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27 dicembre 2018

Saltriovenator e la corsa agli armamenti giurassici

Ricostruzione della mano di Saltriovenator (secondo e terzo dito, modificato da Dal Sasso et al. 2018) con le dita in iperestensione, confrontata con la mano di Dilophosaurus (mostrata alla stessa scala, da Welles 1984). La freccia nera indica il labbro estensore del secondo metacarpale; le frecce rosse indicano i processi flessori di falangi e metacarpo. Metacarpali colorati in rosso.
Il modo migliore per comprendere ed apprezzare cosa abbia significato la comparsa di theropodi come Saltriovenator, all'inizio del Giurassico, è confrontando la mano del nuovo theropode italiano con quella del più "classico" theropode del Giurassico Inferiore, Dilophosaurus.
Nell'immagine in alto, la mano di Saltriovenator e quella di Dilophosaurus sono mostrate alla medesima scala, in vista laterale, ed entrambe in iperestensione (ovvero, con le falangi estese al massimo delle rispettive possibilità date dalla forma delle faccette articolari). Per semplificare, il primo dito (non preservato in Saltriovenator) in Dilophosaurus è omesso. L'iperestensione è una postura passiva che si assume come reazione ad una pressione delle dita (ad esempio, se viene mantenuta e si esercita permanentemente una flessione delle dita contro un ostacolo). In pratica, tale postura rappresenta il momento in cui la mano sta esercitando la massima pressione contro un oggetto che oppone resistenza. Per convenzione, la mano è mostrata con i metacarpali orientati orizzontalmente e la superficie palmare verso il basso. Tenete bene a mente che tale postura non è necessariamente quella che la mano assumerebbe rispetto al terreno, dato che gli arti anteriori dei theropodi sono articolari a livello della spalla in direzione lateroposteroventrale: considerate quindi l'immagine solamente come una postura ideale per facilitare la descrizione delle ossa. Il piano di orientazione della mano, nell'atto reale, dipende da innumerevoli fattori, come la postura assunta dall'intero corpo dell'animale, la posizione delle braccia rispetto al corpo, e la forma dell'oggetto su cui si esercita la pressione.

Confrontate le due mani. Appare subito chiaro che Saltriovenator, pur avendo la mano di lunghezza simile a quella di Dilophosaurus, se ne differenzia per tre elementi fondamentali:

1- La mano di Saltriovenator è molto più robusta. Confrontate lo spessore delle ossa omologhe, ad esempio, i metacarpi: il theropode italiano ha ossa molto più robuste dell'altro. Ciò significa che, a parità di lunghezza, Saltriovenator ha una maggiore resistenza alla forze di flessione, torsione o frattura esercitate sulle sue ossa.

2- La mano di Saltriovenator dispone di elementi ossei che prevengono la dislocazione delle falangi (freccia nera). Questi elementi "bloccano" le falangi in iperestensione e impediscono alle falangi di "uscire" dalle loro faccette articolari anche se sottoposte ad una intensa sollecitazione meccanica. La mano di Dilophosaurus, non disponendo di strutture analoghe, non era quindi adattata a "resistere" allo stesso grado di sollecitazioni meccaniche di Saltriovenator.

3- La mano di Saltriovenator dispone di processi flessori molto sviluppati (frecce rosse). Questi sono punti di ancoraggio dei muscoli e legamenti che flettono le falangi rispetto al metacarpo (per "chiudere le dita"). La presenza di questi processi ossei aumenta il momento delle forze generate da questi muscoli, e quindi aumenta l'efficacia del lavoro degli ungueali della mano durante la flessione. Questo significa che la mano di Saltriovenator era in grado di imprimere sui propri ungueali una pressione molto maggiore di quella possibile a Dilophosaurus. Tale pressione si manifestava con una maggiore efficienza delle mani nel penetrare la pelle e la carne delle prede, sia per ancorarsi alla preda sia per generare lacerazioni più profonde ed estese, a parità di tempo rispetto alla mano di Dilophosaurus.

