craniale. Questa combinazione di caratteristiche, apparentemente aberrante ed inusuale, non è unica di questo genere. Questi tratti sono condivisi con Velocisaurus, Masiakasaurus e Noasaurus.

Valdoraptor potrebbe essere un Noasauride (probabilmente basale, almeno in base alla maggiore robustezza del piede nel genere inglese, condizione più plesiomorfica rispetto a quella nei tre generi gondwaniani citati)? Ciò è possibile, anche se devo ammettere che baso la mia ipotesi solo sulle scarse informazioni ricavabili da Lydekker (1889).

Ad ogni modo, ciò non è improbabile, dato che già Carrano & Sampson (2008) identificano un altro teropode del Cretacico Inferiore Europeo, Genusaurus, come un probabile noasauride (ipotesi che Megamatrice non sostiene, posizionando questo teropode nei Carnotaurini: comunque, in entrambi i casi, Genusaurus è un abelisauroide, quindi l’eventualità di un altro abelisauroide europeo non sarebbe così azzardata).

Mi pare di ricordare che Valdoraptor è in fase di ri-studio... speriamo di avere presto informazioni per testare questa ipotesi preliminare. Se fosse confermata, implicherebbe l’esistenza nell’Inghilterra Barremiana di un’alta disparità* dei teropodi di taglia medio-grande, con un “tetramvirato” Abelisauroide (Valdoraptor) - Spinosauroide (Baryonyx) - Allosauroide (Neovenator) - Tyrannosauroide (Eotyrannus).

Bibliografia:

Carrano M. T. & Sampson S. C., 2008 - The phylogeny of Ceratosauria (Dinosauria: Theropoda). Journal of Systematic Palaeontology, 6(2): 183-236.
Lydekker, 1889 - On the remains and affinities of five genera of Mesozoic reptiles. Q. J. Geol. Soc. London 45: 41-59.
Naish D. & Martill D. M., 2007 - Dinosaurs of Great Britain and the role of the Geological Society of London in their discovery: basal Dinosauria and Saurischia. Journal of the Geological Society, 164: 493–510.
Olshevsky, 1991 - A Revision of the Parainfraclass Archosauria Cope, 1869, Excluding the Advanced Crocodylia.
Mesozoic Meanderings 2: 1-196.

*Disparità, nel senso gouldiano di “variabilità nei livelli tassonomici più alti”, contrapposta a diversità, intesa come “variabilità a livello di specie e generi”.

29 ottobre 2008

28 ottobre 2008

Jurassic Lost World (...Triassic Park II): Salgado et al., 2008

Quello che racconto oggi è tratto dal best seller più venduto alla fine del Giurassico, un romanzo famosissimo dal quale è stato tratto un film campione di incassi, nonché vincitore del Premio Osborn per gli effetti speciali nel Berriasiano. La storia la conoscete sicuramente: una spedizione scientifica raggiunge una regione inesplorata del Sudamerica popolata da animali preistorici che si ritenevano estinti da decine di milioni di anni.

C’è qualcosa che non va in quello che ho scritto?

Partiamo dai dati...

Recentemente, Salgado et al. (2008) hanno descritto una serie di resti ossei provenienti da strati della fine del Giurassico del Cile. Si tratta dei primi resti di dinosauri carnivori tardo-giurassici provenienti dal Sudamerica, e i primi decentemente completi dal Cile. I resti, attribuibili a due specie distinte, sono estremamente interessanti.

Il primo, una serie di dorsali ed una mano incompleta, è un probabile neotetanuro, forse celurosauro: la morfologia della mano è intermedia tra quelle di Allosaurus e di alcuni celurosauri basali.

Il secondo, un ileo, tibia, astragalo-calcagno e piede, non mostra alcuna sinapomorfia di Tetanurae o Ceratosauria. In effetti, per quanto sia chiaramente un saurischio, appare molto più basale di quanto ci aspetteremmo per una forma della fine del Giurassico. L’ileo ha alcuni caratteri derivati (lamina preacetabolare che si proietta cranialmente al peduncolo pubico, ileo laminare, perduncolo pubico allungato) ma nel resto è relativamente basale (corta lama postacetabolare, fossa breve poco sviluppata, ridotta faccetta distale del peduncolo pubico). La tibia ha i malleoli distali subeguali in profondità ed una ridotta sovrapposizione caudale alla fibula. L’astragalo ha i condili proiettati distalmente e non cranialmente, ed un processo ascendente molto ridotto e basso. Il piede è robusto, con i metatarsi poco appressati. Il quarto tarsale distale non si sovrappone completamente al quarto metatarsale. Il quarto metatarsale ha un processo craniale laterale come nei sauropodomorfi e in Herrerasaurus, ed una ridotta espansione cranio-caudale della faccetta prossimale.

Questi dati indicano che questo saurischio cileno è una forma molto basale, morfologicamente più simile a Herrerasaurus ed ai sauropodomorfi basali (come Saturnalia) che ad un neoteropode.

In effetti, l’immissione in Megamatrice avvalora questa interpretazione e produce il notevole risultato di posizionare questo nuovo saurischio all’interno di Herrerasauria, sister-group di Herrerasauridae! Un herrerasauro della fine del Giurassico, vissuto in Cile ben 70 milioni di anni dopo la presunta estinzione degli herrerasauri! I dati stratigrafici e le datazioni confermano l’età Tardo Giurassica dello strato da cui proviene il nuovo saurischio. Tale età è anche confermata dalla presenza dell’altro esemplare, un teropode chiaramente “giurassico”: in effetti, la presenza di questo secondo animale, un neotetanuro, sarebbe molto più anomala da spiegare se lo strato fosse del Triassico.

L’idea che in alcune zone “remote” del Gondwana, come il Cile, si siano preservati dei “relitti di età precedenti” non è nuova (ad esempio, è stata proposta per alcuni teropodi e sinapsidi del Cretacico Medio autraliano, ed è probabilmente la spiegazione per l’esistenza del celurosauro basale Orkoraptor, sopravvissuto fino al Maastrischtiano), né particolarmente azzardata.

Il Cile del Giurassico era un “Mondo Perduto” nel quale vivevano ancora degli animali “prestorici” (per quei tempi)? L’idea è accattivamente e merita di essere approfondita.

Vedremo se ulteriori studi avvaloreranno questa interpretazione. Non ci sono dubbi che il secondo saurischio cileno dello studio di Salgado et al. (2008) non sia un tetanuro, e che molto probabilmente non sia un ceratosauro (tibia e piede non hanno apomorfie di questo clade). Pertanto, anche se nuovi ritrovamenti smentiranno l’attribuzione ad Herrerasauria, non ci sono dubbi che si tratti di una linea evolutiva saurischia originatasi nel Triassico e sopravvissuta per più di 50 milioni di anni dopo l’estinzione dei suoi parenti più prossimi.

Bibliografia:

Salgado L., De la Cruz R., Suarez M., Fernandez M., Gasparini Z., Palma-Heldt S. & Fanning M., 2008 - First Late Jurassic Dinosaur Bones from Chile. Journal of Vertebrate Paleontology, 28: 529-534.

