Pagine

23 dicembre 2018

Ricostruire Saltriovenator

Confronto dimensionale tra la ricostruzione del più grande esemplare di Ceratosaurus e l'olotipo di Saltriovenator. Ceratosaurus è opera di Scott Hartman (fonte), Saltriovenator è opera di Marco Auditore (tratta da Dal Sasso et al. 2018).
Nello studio in cui istituiamo Saltriovenator (Dal Sasso, Maganuco e Cau 2018), una parte importante della nostra discussione è dedicata alla ricostruzione scheletrica e dimensionale di questo nuovo dinosauro. Sovente, la spiegazione tecnica di questi elementi è trascurata se non omessa del tutto in un articolo tecnico, nonostante che le ricostruzioni "in vivo" basate su tali inferenze siano molto care agli appassionati e possano quindi diventare oggetto di discussioni più o meno "robuste" online. Simone Maganuco è un paleontologo che da sempre coniuga una impostazione scientifica con una "divulgativo-espositiva", ed è proprio lui che ha voluto includere nel nostro studio anche una parte di spiegazione della logica sottostante la nostra ricostruzione. Per quanto una ricostruzione di un esemplare molto frammentario sia ovviamente un processo speculativo che sfuma nella (paleo)arte, è nondimento il prodotto di una riflessione razionale fondata su dati scientifici, e pertanto merita di essere esplicitata in uno studio tecnico. Infatti, solo così una ricostruzione scientifica può essere aggiornata e migliorata in modo scientifico, rendendo il lettore partecipe e consapevole della logica che sta dietro la scelta di usare una rappresentazione piuttosto che un'altra. Il messaggio che abbiamo voluto dare è che una ricostruzione non è, ovviamente, "un fatto puro" da prendere come verità di fede, ma nemmeno una "licenza artistica e gratuita": essa stessa è una ipotesi scientifica, avente una serie di dati di partenza, che sottosta a un insieme di regole pre-definite, e che può essere testata e migliorata in modo scientifico.

Le dimensioni 
L'immagine in alto mostra la ricostruzione di Saltriovenator confrontata alla stessa scala con quella del ceratosauro giurassico meglio conosciuto, Ceratosaurus. In colore, le ossa effettivamente note di Saltriovenator. Notate subito che la totalità della colonna vertebrale, la grandissima maggioranza del cranio e buona parte degli arti non sono attualmente noti. Per determinare le dimensioni (o meglio, un range plausibile di dimensioni) per questo dinosauro, abbiamo seguito diversi criteri, per poi confrontare i risultati.
Le ossa preservate di Saltriovenator sono state confrontate con ossa omologhe di altri theropodi molto più completi (in particolare, Dilophosaurus, Ceratosaurus e Allosaurus): tali confronti sono stati valutati e ponderati per stimare le dimensioni totali del nostro dinosauro.
Questo approccio ci permette di avere una stima generale delle dimensioni, ma non deve mai essere usato in modo ingenuo, perché ogni specie ha proporzioni particolari del corpo, e quindi non possiamo usare uno (o pochi) confronti tra poche ossa di specie differenti ed usarli come una stima esaustiva e completa dell'intero corpo. Fin troppo volte in passato abbiamo avuto stime "gigantesche" di dinosauri basate solamente su un singolo osso usato ingenuamente come parametro totale per un intero corpo.
Per spiegare il senso di questa sacrosanta cautela, vi basta confrontare la scapola e la mano di Ceratosaurus e Saltriovenator. Le due scapole risultano praticamente delle medesime dimensioni, mentre la mano di Saltriovenator è molto più grande e robusta di quella di Ceratosaurus. Se usassimo la mano come riferimento unico e definitivo, dovremmo concludere che Saltriovenator fosse grande una volta e mezzo Ceratosaurus, ovvero, che fosse lungo più di 9 metri! Una tale stima però sarebbe smentita dal confronto con la scapola e con le ossa della caviglia, che invece sono praticamente della medesima dimensione nei due dinosauri. Pertanto, il buon senso ci dice che Saltriovenator non era un ceratosauro gigante (con caviglie e scapole minuscole!), bensì che fosse un ceratosauro di dimensioni analoghe a Ceratosaurus ma con una mano in proporzione più robusta e sviluppata.
Questa seconda (e più cauta) stima di Saltriovenator è confermata da una comparazione delle ossa della mano e dell'omero di Saltriovenator con un ampio numero di theropodi, dove risulta che esso ha un rapporto metacarpo-omero in linea con la tendenza generale di Theropoda, mentre i ceratosauri successivi (Neoceratosauria: ceratosauridi e abelisauroidi), incluso Ceratosaurus, hanno il rapporto metacarpo-omero più ridotto di tutto Theropoda. Ciò significa che la mano di Ceratosaurus è relativamente ridotta per gli standard theropodiani, e sarebbe errato usarla come unico criterio per stimare Saltriovenator, dato che inevitabilmente sovrastimerebbe il nostro theropode italico.

