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30 dicembre 2015

MMXV

Il 2015 volge al termine, e – come tradizione vuole – ecco il mio post che cerca di fare un bilancio degli ultimi 12 mesi. Il duemilaquindici sarà ricordato come l'anno della consacrazione definitiva della Nostalgia quale Primo Motore delle nostre esistenze. No, non parlo del fatto che al cinema i maggiori incassi dell'anno siano due brutte fotocopie di film vecchi di 22 e 38 anni fa, fotocopie (ops, intendevo, “sequel-reboot”) realizzate esclusivamente per strizzare con tutte e tre le palpebre (c'è anche la nittitante) l'occhio ai vari fan e aficionados. Mi riferivo a qualcosa di molto più significativo e pregnante, la cui importanza è pari solo al fraintendimento generale che lo ha ammantato: la “riesumazione” del termine Brontosaurus. Non è sbalorditivo che un pregevole articolo di filogenetica, che ha analizzato la distribuzione di centinaia di caratteri scheletrici in decine di esemplari di Diplodocoidea, sia stato per la maggior parte delle volte menzionato esclusivamente per una marginale e secondaria proposta di revisione tassonomica presente al suo interno, che – per chi non avesse chiaro la questione – è in merito alla inclusività del nome di clade con rango linneano di genere noto come Apatosaurus? La sola spiegazione di tutto ciò è che la parola “Brontosaurus” ha un valore nostalgico tale che la sua riesumazione (per quanto, alla fine, sia ampiamente arbitraria e – comunque – del tutto irrilevante in quanto a valenza empirica) scatena fiumi di inchiosto virtuale con una portata tale da trascinare a valle interi Apatosaurus excelsus adulti.

Il 2015 ha visto l'istituzione di 44 nuove specie di dinosauro mesozoico (stando a quanto riportato su Wikipedia). Di queste specie, 19 sono theropodi. Di questi nuovi taxa, uno è molto probabilmente un sinonimo di un ornithischio (Lepidocheirosaurus, riferibile a Kulindadromeus). Gli altri formano un gruppo molto eterogeneo come grado di preservazione ed affinità. Tre taxa sono molto frammentari: un coelophysoide (Lepidus) basato su alcuni resti di un arto posteriore, ed un potenziale dromaeosauride basato su resti isolati, sulla cui affinità io non mi sbilancerei oltre Maniraptoriformes (Boreonykus), ed un nuovo dromaeosauride riferito ad Saurornitholestes. Un altro dromaeosauride, piuttosto inatteso, è stato Dakotaraptor, che come dimensioni corporee e posizione stratigrafica è particolarmente significativo. Un ulteriore dromaeosauride, molto interessante per il grado di preservazione del tegumento, è Zhenyuanlong. Abbiamo poi un nuovo oviraptoride, Huanansaurus, che si aggiunge alla curiosa schiera di oviraptoridi dai nomi intercambiabili dal Cretacico Superiore cinese. Il maggior numero di nuove specie proviene comunque dal clade di maggior successo di Theropoda, Ornithothoraces: con ben 10 nuovi taxa (Archaeornithura, Cratoavis, Dunhuangia, Fumicollis, Holbotia, Juehuanornis, Parapengornis, Pterygornis e Yuanjiawaornis), gli uccelli si confermano come un gruppo ampiamente diversificato anche nel Mesozoico.
Tuttavia, se dovessimo ricordare il 2015 per dei nuovi theropodi, non c'è dubbio che ci riferiremmo ad una coppia veramente bizzarra ed inattesa di taxa, pubblicati a pochi giorni di distanza, a fine Aprile: il tetanuro basale non-ipercarnivoro dal Giurassico Superiore del Chile, Chilesaurus, ed il nuovo scansoriopterygide con patagio, che tutti hanno amato ed odiato (e la cui esistenza “ipotizzai” su questo blog già molti anni fa), Yi.

Ogni volta che penso a Yi non posso che pensare a due eventi paleontologici personali, e che – per puro caso – si sono intrecciati tra loro esattamente nel momento in cui fu pubblicato Yi, rendendo il 29 Aprile 2015 una data memorabile, almeno per me. Il primo evento è la pubblicazione della monografia su Tataouinea hannibalis, che – per un caso da manuale di sfiga organizzativa – è stata pubblicata lo stesso giorno di Yi, risultando eclissata mediaticamente da quel dannato theropode planatore. L'altro evento è invece qualcosa di veramente eccezionale. Dato che si tratta di uno studio che è attualmente in preparazione, non posso entrare nei dettagli. Posso solo assicurarvi che questo blog ne parlerà esaustivamente ed in anteprima.

Sempre in merito alle mie attività paleontologiche del 2015, questo anno resterà nella mia memoria per i tre mesi che ho trascorso a Bruxelles, durante i quali ho studiato una serie pregevole di theropodi, tra cui gli olotipi di Aurornis xui ed Eosinopteryx brevipenna. Dei risultati di queste ricerche parlerò ampiamente quando saranno pubblicati. Lo stesso vale per i risultati delle ricerche che ho svolto sul materiale che abbiamo raccolto durante la nostra spedizione in Tunisia di un anno e qualche giorno fa: i primi prodotti delle nostre indagini sono molto prossimi alla pubblicazione, quindi posso solo dirvi di avere solo un pizzico di pazienza.
Sempre in questo anno, ho pubblicato la mia ipotesi sullo status aviale di Balaur (inizialmente abozzata su questo blog), ipotesi molto controversa ma, spero, altrettanto feconda.
Infine, per chi ha a cuore la paleontologia mesozoica italiana, nel 2015 ho pubblicato una nuova specie a partire da un fossile che avevo già analizzato un paio di anni fa: il primo pliosauride italiano, dal Giurassico Superiore di Asiago, ora battezzato Anguanax zignoi.
Con questo mix di interessanti novità e intriganti annunci, vi auguro un felice e paleontologicamente intenso Duemilasedici!

20 dicembre 2015

Boreonykus è un Dromaeosauridae?


Bell e Currie (2015) descrivono alcuni resti isolati riferibili a theropodi, provenienti da una bonebed dominata da resti di ceratopsidi centrosaurini, nella Formazione Wapiti del Campaniano superiore del Canada. I resti includono un frontale parzialmente conservato, una vertebra caudale, numerosi denti e due ungueali. Gli autori identificano una combinazione unica di caratteri nel frontale, che riferiscono ad un nuovo Dromaeosauridae, Boreonykus* certekorum. Gli altri resti, in particolare la vertebra caudale e gli ungueali, sono riferiti a questo taxon, nonostante che non ci sia alcuna evidenza di associazione diretta. Sebbene uno degli ungueali sia riferibile a Dromaeosauridae, e sebbene i denti mostrino una combinazione di caratteri compatibile con questi paraviani, il frontale è il solo elemento che si può ragionevolmente – e per definizione, dato che è l'olotipo – attribuire a questo nuovo taxon. Pertanto, io mi riferirò solamente al frontale nella discussione di cosa sia Boreonykus; ciò per evitare di includere nelle analisi una possibile chimera (vedi casi analoghi come il recente Dakotaraptor). In questo, tendo a seguire il buon senso: in assenza di associazione diretta o presenza di autapomorfie condivise, la mera compresenza in un sito di ossa riferibili ad un medesimo clade non è prova che tali resti siano appartenuti alla medesima specie o individuo. Siccome Bell e Currie (2015) analizzano le affinità di Boreonykus includendolo in un'analisi dei dromaeosauridi, e codificandolo anche in base al materiale riferito, la loro analisi non è un test delle affinità di questo taxon ma solo una verifica di quanto hanno ipotizzato. Anche qualora abbiano ragione nel considerare questo taxon valido nella sua interezza e riferibile a Dromaeosauridae, la loro analisi non è un supporto a tale ipotesi dato che non permette di testare le alternative (ovvero, la presenza di più taxa nei resti e la non-appartenenza del frontale a Dromaeosauridae).

Incluso in Megamatrice, Boreonykus (codificato solamente dal frontale) risulta in varie posizioni in Maniraptoriformes. Nessuna di queste è in Dromaeosauridae. Effettivamente, se riferito a Dromaeosauridae, Boreonykus è anomalo: la faccetta per il lacrimale non è incisa ma relativamente piatta, e la fossa sopratemporale non ha il margine anteriore sinusoidale e non presenta una depressione laterale. Inoltre, il frontale appare relativamente più stretto e allungato rispetto agli altri dromaeosauridi. Associato a questo ultimo carattere, l'unica autapomorfia di Boreonykus è la presenza di un angolo relativamente acuto formato dal margine mediale della fossa sopratemporale rispetto al piano sagittale del frontale. Questo carattere, confrontato con gli altri dromaeosauridi, significa che le fosse sopratemporali erano ravvicinate medialmente. Un ulteriore carattere, presente nella vertebra caudale riferita, potrebbe ulteriormente avallare l'ipotesi che questo materiale non include solamente resti di dromaeosauridi: la base della prezigapofisi presenta una cresta laterodorsale che si prolunga nel centro. Questo carattere ricorda la lamina centroprezygapofiseale che si osserva in vari theropodi non-maniraptori.