27 ottobre 2008

Combattenti per l'Eternità


Cento milioni di euro fanno davvero gola, e non solo in questi tempi di crisi finanziarie. Tuttavia, e lo dico sinceramente, credo che una tale esagerata mole di denaro sia eccessivamente alta per un singolo individuo (almeno, secondo il mio stile di vita frugale) e non so se porterebbe un reale beneficio al fortunato vincitore di tale somma (ma ammetto che mi accontenterei molto volentieri di mille volte meno). Una tale somma supermilionaria è, probabilmente, commisurata alla probabilità di indovinare un “sei” al Superenalotto. A tal proposito, se il valore di un oggetto è (in parte) inversamente proporzionale alla sua frequenza, penso che esiste almeno un fossile che vale quei cento milioni di euro. Un fossile unico, forse irripetibile, che non ho dubbi nel proclamare l’oggetto naturalistico più straordinario esistente sulla Terra (non so cosa darei per trovarne uno simile...).
Questo post parla dei famosi “Dinosauri Combattenti”, un’associazione fossile di un Protoceratops ed un Velociraptor rinvenuta da una spedizione Polacco-Mongola nel deserto dei Gobi nel 1971. Se non ne avete mai sentito parlare, spero che questo post vi farà conoscere ed apprezzare questo fossile come merita. Nel caso lo conosciate già, mi auguro che la lettura di oggi possa migliorare l’idea che avete di questo reperto unico. (Nota iconografica: il fossile in questione è la base per la tavola che in questo periodo fa da titolo al blog).
I due dinosauri furono rinvenuti in un sedimento di età medio-Campaniana (circa 75-80 milioni di anni) nella Formazione Djadokhta, nel sud della Mongolia. Sebbene sia stata interpretata inizialmente come un sedimento fluviale-lacustre, lo studio sedimentologico del reperto non lascia dubbi sul fatto che la matrice che ingloba i fossili sia una sabbia eolica, una duna fossile.
L’esemplare quasi completo di Velociraptor (GI 100/25), lungo circa 170 cm, giace sdraiato sul fianco destro, quasi parallelamente all’esemplare, meno completo, di Protoceratops (GI 100/512), lungo circa 140 cm, il quale è accucciato al suolo, con il corpo ruotato verso destra e la coda girata sulla sinistra. Buona parte della regione superiore del cranio, la parte distale della coda, gli arti anteriori (ma non le scapole ed i coracoidi) e la gamba sinistra di Protoceratops sono mancanti: mentre per la regione superiore del cranio e l’apice della coda è possibile che l’assenza sia dovuta all’erosione, per gli arti è probabile che essi siano stati rimossi in un momento poco successivo alla morte dell’animale, prima del consolidamento definitivo del sedimento inglobante i corpi.
La testa di Protoceratops fu la prima parte del fossile ad essere scoperta, probabilmente perché esposta in superficie dall’erosione. Il bacino è parzialmente dislocato, mentre la gamba destra è ancora in posizione naturale, piegata al ginocchio e con i piedi appoggiati al suolo: questa postura indica che l’esemplare di Protoceratops era accucciato a terra nel momento della morte. La gabbia toracica ed il cinto pettorale sono collassati a seguito della decomposizione.
L’esemplare di Velociraptor è lievemente inclinato verso il basso, in direzione posteriore. Tale inclinazione probabilmente riflette l’inclinazione originaria al suolo sabbioso nel momento della morte. Il collo dell’animale è piegato fortemente “ad S”, con la superficie ventrale della mandibola che quasi tocca la base del collo. Tale piega del collo è rinvenuta in esemplari mummificati di grandi uccelli olocenici (struzzi, moa), e può darci indizi sulla durata dell’esposizione subaerea del corpo prima del seppellimento definitivo. La lunga coda è piegata nella regione prossimale verso l’alto, mentre il resto della coda è leggermente incurvato: tale differenza di curvatura riflette la presenza vincolante delle lunghissime estensioni dei chevrons e delle prezygapofisi nella regione intermedia della coda tipiche dei dromeosauridi. La gabbia toracica è collassata a seguito della decomposizione, mentre il cranio ha subito solo una minima disarticolazione.
Fin qui, il fossile potrebbe essere niente più che l’ennesimo caso di fossilizzazione di due carcasse di dinosauro, a seguito di eventi geologici che hanno accumulato casualmente i corpi in uno stesso luogo. In effetti, tale fenomeno è diffuso e deve sempre essere preso in considerazione per evitare speculazioni errate su eventuali interazioni in vita tra gli animali fossilizzati. In questo caso, però, le evidenze sono fortemente a favore di una stretta interazione in vita tra i due animali.
L’arto anteriore destro del Velociraptor è serrato tra le mandibole del Protoceratops. Sebbene la parte rostrale del cranio di Protoceratops sia mancante, è chiaro che nel momento della morte le sue mandibole serrassero strettamente l’avambraccio destro del Velociraptor, il quale scorre tra dentale e mascellare del ceratopso appoggiandosi con le dita al lato sinistro del muso. Inoltre, la mano sinistra del teropode è appoggiata al lato destro del cranio del ceratopso, appena rostralmente al corno jugale; mentre la sua gamba destra è proiettata sotto il corpo del Protoceratops. Infine, il piede sinistro di Velociraptor giace a livello della gola del ceratopso, con il terzo ed il quarto dito flessi, mentre il secondo dito è esteso in alto. Questo dito porta il noto secondo unguale ipertrofico e falciforme tipico dei deinonychosauri, che, nel momento della morte, era evidentemente conficcato nel collo del Protoceratops.
In conclusione, i due animali fossilizzati conservano le reciproche posizioni alla morte: Velociraptor tiene strettamente tra le mani la testa di Protoceratops, mentre con il secondo dito del piede sinistro conficca l’unguale falciforme nella gola del ceratopso; Protoceratops tiene serrato tra le mandibole l’avambraccio destro del teropode, mentre con il peso del proprio corpo accucciato sta premendo sulla gamba destra di Velociraptor.
I due corpi sono abbracciati mortalmente da 80 milioni di anni.
Come sono morti i due animali?
Sono state ipotizzate numerose “scene finali” per spiegare questo fossile. Gli studi sedimentologici e tafonomici escludono gli scenari da “sabbie mobili” o “alluvione” o “annegamento”: il contesto ambientale era una distesa sabbiosa, forse il fianco di una duna. Furono uccisi da una frana? Intervenne una tempesta di sabbia? Oppure questi eventi ambientali accaddero successivamente alla morte dei due animali, preservandone i corpi ma non incidendo sulla morte dei due?
Ho provato a ricostruire la morte dei due animali analizzando gli eventi che possiamo osservare nel fossile, ovvero:
A: Alcune parti di Protoceratops sono mancanti, staccate dal corpo.
B: Protoceratops si accuccia al suolo.
C: Protoceratops serra le mandibole sul braccio sinistro di Velociraptor.
D: Velociraptor proietta la gamba destra sotto il corpo di Protoceratops.
E: Velociraptor conficca il secondo unguale del piede sinistro nella gola di Protoceratops.
Questi eventi non possono essere tutti coincidenti nel tempo. Proviamo a discriminarne la sequenza.
Appare chiaro che l’evento A accade per ultimo (e molto tempo dopo gli altri) e che D non può verificarsi dopo B. Quindi, la sequenza D-B-A è il probabile “canovaccio” della vicenda. Dove collocare gli eventi C ed E all’interno del canovaccio? Il numero di possibili sequenze di eventi è 12, esse sono: ECDBA, CDEBA, CDBEA, CEDBA, DCEBA, DECBA, DCBEA, DEBCA, DBECA, DBCEA, EDCBA, EDBCA.
Una di queste descrive meglio delle altre quello che accadde realmente quel lontano giorno del Campaniano. Ma quale?
La mia preferita è CEDBA:
Velociraptor tenta un primo attacco, afferrando con le braccia la testa di Protoceratops. Protoceratops reagisce e serra le mandibole sul braccio sinistro di Velociraptor.
Velociraptor reagisce a sua volta e conficca il secondo unguale del piede sinistro nella gola di Protoceratops. Poi, proietta la gamba destra sotto il corpo di Protoceratops, forse per divincolarsi dalla morsa, oppure per sferrare un secondo colpo.
Protoceratops si accuccia al suolo, forse fiaccato delle ferite, o per proteggersi da un secondo colpo. Così facendo, blocca la gamba destra di Velociraptor.
Protoceratops muore, probabilmente per dissanguamento a livello della ferita al collo. Il rigor mortis mantiene le mandibole serrate sul braccio di Velociraptor, il quale non riesce a divincolarsi dal corpo del ceratopso.
Velociraptor muore (dopo ore? qualche giorno?), probabilmente perché stremato nel tentativo vano di liberarsi dalla morsa e perché dissanguato a seguito della ferita al braccio (un morso di ceratopso capace di tenere serrato un braccio doveva essere estremamente profondo e lacerante).
Il clima, arido e torrido, inizia a disseccare i corpi, in particolare collo e coda di Velociraptor.
Nei giorni successivi, alcuni saprofagi staccano le parti carnose di Protoceratops, in particolare gli arti (l’arto posteriore preservatosi probabilmente era rivolto contro il fianco della duna).
Sopraggiunge una tempesta di sabbia, oppure la duna sabbiosa antistante collassa sui due corpi.
Le gabbie toraciche entrano in decomposizione e collassano sotto il peso della sabbia.
Inizia la fossilizzazione...
Questa è solo una mia ipotesi. Non pretende di essere la spiegazione migliore possibile.
Probabilmente, non si riuscirà mai a ricostruire nel dettaglio la serie precisa di eventi che generò questo fossile: ad ogni modo, esso è già sufficientemente meraviglioso per ciò che può dirci sull’anatomia, l’ecologia e l’etologia di Protoceratops e Velociraptor, e non fa moltissima differenza se riusciremo o meno a discriminare i singoli eventi che l’hanno prodotto.
Conservare un piccolo alone di mistero nei confronti di una delle più vivide testimonianze che ci sono pervenute della feroce bellezza del Mesozoico, non andrà a danneggiare la scienza.
Bibliografia utile ricavabile da:
Carpenter K., 2000 - Evidence of Predatory Behavior by Carnivorous Dinosaurs. Gaia, 15:135-144.

24 ottobre 2008

Ci piace mitologico

Il sondaggio precedente sancisce la vittoria dei suffissi mitologici nei nomi dei generi di teropodi (maggioranza assoluta delle preferenze). In effetti, non posso che aggregarmi, dato che ho battezzato un nuovo teropode riferendomi ad una creatura mitologica. Non è detto che in futuro seguirò sempre questa linea...

Chi ha orecchie per intendere intenda.

I denti di Epidexipteryx


Buona parte del discorso su Scansoriopterygidae, sulla plausibilità dell'ipotesi "Cau-Panzarin" ed altro, lo trovate nel post di inizio mese, linkato nel titolo di questo post.
Qui faccio solo alcune aggiunte su Epidexipteryx Zhang et al., 2008.
La dentatura di Epidexipteryx ha forti analogie con molti tetrapodi insettivori, e ciò è in linea con la taglia dell'animale (femore di circa 50mm). Aspetto interessante, che risolve un dubbio che ebbi con Lukas Panzarin a proposito della dentatura, i denti superiori e inferiori sono arrangiati in modo da permettere una buona occlusione: il più grande dell'arcata inferiore è il primo (quindi la coppia più interna), mentre nell'arcata superiore è il secondo (così che alla chiusura della bocca si crea uno spazio per i più grandi inferiori e non si ha reciproco intralcio tra i denti principali di ambo le arcate).Il fatto che l'arcata premascellare abbia il secondo dente più prominente, e non il primo, può indicare che le similitudini con gli oviraptorosauri basali siano convergenze (in questi ultimi è il primo dente ad essere ipertrofico). I denti sono procumbenti ma privi di seghettature o costrizioni basali, inoltre, non paiono avere la compressione labiolinguale presente in altri neoteropodi (tyrannosauridi e "incisivosauri" in particolare). Questi dettagli possono aiutarci a chiarire il possibile stile alimentare di questi teropodi, o, perlomeno, a scartare alcune ipotesi rispetto ad altre.
Attualmente, la mia interpretazione verte verso l'insettivoria. Speriamo che in futuro emergano altri scansoriopterygidi, così da determinere se e quanto questo clade si sia diffuso. Purtroppo, la taglia e la probabile ecologia arboricola li rende poco propensi alla fossilizzazione.