Riassumendo, confrontata con quella degli altri theropodi del suo tempo, la mano di Saltriovenator mostra adattamenti per A) resistere maggiormente a forze in grado di spezzare le ossa della mano, B) era in grado di resistere con maggiore efficacia a sollecitazioni meccaniche che possono dislocare le falangi della mano e C) era in grado di generare una maggiore potenza alla presa delle falangi, sia per trattenere che per lacerare la preda.

Questi adattamenti indicano che Saltriovenator era in grado di sostenere sollecitazioni meccaniche nella mano che gli altri theropodi del Giurassico Inferiore non avrebbero potuto sostenere. Dato che la mano nei theropodi è un organo legato alla predazione, concludiamo che la mano di Saltriovenator è un adattamento a prede diverse rispetto a quelle tipiche degli altri theropodi della base del Giurassico. Che tipo di prede? Delle prede in grado di generare forze molto maggiori rispetto alle altre prede. Delle prede in grado di generare una maggiore opposizione ad un eventuale tentativo di presa. Delle prede in grado di resistere con maggiore tenacia e efficienza a tentativi di essere lacerate o trafitte. In breve, prede più grandi, forti e corazzate rispetto a quelle preferite dai theropodi di grado coelophysoide. Prede "nuove", che stavano popolando il mondo Giurassico probabilmente come causa ed effetto alla comparsa di nuovi, grandi predatori, come Saltriovenator.
Come accennato nei precedenti post, queste prede più grandi, forti, tenaci e resistenti sono proprio le due novità più interessanti nel panorama dei dinosauri non-theropodi della base del Giurassico: i sauropodi ed i thyreofori (come Scelidosaurus). 
Nella sua mano, Saltriovenator testimonia l'inizio della grande "corsa agli armamenti" tra mega-theropodi e mega-erbivori, che caratterizzerà i successivi 140 milioni di anni del Mesozoico.

Bibliografia:
Dal Sasso C., Maganuco S., Cau A. 2018. The oldest ceratosaurian (Dinosauria: Theropoda), from the Lower Jurassic of Italy, sheds light on the evolution of the three-fingered hand of birds, in PeerJ, vol. 6, e5976
Welles S.P. 1984. Dilophosaurus wetherilli (Dinosauria, Theropoda), osteology and comparisons, in Palaeontogr. Abt. A. 185:85–180.

13 commenti:

  1. Speriamo che a Saltrio si trovi qualcos'altro, anche se sarebbe forse troppo bello sperare che in un sedimento marino, formatosi a qualche km dalla costa, si possano trovare diversi animali terrestri...

    Valerio

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  2. Scusa il disturbo, ho un paio di domande (forse anche una terza…): questi caratteri possono rappresentare la condizione ancestrale di Averostra o sono propri di Saltriovenator? Si possono riconoscere in altri theropodi?

    G.C.T.

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    1. Alcuni sono condizione ancestrale di Averostra (maggiori dimensioni, maggiore robustezza), altri sono presenti nei ceratosauri basali (processi flessori più sviluppati), altri sono specializzazioni di Saltriovenator (la mensola estensoria sviluppata). Questo ci dice che Saltriovenator è, contemporaneamente, la dimostrazione della radiazione adattativa degli averostri, ma anche una prima e peculire linea di grandi predatori dell'inizio del Giurassico.

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    2. Grazie. Non capivo perché processi flessori e mensola estensoria non si fossero conservati in, ad esempio, Allosaurus e Acrocantosaurus (ma se i loro antenati non li avevano…).

      G.C.T.

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    3. I processi flessori sono presenti in tutti i taxa con dita non-vestigiali, ma con diversi gradi di sviluppo e forma.
      La mensola flessoria è presente sia in Allosaurus che Acrocanthosaurus, ma non è sviluppata come in Saltriovenator.

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  3. Sì, intendevo «quei caratteri riguardanti i…», insomma, il fatto che fossero maggiormente sviluppati (quello che rende Saltriovenator "particolare"). Lo stesso soggetto del primo commento. Comunque, grazie per l'attenzione.

