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25 febbraio 2009

Il colore del piumaggio dei maniraptori fossili (Vinther et al., 2008)


Le penne dei maniraptori derivati (Paraves e Oviraptorosauria) sono le strutture tegumentarie più complesse dell’intero Vertebrata. Nelle forme attuali, le penne rivestono un ruolo fondamentale nelle interazioni visive, sia tra membri della stessa specie che in ambiti intrespecifici. La colorazione è un attributo importante di tutti i diapsidi, e quelli piumati non sono da meno. Ciò è valido per i taxa attuali, e non abbiamo motivi per dubitare che accadesse lo stesso nel passato.

Le penne fossilizzano in due modi fondamentali: sotto forma di impronte nel sedimento, oppure come tracce carboniose. La natura e la composizione delle seconde è stato oggetto di dibattito: quale è l’origine tafonomica di queste tracce? L’ipotesi prevalente riteneva che esse fossero il prodotto dell’attività di decomposizione operata da batteri. A sostegno di tale ipotesi era l’osservazione che le tracce carboniose sono costituite da strutture globulari, lunghe alcuni micrometri, molto simili a batteri. Tuttavia, altre interpretazioni sono possibili. Ad esempio, esse potrebbero essere tracce delle originarie strutture pigmentarie, dei particolari organuli cellulari detti melanosomi. Dato che i melanosomi delle cellule animali hanno forme e dimensioni analoghe a quelle dei batteri (vi ricordo che un batterio è molto più piccolo di una cellula animale, ed ha dimensioni, e molto altro, in comune con gli organuli delle cellule animali e vegetali), le due ipotesi sono ugualmente probabili. Tuttavia, l’eventualità che le tracce carboniose siano resti del pigmento apre scenari interpretativi impossibili nel caso che questi resti siano dovuti a attività batterica post-mortem.

Per testare queste ipotesi, Vinther et al. (2008) hanno studiato alcuni fossili di penne aventi tracce carboniose. Il loro metodo è molto elegante, e merita di essere descritto nei dettagli.

Essi hanno focalizzato i loro studi su due fossili: un cranio di uccello dall’Eocene di Fur (Danimarca) che conserva tracce del piumaggio e la struttura molle dell’occhio; ed una penna isolata di un maniraptoriano dalla Formazione Crato, del Cretacico del Brasile (una penna isolata, in sedimenti mesozoici, non può essere attribuita con sicurezza ad un uccello, dato che potrebbe essere ugualmente di un altro tipo di paraviale, come un dromaeosauro, oppure ad un oviraptorosauro). La scelta di questi due fossili particolari è basata su caratteristiche particolari che li rendono idonei a testare le ipotesi citate sopra.

L’analisi con metodologie a raggi X indica che il fossile di Fur presenta tracce carboniose dell’interno dell’occhio, molto probabilmente tracce della retina. La retina è un tessuto ricco di pigmenti fotosensibili, simili ai pigmenti delle penne (entrambi hanno la stessa origine embriologica). La comparazione tra le tracce di retina e le penne dello stesso fossile ha permesso di verificare la loro stretta somiglianza strutturale.

Il fossile di Crato conserva bande trasversali scure, ricche di materiale organico, alternate a fasce prive di carbonio, formate solamente da tracce sul sedimento della roccia. Questa bizzarra alternanza di tracce carboniose nella penna, intervallate da bande prive di carbonio, è incompatibile con l’ipotesi batterica: perché i batteri avrebbero dovuto decomporre maggiormente alcune zone della penna e permettere la fossilizzazione di altre? Al contrario, l’ipotesi che attribuisce le tracce a pigmenti è compatibile con questo fossile: alcuni pigmenti, come l’eumelanina (che conferisce il colore scuro alle penne), sono più resistenti alla decomposizione di altri. Pertanto, è probabile che le fasce alternate della penna di Crato rispecchino l’originaria alternanza di fasce di eumelanina e fasce di altri pigmenti meno resistenti: di conseguenza, la penna originaria era colorata a bande trasversali scure (eumelanina) e chiare. Purtroppo, non è possibile stabilire quale fosse il pigmento originario delle fasce chiare: quello che possiamo dire è che la penna originaria era colorata a bande scure alternate con bande di un diverso colore. Tuttavia, dato che la struttura e la disposizione dei melanosomi influisce su alcuni colori (come il rosso ed il bruno, oltre al nero) e sull’iridescenza, si apre la possibilità, molto suggestiva, di poter correlare la microstruttura delle tracce con alcuni colori originari, e quindi, di poter ricostruire parte della colorazione perduta.

Pertanto, questo studio dimostra che le tracce carboniose delle penne fossili conservano l’originaria struttura di melanina (ma non di altri tipi di pigmento). Questo dato ci dà un piccolo squarcio sull’originaria colorazione dei maniraptori, almeno per le forme che hanno conservato tracce carboniose di melanina: ad esempio, Enantiophoenix, conserva le penne in forma di tracce carboniose molto scure: quindi è probabile che in vita avesse un piumaggio scuro, forse nero. Alcune penne isolate di maniraptori, provenienti dalle stesse formazioni Libanesi di Enantiophoenix, non mostrano tracce carboniose, bensì solo l’impronta sulla roccia (osservazione personale di esemplari conservati al Museo di Storia Naturale di Milano): non sappiamo però se ciò rifletta differenti condizioni di fossilizzazione o un’effettiva differenza nel pigmento originario (ricordo ad alcuni miei lettori che in paleontologia l’assenza di prove NON è una prova di assenza... sopratutto per strutture fragili come le penne...). Da ricordare, infine, che in Caudipteryx sono presenti bande chiare e scure nelle penne della coda, del tutto simili al fossile di Crato: è pertanto probabile che le penne di questo theropode fossero colorate a bande alternate chiare e scure.

Bibliografia:

Vinther J., Briggs D.E.G., Prum R.O. & Saranathan V., 2008 - The colour of fossil feathers. Biol. Lett. 4, 522–525. doi:10.1098/rsbl.2008.0302

1 commento:

  1. Da quando ho letto l' articolo in Internet sulla probabile colorazione delle penne della Formazione di Crato, ero davvero curiosa di saperne di più.
    Tutto ciò che riguarda la possibile livrea e colorazione degli Animali Estinti mi affascina in modo particolare.E' quindi con vero piacere che ho letto questo articolo che mi ha fatto capire molte cose che l' articolo di Vinther et al. non spiegava.
    Davvero un ottimo lavoro Andrea!

    A presto,
    Loana

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