Bibliografia:
Zhang, F., Zhou, Z., Xu, X., Wang, X. & Sullivan, C. 2008. A bizarre Jurassic maniraptoran from China with elongate ribbon-like feathers. Nature 455, 1105-1108.

Cauguri teropodologici ad un Amico (nonchè collega)

In questi giorni sono molto preso dai miei articoli "veri" (non in rete) e trascuro un po' il blog. In particolare, è giunta la seconda revisione dell'articolo "Indovina Chi estivo..." che sto scrivendo con il Maga (ah... oggi è il tuo compleanno: Auguri, Bestia!), e siamo raggianti: è stato accettato senza riserve! Tuttavia, l'iter per la pubblicazione è ancora in corso... speriamo di pubblicarlo prima possibile! Vedrete, sarà una vera chicca!

Bene, me ne torno ai miei fossili...

23 ottobre 2008

Epidexipteryx!

Alla fine, il fantomatico scansoriopterygide citato all'inizio del mese è stato pubblicato su Nature.
A breve scriverò un nuovo post di aggiornamento ai precedenti.

22 ottobre 2008

Non è Megaraptor tutto ciò che luccica

In questi giorni sono sotto il fuoco incrociato di due progetti. Essi ti intersecano nel nome di Megaraptor. Come ho discusso nel post relativo a questo tetanuro, la posizione filetica (e quindi le interpretazioni derivanti da lei) di questo animale è controversa. Le due posizioni più probabili dibattute sono all’interno di Carcharodontosauridae o di Spinosauroidea.

Megamatrice, che è un insieme di simboli processati da un algoritmo di parsimonia, si limita a calcolare la posizione più probabile sulla base dei dati immessi. I risultati delle analisi oscillano tra le due posizioni citate: a volte risulta un carcharodontosauro basale, altre volte uno spinosauroide basale. Evidentemente, questa instabilità non è risolvibile attualmente con un approccio puramente quantitativo: come insegna D. R. Hofstadter nel celeberrimo “Gödel, Hescher, Bach”, se il metodo M (quello meccanico) non ci permette di risolvere il problema, è buona cosa applicare il metodo U (quello Ulteriore... ebbene sì), ovvero, uscire dal sistema, per osservarlo dall’esterno*.

Credo di aver individuato la falla nel sistema “Megaraptor in Megamatrice”, una falla che non è dovuta al programma filogenetico, al metodo cladistico, né a bizzarrie evolutive di questo teropode.

Megaraptor è noto principalmente per due esemplari (ne esistono altri, ma sono frammentari e non necessari a questo discorso): l’olotipo, MCF-PVPF 79, descritto da Novas nel 1998; e un secondo esemplare, MUCPv 341, descritto da Calvo et al. nel 2004.

L’olotipo (sopra, da Novas, 1998) comprende un’ulna, un primo dito della mano (entrambe le falangi, compreso l’unguale, sebbene nella descrizione preliminare fosse stato identificato come unguale del piede), ed un terzo metatarsale incompleto. L’olotipo è diagnosticato in particolare dalle caratteristiche dell’ulna e del dito della mano. Dato che l’olotipo è l’esemplare che definisce la specie, le caratteristiche diagnostiche certe di Megaraptor sono quelle presenti nell’olotipo, in particolare, quelle diagnostiche presenti nell’ulna e nel dito.

Il secondo esemplare è più completo dell’olotipo, e comprende un avambraccio ed una mano completi, uno scapolocoracoide, una vertebra cervicale, alcune caudali, ed un pube. Tuttavia, va fatto notare subito che questi resti non sono tutti in associazione diretta: la mano e l’avambraccio sono stati trovati in articolazione, mentre lo scapolocoracoide, la cervicale, il pube e le caudali erano a 3 metri dall’avambraccio e dalla mano, verso ovest, mentre un metatarsale IV era a 3,5 metri dall’avambraccio e della mano, ma verso est. Pertanto, sebbene le associazioni siano plausibili, le uniche parti sicure di Megaraptor presenti nel secondo esemplate sono la mano e l’avambraccio: oltre ad essere articolate tra loro, queste parti sono confrontabili direttamente con l’olotipo (e difatti presentano le caratteristiche diagnostiche nell’ulna e nel primo dito tipiche di Megaraptor).

Pertanto, sulla base esclusivamente dei caratteri dell’olotipo e dell’avambraccio+mano del secondo esemplare, Megaraptor è chiaramente uno spinosauroide: la forma dell’olecrano ulnare e l’ipetrofia del primo unguale propendono verso uno stretto legame con Baryonyx e affini.

Al contrario, esiste la possibilità che alcune (se non tutte) delle ossa del secondo esemplare non associate direttamente all’avambraccio ed alla mano non siano di Megaraptor.

In particolare, alcuni caratteri delle vertebre, in particolare la cervicale, sono molto sospetti ed inducono ad attribuirli a Carcharodontosauridae: la forma dei pleurocoeli, le laminazioni accessorie, tra cui un processo iposfenico delle postzigapofisi, sono apomorfie carcharodontosauridi.

Possibile che il secondo esemplare sia una chimera, l’assemblaggio fortuito di ossa sparse di Megaraptor e di un carcharodontosauride, erroneamente ritenute parti del solo Megaraptor? Possibile che questa errata miscela sia la causa delle fluttuzioni persistenti di Megaraptor in Megamatrice? Io penso di sì.

In ogni caso, Megaraptor, definito esclusivamente sulla base delle caratteristiche dell’olotipo, è molto probabilmente uno spinosauroide.

Preferite la versione “carcharodontosaura”? Andate in Patagonia a cercarla...

Bibliografia:

Calvo, J. O., Porfiri, J. D., Veralli, C., Novas, F. & Poblete, F. 2004 Phylogenetic status of Megaraptor namunhuaiquii Novas based on a new specimen from Neuquen, Patagonia, Argentina. Ameghiniana 41, 565–575.

Novas, F. E. 1998 Megaraptor namunhuaiquii, gen. et sp. nov, a large-clawed, Late Cretaceous theropod from Patagonia. Journal of Vertebrate Paleontolology 18, 4–9.

*Questo basti come prova per dimostrare che i cladisti non sono degli acefali fanatici del computer, ma dei naturalisti avvezzi a seguire molteplici strade nella risoluzione dei problemi evoluzionistici.

Da zero a venticinque chili in sette anni... in una parola: Coelophysis!

Al Meeting annuale dell’SVP, tenutosi la settimana scorsa, è stato presentato uno studio popolazionistico preliminare sulla famosa bonebed a Coelophysis (Rinehart et al., 2008). I risultati sono molto interessanti, dandoci molti spunti per comprendere l’ontogenesi e l’ecologia di questo teropode basale.

Le elaborazioni della curva di crescita, basata su un campione di 56 femori, indicano un modello simile a quello dei galliformi attuali, sebbene con diversi tempi di sviluppo. Il massimo tasso di crescita avviene nel primo anno, segno di un rapido metabolismo. Il dimorfismo sessuale si manifesta tra il primo ed il secondo anno (quindi è plausibile che sia la fase di avvio della maturità riproduttiva). Nel morfotipo robusto la crescita accelerata si protrae per un anno in più rispetto al morfotipo gracile. Basandosi sul campione di esemplari articolati, la popolazione della bonebed indica una preponderanza (40% del totale) di esemplari giovanili (massa 2kg e lunghezza 1,4m), una ridotta percentuale di adulti non ancora pienamente maturi (11%, 14kg per 2,7m) ed una scarsa presenza di adulti maturi (2%, 25kg per 3.1m).

Questa dinamica di popolazione è quindi in linea con quanto sappiamo dei dinosauri, ed indica, per l’ennesima volta, un elevato tasso di mortalità giovanile (in questo caso, nei primi due anni), seguito da una lunga aspettativa di vita (ulteriori 4-5 anni) per i pochi individui che sopravvivono a quella fase.

Aspetto interessante dello studio, è stato possibile determinare la variazione allometrica nelle proporzioni corporee dai giovani agli adulti: i giovani Coelophysis avevano, rispetto alle proporzioni degli adulti, cranio più corto ed alto, con orbite più grandi, collo molto più corto, torace più corto, coda più lunga, braccia più corte, mani molto più corte, gambe più lunghe e piedi più larghi. In un ottica “ricapitolazionista”, è plausibile che queste proporzioni giovanili rispecchino più dell’adulto la probabile morfologia ancestrale dei teropodi.

Bibliografia:

Rinehart, L. F., Heckert, A. B., Lucas, S. G., and Celeskey, M. D., 2008. Growth, allometry, and age/size distribution of the Late Triassic theropod Coelophysis bauri: preliminary results. Journal of Vertebrate Paleontology Vol. 28, suppl. to No. 3.

Potete scaricare il pdf del poster dalla pagina linkata nel titolo del post!