La presenza, forma e morfologia delle parti mancanti
Perché abbiamo ricostruito il cranio di Saltriovenator avente delle creste nasali e lacrimali? Generalmente, una ricostruzione scheletrica di parti mancanti tende ad essere "minimalista" e non si "azzarda" ad aggiungere elementi "ornamentali", in quanto ritenuti "accessori" non verificabili. Questo modo di ragionare, apparentemente "cauto e conservatore" è a mio avviso invece "miope" perché ignora di considerare criteri scientifici di inferenza anatomica come basi per una ricostruzione. Per spiegare questo ragionamento, parto con una domanda apparentemete sciocca: come facciamo a "sapere" che Saltriovenator avesse una lunga coda (dettaglio della ricostruzione ma che non è basato su alcuna prova diretta)? Il motivo è che l'alternativa (una coda ridotta o assente) è una alternativa meno plausibile di una coda lunga: nessun ceratosauro né theropode non-maniraptoriano mostra alcuna tendenza alla riduzione della coda. Pertanto, fintanto che non avremo prove di una coda atrofica in Saltriovenator, la coda sviluppata è l'opzione di "default".
Esiste un criterio "scientifico" per stabilire quali caratteristiche siano da considerare "di default" in una ricostruzione? Sì, l'inferenza filogenetica: noi possiamo considerare come "default" tutte le caratteristiche di Saltriovenator che deduciamo filogeneticamente dalla sua posizione in Theropoda e Ceratosauria. In pratica, per stabilire le caratteristiche anatomiche mancanti in Saltriovenator abbiamo "chiesto" ad un programma filogenetico di ricostruire l'intera anatomia del più recente antenato comune di tutti i ceratosauri, sulla base della distribuzione delle caratteristiche anatomiche lungo la filogenesi di Theropoda.
Ad esempio, tornando all'esempio della coda, l'analisi filogenetica del carattere "numero di vertebre caudali" colloca l'evoluzione di una "coda corta" dentro il nodo Pennaraptora. Siccome Saltriovenator è esterno a tale nodo, deduciamo che esso avesse il carattere "coda lunga". Analogamente, siccome il carattere "perdita del quinto metacarpale" è collocato evolutivamente alla base di Neotheropoda (prima della divergenza di Ceratosauria e Tetanurae), deduciamo che Saltriovenator avesse quel carattere (condiviso da tutti i neotheropodi), e quindi fosse privo del quinto metacarpale (attenzione: notate che il carattere è "perdita del quinto metacarpale" e non "quinto metacarpale"!). Di conseguenza, nella nostra ricostruzione scheletrica, Saltriovenator non ha il quinto metacarpale, nonostante che la sua mano sia incompleta e quindi non si possa determinare direttamente il numero dei suoi metacarpali.
Sempre secondo questo approccio testabile e continuamente aggiornabile, l'analisi filogenetica ricostruisce l'antenato comune di ceratosauri e tetanuri come un theropode con cranio allungato, con il nasale dotato di una cresta mediana e con il lacrimale dotato di una cresta dorsale. Questi elementi sono stati quindi inclusi nella nostra ricostruzione: ometterli sarebbe stato una decisione arbitraria e soggettiva. Se questo risultato vi può apparire non scontato, considerate che una cresta nasale mediana è presente in altri ceratosauri basali (Ceratosaurus), ma anche in alcuni carnosauri basali (Monolophosaurus), negli unici megalosauroidi di cui abbiamo resti del nasale (spinosauridi), e in coelurosauri basali giurassici di cui disponiamo del cranio (proceratosauridi): appare quindi ragionevole che la cresta nasale mediana sia un carattere ancestrale di Averostra, che poi è andato perduto negli abelisauroidi, negli allosauriani, nei tyrannosauroidi post-Giurassici e nei maniraptoromorfi.

Combinando questi differenti metodi, filogenetico-comparativi e morfometrici, abbiamo quindi prodotto una ricostruzione che è la più "oggettiva" e "scientifica" possibile. Ovviamente, la speranza è che nuovi esemplari di Saltriovenator siano scoperti, così da testare, correggere e raffinare la correttezza della nostra interpretazione.

11 commenti:

  1. bel post, mi ha tolto letteralmente "le domande di bocca".
    Emiliano

    RispondiElimina
  2. Su quali taxa vi siete maggiormente basati per la ricostruzione del cranio?

    G.C.T.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nel post è spiegato che le parti mancanti sono dedotte usando l'inferenza filogenetica. Quindi, abbiamo tratto le caratteristiche da quelle condivise tra ceratosauri basali e tetanuri basali.

