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16 ottobre 2017

Perché è ingenuo lamentarsi della nuova iconografia dei dinosauri



Giovedì scorso, ho intrattenuto un pubblico appassionato con una presentazione sui dinosauri piumati, nella quale ho usato il tema come "cavallo di Troia" per un discorso sulle categorie biologiche. Durante la presentazione, ho anche mostrato come l'iconografia dei dinosauri sia cambiata continuamente fin dalla loro primissima scoperta negli anni '20 del XIX secolo.
Riflettendo su tale evoluzione iconografica, ho fatto una battuta, che ora elaboro in modo più articolato con questo post.

Le primissime rappresentazioni artistiche dei dinosauri sono figlie della loro epoca. I pochi resti fossili noti dei dinosauri, ancora privi di scheletri decentemente completi, ed un clima culturale non ancora pronto per l'idea di evoluzione come la concepiamo oggi, avevano ispirato rappresentazioni molto fantastiche. I dinosauri, prima ancora di ricevere tale nome, erano quindi gli equivalenti romantici dei draghi medievali.

Quando Owen introduce il termine "dinosauro", lo fa all'interno di una ben precisa strategia ideologica. Egli deve fronteggiare una visione progress(iv)ista e trasformista del mondo biologico (non soltanto di stampo lamarkiano), ed usa i suoi Deinos-sauria, "rettili terribilmente grandi", come prova di una non-linearità della storia biologica, come evidenza fossile inequivocabile che la storia della vita non fu una progressiva marcia verso la perfezione, bensì una arbitraria successione di creazioni e catastrofi, guidata "fuori dal mondo".
L'iconografia del dinosauro oweniano è quindi una idealizzazione para-mammaliana dell'archetipo rettiliano. I dinosauri della metà del XIX secolo sono quindi una sorta di "mammiferoidi squamati", signori di un'età antidiluviana fine a sé stessa, priva di connessioni dirette con le faune attuali.

L'avvento del darwinismo come sistema evoluzionistico maturo, porta all'abbandono del dinosauro oweniano. La scoperta di scheletri finalmente decentemente completi ispira le prime rappresentazioni "canoniche" dei grandi rettili mesozoici. L'avvento di una rapace generazione di paleontologi americani toglie all'Europa il ruolo di guida nella paleontologia dei dinosauri. La fine dell'ottocento e l'inizio del XX secolo rappresentano l'età "classica" della dinosaurologia. Icone come Iguanodon, Stegosaurus, Triceratops, Diplodocus e Tyrannosaurus vengono canonizzate, e le loro forme plasmate anche aderendo ad una visione neolamarkiana dell'evoluzione, che considera gli estremi dimensionali e morfologici dei dinosauri canonici "patologia evolutiva", senescenza della razza, l'espressione evidente di un declino, la drammatica degenerazione della stirpe rettiliana, prossima all'estinzione. Nasce, a livello popolare, l'uso della parola "dinosauro" come dispregiativo, sinonimo di "obsoleto, retrogrado, ipertrofico, fallimentare".
L'iconografia dinosauriana della metà del XX secolo si conforma a questa visione, e genera capolavori fantastici come "The Age of Reptiles" di Zallinger, nel quale i dinosauri, intesi come gigantesche montagne di carne senza cervello, troneggiano nella propria staticità.

La rivalutazione critica della biologia dei dinosauri, avvenuta in area anglosassone tra gli anni '60 e '80 del XX secolo, produce una nuova iconografia dinosauriana. Il "rettile rivalutato" di stampo bakkeriano non è altro che la reazione uguale e contraria alle acefale montagne di carne della generazione precedente. Gli iperattivi Deinonychus di J. Gurche, quasi una versione dinosauriana delle tartarughe ninja, sono irreali quanto i brontosauri impaludati di Zallinger, sebbene per motivi opposti. Ed il suo equivalente cinematografico, il malvagio raptor di Jurassic Park, capace di aprire porte, cacciare in branco con tecniche organizzate, e correre a 80 km/h, è solamente la punta estrema di una volontà di revisionare l'iconografia degli anni '40.

Al pari dei lucertoloni senza vita del 1940, i dinosauri degli anni '90 sono antropomorfici, nella misura in cui manifestano non tanto la biologia di un taxon fossile, quanto le suggestioni e illusioni dei paleontologi del loro tempo.
La rivoluzione piumata degli ultimi 20 anni, in cui viviamo oggi, ha definitivamente demolito la dicotomia rettile-uccello, concludendo quella rivoluzione darwiniana che Huxley aveva provato a introdurre nella dinosaurologia quasi 120 anni prima. Il risultato di questa rivoluzione è stata la progressiva accettazione del piumaggio come componente significativa della biologia dinosauriana. Come tutte le rivoluzioni, all'inizio essa ha generato reazioni ostili, controffensive della parte detronizzata, ma anche molti eccessi. I così detti "feather nazi" sono niente altro che l'estremizzazione della rivoluzione, al pari del raptor strafatto di crack della generazione precedente, ed il tyrannosauro obeso di Zallinger. Ogni generazione ha le sue iconografie estreme. Solo ora, forse, ci stiamo rapportando in modo critico alla multiforme diversità dei dinosauri, e produciamo iconografie mature e consapevoli dell'eterogeneità.

Eppure, molti tra coloro che si appassionano ai dinosauri, e vengono a contatto con la nuova iconografia "piumata", manifestano contrarietà, repulsione e nostalgia.
"I dinosauri erano meglio quando avevo 10 anni", replicano i nostalgici. La reazione è, tuttavia, molto miope. Se avete seguito la storia che ho appena ripercorso, avrete notato che ad ogni momento della vicenda, dal 1830 ad oggi, è corrisposto un particolare canone iconografico.