17 ottobre 2008

Il più grande teropode di tutti i tempi

L’estrapolazione è una procedura interessante per determinare i limiti di una distribuzione. Tuttavia, i suoi risultati vanno sempre presi con estrema cautela. Essendo elaborazioni di valori numerici di un ambito per speculare su ambiti privi di dati, potrebbero essere corretti nella forma ma completamente inesistenti nella sostanza. Ciò è particolarmente vero quando si vuole determinare l’esistenza di un essere complesso dall’estrapolazione di pochi dati semplici.

Questo post parla di un mio gioco mentale, un calcolo volto ad estrapolare la possibile taglia di un teropode inventato, ma che potrebbe essere realmente esistito, Laeviatanus imperator, il più grande teropode di tutti i tempi.

Ecco, in breve, come ho estrapolato le dimensioni di Laeviatanus (tranquilli, poi dirò pure quanto è grande).

Nel mio database ho le misure di circa 160 femori di specie di teropodi mesozoici (uccelli compresi). Se raggruppiamo le loro lunghezze in “classi di taglia” intervallate di 10cm l’una, vediamo che esse si distribuiscono secondo un classico schema animale, con i picchi di distribuzione verso le taglie piccole e una lunga coda destra delle taglie forti. Come previsto, si nota una tendenza delle taglie maggiori ad avere una minore frequenza nel totale dei dati. Questo dato ci mostra che i teropodi sono animali come tutti gli altri, e che non sono particolarmente aberranti verso dimensioni elevate. Ciò che rende i teropodi un gruppo di successo è l’ampiezza della loro distribuzione, che copre mirabili creature da pochi grammi (i colibrì) a spettacolari giganti di circa 7-8 tonnellate (i grandi tetanuri cretacici). La frequenza sembra seguire una curva logaritmica, ricavabile dalla curva di regressione dei dati. Tale curva logaritmica ha un R2 abbastanza significativo di 0.86 (considerando i dati usati) e potrebbe indicare che, effettivamente, esistono vincoli biomeccanici ed ecosistemici al raggiungimento di taglie elevate. Ma qual è tale limite superiore? Per trovarlo, basta porre il valore della frequenza uguale a zero, e ricavare a quale classe di taglia corrisponda una frequenza nulla. Tale valore sarà il limite massimo di classe di taglia previsto dalla distribuzione. I calcoli pongono tale valore di classe di taglia a 17,5. Dato che le classi di taglia sono numeri naturali, possiamo interpretare tale valore dicendo che non esiste una classe di taglia 18. Quindi, la classe di taglia massima prevista dalla curva è la 17, che corrisponde ad un femore lungo 160 cm. Attualmente, il femore di teropode più grande noto appartiene a Carcharodontosaurus, con 145 cm (classe di taglia = 15), che ci dà una massa stimata sulle 8 t. Un ipotetico femore di 160 cm ci dà una stima della massa (usando la solita formula usata in precedenti post sulle masse) di ben 11 tonnellate!

Questa è l’estrapolazione dei dati numerici sulla base del modello utilizzato.

La domanda è: può esistere un teropode di tale massa? Ed anche ammesso che esso sia teoricamente possibile all’interno delle potenzialità del bauplan teropode, si è mai evoluto effettivamente un tale gigante, che in vita avrebbe dovuto essere lungo tra i 15 ed i 17 metri (a seconda di quale sia il clade al quale lo attribuite)?

So a chi state pensando...

16 ottobre 2008

Troodonti, psittacosauri e sedimenti... una storia tafonomica

La tafonomia (la branca della paleontologia che studia i modi e le condizioni dei processi di fossilizzazione, ed in particolare ricostruisce le modalità che hanno portato alla morte ed al seppellimento dei fossili) è particolarmente utile per determinare il grado di “preservabilità” di determinati caratteri morfologici. L’approccio tafonomico è quindi fondamentale per evitare di confondere l’assenza di un carattere dovuta a fattori di fossilizzazione dall’assenza “reale” di tale carattere nell’animale in vita.
La Formazione Yixian è un caso eloquente, che aiuterà a capire di cosa parlo.
Prendiamo in considerazione due teropodi della Formazione: Mei long e Jinfengopteryx elegans. Entrambi i fossili sono completi ed articolati, ma differiscono per alcuni aspetti. Il primo è stato rinvenuto fossilizzato “in 3D”, ovvero praticamente indeformato, in “posizione di riposo”, e non ha alcuna traccia di tegumento corporeo. Il secondo è fossilizzato “in 2D”, appoggiato su un fianco e compresso praticamente in un unico piano. Inoltre, a differenza del primo, conserva tracce del tegumento esterno, in questo caso un piumaggio tipicamente maniraptoriano, particolarmente evidente lungo la coda, molto simile a quella di Archaeopteryx.
Come interpretare l’assenza di piumaggio in Mei? La sua causa è tafonomica, dovuta alle condizioni di fossilizzazione, oppure è reale?
Valutiamo il fossile sia dal punto di vista tafonomico che filogenetico.
Il sedimento nel quale è preservato Mei è una finissima cenere vulcanica, che si ritiene sia precipitata al suolo a seguito di repidissimi eventi catastrofici di natura vulcanica. Non a caso, il sito da cui proviene Mei è detto “Pompei Cretacica”. La stessa postura del fossile di Mei, più che di riposo, sembra una postura di difesa, simile a quella tipica di molti uccelli, che in condizioni di pericolo si acquattano al suolo nascondendo la testa sotto un ala (il detto: “lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia” deriva da tale comportamento, e nasce dall’errore di non capire che la testa è retratta sotto un ala, e non dentro una buca).
Il sedimento nel quale è preservato Jinfengopteryx è un fango misto a sedimento vulcanico, depositatosi sul fondo di un piccolo bacino lacustre. L’analisi stratigrafica di tali sedimenti ricostruisce tale lago come soggetto a cicliche crisi eutrofiche (ovvero eccessive proliferazioni di alghe che hanno consumato l’ossigeno presente nelle acque, inducendo condizioni anossiche letali per gli organismi ma perfette per la preservazione di parti molli) probabilmente annuali. Il corpo di Jinfengopteryx deve essere strato trasportato dalla corrente sul fondo proprio durante una fase anossica, preservandolo dalla completa decomposizione.
I dati tafonomici ci indicano quindi che i due fossili hanno subito differenti processi di seppellimento. Tale differenza può spiegare l’assenza di tracce tegumentarie in Mei?
Probabilmente sì. Due fattori avvalorano tale interpretazione:
1- I due teropodi sono estremamente simili e tassonomicamente molto vicini. Entrambi sono dei Troodontidae basali (Jinfengopteryx era stato inizialmente interpretato un Archaeopterygidae, tuttavia, la sua morfologia è molto più simile a quella di troodonti quali Mei e Sinovenator. Anche Megamatrice avvalora lo status troodontidae per Jinfengopterx). Pertanto, le differenze nel tegumento preservato non paiono avere una giustificazione filogenetica.
2- Psittacosaurus è stato rinvenuto in entrambi i siti di Jinfengopteryx e di Mei. Nel primo caso, quello associato a Jinfengopteryx, abbiamo gli straordinari Psittacosaurus con tracce di tegumento (spine/pinna?) nella coda. Come per Jinfengopteryx, gli esemplari di Psittacosaurus sono compressi su un lato e mostrano tracce di tegumento. Nel secondo caso, quello associato a Mei, abbiamo l’altrettanto spettacolare caso dell’adulto di Psittacosaurus accompagnato da di una trentina di esemplari giovanili di Psittacosaurus [AGGIORNAMENTO DEL 15 MAGGIO 2013: l'associazione "adulto-giovani" è un falso]. Come per Mei, questi Psittacosaurus sono conservati “in 3D” e non mostrano alcuna traccia di tegumento. Inoltre, aspetto che avvalora lo scenario “alla Pompei”, la disposizione dei giovani Psittacosaurus, assiepati attorno all’adulto, fa pensare che essi si fossero accucciati attorno all’adulto (probabilmente un genitore) per proteggersi da un evento improvviso (probabilmente la stessa pioggia di cenere che li avrebbe uccisi e preservati).
In conclusione, i dati avvalorano l’idea che le differenze nei resti di tegumento in Mei e Jinfengopteryx non siano “reali”, bensì un effetto tafonomico dovuto alle differenti condizioni nelle quali avvenne la preservazione e la conservazione del corpo.

14 ottobre 2008

Galleria degli Antenati - Prima Puntata: Palaeoraptor primus

Ispirato da un recente libro di R. Dawkins, inizio una serie dedicata alla ricostruzione degli ipotetici antenati comuni dei principali gruppi di teropodi. Gli animali che descrivo in questa serie non sono stati scoperti realmente: essi sono delle ipotesi filogenetiche basate sulla distribuzione dei caratteri noti. Ovvero, sono ricostruiti sulla base dei caratteri anatomici che si ritiene siano apparsi proprio in quello stadio dell’evoluzione dei teropodi. Sono ipotesi plausibili, seppur sempre suscettibili di modifica alla luce dei futuri ritrovamenti.