      Elimina
  3. Data la variabilità morfologica delle ossa nasali in questi theropodi basali (Dilophosaurus, Cryolophosaurus, Monolophosaurus, ceratosauri, spinosauri ecc) non sarebbe inatteso che un futuro ritrovamento di un cranio di Saltriovenator o di un qualsiasi Averostra basale riveli non solo la presenza di tali creste ma anche una morfologia unica e diagnostica di ognuna di esse per taxon, sia a livello scientifico che "pop". Se la presenza di queste strutture è davvero una simplesiomorfia propria di questa area dell'albero dei theropodi non ha più senso interpretare le diverse morfologie attualmente note come prodotti evolutivi indipendenti.
    Peccato che in campo paleoartistico non si veda mai in giro un megalosauro col nasone alla Barbra Streisand o in alternativa alla Lady Gaga. Questo post è di 10 anni fa eppure in tutto questo tempo è come se non lo avesse letto nessuno http://theropoda.blogspot.com/2008/06/non-prendermi-per-il-naso-lassenza-di.html
    A volte mi chiedo, ma se l'assenza di nasali preservati nei crani noti di questi esemplari non fosse una mera coincidenza ma proprio una conseguenza del fatto che ossa di morfologia inusuale, più "sporgenti" e/o "appiattite" trasversalmente o anteroposteriormente siano dal semplice punto di vista geometrico più potenzialmente soggette a fattori di dispersione e quindi abbiano minori probabilità di rimanere articolate durante la fossilizzazione? (come accade per le piastre degli stegosauri ad esempio) Anche se per ora rimarrebbe pura speculazione, potrebbe essere un indizio sensato per imputare con ancora più probabilità la presenza di tali strutture nei nasali perduti dei megalosauridi?

    Tra l'altro mi viene in mente che in Proceratosauridae i nasali pur essendo tra gli elementi più caratteristici sono anche le ossa del cranio che mostrano più lacune nel senso di aree non pervenute. Ad esempio il cranio del paratipo di Guanlong e gli olotipi di Kileskus e Proceratosaurus sono praticamente mozzati dorsalmente ad assenteificare* tetto cranico e creste nasali, sebbene ne sia preservata la parte basale. Ed il cranio olotipico di Guanlong sarebbe completo se non fosse per un tratto della medesima cresta.

    Che concetto tafonomico simpaticamente ossimorico sarebbe "absence as proof of presence"...

    *credo sia un neologismo... non mi veniva in mente il contrario di 'presenziare'.

    Danny Cicchetti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. (detto questo, non saprei rammentare caso per caso la storia tafonomica personale di ciascun proceratosauride, è stata una congettura estemporanea)

      DC

      Elimina
  4. Vi ringrazio per le esaurienti informazioni presentate. Avete risposto a molte domande in poche righe permettendo a "profani" come me di comprendere alcuni concetti prettamente tecnici. Ad esempio una delle prime cose che mi sono chiesto osservando alcune ricostruzioni era proprio il motivo è cui viene raffigurato con la cresta nasale... Complimenti!

    RispondiElimina
  5. Oops...
    Ho dimenticato di firmarmi...
    Daniele

    RispondiElimina
  6. Post meraviglioso che mi ha fatto capire molte cose su come sia possibile proporre una ricostruzione di un dinosauro da un fossile frammentario.
    Tempo fa pubblicasti un post nel quale ti chiedevi se avesse senso continuare con questo blog. Al tempo non ebbi la possibilità di commentare, ma posso dirti che dal punto di vista di una persona che di lavoro fa il ricercatore scientifico, ma in un campo completamente differente, alcuni dei tuoi post sono vere proprie gemme nell'illustrare le procedure scientifiche che si applicano in paleontologia, e spero tu possa continuare a lungo

    RispondiElimina
  7. nel disegno risultano colorati alcuni frammenti di costole. Essendo le costole moltissime, come fa il paleontologo (quindi come avete fatto voi, nello specifico) a piazzare i frammenti proprio in quell'ordine che si vede nella supposta figura completa ? cioè, è arbitrario o ogni frammento ha caratteristiche specifiche da cui dedurre l'informazione ? grazie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Come spiegato nell'articolo, forma, dimensioni e proporzioni di ogni frammento permette di collocarle con buona approssimazione in determinate posizioni della gabbia toracica, usando come riferimento gabbie toraciche di scheletri più completi (in questo caso, Allosaurus e Tyrannosaurus).

      Elimina
  8. M'ero sempre chiesto come fosse possibile estrapolare una ricostruzione scheletrica generale partendo da una "manciata" di fossili. Grazie per l'illuminante spiegazione.
    Alberto.

    PS: colgo l'occasione per farti i migliori auguri di buon anno nuovo (l'augurio naturalmente è esteso a tutti i tuoi lettori).

    RispondiElimina

I commenti anonimi saranno ignorati
-------------------------------------------------------------
Anonymous comments are being ignored
-------------------------------------------------------------