Concludendo, ritengo prematuro riferite il frontale di Boreonykus ad un Dromaeosauridae, né attribuire tutti i resti ad un singolo taxon. Penso che allo stato attuale, sia meglio riferirlo a Coelurosauria incertae sedis.

*Il suffisso “-nykus” con la “k” era stato usato finora solamente per gli alvarezsauridi.

Bibliografia:
Bell, P. R., and P. J. Currie. 2015. A high-latitude dromaeosaurid, Boreonykus certekorum, gen. et sp. nov. (Theropoda), from the upper Campanian Wapiti Formation, west-central Alberta. Journal of Vertebrate Paleontology. DOI: 10.1080/02724634.2015.1034359.

12 dicembre 2015

OH MIO DIO, DAKOTARAPTOR NON ESISTE!

Calma, calma. Calmatevi tutti. Prima che folle isteriche scendano in piazza, prima che partano i suicidi di massa e altre inusitate manifestazioni di disperazione, sediamoci un attimo e prendiamo un bel respiro.
Come scrissi già un mese fa, ci sono buoni motivi per dubitare della interpretazione di DePalma et al. (2015) in merito ad alcune ossa riferite a Dakotaraptor, in particolare, le “furcule”. Hans Dieter Sues è stato il primo ad argomentare in merito, e dal suo commento nacque il mio post sulla furcula di Dakotaraptor. Lo stesso autore, assieme ad altri, ha appena sottomesso un manoscritto nel quale questa interpretazione è argomentata in modo più dettagliato. Leggendo tale bozza, concordo ulteriormente sull'interpretazione che le “furcule” di Dakotaraptor siano ossa di tartarughe.
Pertanto, automaticamente, da questa osservazione deriva che l'olotipo di Dakotaraptor steini, così come definito da DePalma et al. (2015), sia una chimera (nel senso tassonomico del termine), dato che comprende le ossa di almeno due individui e taxa distinti: un theropode ed una tartaruga. Ciò è la mera conseguenza del avere riconosciuto che almeno un osso del materiale olotipico del taxon di theropode Dakotaraptor steini appartiene ad un non-theropode.

“Ma allora, se è una chimera, Dakotaraptor non è mai esistito? Dakotaraptor è come il terribile e fantomatico Spinosauro malvagio di Ibrahim e compari?”

Sono sicuro che molti, alla semplice lettura della parola “chimera” associata a Dakotaraptor siano stati presi dal panico, abbiano paventato qualcosa come l'orrido mostro del team del Dott. Victor von Ibrahimstein, assemblato senza timore di Iddio a partire da pezzi di animali distinti. No, così come non dobbiamo trasformare lo Spinosaurus di Ibrahim e colleghi in una bestemmia paleontologica, allo stesso modo non dobbiamo farci prendere dall'isteria collettiva e attraversare il Dakota con forconi e fiaccole alla ricerca dell'abominevole incesto tra una tartaruga ninja e il raptor di Jurassic Park.
In entrambi i casi, occorre calmarsi, smettere di vedere i dinosauri come eroi da venerare o feticci da dare alle fiamme, e riflettere razionalmente sugli argomenti a sostegno di una ipotesi scientifica.

I fatti inconfutabili:
Il materiale su cui è basato Dakotaraptor comprende un olotipo ed alcuni esemplari riferiti.
Il materiale olotipico proviene da un'unica località ed è stato estratto da un'area relativamente ridotta, ampia meno di un metro e mezzo: basandomi sulla figura in Appendix 3 da DePalma et al. (2015), il materiale olotipico include una serie di ossa disarticolate ma strettamente associate. Purtroppo, la figura è grossolana e non sono indicate le identità delle varie ossa. Nondimeno, l'articolo elenca come materiale olotipico due unguali del piede, un femore, due tibie, un astragalocalcagno, quattro metatarsali, un frammento di vertebra dorsale, 10 vertebre caudali, due omeri, due radii e due ulne, frammenti di una mano, e la famosa furcula. Siccome questa ultima è assodato essere un osso di tartaruga, nasce lecita la domanda: tutto il resto dell'olotipo appartiene ad un singolo individuo? La lista delle ossa non presenta “doppioni” (ad esempio, due omeri destri) per cui pare che effettivamente non si sia alcuna evidenza diretta della presenza di più di un animale nelle ossa – ad eccezione della ex-furcula, ora riferita ad una tartaruga.

La presenza di un elemento osseo di tartaruga non deve scandalizzare: il sedimento che ingloba le ossa è una sabbia medio-fine, quindi è plausibile che in origine queste ossa siano state accumulate dallo scorrere di un fiume. Pertanto, il sito rappresenta un punto di accumulo delle ossa di vari animali.
A questo punto, però, il fatto che non tutte le ossa siano di un singolo animale rende ammissibile l'ipotesi che anche altre ossa dell'olotipo oltre all'elemento di tartaruga non appartengano ad un singolo animale. Occorre quindi analizzare le varie ossa dell'assemblaggio per stabilire il numero minimo sicuro di ossa appartenenti ad un singolo animale, e valutare se questo animale è legittimamente un dromaeosauride al quale attribuire il nome di Dakotaraptor steini.

Le ossa degli arti sono allungate e gracili, in particolare le ossa dell'avambraccio. Questo fa pensare che siano riferibili ad un theropode maniraptoro. La presenza di papille ulnari nell'ulna, un carattere che finora è noto solamente in Eumaniraptora, suggerisce che almeno l'ulna appartenga ad un paraviano. Date le grandi dimensioni, per i paraviani mesozoici, è probabile che non appartengano ad un uccello. Pertanto, è ragionevole che le ossa degli arti anteriori appartengano ad un grande paraviano non-aviale: un troodontide oppure un dromaeosauride.

Le vertebre caudali sono delle intermedie relativamente allungate e presentano prezigapofisi molto allungate: questo carattere è esclusivo dei microraptorini e degli eudromaeosauri. Pertanto, queste vertebre caudali sono riferibili ad un grande dromeosauride.

Il femore è di un dinosauro non graviportale, ma dalle immagini mostrate non è riferibile in modo univoco ad un qualche clade.

La tibia ha una cresta fibulare ed il calcagno ridotto, che permette di riferirla a Neotheropoda. Il processo ascendente molto alto e triangolare indica un maniraptoriforme.

Uno dei due ungueali è falciforme, compresso trasversalmente, con la superficie ventrale affilata ed un andamento asimmetrico dei solchi collaterali: questo mix di caratteri è presente solamente negli ungueali della mano dei megaraptori o nel secondo ungueale del piede dei dromaeosauridi. Data l'assenza di megaraptori nel Cretacico superiore nordamericano, l'osso è riferito al piede di un grande dromaeosauride.

Concludendo, sicuramente le vertebre caudali e l'ungueale sono riferibili ad un grande dromaeosauride. L'ulna è probabilmente riferibile ad un grande paraviano, quindi non in disaccordo con l'attribuzione data all'ungueale e alle caudali. Le altre ossa non smentiscono l'attribuzione a Dromaeosauridae, ma nemmeno sono riferibili a quel clade in modo univoco.

Pertanto, almeno un sottogruppo delle ossa conferma la presenza di un Dromaeosauridae di grandi dimensioni nel Maastrichtiano finale del Nordamerica. Nulla smentisce che, a parte l'osso di tartaruga, il resto del materiale olotipico di D. steini appartenga ad un singolo animale, che, in base alle caudali ed all'ungueale, è riferibile a Dromaeosauridae. Qualora la tibia risultasse senza dubbio riferibile a questo taxon, la forma unica della sua cresta fibulare permetterebbe di diagnosticare questo taxon e quindi ritenerlo valido a livello di specie.


Bibliografia:
DePalma RA, Burnham DA, Martin LD, Larson PL, Bakker RT. 2015. The first giant raptor (Theropoda: Dromaeosauridae) from the Hell Creek Formation. Paleontological Contributions 14:1-16.

07 dicembre 2015

Outgroup matters

Un'analisi filogenetica è una procedura formalizzata per costruire ipotesi testabili sulle relazioni evoluzionistiche all'interno di un gruppo monofiletico (generalmente, un insieme di specie). Ogni analisi filogenetica consta di tre soggetti.