Il primo teropode che vado ad illustrare è il più recente antenato comune di Herrerasauria e Neotheropoda, che qui battezzo “Palaeoraptor primus”. Questa forma basale di teropode, una delle più antiche (sebbene non la più antica possibile) è vissuta nel Triassico Medio, ed era caratterizzata da un’articolazione intramandibolare a metà della mandibola che ne permetteva una maggiore dilatazione laterale, un chiaro adattamento per l’ingestione di prede relativamente voluminose, una maggiore curvatura dei denti rispetto agli altri dinosauriformi (“silesauridi”, ornitischi e sauropodomorfi), l’assenza della costrizione basale dei denti, una seghettatura dei denti più fitta e fine, la perdita del processo coronoide del surangolare, fosse estensorie molto marcate sui metacarpali, l’allungamento della seconda falange del secondo dito della mano, la riduzione del diametro del quarto metacarpale, il quale ora porta solo una falange, ed una regionalizzazione della coda (con la parte distale più rigida). Questi caratteri mostrano che Paleoraptor si differenziò dai suoi antenati, onnivori con tendenze erbivore*, per specializzarsi nella predazione attiva avente anche la mano come parte integrante della predazione. Per ora, Paleoraptor è niente più uno strano dinosauromorfo con aberranti tendenze carnivore, uno strano bipede predatore, probabilmente specializzatosi in qualche nicchia non ancora occupata dagli arcosauri crurotarsi, allora in piena espansione. Tuttavia, questo nuovo predatore, con la combinazione di bipedismo obbligatorio di efficiente marca dinosauriana, il flessibile collo ornitodiro e le nuove specializzazioni predatorie sia mandibolari che appendicolari, si rivelerà il vertebrato terrestre carnivoro di maggiore successo nella storia dell’evoluzione, l’antenato di una stirpe destinata a occupare i vertici delle piramidi ecologiche planetarie per i successivi 170 milioni di anni, e a generare una prole sconfinata e poliedrica di meravigliose macchine di morte, che va da Carnotaurus ad Aquila, passando per Phorusrachos e Spinosaurus, Hesperornis e Utahraptor, senza dimenticare il ritorno all’antica dieta dei dinosauriformi, meno predace ma pur sempre interessante, con Gallimimus, Therizinosaurus, Passer e Colibri.

Nella prossima puntata, il primo Neotheropoda.

*Sebbene si ritenga generalmente che l’alimentazione carnivora sia la condizione primitiva dei rettili diapsidi, arcosauri compresi, le attuali evidenze sembrano indicare che la condizione primitiva di Dinosauria non è l’alimentazione prettamente carnivora tipica dei teropodi, bensì un’onnivoria tendente all’erbivoro. Lo dimostrerebbe il fatto che i tre successivi sister-group di Theropoda (in questa ipotesi comprendente Herrerasauria), ovvero i dinosauri sauropodomorfi, i dinosauri ornitischi ed i dinosauriformi basali “silesauridi”, siano tutti e tre dei gruppi di onnivori-erbivori, dotati di dentature non carnivore, bensì chiaramente inclini all’erbivoria. Anche se non si può escludere che questi tre gruppi abbiano evoluto l’erbivoria indipendentemente l’uno dagli altri, l’ipotesi di un’origine unica dell’erbivoria alla base del nodo “Silesauridi + Dinosauria” (e del successivo ritorno alla carnivoria dei teropodi) è attualmente l’interpretazione più parsimoniosa dei dati a disposizione. Un risultato di tale ipotesi è la presenza di Herrerasauridae e Eoraptor alla base di Theropoda. Questo esempio dimostra come non si debbano speculare storie evolutive sulla base di presunti “principi generali dell’evoluzione” (in questo caso il presunto modello generale in base al quale la carnivoria è primitiva e l’erbivoria è derivata), bensì si debba sempre effettuare un’analisi filogenetica della totalità dei caratteri noti.

13 ottobre 2008

Perché i dati attuali inducono a ribattezzare il "sistema polmonare aviario" come "sistema polmonare saurischio"

Su suggerimento di Leonardo Ambasciano, pubblico sotto forma di mini-post un commento relativo al sistema ventilatorio dei sauropodi, ed al fatto che sia i dati morfologici che quelli filetici convergano nel suggerirci che il sistema ventilatorio di tipo "aviario" basato su sacchi aerei esterni al polmone, il quale sarebbe rigido e posto nella regione cranio-dorsale della gabbia toracica, sia non solo la più probabile interpretazione del sistema polmonare dei sauropodi, ma, sopratutto, l'unico modello polmonare noto tra i vertebrati che possa permettere la particolare anatomia dei sauropodi, composta da gigantismo e estremo allungamento della trachea.


Faccio notare alcuni aspetti del sistema ventilatorio degli uccelli basato su un polmone piccolo e rigido e su sacchi aerei ventilatori (contrapposto al polmone mammaliano/rettiliano che è più ampio e non rigido e privo di sacchi ventilatori) che lo rendono più vantaggioso nel caso di animali giganti con lunghi colli:

1- Col crescere della taglia diminuisce la capacità del polmone mammaliano/rettiliano di ventilare efficacemente mantenendo la giusta pressione interna capace di sostenere la tensione di vapore necessaria allo scambio O2-CO2. Inoltre, il ciclo di espirazione-inspirazione del polmone mammaliano/rettiliano ha un'intrinseca quantità di gas interno al polmone che non viene ricambiata (ciò accade perchè, ovviamente, il polmone si contrae per espellere il gas con CO2 ma non può certo spremersi completamente come un tubetto di dentifricio). Questo effetto indesiderato è aggravato dalla taglia e ancora di più se esiste una lunga trachea. Ora, i sauropodi sono i più grandi animali terrestri ed ANCHE gli animali con le trachee più lunghe. Appare evidente che il loro meccanismo di ventilazione non può essere basato sullo stesso meccanismo di quello di rettili e mammiferi. La presenza nelle vertebre dei sauropodi di recessi pneumatici morfologicamente identici a quelli degli uccelli ha come spiegazione più semplice l'esistenza di sacchi aerei (gli studi di Wedel a proposito sono molto chiari e ve li consiglio, basta cliccare a lato sul link di Sauropod Vertebra Picture of the Week per trovare i link adatti).
L'esistenza di sacchi aerei implica la possibilità di un sistema di ventilazione omologo a quello degli uccelli. Questo è non solo coerente con i dati filogenetici che mostrano i sacchi aerei in tutti i saurischi, ma è anche una soluzione al dilemma di come potesse ventilare il polmone di un animale così grande e con trachee così lunghe senza il rischio di avere un deficit di scambi gassosi fatale: infatti, il sistema polmonare degli uccelli, proprio grazie ai sacchi aerei, NON ha un deficit gassoso: l'intera quantità di gas che entra nel polmone esce al termine del ciclo respiratorio (ricordo che questo non accade in mammiferi e rettili attuali), e ciò perché il polmone è rigido mentre l'aria fluisce al suoi interno pompata con un flusso continuo dai sacchi posti sia anteriormente che posteriormente al polmone stesso.
In conclusione:
il polmone degli uccelli può funzionare molto + efficacemente nello scambio CO2-O2 proprio perché è rigido, e tale rigidità permette il mantenimento di una bassissima tensione di vapore necessaria a garantire scambi molecolari efficaci.
2-il sistema dei sacchi aerei permette di ventilare il polmone senza deficit di gas non-scambiato, ciò è particolarmente vantaggioso per animali di grande taglia e con lunghe trachee.

Pertanto, dato che
A): il sistema aviario con sacchi aerei è il sistema filogeneticamente più prossimo (i sauropodi sono più imparentati con gli uccelli che con coccodrilli e mammiferi, quindi sono il primo modello al quale bisogna cercare di trovare indizi sulla struttura anatomica dei sauropodi... sia chiaro, ciò non è un criterio sufficiente per ricostruire l'anatomia dei dinosauri, ma deve comunque essere preso sempre in considerazione),
B) il sistema aviario basato su sacchi aerei ha delle tracce osteologiche (i pleuroceli vertebrali) presenti nei sauropodi. Tutti gli studi sull'anatomia dei pleuroceli concordano nell'interpretarli di origine polmonare (come escavazioni prodotte dai diverticoli del sistema respiratorio).
c) il sistema aviario risolve tutti i problemi di ventilazione di un animale gigante con collo lungo, sopratutto quei deficit di ventilazioni intrinseci nei sistemi polmonari mammaliano e coccodrilliano che probabilmente sono dei limitatori delle possibilità di gigantismo in quei due gruppi,

si deduce che l'interpretazione più sensata da fare è che I SAUROPODI MOLTO PROBABILMENTE AVEVANO UN SISTEMA VENTILATORIO DI TIPO AVIARIO, BASATO SU UN POLMONE RIGIDO VENTILATO DA UN COMPLESSO SISTEMA DI SACCHI AEREI DORSALI E ADDOMINALI.

Attenzione! Questo discorso non implica necessariamente che i sauropodi avessero tassi metabolici adulti da uccello o altre eccessive "ornitizzazioni" della loro biologia (sebbene gli studi osteologici mostrano un tasso metabolico giovanile da mammifero e uccello...). Questo discorso dice solo che i dati morfologici e fisiologici sostengono e rafforzano una somiglianza anatomica nel meccanismo di ventilazione polmonare tra tutti i saurischi, dai piccioni ai titanosauri.

Nessuno può impedire di immaginare che i sauropodi avessero altri meccanismi, tuttavia faccio notare che:
1- a quale scopo cercare spiegazioni alternative se i dati morfologici e fisiologici mostrano che l'unico polmone di saurischio a noi noto (quello aviario) risolve e spiega proprio le esigenze dei sauropodi?
2- quale alternativa è plausibile? il polmone multicamerato dei coccodrilli? Quello a base diaframmatica dei mammiferi? Possibilissimo, tuttavia, come ho mostrato sopra, questi due sistemi entano in deficit di ventilazione superata una certa taglia e con lunghe trachee (le balene hanno altri sistemi, dato che stanno a lungo in apnea, e non hanno collo... in ogni caso, non sono un buon paragone per animali terrestri).
Inoltre, se i pleuroceli dei saurischi mesozoici non hanno la stessa funzione di quelli dei saurischi attuali, quale spiegazione dobbiamo cercare?

