Ripropongo un vecchio post, aggiornato.
Se
la bellezza è nella totalità di un sistema, la conoscenza sta nei
dettagli. Conoscere e ricostruire l’ecologia di un insieme di ossa
fossili, com’è qualunque theropode mesozoico, passa dall’analisi
dettagliata delle sue caratteristiche. Non crediate che basti guardare
la forma di un muso o la proporzione di una mascella per aver
individuato la sua funzione. Troppe volte leggo di spinosauri assimilati
a coccodrilli, abelisauri a iene, o dromeosauri a lupi... ed ogni volta
mi chiedo perché si inventino proprio queste analogie, quando altre,
ugualmente valide, non vengono nemmeno citate (spinosauri e aironi,
abelisauri e serpenti, dromaeosauri e casuari, per esempio, sono
ugualmente valide e significative... se proprio non potete fare a meno
di cercare analogie moderne). Come ho ripetuto spesso in questo blog, la
semplice somiglianza tra alcuni tratti generali esistente tra un
theropode ed un vertebrato attuale non è una prova automatica di
analogia funzionale.
Oggi
parlerò di un tratto spesso citato come sinapomorfia dei Theropodi
all’interno dei dinosauri, e delle sue varianti più estreme: il giunto
intramandibolare. L’immagine in alto aiuterà a districarvi tra i nomi di ossa
mandibolari. Abbiamo tre mandibole di theropodi, in vista mediale
(ovvero, interna): Monolophosaurus, Majungasaurus e Tarbosaurus.
In tutti e tre i casi, la mandibola è divisibile in due distretti: uno
anteriore (rosso) comprendente il dentale, il sopradentale e lo
spleniale; ed uno posteriore (giallo) comprendente le restanti ossa, in
particolare, il coronoide, il surangolare, l’angolare ed il
prearticolare. Ricordatevi bene questi nomi, ed in particolare, il
sopradentale (nella zona rossa) ed il coronoide (nella zona gialla).
Nei
neotheropodi esiste una complessa serie di giunture mobili tra la zona
rossa e la gialla, detta “giunto intramandibolare”. Questo giunto esiste
anche negli herrerasauri (Sereno & Novas, 1993), ma dato che ha una
forma differente da quello neotheropode, non è chiaro se sia omologo
oppure acquisito per convergenza. La funzione di questo giunto è di
aumentare la mobilità relativa tra la zona rossa e la gialla. In
particolare, il giunto permette una parziale mobilità mediolaterale
della zona rossa, che pertanto è in grado di dilatarsi rispetto alla
gialla. Dato che nella maggioranza dei theropodi la sinfisi rostrale
della mandibola non è fusa, ma è basata su un legamento, ne risulta una
relativa capacità di dilatare la mandibola durante il morso. Questa
caratteristica permette quindi di variare il volume della mandibola per
ingerire prede relativamente voluminose. Un giunto analogo è presente
negli squamati attuali, come lucertole e sopratutto nei serpenti, dove
si è evoluto al massimo per permettere l’ingestione delle prede.
Non tutti i theropodi hanno il giunto mandibolare sviluppato nello stesso modo. La condizione in Monolophosaurus (Currie & Zhao, 1993) si può considerare “classica”, presente in molti altri taxa, come Dilophosaurus, i dromaeosauri e gli allosauroidi.
La condizione in Majungasaurus (ed
in tutti gli abelisauroidi noti) rappresenta l’evoluzione estrema della
mobilità del giunto intramandibolare. Analogamente come nei serpenti,
le superfici articolari tra la zona rossa e la gialla sono ridotte al
minimo, e la finestra mandibolare esterna (non visibile in queste
immagini) è molto ampia. Il risultato è un morso facilmente dilatabile,
ma relativamente debole come potenza. Pertanto, è plausibile che la
mandibola degli abelisauri fosse molto efficace per afferrare ed
adattarsi a prede intere relativamente voluminose, ma che nel complesso
fosse piuttosto debole, e incapace di generare e sopportare forze
elevate. La riduzione della lunghezza del cranio, unita allo sviluppo
della muscolatura temporale, indica quindi un morso rapido, ma non
particolarmente potente. Come ho discusso in altri post, è la
muscolatura del collo, molto sviluppata per generare spinte laterali, ad
essere deputata a scuotere vigorosamente le prede. Mancando degli
adattamenti brontofagici allosauroidi a livello della base del cranio,
ritengo però che gli abelisauridi non fossero specializzati a strappare
ampie porzioni di tessuto da prede di grande mole. Tuttavia, ciò non è
assolutamente un deficit predatorio: è probabile che qualsiasi animale
che rientrasse nell’apertura boccale di questi theropodi (e la lista è
lunghissima: dai giovani sauropodi ai coccodrilli, ornithischi e
theropodi di media taglia) fosse una potenziale preda per gli
abelisauridi, che afferravano agevolmente le prede grazie alla grande
mobilità del corpo e le scuotevano vigorosamente prima di ingoiarle
quasi intere.