1- L'insieme delle forme biologiche da analizzare, il gruppo monofiletico del quale vogliamo costruire la filogenesi. Questo insieme è detto “gruppo interno” (ingroup).
2- L'insieme delle caratteristiche intrinseche ai membri del gruppo che usiamo come dati a sostegno della nostra filogenesi. Nel caso di forme fossili, questo insieme di caratteristiche è dato da una serie di caratteri morfologici. Per ciascuno carattere morfologico occorre riconoscere almeno due stadi alternativi con cui tale carattere si manifesta. Questi stadi alternativi sono detti “stati del carattere”.
3- Una o più forme biologiche che non appartengono all'ingroup, ma che sono utilizzate dall'analisi per ricostruire la condizione ancestrale di tutti i caratteri analizzati. Il motivo per l'inclusione di queste forme nell'analisi è il seguente:
Un'analisi filogenetica si basa sul principio darwiniano della discendenza con modificazioni per ricostruire l'evoluzione nell'ingroup. Queste modificazioni non sono altro che trasformazioni da uno stato di un carattere ad un altro stato di un carattere. Il primo stato è detto “condizione primitiva”, il secondo “condizione derivata”. Sono ritenuti gruppi filogeneticamente validi solamente quelli basati sulle condizioni derivate: dato che le condizione primitive erano pre-esistenti all'evoluzione di quel gruppo, non sono significative per ricostruire i legami interni all'ingroup. Non esistono principi generali per stabilire quali stati siano primitivi e quali derivati, anche perché i medesimi stati possono essere alternativamente primitivi o derivati a seconda di quanto ampio o ristretto sia l'ingroup che utilizziamo. Per questo, utilizziamo delle ulteriori specie “esterne” per stabilire quali siano le condizioni primitive (e, di conseguenza, quelle derivate). Siccome non possiamo conoscere a priori quali siano le trasformazioni degli stati dei caratteri, utilizziamo gli stati dei caratteri di specie NON appartenenti all'ingroup per risalire alle condizioni primitive. Se una o più specie esterne condividono un particolare stato di un carattere, si assume che quello stato sia il primitivo per l'ingroup. Queste specie “esterne” al nostro gruppo formano il cosidetto “gruppo esterno” o outgroup.

Se avete seguito tutto il ragionamento, avrete colto che la scelta del gruppo esterno è fondamentale per un'analisi filogenetica. Modificando il gruppo esterno, difatti, cambiano gli stati primitivi dei caratteri, e di conseguenza cambiano le significatività dei caratteri utilizzati. Pertanto, la scelta del gruppo esterno deve sempre essere ben ponderata e motivata.
Purtroppo, spesso il gruppo esterno è scelto in modo superficiale, o comunque ad esso viene dato un peso minore rispetto agli altri fattori in gioco in un'analisi filogenetica.

Per mostrarvi quanto la scelta del gruppo esterno sia fondamentale, ho svolto 5 analisi filogenetiche di Oviraptorosauria, usando i taxa ed i caratteri presenti in Megamatrice. Attualmente, circa una trentina di oviraptorosauri è presente in Megamatrice. Queste 5 analisi sono identiche tra loro per i caratteri utilizzati e per il gruppo interno, e variano solamente nella composizione del gruppo esterno.
Nella prima analisi, ho utilizzato un solo gruppo esterno: il theropode basale Herrerasaurus.
Il risultato dell'analisi è questo:

Nella seconda analisi, ho utilizzato due gruppi esterni: Herrerasaurus ed il tetanuro non-coelurosauro Allosaurus.
Il risultato dell'analisi è questo:

Nella terza analisi, ho utilizzato tre gruppi esterni: Herrerasaurus, Allosaurus e l'alvarezsauroide basale Haplocheirus.
Il risultato dell'analisi è questo:

Nella quarta analisi, ho utilizzato quattro gruppi esterni: Herrerasaurus, Allosaurus, Haplocheirus ed il therizinosauro basale Falcarius.
Il risultato dell'analisi è questo:

Nella quinta analisi, ho utilizzato cinque gruppi esterni: Herrerasaurus, Allosaurus, Haplocheirus, Falcarius ed il paraviano basale Archaeopteryx.
Il risultato dell'analisi è questo:


Notare quanto siano variabili i risultati, avendo cambiato soltanto la composizione del gruppo esterno. In tutte le analisi, la radice dell'albero (ovvero, il taxon usato come gruppo esterno più basale di tutti) è sempre Herrerasaurus, mentre gli altri gruppi esterni servono a raffinare progressivamente la condizione primitiva alla base di Oviraptorosauria. Mano a mano che si aggiungevano gruppi esterni, alcune relazioni tendevano a cambiare, a riprova che la scelta dei gruppi esterni incide sul modo con cui i vari caratteri sono interpretati dall'analisi.
L'esempio non si propone di discutere nel dettaglio la filogenesi di Oviraptorosauria, ma solo di mostrare come essa sia fortemente vincolata alla scelta dei gruppi esterni.

Come vedete, la scelta del gruppo esterno è fondamentale: una scelta grossolana, un ridotto campionamento tra i gruppi esterni o semplicemente una ipotesi a priori su quali siano i “parenti prossimi” da usare come gruppo esterno incide significativamente sulle relazioni risultanti, e quindi deve sempre essere ben ponderata e motivata.
Questo esempio mostra quanto sia importante campionare nel modo più esaustivo possibile non solo i taxa ed i caratteri del gruppo interno, ma anche e sopratutto i gruppi esterni. Per questo motivo, pur dedicandosi ai theropodi, Megamatrice ha un ampio campionamento nei vari gruppi esterni di Theropoda (sauropodomorfi, ornithischi, dinosauriformi basali).

02 dicembre 2015

"Maroccanoraptor"

Non è mia abitudine parlare di esemplari non descritti ufficialmente, non depositati in collezioni museali pubbliche, né di riferirmi a taxa non istituiti formalmente. La tassonomia è una scienza che segue una serie di regole formali anche per evitare la proliferazione anarchica di termini privi di validità. Online, può capitare di imbattersi in taxa privi di validità, tecnicamente dei nomina nuda che non sono scientificamente validi poiché non sono stati istituiti nel modo corretto ed universalmente riconosciuto.

Ad esempio, in un sito in lingua polacca sono mostrate le foto di alcuni fossili provenienti dal Cretacico del Marocco (probabilmente, il Cenomaniano del Kem Kem) ai quali l'autore della pagina ha attribuito dei nomi ufficiosi, con tanto di etimologia e diagnosi. L'autore pare essere consapevole che la sua tassonomia è del tutto priva di valore, e difatti racchiude tutti i nuovi nomi eretti tra virgolette. Ciò mi pare contraddittorio: se si è consapevoli che non si sta istituendo delle specie valide, per quale motivo le si istituisce?
Un osso, in particolare, lo prendo come esempio di quanto sia dannoso sul piano tassonomico una pratica di questo genere.
L'osso in questione è un coracoide, al quale l'autore del sito attribuisce il nome di “Maroccanoraptor elbegiensis”, che, secondo l'autore sarebbe riferibile ad Unenlagiinae. L'idea di un unenlagiino nel Cenomaniano del Marocco sarebbe intrigante, dato che ad oggi non abbiamo paraviani mesozoici dal continente africano.

L'osso è allungato prossimodistalmente, con le estremità prossimale e distale espanse anteroposteriormente. La parte intermedia del coracoide è allungata, con i margini anteriore e posteriore sub-paralleli. Il forame del nervo sopracoracoideo è ben visibile sulla superficie laterale della regione prossimale. Il processo posterodistale ha una espansione anteriore.

Dato che questa forma allungata del coracoide è tipica dei paraviani rispetto agli altri dinosauri, e siccome l'autore ritiene che il fossile sia un dinosauro, ecco spiegata l'attribuzione ad un clade di Paraves, sebbene non sia ben chiaro come mai lo riferisca a Unenlagiinae (forse per motivi paleogeografici, dato che Unenlagiinae è il clade di paraviani non-aviali meglio noto nel Gondwana).

Peccato che questo osso non sia riferibile ad un dinosauro. Infatti, esso è molto più prosaicamente un coracoide di Crocodyliformes. Tutti i coccodrilli difatti sono caratterizzati dall'avere i coracoidi espansi prossimodistalmente, con una costrizione intermedia rispetto alle espansioni scapolare e sternale. Ovviamente, se si dimentica che il Kem Kem abbonda di coccodrilli, e non si conosce che il coracoide di quella forma è tipico dei coccodrilli, si può essere tentati di riferire quell'osso ad un dinosauro. Non biasimo l'autore di “Maroccanoraptor” per tale errore, dato che io stesso, sei anni fa, riferii una bizzarra vertebra caudale di un Crocodilyformes ad un ipotetico theropode che chiamai Kemkemia (sì, fu un errore di gioventù, poi corretto, ma dal quale ho imparato molte cose su come si deve ragionare coi fossili frammentari).
Il confronto tra “Maroccanoraptor” ed i coracoidi di Buitreraptor (un unenlagiino) e Simosuchus (un crocodyliforme) è più che sufficiente per mostrare le affinità tra il primo ed il terzo rispetto al secondo.

Questo esempio sia da monito per chi si lascia prendere troppo leggermente dalla tassonomia anarchica.