Ovviamente, finchè non saranno date spiegazioni soddisfacenti per queste due obiezioni, io preferisco seguire il modello aviario (che andrebbe più correttamente schiamato "modello saurischio"), che spiega bene i dati noti e non impone di cercare spiegazioni alternative per i sacchi aerei.


Bibliografia utile per approfondire il tema:
-Piiper, J., Scheid, P., 1975. Gas transport efficacy of gills, lungs and skin: theory and experimental data. Respir. Physiol. 23, 209–221.
-Scheid, P., 1982. A model for comparing gas-exchange systems in vertebrates. In: Taylor, C.R., Johansen, K., Bolis, L. (Eds.), A Companion to Animal Physiology. Cambridge University Press, Cambridge, pp. 3–16.
-Claessons, L., 1996. Dinosaur gastralia and their function in respiration. J. Vert. Paleo. 16, 26A.
Claessons, L., 1997. Gastralia. In: Currier, P.J., Padian, K. (Eds.), Encyclopedia of Dinosaurs. Academic Press, San Diego, pp. 269–270.
-Dunker, H.R., 1989. Structural and functional integration across the reptile-bird transition: locomotor and respiratory systems. In: Wake, D.B., Roth, G. (Eds.), Complex Organismal Functions: Integration and Evolution in Vertebrates. Wiley, Chichester, pp. 147–169.
-Perry, S.F., 1992. Gas exchange strategies of reptiles and the origin of the avian lung. In:Wood, S.,Weber, R., Hargens, A., Millard, R. (Eds.),Gas exchange strategies of reptiles and the origin of
the avian lung. Physiological Adaptations in Vertebrates; Respiration, Circulation, and Metabolism. Marcel Dekker, Inc., New York.
-Perry, S.F., 2001. Functional morphology of the reptilian and avian respiratory systems and its implications for theropod dinosaurs. In: Gauthier, J.A., Gall, L.F. (Eds.),Functional morphology of the reptilian and avian respiratory systems and its implications for theropod dinosaurs. New Perspectives on the Origin and Early Evolution of Birds: Proceedings of the International Symposium in Honor of John H. Ostrom. Peabody Museum of Natural History, Yale University, New Haven, pp. 429–441.




10 ottobre 2008

Il Gigantismo, espressione mesozoica del bauplan dinosauriano. Il caso dei teropodi.


In un vecchio post sottolineavo come, apparentemente andando contro l’evidenza, uno studio quantitativo sulla distribuzione della taglia nelle specie di mammiferi ed uccelli, con entrambi i gruppi suddivisi al loro interno tra le categorie eco-morfologiche dei volanti e dei terricoli, mostrasse che in entrambe le categorie eco-morfologiche gli uccelli fossero mediamente e modalmente più grandi dei mammiferi. Un’implicazione di tale risultato è che, probabilmente, il piano di organizzazione corporea degli uccelli (il loro bauplan) è più adatto di quello mammaliano per l’evoluzione di una grande taglia in ambiente terrestre (i mammiferi sembrano meglio strutturati per il gigantismo marino, probabilmente perché gli uccelli, a differenza di mammiferi e squamati, non paiono conformati bene per la viviparità, e quindi devono sempre tornare a terra per riprodursi, con la conseguenza di non poter diventare dei giganti marini). Dato che il bauplan degli uccelli si chiama Theropoda, vediamo se nei teropodi esistono caratteristiche che li rendono intrinsecamente adatti al gigantismo.

Nell’ultimo numero di Science, Sander & Clauss (2008) propongono in maniera estremamente convincente una lista di caratteristiche dei sauropodi che ne spiegherebbero il gigantismo (in questo caso inteso come raggiungimento di dimensioni e masse mai eguagliate dagli altri cladi di vertebrati terrestri erbivori, in particolare mammiferi e ornitischi). Essi fanno notare che almeno uno di questi fattori può spiegare il gigantismo evolutosi anche nei teropodi. In effetti, a parte alcuni grossi mammiferi come Andrewsarchus che potrebbero aver superato la tonnellata di peso (ma le stime in proposito sono contraddittorie), solo alcuni coccodrilli cretacici e cenozoici raggiunsero le dimensioni raggiunte, invece, almeno 4 volte dai teropodi giganti, con almeno 12 metri di lunghezza e oltre 4 tonnellate. Tuttavia, va sottolineato subito, sia i coccodrilli giganti che, probabilmente, Andrewsarchus parrebbero animali con stili di vita anfibi, non esclusivamente terrestri: questo aspetto limita significativamente la validità di comparazioni dirette con i teropodi giganti, i quali sono invece dei bipedi prettamente terrestri (a parte forse un gruppo... ok, non vado oltre...).

Tornando all’articolo di Sander & Clauss (2008), vediamo se e quali dei caratteri citati dagli autori per spiegare l’evoluzione (ed il successo) del gigantismo nei sauropodi possono essere applicati anche per spiegare i casi di gigantismo nei teropodi.

Il gigantismo dei sauropodi non è riconducibile a particolari condizioni ambientali o geografiche mesozoiche, e va cercato in aspetti biologici di questi animali. Analogamente, la presenza di teropodi giganti non pare localizzata a particolari piani geologici, né a specifiche regioni geografiche o a condizioni ambientali, e deve quindi essere ricondotta ad aspetti intrinseci della loro biologia.

I sauropodi giganti si differenziano tra loro per i tipi di dentatura: ciò mostra che la causa del gigantismo non fu un particolare regime alimentare. Analogo discorso può essere fatto tra i teropodi: i tre cladi di teropodi giganti meglio noti (ed oggetto principale di questo post), Carcharodontosauridae, Spinosauridae e Tyrannosauridae, sono estremamente differenti tra loro per il tipo di dentatura: i primi hanno denti marcatamente compressi, fittamente seghettati e muniti di increspature di smalto; i secondi hanno lunghi denti conici con seghettatura vestigiale o assente; i terzi hanno denti espansi labio-lingualmente (“incrassati”).

I sauropodi non svilupparono meccanismi masticatori e pertanto non ebbero l’evoluzione di teste relativamente voluminose (per l’inserzione di muscoli masticatori e batterie dentarie) come invece accadde nei mammiferi e negli ornitischi cerapodi: il mantenimento di una testa relativamente leggera, e, quindi, la possibilità di evolvere colli particolarmente lunghi, fu un adattamento che permise di espandere l’area di foraggiamento da fermo. Nei teropodi giganti si osserva invece l’evoluzione di teste particolarmente voluminose, sebbene non necessariamente pesanti (questo grazie all’espansione delle finestre e alla pneumatizzazione delle ossa), adatte per la cattura e l’ingestione di prede voluminose. I colli, di conseguenza, evolvono un’ampia mobilità e un’ipertrofia dei processi muscolari, ma restano relativamente corte rispetto a molti altri saurischi.

Associato con lo sviluppo di lunghi colli nei sauropodi è un accorgimento nella ventilazione che permetta di scambiare efficacemente l’aria dei polmoni senza avere un deficit respiratorio. Tale accorgimento è probabilmente da individuare nell’evoluzione di un sistema di ventilazione aviario, basato sui sacchi aerei (ne parlo ampiamente in alcuni post della scorsa settimana). La presenza di tali sacchi aerei è dimostrata nei sauropodi dal grado di pneumatizzazione estrema delle vertebre. Oltre ad alleggerire lo scheletro, i sacchi aerei, esattamente come negli uccelli, devono aver avuto un ruolo fondamentale per la termoregolazione, esigenza estremamente pressante in animali di tale massa, costantemente soggetti ad un eccesso termico sia per l’attività muscolare che per i processi di fermentazione digestiva necessari per sopperire all’assenza di masticazione. Da questo punto di vista, il sistema dei sacchi aerei, distribuito all’interno del volume corporeo, è funzionalmente più efficace del sistema di termoregolazione dei mammiferi, basato sugli scambi di calore solo a livello della superficie esterna, e può essere uno dei motivi per i quali i mammiferi non raggiunsero mai taglie paragonabili a quelle dei massimi sauropodi. Esattamente come nei sauropodi, anche i teropodi giganti mostrano di disporre di un complesso sistema di sacchi aerei, che, oltre a fungere da efficiente sistema di termoregolazione, implica un polmone estremamente efficiente negli scambi gassosi (ricordo che, a parità di massa, il polmone aviario ha una superficie interna deputata agli scambi quasi 10 volte maggiore di quella dei mammiferi, nonché un efficienza netta negli scambi gassosi doppia).

L’esistenza di un polmone di tipo aviario ha come conseguenza un’elevata efficienza nel reperimento dell’ossigeno, quindi permette un tasso metabolico elevato e pertanto la possibilità di avere un tasso di crescita molto rapido. Ciò è confermato dallo studio delle sezioni ossee, che mostra tassi di crescita elevati, che permettevano il raggiungimento della taglia adulta (sopra le 15-20 tonnellate) tra il 20° ed il 30° anno di età. L’esistenza di un simile tasso di crescita così accelerato è necessaria per due ragioni: la principale strategia difensiva dei grandi sauropodi è proprio la taglia, strategia che è inutile se tale taglia è raggiunta dopo molti decenni di crescita lenta (durante i quali non si può ancora sfruttare la mole come difesa); inoltre, studi di dinamica di popolazione indicano che una popolazione di individui che impiegano molti decenni per raggiungere la maturità sessuale è esposta particolarmente al rischio di estinzione. Pertanto, solamente l’evoluzione di un tasso di crescita accelerato permette un gigantismo vantaggioso a livello individuale e popolazionale. Gli studi sui tassi di crescita nei teropodi indicano che lo stesso tasso accelerato è responsabile del gigantismo nei dinosauri carnivori. In particolare, è stato dimostrato che Tyrannosaurus non superava gli altri tyrannosauridi nella taglia vivendo più a lungo o estendendo la fase adolescenziale, bensì proprio tramite un processo di accelerazione del tasso di crescita.