    G.C.T.

    P.S. Argh! Rileggendo ora mi sono accorto che la "h" di Acrocanthosaurus l'ho persa per strada… La prossima volta è meglio che rilegga bene quello che scrivo (anche a scanso di equivoci).

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  4. Nice work Andrea. Saltriovenator is a pivotal discovery, elegantly described.
    We know that Dilophosaurus forelimbs were not essential for predation in this theropod, because the forelimbs accumulated numerous injuries, and the predator survived. So it could hunt prey without functional forelimbs.
    In general, theropod forelimbs were capable of very limited anterior (cranial) reach. So for Saltriovenator, large prey (like sauropods or thyreophorans) would already be positioned under Saltriovenator when the forelimbs were 'deployed' (such as to secure struggling prey). The prey would already be caught by the jaws - the forelimbs would help in dispatching the prey, not catching it in the first place. Is this scenario consistent with Saltriovenator's morphology?

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  5. Of course, and this is exactly what I meant in my interpretation of forelimb evolution in large theropods. The short and stout forelimbs of Saltriovenator, with their adaptations preventing dislocation of phalanges and allowing a more powerful flexion of fingers, are in fact explained as a dispatching organ, related to the evolution of more robust prey that is caught by the jaws, and killed by a series of bites. In order to deliver the necessary series of bites, it is necessary to evolve a robust dispatching organ able to hold the prey and keep it still and close to the predator body. Longer but becessarily more gracile forelimbs would not be adaptive in a theropod adapted to larger, slower but much stronger prey like sauropods and armored dinosaurs.
    As I wrote several times in this blog, the multiple evolution of larger theropods with stronger jaws coupled with shorter forelimbs is probably the consequence of an adaptive regime favouring stouter and stronger (and so, shorter) arms over longer but more slender and gracile forelimbs. It is the "binary organ" "big jaws + stouter arms" that was positively selected.

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    1. Thanks. Makes perfect sense. Do you think tyrannosaurids represent the extreme end of this evolutionary trajectory? Forelimbs reduced to very small size, but still capable of gripping (very large) prey.
      How do you account for the long forelimbs of certain dromaeosaurs like Velociraptor?

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    2. Tyrannosaurids are the extreme end of this trend.
      The enigma is abelisauroids, which do not fit this model (and in fact, this enigma is mentioned at the very last sentence of our Saltriovenator paper).

      Eudromaeosaurids have relatively shorter and stouter forelimbs than most other paravians, and this may indicate that they somehow evolved convergently to big theropods. In any case, dromaeosaurid predatory style is probably a novel adaptation not completely fitting the big theropod trend. In fact, they evolved a predatory function in the feet to partially compensate the too specialized feathered forearms inherited from other non-macrophagous maniraptorans.

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    3. Abelisaurs like carnotaurines could have dispensed with using their forelimbs for predation - might have solely retained a display function (as Delcourt suggested). But unimpressive as ornaments, given their small size in carnotaurines. ("Display function" is often a position of last resort when no other function can be inferred.)

      Re dromaeosaurids - I wouldn't have thought large forelimb feathers (including those attached to the hand and wrist) would have interfered with grasping large prey with both hands (something discussed by Gishlick). Large forelimb feathers would certainly have interfered with grasping of small prey (one-handedly or two-handedly) - but it's doubtful that the hands were of much use anyway for grasping small prey (hands had little if any prehensile ability).

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    4. Carnotaurines are clearly a vestigial stage. I don't like such ad hoc display hypothesis. Nothing prevents forelimb retention in carnotaurines to be just a by-product of developmental factor (for example, the fact that the scapulocoracoid is kept well-developed, probably as axial muscle anchor site).
      We neew more basal abelisauroids and ceratosaurians to show the intermediate stages between Saltriovenator and abelisaurids: only then we can discuss in a proper way the evolutionary reasons for their forelimb reduction.

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