01 dicembre 2015

Nel Cenomaniano, nessuno può sentirti urlare

Il Tempo Profondo è sfuggente, e molti faticano a comprendere la sua logica.
Per mostrarvi quanto sia sfuggente, proviamo a riflettere su una della associazioni fossili più discusse in questo blog: i grandi theropodi del “Cretacico medio” del Nord Africa.
Quando diciamo che “Spinosaurus è esistito nel Cretacico” facciamo una affermazione sicuramente vera, ma altrettanto enormemente grossolana. E non pensate che raffinare l'affermazione dicendo “Spinosaurus è esistito nel Cenomaniano” aumenti di molto la risoluzione. La parola “Cenomaniano” significa contemporaneamente due concetti parzialmente connessi tra loro. Sul piano concreto, “Cenomaniano” è il nome di un insieme di strati di rocce sedimentarie distribuite in modo disomogeneo in tutto il mondo. Quelle rocce tendono ad avere caratteristiche simili, generalmente la presenza di una qualche particolare associazione di fossili, ed è tale tratto comune che sancisce la loro denominazione comune. Inoltre, ma ad un livello teorico, “Cenomaniano” è il nome dell'intervallo di tempo in cui riteniamo che, nel passato, si formarono quegli strati di rocce che chiamiamo “Cenomaniano”. Quindi, esiste sia il “Cenomaniano-strati” che il “Cenomaniano-tempi”. I due concetti sono ovviamente connessi, ma tale connessione non è del tutto automatica. Per molti, “il Cenomaniano” è probabilmente (ed esclusivamente) il secondo dei due concetti (l'intervallo di tempo nel passato), nonostante che, dei due, solo il primo “esista”. Esistono le rocce, non i momenti del passato. Questi ultimi sono ipotizzati per giustificare in modo razionale e naturalistico l'esistenza delle rocce. Qualora voi siate dei creazionisti, non occorre ipotizzare lunghe estensioni di tempo passato per produrre stratificazioni a livello mondiale, vi basta l'onnipotenza divina. Ma né io, ne spero la maggioranza dei miei lettori, vuole ricorrere ad un dio dei gap per spiegare le rocce, e dobbiamo quindi ammettere milioni e milioni di anni di processi naturali che, letteralmente, sedimentano le enormi successioni di rocce alle quali diamo i vari nomi stratigrafici. Da qui nasce il “Tempo Profondo”.
Tornando al Cenomaniano, noi sappiamo che (o meglio, abbiamo concluso che) i fossili chiamati “Spinosaurus” siano localizzati all'interno di successioni rocciose che, sulla base di vari argomenti testabili scientificamente, sono parte del “Cenomaniano”. Sulla base di altri argomenti, più o meno diretti, abbiamo concluso che l'intervallo di tempo del passato chiamato “Cenomaniano” si colloca approssimativamente tra circa 100 e 94 milioni di anni fa. Le due affermazioni sono slegate, non sono frutto di un medesimo studio o metodo di indagine, ma siccome riteniamo che il “Cenomaniano” (inteso come intervallo cronologico) rappresenta il momento del passato in cui si accumularono i sedimenti che formano ciò che oggi sono gli strati chiamati “Cenomaniano”, dobbiamo concludere che l'entità tassonomica che chiamiamo Spinosaurus sia collocabile cronologicamente da qualche parte tra 100 e 94 milioni di anni fa.
Notate che questo complesso ragionamento è ben più sfuggente ed articolato della frase “Spinosaurus è esistito nel Cenomaniano”.
La sfuggevolezza diventa quasi nebulosità quando ci fermiamo a riflettere su cosa “sia” Spinosaurus. Non parlo qui della ricostruzione anatomica dell'animale che tanto sta appassionando le discussioni theropodologiche, parlo del “taxon Spinosaurus”. Né più né meno che il Cenomaniano, anche Spinosaurus è riferibile a due concetti. Il primo è il nome dell'esemplare descritto da Stromer nel 1915. Quell'esemplare, per definizione, è Spinosaurus. Siccome quell'esemplare è ritenuto essere parte di una popolazione di esseri viventi esistita nel passato (per un intervallo di tempo e su un'areale entrambi ignoti), noi applichiamo il concetto di popolazione così come lo abbiamo dedotto dallo studio degli animali viventi per dedurre che, nel passato, è esistita una specie di animale vertebrato gnatostoma rettile dinosauro theropode al quale diamo il nome di Spinosaurus aegyptiacus, specie della quale noi conosciamo almeno un esemplare, per l'appunto l'esemplare di Stromer (1915). Questo è il secondo concetto al quale associare la parola Spinosaurus, ovvero l'ipotetica specie esistita nel passato. Notare bene che la validità della prima accezione di Spinosaurus è solo in parte legata alla validità della seconda. La presenza di un esemplare chiamato Spinosaurus non ci da alcuna informazione sulla durata ed estensione della specie chiamata Spinosaurus aegyptiacus. Tale durata dipende da quanto raffinata o grossolana è la nostra attribuzione di altri fossili al medesimo taxon, e quanto raffinata o grossolana è la datazione di ciascuno di quegli esemplari.
Partiamo dall'unico esemplare al quale con totale certezza possiamo dare il nome di Spinosaurus. Noi collochiamo l'esemplare di Stromer in livelli cenomaniani, quindi concludiamo che Spinosaurus è un fossile rinvenuto in rocce cenomaniane, quindi a sua volta deduciamo che la specie Spinosaurus aegyptiacus è esistita (almeno) nel intervallo di tempo chiamato “Cenomaniano”. Ma siccome noi abbiamo solo una grossolana ed imprecisa misura della posizione stratigrafica dell'esemplare di Stromer dentro i livelli cenomaniani, noi possiamo solo dire che quell'esemplare è vissuto in qualche momento del Cenomaniano. E siccome la durata ed estensione della specie Spinosaurus aegyptiacus alla quale riferiamo quell'individuo è del tutto ignota, noi possiamo solo affermare che la specie è esistita per un qualche intervallo di tempo che, in base alla posizione stratigrafica dell'esemplare di Stromer, è da collocare (almeno) nel Cenomaniano.

Non so se riuscite a cogliere quanto sia sfuggente e nebulosa questa conclusione. Eppure, per quanto nebulosa sia, essa è la più solida affermazione che possiamo fare (almeno finora) sull'età di Spinosaurus.

Ora, ripetete questa medesima argomentazione nebulosa per tutti gli altri dinosauri rinvenuti nel Cenomaniano del Marocco sud orientale.

Carcharodontosaurus saharicus è collocabile in un qualche intervallo nel Cenomaniano.
Deltadromeus agilis è collocabile in un qualche intervallo nel Cenomaniano.
Sauroniops pachytholus è collocabile in un qualche intervallo nel Cenomaniano.
Rebbachisaurus garasbae è collocabile in un qualche intervallo nel Cenomaniano.

Anche se tutti provengono approssimativamente dalla medesima località fossilifera, data l'impossibilità di rinvenire esemplari associati, data l'enorme grossolanità della stratigrafia del Cenomaniano continentale marocchino, e data l'impossibilità di stabilire l'estensione cronologica delle specie, non esiste alcuna prova diretta che queste specie siano vissute assieme.

Difatti, il Cenomaniano dura 6 milioni di anni. Tutto ciò che sappiamo è che queste 5 specie sono vissute nel Cenomaniano. Punto. Non è possibile ad oggi provare che siano vissute assieme, dato che non abbiamo alcun indizio sulla loro durata nel tempo né sulla loro coesistenza nel medesimo tempo, nonostante che, generalmente, si assuma che esse siano convissute.

Proviamo, anche solo per gioco, a fare una stima della probabilità di avere queste 5 specie coesistenti, conoscendo solo che sono tutte rinvenute nel Cenomaniano. Per semplificare la stima, assumiamo che la durata media di una specie di dinosauro mesozoico sia di mezzo milione di anni. Questo valore, puramente arbitrario, è comunque ragionevole in base a quanto sappiamo dalle faune a dinosauri dal Campaniano del Canada occidentale, per le quali esiste una discreta risoluzione stratigrafica. Quindi, una specie che dura mezzo milione di anni persiste per solo 1/12 del Cenomaniano (mezzo milione / sei milioni di anni). Pertanto, la probabilità di avere due delle specie sopra citate coesistenti nel medesimo intervallo di tempo è il quadrato di 1/12, ovvero lo 0,69% di probabilità. La probabilità di avere tutte e cinque le specie coesistenti è quindi 1/12 elevato alla quinta, ovvero lo 0,0004%, un valore praticamente nullo. Quindi, fintanto che non si rinvengono prove dirette di associazione tra individui di due o più di queste specie, l'ipotesi più prudente da seguire è che queste specie non siano contemporanee, né che siano vissute assieme.

Nota bene. Questo non implica che le linee evolutive dei vari gruppi di appartenenza delle specie citate non possano essere state coesistenti, tuttavia, anche se siamo sicuri che Spinosauridae, Carcharodontosauridae, Rebbachisauridae e Abelisauridae esistevano ben prima del Cenomaniano, ciò non è una prova automatica che qualche specie di questi gruppi convissero nel medesimo ambiente durante il Cenomaniano del Nord Africa.

Questo esempio mostra quanto le nostre rappresentazioni “sceniche”, per quanto plausibili, sono sovente puramente ipotetiche. Il solo fatto di avere qualche esemplare fossile rinvenuto in livelli rocciosi attribuiti alla “stessa età” (in questo caso, l'età Cenomaniana) non implica automaticamente che le specie rappresentate da tali esemplari vissero “contemporaneamente”.
Solo l'associazione diretta di esemplari inequivocabilmente depositati dal medesimo agente fisico (ad esempio, i due dinosauri combattenti mongolici, chiaramente associati) costituisce una prova di “coesistenza” nel passato geologico. Dato che un medesimo pacchetto di strati può essere il risultato di centinaia di migliaia o milioni di anni di sedimentazione, il mero rinvenimento di ossa di animali distinti in un medesimo livello di rocce non costituisce una prova automatica che nel passato le specie di appartenenza di quei taxa vissero nel medesimo momento.