Associato al tasso di crescita accelerato, nei sauropodi abbiamo il raggiungimento rapido della maturità sessuale, associata ad un’alta produttività di uova. A differenza dei mammiferi giganti, che sono vincolati dal loro bauplan placentale a generare un numero bassissimo (spesso uno solo) di figli alla volta (spesso dopo lunghe gestazioni di uno o due anni), i nidi dei dinosauri mostrano che anche i sauropodi giganti, come i dinosauri “normali”, producevano nidiate di 20-30 uova per adulto all’anno. Questo dato dimostra che le popolazioni dei dinosauri giganti erano nettamente più prolifiche di quelle dei mammiferi giganti. Tale prolificità, ancora una volta, rende le popolazioni di dinosauri giganti meno esposte ai rischi di estinzione rispetto alle popolazioni di mammiferi giganti (che sono relativamente meno prolifiche e, sopratutto, più lente nel ricambio generazionale). I teropodi giganti mostrano analoghi tassi di riproduzione. Questa alta prolificità annuale ha come necessaria contropartita per mantenere costanti le popolazioni un elevatissimo tasso di mortalità giovanile. Oltre a generare una forte selezione individuale, un tasso così elevato di mortalità giovanile (tipico di tutti i dinosauri) implica che, a parità di individui nati, una popolazione di sauropodi giganti poteva fornire ai predatori un numero di giovani prede molto maggiore di quanto possa fare una popolazione simile di mammiferi giganti. Questo aspetto popolazionale, oltre a fornire una elevata biomassa di prede per i teropodi (giganti compresi) è un fattore che, applicato al caso dei mammiferi (relativamente meno prolifici) deve invece aver ridotto molto la probabilità di evoluzione di mammiferi carnivori giganti, nei confronti dei quali l’apporto di biomassa di prede giovanili (più abbondante e facile da abbattere di quelle adulta) era chiaramente minore che per i teropodi giganti. Ovvero: le popolazioni di mammiferi giganti (sia prede che predatori), nelle quali il tasso riproduttivo è più basso e i giovani sono meno abbondanti che nelle popolazioni di dinosauri, dovevano compensare tale deficit di prole con una maggiore protezione dei giovani, con la conseguenza che tale fonte alimentare era ancora meno accessibile per gli eventuali mammiferi predatori giganti.


Un aspetto che inoltre renderebbe il gigantismo nelle popolazioni di teropodi evolutivamente più vantaggioso di quelle di eventuali mammiferi giganti è, a mio avviso, un’analogia che i teropodi giganti hanno con gli insetti olometaboli. Gli insetti olometaboli, ovvero le forme con ciclo larvale morfologicamente e ecologicamente differente dall’adulto (api, formiche, coleotteri, mosche, farfalle, ecc...), sono il gruppo di animali di maggiore successo sulla Terra. Uno dei fattori del loro successo è la marcata differenza alimentare tra giovani (larve) e adulti, che riduce moltissimo la competizione intraspecifica tra differenti fasi di età e permette ad una stessa specie di avere differenti regimi alimentari a seconda della fase. Osservato da questo inconsueto punto di vista, è evidente che il ciclo biologico dei teropodi giganti è molto più vantaggioso di quello mammaliano. Nei mammiferi i giovani (relativamente più grossi dei giovani teropodi se confrontati ai rispettivi genitori: ricordo che gli esemplari giovanili di Allosaurus pesavano 500-1000 volte meno dell’adulto, contro le “sole” 50 volte meno di un giovane orso) sono alimentati con il latte o con le prede catturate dagli adulti, quindi, in pratica, gli adulti spendono proprie energie per alimentare i giovani, i quali sottraggono risorse alimentari agli adulti. Nei teropodi giganti accade invece che, molto probabilmente, data l’enorme differenza di taglia, giovani ed adulti sfruttassero nicchie alimentari differenti. Esattamente come in molti uccelli terricoli attuali (ad esempio gli struzzi) e nei coccodrilli, è probabile che le cure parentali nei teropodi si limitassero alla sorveglianza per scacciare eventuali predatori della prole: i giovani, precoci e capaci di predare già poco dopo la schiusa, si procuravano il cibo autonomamente, un cibo che sicuramente non rientrava nella sfera alimentare dell’adulto (i giovani predavano invertebrati e microvertebrati, mentre gli adulti predavano vertebrati di taglia medio-grande). Questa ripartizione delle risorse riduceva fortemente l’investimento energetico adulto per i giovani (permettendo, a parità di energie spese, una maggiore prolificità rispetto alla strategia mammaliana) e praticamente annullava la competizione per le risorse tra generazioni differenti, aumentando le fonti alimentari complessive della specie.

In conclusione, appare chiaro che anche per i teropodi il gigantismo diffuso e persistente (abbiamo la prova che per almeno 80 milioni di anni esistettero sempre specie di teropodi sopra le 2 tonnellate, mentre sembra che mammiferi predatori di terraferma di taglia simile, se mai ne esistettero, non perdurarono più di qualche milione di anni, lasciando scarse testimonianze... e ricordo che il record fossile cenozoico è più dettagliato di quello mesozoico, quindi è improbabile che tale scarsità di mammiferi carnivori giganti sia dovuta a imperfezioni della documentazione) sia da ricondurre ad una combinazione vincente di plesiomorfie “rettiliane” (tassi riproduttivi elevati con alta mortalità giovanile, precocità giovanile) associate ad apomorfie saurischie (sistema di ventilazione aviario, termoregolazione efficiente, tassi di crescita accelerati) che permetteva un ricambio generazionale sufficientemente rapido capace di tamponare tutti quei fattori che, invece, devono aver limitato fortemente l’evoluzione delle specie di mammiferi giganti.

Bibliografia:

Sander P.M. & Clauss M., 2008 - Sauropod Gigantism. Science, 322: 200-201.

Il Giorno in cui Megamatrice superò la Massa Critica, raggiunse l'autocoscienza e si autoproclamò "Gregory Paul"

L'analisi di ieri sera di Megamatrice è stata a dir poco esaltante. Con 285 taxa e 1034 caratteri, pensavo che ormai fosse piuttosto stabile nei risultati. Invece... il nuovo risultato dell'Adams consensus con tutti i taxa (frammentari compresi) è significativamente modificato. In particolare:
Eoraptor e gli herrerasauri sono stati scacciati da Theropoda, posizionandosi come saurischi non-eusaurischi. Megaraptor si è ricollocato alla base di Carcharodontosauridae, portandosi dietro Rapator. Tyrannosauroidea è meravigliosamente accurato, sopratutto alla base! Ma ecco la vera chicca: Il nuovo "scansoriopterygidae" non sarebbe uno scansoriopterygidae, bensì... un oviraptorosauro basale! Se così fosse confermato, la presenza di questo taxon alla base di Oviraptorosauria, e di Epidendrosaurus alla base di Paraves implicherebbe che la condizione primitiva di "Paraves + Oviraptorosauria" sia quella di piccoli maniraptori arboricoli! Gregory Paul avrebbe alla fine vinto?
Ho rifatto l'analisi: ed è risultata ancora così... Nel week end farò girare l'analisi per molte ore, così da vedere se sia solo un effetto della RAM o invece il segno che le analisi quantitative si stanno avvicinando alle suggestioni qualitative dei ben noti teorici della neoflightlessness...
In ogni caso, sarà bene attendere la pubblicazione formale del nuovo "scansoriopterygide" per poter codificarlo nel dettaglio e per verificare se questo risultato è effettivamente segno di una svolta nell'interpretazione della distribuzione dei caratteri...
NOTA DEL 13-10-2008: Le analisi più recenti, con l'aggiunta di alcune codifiche, presentano risultati più "tradizionali", in linea con le passate analisi. Ciò, ovviamente, era probabile: Le analisi filogenetiche sono effettuate da un calcolatore elettronico, ma l'interpretazione di tali risultati deve sempre restare l'opera di una mente paleontologica, multidisciplinare, capace di intuire il limite tra grezza elaborazione numerica ed eventuale interpretazione evolutiva. Vedremo in futuro...

Immagine in aggiunta al precedente post


Spero che questa immagine aiuti ulteriormente a capire come sia evoluta l'articolazione tra costole e vertebre nelle dorsali posteriori dei teropodi, e, di conseguenza, come sia variato il grado di mobilità delle costole in funzione dei meccanismi di ventilazione del polmone. Per chiarire, dovete tenere a mente che: nelle vertebre dorsali posizionate più anterioriormente lungo il dorso di quelle qui illustrate, l'asse diapo-parapofisi (linea gialla) è sempre inclinato, e ciò limita fortemente la possibilità di movimento della costola lì articolata, con conseguente rigidità della metà anteriore della gabbia toracica (quella appunto dove si trova il polmone). Come potere vedere, nei teropodi non tetanuri ed in alcuni tetanuri come Mononykus si mantiene un certo grado di mobilità delle coste dorsali più posteriori, evidenziato dall'asse diapo-parapofisi suborizzontale. Al contrario, buona parte dei tetanuri (sopratutto i Neotetanurae) ha l'asse diapo-parapofisi delle vertebre dorsali posteriori inclinato come quelle anteriori: ciò evidenzia l'evoluzione di una gabbia toracica rigida, più simile a ciò che accade con gli uccelli, ed, implicitamente con l'evoluzione di sacchi aerei pelvici e clavicolari, ci porta a ritenere un meccanismo di ventilazione aviario.