All’altro estremo del continuum adattativo abbiamo i tyrannosauridi come Tarbosaurus,
nei quali si ha la fusione del coronoide e del sopradentale (colorati
in arancio, parzialmente coperti da prearticolare e spleniale; Horum
& Currie, 2000): ciò immobilizzava il giunto intramandibolare, il
quale era ulteriormente irrigidito da complesse articolazioni tra le
zone rossa e gialla. Non a caso, la finestra mandibolare esterna dei
tyrannosauridi è molto ridotta, il cranio presenta ampie inserzioni per i
muscoli mandibolari ed i denti sono “incrassati”, ovvero molto ampi in
sezione trasversale: tutti questi adattamenti, uniti all’immobilità del
giunto intramandibolare, permettevano un morso molto potente, davano la capace di
produrre il tipo di lesioni ossee rinvenute in molti fossili (Erickson
& Olson, 1996), che implica forze enormi, fino a 13000 Newton (Erickson et al., 1996) e di frantumare le ossa (come
ricavato dall’analisi di coproliti; Chin et al., 1998). In questi
theropodi, che come gli abelisauridi non utilizzavano l’arto anteriore
nella predazione, il morso, capace di sopportare sia le enormi pressioni
mandibolari sia l’energia cinetica dell’impatto con la preda, aveva la
funzione di praticare ferite profonde, in grado di fratturare le ossa e
(aggiungo io) gli osteodermi.
Bibliografia:
Chin, K., T. T. Tokaryk, G. M. Erickson & L. C. Calk. 1998. A kingsized theropod coprolite. Nature 393:680–682.
Currie, P. J. & X. J. Zhao. 1993. A new large theropod (Dinosauria, Theropoda) from the Jurassic of Xinjiang, People’s Republic of China. Canadian Journal of Earth Sciences 30:2037–2081.
Erickson, G. M., & K. H. Olson. 1996. Bite marks attributable to Tyrannosaurus rex: Preliminary description and implications. Journal of Vertebrate Paleontology 16:175–178.
Erickson, G. M., S. D. Van Kirk, J. Su, M. E. Levenston, W. E. Caler & D. R. Carter. 1996. Bite force estimation for Tyrannosaurus rex from tooth-marked bones. Nature 382:706–708.
Horum J.H. & Currie P.J., 2000. The Crushing Bite of Tyrannosaurids. Journal of Vertebrate Paleontology 20:619-621.
Sereno, P. C. & F. E. Novas, 1993. The skull and neck of the basal theropod Herrerasaurus ischigualastensis. Journal of Vertebrate Paleontology 13:451–476.
Zhao X. J. & P. J. Currie. 1993. A large crested theropod from the Jurassic of Xinjiang, People’s Republic of China. Canadian Journal of Earth Sciences 30:2027–2036.
Innanzitutto trovo questo tuo blog, scoperto casualmente ieri sera, davvero interessante!
RispondiEliminaA proposito delle abitudini alimentari, leggendo mi è parso possibile che esemplari capaci di grandi morsi ma senza una muscolatura potentissima potessero avere abitudini necrofaghe. La carne "frollata" di vittime ormai inermi sarebbero facili da staccare a grandi morsi senza alcuna reazione (ovviamente). Scusa se ho scritto una corbelleria!
Tutti i theropodi mostrano crani con grandi aree per inserzione muscolare: avevano tutti (chi più chi meno) morsi sufficienti per strappare la carne senza bisogno di attendere che frollasse.
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