Questo è il Tempo Profondo. Al pari dell'interno dell'atomo, esso è fondamentalmente un enorme vuoto occasionalmente punteggiato dalla materia, la cui “consistenza” è più un'illusione prospettica data dalla scala con cui ci rapportiamo al fenomeno.

29 novembre 2015

DINO e la Restaurazione Paleoartistica

Con il termine di “Rivoluzione Piumata” intendo la radicale revisione della nostra immagine dei dinosauri avvenuta con la scoperta del piumaggio in un numero crescente di dinosauri (non-avialiani) mesozoici. Non esagero se sostengo che la Rivoluzione Piumata sia la più grande discontinuità nella storia della popolarizzazione dei dinosauri. Nemmeno il Rinascimento Dinosauriano degli anni '70 (popolarizzato nel decennio successivo e base concettuale di Jurassic Park) ha prodotto una così radicale trasformazione nel modo con cui – letteralmente – vediamo i dinosauri.
Come tutte le grandi rivoluzioni, anche quella Piumata ha generato una forte opposizione, da parte di chi, vuoi per ignoranza, vuoi per inerzia o chiusura mentale, vuoi per mero opportunismo, è ostile o fortemente refrattario nei confronti di questa (spesso inaspettata e insospettata) immagine dei dinosauri.
Questa “restaurazione contro-piumata” ha varie forme e diversi gradi di intensità.
C'è che accetta tranquillamente i piccoli maniraptori morfologicamente simili a uccelli terricoli come piumati ma non accetta i grandi theropodi piumati, né tanto meno altri dinosauri. Per queste persone, apparentemente, Yutyrannus non esiste...
C'è chi accetta i theropodi piumati, inclusi quelli di grandi dimensioni, ma nega i non-theropodi piumati. La bizzarra logica dietro questo modo di vedere i dinosauri parrebbe vincolare la presenza del piumaggio all'appartenenza a Theropoda. Si tratta, in pratica, del medesimo ragionamento con cui fino al 1996 si negava il piumaggio nei non-uccelli: si vincolava il piumaggio ad un clade specifico, ritenuto “il portatore del piumaggio”, negando automaticamente che altri gruppi potessero essere piumati, nonostante che non ci fossero prove contro le piume in questi ultimi. In realtà, un attributo morfologico (come il piumaggio) non può essere attribuito (o negato) a priori ad una specie solo perché essa appartiene (o non appartiene) ad un qualche gruppo ritenuto speciale. Per queste persone, apparentemente, Tianyulong e Kulindadromeus non esistono...
E poi ci sono quelli che, semplicemente, non sanno di vivere nel 2015, o meglio, continuano a pensare i dinosauri come ce li mostravano i libri per bambini del 1985.

Il cinema ha uno straordinario potere di diffusione di un'iconografica. Un'immagine vale più di mille parole, ed un'immagine in movimento vale più di centomila parole. Non stupisce quindi che ciò che viene veicolato dal cinema possa avere una presa ed un impatto sul pubblico generico ben più forte di una dozzina di noiose lastre mesozoiche con tracce carboniose. Quello che però mi stupisce e in parte rattrista è constatare che il grande cinema pare essere molto restio ad accogliere la straordinaria bellezza dei dinosauri che ci sta fornendo la Rivoluzione Piumata. Piuttosto, il grande cinema appare essere il principale caposaldo della Restaurazione, continuando a proporre una immagine obsoleta dei dinosauri, del tutto falsificata dalla Rivoluzione Piumata.
Film come Jurassic World, ma anche il recente film Pixar con protagonisti dei (così chiamati) dinosauri, sono palesi espressioni della Restaurazione. A parte le tecnice digitali, i dinosauri in quei film avrebbero potuto tranquillamente essere creati negli anni '80.
Invocare la libertà creativa quale giustificazione dell'immagine trasmessa dai film è contradditorio e ingenuo. Si dice: il cinema non deve essere costretto ad essere scientificamente corretto, e può mostrarci i dinosauri nel modo più libero possibile. Non regge come argomentazione, per due motivi: 1) i dinosauri non sono creature di fantasia, e se si vuole mostrare “un dinosauro” si deve mostrare ciò che sappiamo essere un dinosauro. Altrimenti, è una creatura fantastica, un mostro, e non può essere chiamato "dinosauro". Ma sopratutto, 2) quella che ci propone il cinema non è una rappresentazione totalmente di fantasia, bensì un'iconografia espressamente aderente alla vecchia concezione dei dinosauri (per niente aderente a ciò che oggi sappiamo essere l'aspetto dei dinosauri). Dove sarebbe la “libertà creativa” nel mostrare nel 2015 un dinosauro del 1985? Dato che la libertà creativa implica una totale anarchia e fantasia, una piena indipendenza dal fattuale, una completa dissociazione da vincoli di canone e norma, come mai i dinosauri dei film sopra citati restano invece pervicacemente ancorati alla vecchia immagine di 30 anni fa? Ripeto, dove sta la libertà creativa nel restare ottusamente fermi all'iconografia del 1985? Per questo, penso che la “scusa” della libertà creativa che certi commentatori di questo blog sono soliti sollevare sia del tutto infondata. Non è la libertà creativa che spinge i creatori di film a negare il piumaggio, bensì la miope e ottusa aderenza ad un canone retrò. Ovvero, tutto il contrario della libertà: è il conservativismo.

E tale conservativismo può solo avere due cause. Una è l'ignoranza: il non sapere che oggi i dinosauri hanno ben altro aspetto. Tale causa si risolve con la conoscenza e la divulgazione. La seconda, purtroppo, è invece l'ostilità verso la nuova immagine piumata. Questa seconda causa è ciò che, più propriamente, fonda la Restaurazione che osserviamo.

Per chiudere, proporrei un termine per riferirci, da oggi in poi, a tutti quei “dinosauri” che vediamo nei film ma che non sono aggiornati alla conoscenza scientifica degli ultimissimi anni. In analogia col termine creato per il “Godzilla” del film del 1997, propongo di chiamare questi “dinosauri” che non sono affatto dinosauri con il termine DINO: Dinosaur In Name Only.
Dinosauri solo di nome. Non di fatto.

26 novembre 2015

Spinosaurus Geometricus


Una delle parti più controverse delle varie ricostruzioni di Spinosaurus è la posizione delle spine neurali allungate illustrate da Stromer (1915). Tutti concordano che queste spine neurali siano collocate nella parte post-cervicale della serie, ma non tutti concordano se queste siano limitate alle vertebre dorsali, se includano le vertebre sacrali ed eventualmente anche le prime vertebre caudali. Nella recente ricostruzione di Ibrahim et al. (2014) le spine neurali allungate di Stromer (1915) sono posizionate nella regione toracica, seguendo la ricostruzione originaria di Stromer. In base a questa ricostruzione, il punto più elevato delle spine neurali sarebbe nella parte intermedia-posteriore della regione presacrale. Le spine neurali post-cervicali della serie olotipica di Stromer (1915) sono nominate “c”, “d”, “e”, “f”, “g”, “h” ed “i”. 
Le prime tre sono inclinate anteriormente, rispettivamente di circa 65°, 67° e 68° (misura dell'angolo formato dal punto medio dell'apice con la fossa infradiapofiseale in vista laterale). Queste spine aumentano in altezza progressiva. Tale progressione è molto precisa, al punto che se i tre archi neurali sono allineati ed articolati, descrivono una serie di triangoli sovrapposti aventi un apice in comune e i lati opposti a quel vertice paralleli tra loro. 
 
Questa elegante geometria mi induce spontaneamente una domanda: e se questa geometria fosse la chiave per collocare le altre spine neurali? Ovvero, se le prime tre vertebre dorsali seguono questa geometria, in cui altezza ed inclinazione delle spine è regolare, potrebbe questa medesima geometria predire la posizione delle altre spine, conoscendone altezza e/o inclinazione?
Anche solo per curiosità, proviamo ad applicare questa ipotesi.
L'inclinazione delle prime tre spine è descritta approssimativamente dalla seguente formula:

I = 1.5 X + 65

I è l'inclinazione della spina, X è la posizione della vertebra relativamente alla prima dorsale.
Risolvendo questa formula rispetto all'inclinazione, abbiamo:

X = (I-65)/1.5

Questa seconda formula predice la posizione della vertebra rispetto alla prima dorsale, conoscendo l'inclinazione.
Applicando la formula per le altre quattro vertebre di Stromer (1915) abbiamo che:

La vertebra “f” ha la spina neurale inclinata di circa 82°, quindi risulta distante 11 posizioni dalla prima dorsale, quindi è l'undicesima dorsale.
La vertebra “g” ha la spina neurale inclinata di circa 80°, quindi risulta distante 10 posizioni dalla prima dorsale, quindi è la decima dorsale.
(Queste due vertebre hanno inclinazioni molto simili e potrebbero eventualmente scambiarsi di posizione senza alterare il risultato).
La vertebra “h” ha la spina neurale inclinata di circa 77°, quindi risulta distante 8 posizioni dalla prima dorsale, quindi è l'ottava dorsale.
La vertebra “i” ha la spina neurale inclinata di circa 96°, quindi risulta distante 20 posizioni dalla prima dorsale, quindi è la prima caudale.