09 ottobre 2008

Dà ad Aerosteon quel che è di Aerosteon, e a Majungasaurus quel che è di Majungasaurus

Mi collego a recenti post su Tetrapod Zoology e Sauropod Vertebra Picture of the Week (link permanenti sulla barra laterale), senza entrare nel merito della questione extra-teropodologica. L’articolo su Aerosteon ha pregi e difetti, luci ed ombre. Alla luce di quanto ho letto e riletto in questi giorni, sento il dovere di riparlarne.

Parentesi fuori luogo (ma tant’è, questo è il mio blog e scrivo quel che mi pare)... Come è bizzarra la fossilizzazione! La struttura vertebrale di uno dei più grandi (se non il più grande) e possenti animale di terraferma a noi noto era probabilmente così straordinariamente sintetica ed essenziale nel suo compromesso ingegneristico tra trabecolature ossee e cavità pneumatiche da rendere quelle stesse ossa praticamente impossibili da fossilizzare. Ecco perché “Amphicoeliasfragillimus ha preso tale nome specifico, ed ecco perché ancora si discute se sia reale oppure solo un’errata trascrizione di un articolo di fine ‘800. Mentre vi scrivo, qui davanti a me, tra tastiera e schermo del PC, c’è un fagottino di cellophane che avvolge un nodulo osseo, non più grande di una ciabatta (pane o calzatura, non fa differenza): proprio come una ciabatta (ora sì che va specificato che è di pane che parlo) si può aprire in due, per mostrare il suo contenuto. Dato che è l’oggetto di un articolo scientifico in fieri, non mi dilungherò oltre, anche perché non è un santissimo teropode al quale il blog è devoto. Si tratta di un rettile molto più antico. Tra le caratteristiche di questo fossile, una delle più emozionanti (almeno per me), sono quei 6-7 gastroliti conservati all’interno della gabbia toracica. Assolutamente identici a qualsiasi ciottolo ghiaioso come le migliaia davanti casa, tranne che questi hanno un’età smisuratamente vasta. Milioni di volte più longevi di qualsiasi ciottolo da strada boreoitalica, nonché molto più esotici nella provenienza. E sono lì, immutati ancora più delle costole che li circondano (le quali non hanno più la struttura molecolare organica originaria). Detta questa parentesi su vertebre e costole fossili, torniamo ai teropodi.

Quel pallone gonfiato di Aerosteon ha sollevato un polverone giusto, ma, come si addice a tutti i palloni gonfiati, esagerato. Ovvero, Aerosteon non dovrebbe essere ricordato per ciò che non è. Aerosteon è, almeno finora, la forma di Dinosauromorpha più basale a mostrare tracce inequivocabili dell’esistenza di sacchi pneumatici clavicolari, e inoltre rafforza l’idea, già consolidata da ricerche precedenti, che i sacchi pneumatici addominali fossero presenti in tutti i Ceratosauria e i Tetanurae. Non è il miracoloso nuovo fossile che apre prospettive prima ritenute insondabili. Perché dico ciò? Perché continuo a vedere in rete discorsi di serie B su Aerosteon (a parte le vere bufale di battitura come quella che cito in Ultrazionale...), discorsi, purtroppo, dovuti al modo stesso con qui l’articolo è stato esposto e divulgato. Ciò è già stato detto egregiamente in altre sedi, tuttavia, dubito che in ambito italiano ci sia un altro luogo oltre a questo blog dove simili dettagli verranno mai esposti (la maggioranza si limita a copia-incollare le traduzioni fatte da altri su lavori esteri).

In sintesi: è errato ritenere che Aerosteon sia la prova fondamentale, prima e decisiva dell’ipotesi che i sacchi aerei accessori al polmone fossero presenti nei teropodi non-neorniti. Ciò è errato perché:

L’esistenza dei recessi nelle vertebre dorsali posteriori, sacrali e caudali, nota in numerosi teropodi da decenni, era già stata dimostrata essere l’evidenza di un sistema di sacchi addominali omologo a quello aviario già da alcuni anni, ad esempio con gli studi di O’Connor & Claessens (2005) e O’Connor (2006). In quelli studi è stato dimostrato che:

1- I recessi pneumatici presenti nelle vertebre dei dinosauri sono omologhi nella struttura e distribuzione ai recessi vertebrali degli uccelli attuali, e pertanto devono avere la stessa origine morfologica: ovvero, sono escavazioni prodotte dai sacchi aerei, e non sono di natura vascolare o adiposa.

2- Negli uccelli attuali, i sacchi cervicali (che, ricordo, a differenza dei sacchi addominali e clavicolari non fanno parte del sistema ventilatorio polmonare) non raggiungono mai la parte posteriore della colonna vertebrale, posta caudalmente ai polmoni (l’articolo di Sereno et al., 2008, basandosi su studi anatomici falsificati da O’Connor & Claessens, 2005, afferma erroneamente che tutti i recessi vertebrali, anche quelli più posteriori, siano prodotti dai sacchi cervicali).

3- La presenza di recessi vertebrali nelle dorsali posteriori, sacrali e caudali negli uccelli è dovuta esclusivamente ai sacchi addominali.

Pertanto, data l’esistenza di recessi vertebrali posteriori nei teropodi, si deve dedurre che l’esistenza di sacchi aerei addominali aventi la funzione di ventilare il polmone è una caratteristica di tutti i Ceratosauria e Tetanurae (qualsiasi altra spiegazione sull’esistenza di tali recessi vertebrali è meno parsimoniosa, in quanto richiede ipotesi meno in linea coi dati anatomici e zoologici), e ciò era evidente ben prima di Aerosteon.

Aerosteon dimostra “solo” che anche i sacchi clavicolari (ovvero la componente craniale del sistema dei sacchi ventilatori) erano presenti tra i teropodi non-neorniti, in questo caso almeno tra i Neotetanurae.

Questa precisazione non altera il modello del “compromesso anatomico” che ho proposto qualche post fa per spiegare le differenze nel grado di atrofia dell’arto anteriore tra Carnotaurinae, Tyrannosauridae e Mononykinae. Anzi, se, come appare probabile, il sistema ventilatorio polmonare addominale era presente anche in Abelisauridae, allora diventa più semplice spiegare perché proprio in quel taxon si abbia la massima capacità di espansione della parte posteriore della gabbia toracica (sopra, nel grafico, spiego come si deduce la mobilità delle costole, dovete immaginare che la costola ruoti attorno all’asse giallo: è evidente che la massima mobilità si avrà quando l’asse giallo è orizzontale, perché così la costola ruota su un piano verticale. Immagini delle vertebre modificate da O’Connor, 2007): a differenza dei Neotetanurae, in Abelisauridae potrebbe non essere stato presente il sistema dei sacchi clavicolari, e quindi la ventilazione del polmone poteva essere diretta solo dai sacchi addominali, i quali erano pompati proprio dalle coste dorsali più posteriori (che appunto dovevano essere quelle più mobili).

Pertanto, il modello del compromesso anatomico ha come conseguenza plausibile che nei teropodi basali e in quelli derivati con ridotti arti anteriori (quindi con minore vincolo dai muscoli legati all’arto anteriore) ci sia un potenziamento del pompaggio dei sacchi addominali operato dall’articolazione orizzontale tra costole e vertebre dorsali (non rifaccio tutto il ragionamento: se vi interessa, vi rimando al post apposta).

Ma perché non l’ho ricordato prima? Esiste un clade di tetanuri con un’inclinazione dell’asse di rotazione delle costole dorsali, per giunta non solo quelle più posteriori, simile ai ceratosauri ed agli altri teropodi basali: è proprio Mononykinae! Può essere un caso che il massimo grado di mobilità delle costole dorsali tra i tetanuri si ritrovi proprio nel gruppo con gli arti anteriori più ridotti?

PS: è questo il bello delle anatomie fossili: per trovare un senso sinteticamente soddisfacente bisogna valutare decine di fattori apparentemente slegati, spesso poco considerati, come angoli vertebrali, gradi di pneumatizzazione e chissà cos’altro...

Bibliografia (tutta scaricabile gratuitamente):

O’Connor, P.M. 2006. Postcranial pneumaticity: an evaluation of soft-tissue influences on the postcranial skeleton and the reconstruction of pulmonary anatomy in archosaurs. Journal of Morphology 267:1199-1226.

O’Connor, P.M. 2007. The postcranial axial skeleton of Majungasaurus crenatissimus (Theropoda: Abelisauridae) from the Late Cretaceous of Madagascar. Journal of Vertebrate Paleontology Memoir Series, Vol. 27 (Suppl. 2):127-162.

O’Connor, P.M., and Claessens, L.P.A.M. 2005. Basic avian pulmonary design and flow-through ventilation in non-avian theropod dinosaurs. Nature 436:253-256.

Sereno, P.C., Martinez, R.N., Wilson, J.A., Varricchio, D.J., Alcober, O.A., Larsson, H.C.E. 2008. Evidence for avian intrathoracic air sacs in a new predatory dinosaur from Argentina. PLoS ONE 3(9): e3303. doi:10.1371/journal.pone.0003303