Graficamente, risulta così:



Un risultato molto interessante è che se imponiamo alla formula di predire in quale posizione è collocata la vertebra avente la spina neurale perfettamente verticale (ovvero, con un angolo di 90°) otteniamo la terza sacrale, ovvero esattamente il centro del sacro e del bacino, che è il punto di massimo scarico della forza peso. Questo risultato avvalorerebbe l'idea che l'inclinazione delle spine sia legata a motivi biomeccanici (in particolare, la direzione delle principali forze muscolari deputate al mantenimento della postura bipede).

24 novembre 2015

Cosa è Lepidocheirosaurus?

Alifanov e Saveliev (2015) descrivono i resti frammentari di un dinosauro di taglia medio-piccola dal Giurassico Superiore di Kulinda (Siberia orientale), la medesima località da cui proviene il neornithischio basale “squamato-piumato” Kulindadromeus. I resti descritti includono la parte terminale di un arto (metapodiali e falangi), che gli autori interpretano come resti di una mano, ed alcune vertebre caudali. In entrambi i resti, sono presenti tracce della scutellatura e squamatura della pelle. Alifanov e Saveliev (2015) riferiscono questi resti ad un nuovo theropode, Lepidocheirosaurus natalitis (letteralmente “il rettile nuotatore con la mano squamata”) che collocano in Ornithomimosauria come sister-group di Nqwebasaurus (ricordo che questo genere si pronuncia schioccando la lingua prima di dire “basaurus”, senza dire “Nqwe”) nella nuova famiglia Nqwebasauridae.
L'ipotesi di un ornithomimosauro basale dal Giurassico Superiore russo, con squamature sulla coda e sulle mani, è molto intrigante. Putroppo, chiunque con un minimo di competenza in dinosauri noterà subito che questa ipotesi è molto probabilmente errata.
Questo post nasce da una conversazione online avvenuta oggi tra me, Pascal Godefroit (che in quanto autore dello studio su Kulindadromeus conosce molto bene i fossili da Kulinda), Mickey Mortimer, Jaime Headden e Thomas Holtz. Tutti concordiamo che:

– La “mano” di Lepidocheirosaurus non mostra caratteristiche tipiche di una mano di theropode.
Secondo l'interpretazione di Alifanov e Saveliev (2015), nel fossile è presente la parte distale del primo metacarpale, la prima falange del primo dito e la parte prossimale del primo ungueale (nell'immagine sotto, li ho colorati in verde); la parte distale del secondo metacarpale, parte della prima falange ed un frammento della seconda falange del secondo dito (li ho colorati in blu); la parte distale del terzo metacarpale, la prima falange, parte della seconda, l'intera terza falange ed il terzo ungueale (li ho colorati in rosa). Il primo metacarpale non mostra la marcata asimmetria tra i condili distali. Questo è bizzarro per un parente prossimo di Nqwebasaurus, dato che in quel taxon la faccetta distale del primo metacarpale è molto asimmetrica. La prima falange del primo dito pare essere subeguale in lunghezza al primo metacarpale, carattere molto raro in Theropoda, dove quella falange è generalmente ben più lunga del primo metacarpale. Nel terzo dito, la penultima falange è subeguale alla prima, carattere inusuale nei theropodi dove, a parte alcune eccezioni, la penultima falange è ben più lunga della prima.
A questo punto, potremmo ipotizzare che Lepidocheirosaurus sia un bizzarro theropode con una mano inusuale avente proporzioni peculiari. Questa ipotesi di per sé non è impossibile, ma fa nascere un sospetto: come è sempre bene ricordare, quando un fossile frammentario mostra una combinazione bizzarra di caratteri ciò può indicare che stiamo interpretando in modo errato un fossile “normale” che appare inusuale per via della sua frammentarietà. In altri termini, se questa mano fosse completa ed associata ad un braccio, non avrei problemi ad ammettere che sia effettivamente bizzarra. Ma essendo incompleta e non associabile ad un braccio, viene il sospetto che quella che stiamo osservando non sia una mano, bensì un piede. Infatti, se rivalutiamo tutte le ossa come falangi di un piede (piuttosto che metacarpali frammentari e falangi di una mano, e quindi come il secondo, terzo e quarto dito del piede), abbiamo proporzioni abbastanza “normali” per un piede di un dinosauro bipede funzionalmente tridattilo (theropode oppure ornithischio). Quindi, è una mano aberrante oppure un piede?
Il mio istinto mi dice che è probabilmente un piede “classico” di dinosauro bipede (forse theropode ma più plausibilmente un ornithischio) che è stato interpretato erroneamente come una mano “aberrante”.
A): I resti dell'arto di Lepidocheirosaurus. B): ricostruito come una mano. C): piede di Heterodontosaurus con indicate le parti corrispondenti in Lepidocheirosaurus.

– Le vertebre caudali di Lepidocheirosaurus hanno un comparabile sviluppo delle pre- e post-zigapofisi (frecce verdi). Questo carattere è inusuale per un theropode (in particolare, coelurosauro), nel quale le prezigapofisi sono sempre ben più sviluppate delle postzigapofisi (frecce azzurre nel disegno). Difatti, la morfologia in Lepidocheirosaurus è molto più simile a quello che osserviamo negli ornithischi basali, come Heterodontosaurus (frecce rosse).

Vertebre caudali di theropodi (frecce blu), Lepidocheirosaurus (freccie verdi) e Heterodontosaurus (frecce rosse).


Pertanto, ci troviamo di fronte a due alternative:

  • Lepidocheirosaurus è un bizzarro coelurosauro con mani dalle proporzioni inusuali e con vertebre caudali che ricordano un ornithischio basale, e con sia le mani che la coda ricoperte da ampie squame.
  • Lepidocheirosaurus non è un theropode, bensì un ornithischio basale. La “mano” è in realtà un piede, e le caudali sono tipiche caudali da ornithischio. Siccome la diagnosi di Lepidocheirosaurus è basata sulle caratteristiche inusuali della mano, se questa ultima non è altro che un piede, la diagnosi di questo taxon perde di validità (e con essa, lo stesso Lepidocheirosaurus).

La seconda ipotesi è più plausibile perché non richiede di ipotizzare l'esistenza di un bizzarro theropode con mani e coda squamata e vertebre caudali da ornithischio, bensì un ornithischio basale bipede con mani e coda squamate. Infatti, dato che nel sito di Kulinda abbiamo già (e documentato da numerosi esemplari) un ornithischio basale con squamatue della mano e della coda (Kulindadromeus) la seconda ipotesi è perfettamente coerente con quanto già conosciamo dal record fossile, e si risolve semplicemente riferendo Lepidocheirosaurus a Kulindadromeus.

Conclusione: Lepidocheirosaurus non esiste, e le ossa riferite a questo taxon sono resti di Kulindadromeus.

Bibliografia:
Alifanov VR, Saveliev SV. 2015. The Most Ancient Ornithomomisaur (Theropoda, Dinosauria) with Cover Imprints from the Upper Cretaceous of Russia. Paleontological Journal 49: 636-650.

20 novembre 2015

L'Arte di Renzo Zanetti


Per tutti gli amanti della paleoarte, vi segnalo questo evento che si svolgerà a Bologna.

13 novembre 2015

Abbiamo (almeno) due specie di Spinosaurinae nel Cenomaniano nordafricano?

Alcune delle differenze più significative tra Spinosaurus B e Spinosaurus C (modificato da Ibrahim et al. 2014, informazioni supplementari).

Evers et al. (2015) hanno puntualizzato le differenze esistenti tra le ossa comparabili pubblicate di “Spinosaurus C” (l'esemplare introdotto da Ibrahim et al. 2014) rispetto a quelle illustrate da Stromer (1934) per “Spinosaurus B”. Secondo questi autori, tali differenze sarebbero una prova che questi due esemplari non siano riferibili al medesimo taxon, contro quindi l'ipotesi di Ibrahim et al. (2014) che ritiene quei due esemplari riferibili al medesimo taxon, Spinosaurus aegyptiacus.
Quale tra queste due interpretazioni è più corretta?
Come ho scritto in alcuni post recenti, ritengo che sia Ibrahim et al. (2014) che Evers et al. (2015) siano troppo concentrati a portare prove a loro favore, minimizzando entrambi gli argomenti contrari. Ovvero, che entrambi trascurino punti importanti della controversia, enfatizzando una rigida dicotomia – a tratti retorica – che non è utile. Ritengo, difatti, che ambo gli studi abbiamo ragione in alcuni aspetti ma torto in altri. La mia attuale interpretazione, basata su quanto è stato pubblicato, è che la soluzione di questa controversia sia “a metà strada” tra queste due interpretazioni apparentemente inconciliabili. Infatti, possiamo tentare di collegare i vari pezzi del puzzle cercando di districare la matassa:

  1. Se l'interpretazione di Evers et al. (2015) è corretta, Spinosaurus ha la morfologia cervicale del “secondo morfotipo marocchino”, mentre Sigilmassasaurus rappresenta la prima morfologia marocchina. Quindi, in Marocco abbiamo sia Sigilmassasaurus che Spinosaurus.
  2. Spinosaurus B e Spinosaurus-tipo provengono dalla medesima area (Egitto).
  3. Sigilmassasaurus-tipo e Spinosaurus C provengono dalla medesima area (Marocco).
  4. Spinosaurus B ha vertebre dorsali anteriori del tipo Sigilmassasaurus.
  5. Spinosaurus C ha vertebre dorsali posteriori del tipo Spinosaurus.
  6. Spinosaurus B e Spinosaurus C presentano numerose differenze filogeneticamente significative (alcune delle quali rimarcate da Evers et al. 2015):
  • Spinosaurus B ha spine neurali caudali che si espandono apicalmente, mentre questo non pare essere presente in Spinosaurus C.
  • Il condilo mediale del femore di Spinosaurus C è esteso prossimalmente da una cresta che delimita la fossa flessoria, carattere assente in Spinosaurus B.
  • Il femore di Spinosaurus B presenta una ossificazione centrale nella fossa flessoria, carattere assente in Spinosaurus C.
  • Il femore di Spinosaurus B ha una marcata fossa laterale all'ectocondilo fibulare che non pare presente in Spinosaurus C.
  • Il condilo laterale del femore di Spinosaurus C è proiettato distalmente ben oltre il mediale, carattere assente in Spinosaurus B.
  • Spinosaurus B ha la cresta fibulare distinta dalla regione prossimale della tibia, mentre in Spinosaurus C la cresta fibulare pare connessa alla regione prossimale della tibia.
  • Spinosaurus B ha il malleolo mediale della tibia espanso medialmente, mentre in Spinosaurus C appare ridotto.
  • Le falangi del piede di Spinosaurus B hanno fosse collaterali marcate, mentre in Spinosaurus C appaiono poco marcate.
Ritengo improbabile che tutte queste differenze siano riconducibili a meri errori di illustrazione in Stromer (1934) o in Ibrahim et al. (2014), dato che nella maggioranza dei casi sono caratteri macroscopicamente evidenti, non dettagli grafici, e con una valenza filogenetica negli altri theropodi. Esse indicano probabilmente una differenza a livello di specie.

Unendo tutti questi dati, penso che Ibrahim et al. (2014) abbiano ragione nel rimarcare le similitudini tra Spinosaurus B e Spinosaurus C a sostegno della validità del morfotipo condiviso tra i due esemplari, ma che abbiano torto nel ridurre la diversità tra i due esemplari all'interno della medesima specie. Inoltre, penso che Evers et al. (2015) abbiano ragione nel rimarcare le differenze morfologiche tra Spinosaurus B e Spinosaurus C, ma che abbiano torto nel ritenere queste differenze così marcate da invalidare una affinità sopra-specifica tra le due forme.
In sintesi, io ritengo che Spinosaurus B e Spinosaurus C rappresentino due specie distinte ma del medesimo morfotipo di Spinosaurinae, due specie entrambe caratterizzate dalla combinazione di cinto pelvico e arti posteriori relativamente ridotti rispetto alle vertebre dorsali, vertebre caudali squadrate con spine neurali allungate, e ungueali del piede piatti ed acuminati.

Questa mia ipotesi ha alcuni pregi che le altre interpretazioni non manifestano:

  • Spiega come mai Russell (1996) avesse individuato almeno 2 “tipologie” di vertebre per Sigilmassasaurus.
  • Spiega come mai ci siano due morfotipi di quadrato spinosauride nel Kem Kem (Hendrickx e Buffetaut 2008) e due morfotipi di vertebre cervicali spinosauridi nel Kem Kem (Evers et al. 2015).
  • Si concilia con l'iniziale riluttanza di Stromer (1934) nel riferire “Spinosaurus B” alla stessa specie di Spinosaurus aegyptiacus.

Il problema principale con questa ipotesi è che l'olotipo di Spinosaurus (l'unico al quale con assoluta certezza sia possibile attribuire il nome di Spinosaurus) manca di resti appendicolari, vertebre caudali intermedie e distali, ovvero proprio le parti in comune tra Spinosaurus B e Spinosaurus C e che li distinguono reciprocamente.

Quale tra i due taxa (rappresentati da Spinosaurus B e Spinosaurus C) appartiene eventualmente alla specie dell'olotipo, ovvero è un potenziale Spinosaurus aegyptiacus? La domanda non è semplice da risolvere.
Sebbene Spinosaurus B sia presente in Egitto, assieme all'olotipo, esso non preserva alcuna autapomorfia di Spinosaurus aegyptiacus. Ciò non smentisce la sua attribuzione a Spinosaurus aegyptiacus ma ovviamente nemmeno la sostiene. Al contrario, Spinosaurus C ha le alte spine neurali dorsali tipiche di Spinosaurus aegyptiacus. Tuttavia, tale carattere potrebbe essere tipico di più specie di spinosaurini, non solamente di Spinosaurus aegyptiacus.
Ammettiamo per un attimo che la presenza di alte spine neurali dorsali sia sufficiente per riferire Spinosaurus C a Spinosaurus aegyptiacus. Potremmo provvisoriamente concludere che Spinosaurus C sia Spinosaurus aegyptiacus, e dato che Spinosaurus B non può appartenere alla medesima specie di Spinosaurus C (per la lista di caratteri citati al punto 6, sopra), allora questo ultimo deve appartenere ad una seconda specie. Tale seconda specie è ciò che chiamiamo Sigilmassasaurus? Possibile, ma non non necessariamente: l'unica dorsale anteriore di Spinosaurus B non mostra caratteri utili per stabilire se sia riferibile a Sigilmassasaurus, ed apparentemente pare essere priva della piattaforma triangolare ventrale che è diagnostica di quel taxon. Tale assenza – tuttavia – potrebbe essere dovuta alla sua posizione lungo la colonna vertebrale, quindi non avere valenza filogenetica. Per avere conferma di ciò, dovremmo rinvenire un nuovo scheletro, questa volta con vertebre cervicali di Sigilmassasaurus (quindi, con piattaforma ventrale triangolare) associate a resti degli arti o della coda, così da avere conferma/smentita di quale morfotipo cervicale sia associato ad uno specifico dei due morfotipi “pelvico-caudali” presenti in Spinosaurus B e Spinosaurus C.

Se questa ipotesi fosse valida, dovremmo osservare queste differenze tra i due taxa:

Spinosaurus aegyptiacus: Vertebre cervicali con processi estensori prominenti, alte spine neurali cervicali, assenza di piattaforma ventrale nelle cervicali, femore con creste flessorie distali allungate, caudali con spine neurali strette.
Sigilmassasaurus brevicollis (o è più saggio chiamarlo Spinosaurus maroccanus?): Vertebre cervicali con processi estensori ridotti, spine neurali cervicali basse, robusta piattaforma ventrale nelle cervicali, femore con ridotte creste flessorie distali, caudali con spine neurali espanse trasversalmente.

Bibliografia:
Evers et al. 2015. A reappraisal of the morphology and systematic position of the theropod dinosaur Sigilmassasaurus from the “middle” Cretaceous of Morocco. PeerJ 3:e1323; DOI 10.7717/peerj.1323
Hendrickx C, Buffetaut E. 2008. Functional interpretation of spinosaurid quadrates (Dinosauria: Theropoda) from the Mid-Cretaceous of Morocco [Abstract]. In: 56th Annual Symposium of Vertebrate Palaeontology and Comparative Anatomy. Dublin, 25–26.
Ibrahim N, Sereno PC, Dal Sasso C, Maganuco S, Fabbri M, Martill DM, Zouhri S, Myhrvold N, Iurino DA. 2014a. Semiaquatic adaptations in a giant predatory dinosaur. Science 345:1613–1616.
Russell DA. 1996. Isolated Dinosaur bones from the Middle Cretaceous of the Tafilalt, Morocco. Bulletin du Muséum National d’histoire Naturelle. Section C, Sciences de la terre, Paléontologie,
Géologie, Minéralogie 18:349–402.
Stromer E. 1934. Ergebnisse der Forschungsreisen Prof. E. Stromers in den Wüsten Ägyptens. II. Wirbeltierreste der Baharije–Stufe (unterstes Cenoman). 13. Dinosauria. Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Mathematisch–naturwissenschaftliche Abteilung, Neue Folge 22:1–79.

06 novembre 2015

Buon Centenario, Spinosaurus!


Il tipo di Spinosaurus aegyptiacus Stromer, 1915

Esattamente 100 anni fa, il 6 Novembre 1915, Ernst Stromer, presentava all'Accademia Reale Bavarese il terzo contributo scientifico tratto dalla sua spedizione nel deserto egiziano, contributo dedicato alla descrizione ed interpretazione dei resti di un nuovo, enorme theropode, rinvenuto nella primavera del 1912 dal suo assistente Markgraf, e da Stromer battezzato Spinosaurus aegyptiacus.

Buon 100° Compleanno, Spinosaurus!

Bibliografia:

Stromer, E. 1915. Ergebnisse der Forschungsreisen Prof. E. Stromers in den Wüsten Ägyptens. II. Wirbeltier-Reste der Baharîje-Stufe (unterstes Cenoman). 3. Das Original des Theropoden Spinosaurus aegyptiacus nov. gen., nov. spec. Abhandlungen der Königlichen Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Mathematisch-physikalische Klasse 28(3):1-32.

04 novembre 2015

Spinosaurus, Orgoglio e Pregiudizio

La correttezza di un'ipotesi si spalma in una zona grigia, non certo cade su una netta dicotomia tra un Vero e Falso assoluti e cristallini. Punti deboli della struttura non inficiano la validità di altre parti più robuste. Quanti sono disposti ad ammetterlo nella diatriba su Spinosaurus?

Sarebbe troppo facile liquidare buona parte dell'opposizione alla pubblicazione di Ibrahim et al. (2014) come frutto di sentimenti poco scientifici. In effetti, tra i vari commenti che lessi in quel periodo, una ampia fetta si può collocare più o meno direttamente in almeno una delle seguenti categorie:

  • Il nuovo Spinosaurus è brutto, quindi l'articolo è sbagliato.
  • Paul Sereno mi sta antipatico, quindi l'articolo è sbagliato.
  • Science è una rivista patinata, quindi l'articolo è sbagliato.

Ad ogni modo, indipendentemente dal fatto che si condivida o meno qualcuno di essi, questi sentimenti esistono, ma non è mio interesse dilungarmi troppo su di loro. L'opposizione ad un articolo scientifico dovrebbe essere fatta sugli argomenti scientifici del medesimo, non sul nome degli autori o della rivista in cui è pubblicato. Nei miei post in cui ho discusso questa ipotesi, ho preso una posizione critica ma onesta, slegata da pregiudizi personali pro o contro quello studio, nonostante che non abbia mai nascosto che una parte importante degli autori dello studio sia formata da amici. Proprio perché amici, e l'amicizia significa onestà e non faziosità (pro o contro), ho scritto i post in cui rimarcavo le parti deboli e rivedibili della loro ricerca.

Tuttavia, sul fronte dei critici, è curioso notare della lacune che fanno sospettare in una qualche (anche solo inconscia) faziosità. L'articolo di Ibrahim et al. (2014) ha delle parti deboli, come qualsiasi altro studio, ma non è il male assoluto, né tanto meno un prodotto peregrino di qualche complotto tra venditori di fossili e riviste impattanti. I critici di quello studio, purtroppo, paiono aver dipinto quella ricerca come puramente fantascientifica, spesso cavillando su dettagli che normalmente non richiederebbero particolari attacchi.

Inoltre, come ha notato Duane Nash, un punto molto importante dello studio di Ibrahim et al. (2014) è del tutto omesso dalle discussioni dei critici. I detrattori della autenticità naturale dell'esemplare sostengono che le vertebre dorsali siano troppo grandi per appartenere al medesimo individuo proprietario del bacino e delle gambe. In un theropode “classico”, ad esempio Allosaurus, come riferimento, le vertebre dorsali posteriori sono lunghe circa il 15% della lunghezza della tibia. In “Spinosaurus B” e “Spinosaurus C” questo valore è circa del 21-26% (la variazione di valore è probabilmente dovuta al fatto che le vertebre note in Spinosaurus B e Spinosaurus C non sono esattamente le medesime lungo la serie vertebrale, e tale variazione di 3-4% può ricadere nella diversa lunghezza delle vertebre, oltre che a variabilità individuale). Pertanto, in Spinosaurus C, le vertebre dorsali sono circa una volta e mezzo più grandi di come ci aspetteremmo in un theropode “classico”. I detrattori della nuova ricostruzione di Spinosaurus ritengono questa differenza troppo marcata per essere naturale. Ovvero, essi concludono che le vertebre appartengano ad un individuo circa una volta e mezzo più grande dell'individuo proprietario degli arti. Una volta e mezzo più grande è una differenza che può essere dovuto a due fattori (non necessariamente slegati): differenza di specie e/o differenza di età individuale. La prima, come ho mostrato in un precedente post, è attualmente irrisolvibile per gli arti, pertanto resta una ipotesi incompleta che i sostenitori della chimera dovrebbero saper risolvere ed argomentare. Ovvero, se ammettiamo che le vertebre siano (come è dimostrato dalle spine neurali) di uno Spinosaurus, le ossa degli arti dovrebbero appartenere ad una specie di theropode più piccolo. Peccato che nessuno, come ho mostrato nel precedente post, abbia stabilito chi sia questa seconda specie di piccolo theropode.
L'altra alternativa è che gli arti appartengano sì ad uno Spinosaurus, ma che questo sia un esemplare più giovane dell'esemplare a cui appartegono le vertebre dorsali. Ad esempio, le dorsali potrebbero appartenere ad un adulto, e gli arti ad un giovane. Una differenza del 150%, sempre usando come analogia Allosaurus, è quella tra un adulto di 9 metri di lunghezza ed un subadulto di 6 metri di lunghezza. Pertanto, se i detrattori dell'associazione naturale hanno ragione, le diverse ossa potrebbero appartenere a due individui di diversa età e quindi diverso stadio di crescita. Questa ipotesi è testabile analizzando istologicamente le ossa delle diverse parti dell'esemplare, e sarebbe una ottima prova per falsificare l'associazione delle diverse ossa.
Se solo quei cattivoni di Ibrahim et al. (2014) avessero fatto una analisi istologica delle diverse ossa, ora avremmo una prova valida e robusta pro o contro l'associazione di quell'individuo così problematico. Se uno ha seguito tutta questa storia leggendo le varie critiche presenti online, probabilmente si sarà fatto una chiara idea del team di Ibrahim et al. (2014): arroganti nel proporre una ardita ricostruzione scientifica, ma poco onesti nel mostrare i dati a loro sostegno. E pertanto, chi ha letto le varie critiche concluderà che gli autori del famigerato articolo non abbiano certo eseguito una analisi istologica sul loro “mostro”.

In realtà, questa analisi istologica è stata fatta. Gli autori la riportano nel loro articolo (Ibrahim et al. 2014, informazioni supplementari). Curioso che essa sia poco citata online. Essi hanno preso sezioni istologiche dal femore, dalla tibia (ossa degli arti, quindi appartenenti al fantomatico esemplare giovane), da un gastrale e da una spina neurale dorsale (quindi ossa vertebrali, appartenenti al fantomatico esemplare adulto), e ne hanno analizzato la morfologia interna per risalire allo stadio di crescita di ciascuna.
Sebbene le analisi istologiche sulle ossa siano spesso citate in riferimento ad un singolo parametro, l'età in anni, questo ultimo è sempre una stima, la quale ha un margine di incertezza associato anche al fatto che diverse ossa del medesimo scheletro subiscono rimodellamenti e cicli di crescita differenti tra loro (come è stato dimostrato su scheletri articolati di Tyrannosauridae). Al contrario delle “età assolute”, lo stadio di crescita è invece uniforme nelle diverse ossa dello scheletro, e può essere documentato con maggiore precisione rispetto al “conteggio degli anni”. Cosa dicono le analisi istologiche su “Spinosaurus C”? Tutte le sezioni effettuate (sia sugli arti che sulle ossa vertebrali) mostrano che al momento della morte: 1) le distanze tra le linee di arresto della crescita erano in contrazione, 2) il sistema fondamentale esterno delle ossa non si era ancora formato, 3) la corteccia interna delle ossa era ancora in fase di rimodellamento, e 4) la vascolarizzazione era ancora presente nel livello più esterno. Tutti questi parametri indicano lo stadio subadulto. Pertanto, sia le ossa degli arti che quelle delle vertebre indicano uno stadio subadulto. Le due parti della fantomatica chimera indicano il medesimo stadio di crescita. Questo non dimostra automaticamente che esse appartenevano al medesimo individuo, ma sicuramente smentisce l'ipotesi di chi sosteneva che l'esemplare fosse un composito formato da un animale giovane associato ad un animale adulto.

Perché i sostenitori della “chimera” omettono sistematicamente di citare questo risultato empirico? Ovviamente, perché essa smentisce l'idea che l'esemplare sia un composito di individui a diversi stadi di crescita.

Ricapitolando, i fautori della “chimera” non hanno ancora portato alcuna prova a loro favore, dato che:

  • Non esiste alcuno scheletro di Spinosaurus che mostri arti posteriori di proporzioni “classiche” rispetto alle vertebre.
  • Non esiste alcuna prova diretta che Spinosaurus C sia una chimera.

Pertanto, l'opposizione all'ipotesi che Spinosaurus C sia un animale genuino, avente bacino e arti posteriori più corti rispetto alla maggioranza degli altri theropodi, appare più un misto di orgoglio (non volere ammettere la sua autenticità, nonostante nulla supporti il contrario) e pregiudizio (dare per scontato che Spinosaurus debba avere proporzioni “classiche”), piuttosto che la manifestazione di effettive evidenze scientifiche.