I dinosauri draconiani di Mantell (anni 1830) sono diversi dai mammalo-morfi di Owen (anni 1860) che sono diversi dai dinosauri senza anima di Zallinger (anni 1940), che sono diversi dai raptor super-eroistici di Gurche (anni 1980) che sono diversi dai nostri "polli giganti" (anni 2010). Ogni età ha avuto la sua iconografia, e lamentarsi della "nuova", rimpiangendo la precedente, è solo il segno di una infantile ignoranza verso una storia continuamente in divenire. Chi rimpiange i dinosauri "alla Jurassic Park" non comprende che anche quelli erano "bizzarrie alla moda" quando furono introdotti e soppiantarono nell'immaginario popolare l'icona precedente.

Non avremo mai una "iconografia definitiva" dei dinosauri. Lamentarsi della forma attuale, rimpiangendo il passato prossimo, significa non comprendere la dimensione storica e contingente delle nostre rappresentazioni, di tutte le rappresentazioni paleontologiche: passate, presenti e future.

8 commenti:

  1. c'è una componente totalmente irrazionale in questo tipo di atteggiamento. è il legame con l'infanzia rivissuta come una specie di età dell'oro (che non è mai stata, ma tale diventa nella memoria). molti di noi hanno incontrato i dinosauri da bambini e i dinosauri sono diventati parte del proprio immaginario infantile. nulla di male in questo, è semplicemente una cosa che accade (verso ancora lacrime sulle tavole di Burian...), è un peccato fermarsi lì e rimpiangere invece di meravigliarsi del nuovo (e poi di accettare anche quanto di inevitabilmente legato alla cultura dei tempi rimane attaccato alle ipotesi interpretative e iconografiche) e dimenticarsi che la conoscenza è sempre in mutamento.

    a proposito dei draghi e dei serpenti piumati... ho spesso pensato che parte di quell'immaginario avesse colto intuitivamente delle parentele fra "rettili" e "uccelli": a parte il serpente piumato latino americano, molte illustrazioni di draghi presentano chimere con ali e penne da uccello...(anche se il mio preferito è quello del Carpaccio che in pratica è il cane di Topolino)
    Emiliano

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    1. Emiliano fa piacere incontrare qualcun'altro a cui piacciono le illustrazioni paleontologiche di Zdenek Burian. Lui si che era eccezionale!
      Ammetto che in effetti non è facile eliminare dalla mente un'iconografia che ti ha accompagnato per tanti anni e a cui sei abituato.
      Tuttavia nella scienza niente e definitivo e bisogna sempre essere pronti ad accettare la realtà dettata dalle nuove scoperte...io seguo i dinosauri dai primi anni '90, ma nei media di allora circolavano ancora le versioni dei dinosauri stupidi degli anni '40.
      Ho acquisito gradualmente una visione differente e più accurata dei dinosauri solo attraverso i libri e alle tesi scientifiche una volta cresciuto.
      Dai media purtroppo non è facile evolvere e migliorare nel campo dell'iconografia dei dinosauri: vi puoi trovare novità, ma sempre accompagnate da versioni datate a cui il pubblico è abituato ed a cui è affezionato, ma qui si entra nel campo della mercificazione, quindi lasciamo stare.

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  2. Sono atteggiamenti del tutto antiscientifici. Lamentarsi vuol dire che invece di volere conoscere il più possibile come stiano le cose, si vuol credere o vedere quello che piace o fa comodo. Questo è un modo per perdere il contatto con la realtà e non succede solo con la paleontologia.
    Capisco il discorso della nostalgia dell'infanzia, il ricordo delle sensazioni davanti a quella iconografia o di ciò che rappresentava per loro; ma la realtà è com'è, non è che si piega al tuo volere o alla tua visione, semmai il contrario. E comunque anche se una persona è "nostalgica" non vuol dire che debba avere la vista annebbiata, rifiutare la realtà e non saperla distinguere.
    Una cosa come desiderare che non fossero piumati, o che lo fossero o che lo fossero in un certo modo e arrampicarsi sugli specchi, non dovrebbe neanche esistere. Bensì il desiderio di scoprire se c'erano o no, di che tipo, com'erano distribuite, ecc. La ricerca è appassionante, specialmente dove hai in mano poche tessere di un puzzle, di cui speri di trovarne altre, e cerchi di trovare un modo per farti un'idea attendibile di come sia il resto, in base a quello che hai in mano. Anche in astronomia, da un puntino di luce si riesce a ricavare e inferire una gran quantità di informazioni dirette e indirette, appoggiandosi su altre evidenze, teorie e modelli e così via. In un articolo precedente, che mi è piaciuto molto ("Perché Allosaurus non è Aquila") questo si vede bene.
    Ad ogni modo, mentre puoi mandare una sonda su Plutone, non puoi mandarne una nel mesozoico. Anche le illustrazioni più accurate non sono fotografie: devono fare i conti con aree più o meno probabili, incerte o di cui non si sa nulla. Anche quando non contiene errori, l'immagine prodotta da un paleoartista ha qualche libertà; ma il pubblico non deve pensare che l'animale fosse esattamente così. Entro i vicoli di accuratezza, un paleoartista potrebbe produrre più varianti e sarebbero comunque ugualmente scientificamente accurate.
    Prossimamente potrebbe venire alla luce qualche dettaglio in più, qualche sorpresa, o comunque l'idea che abbiamo di questi animali potrebbe venire nuovamente rifinita e quelle immagini non sarebbero più accurate.
    E sarebbe bellissimo, perché in quel momento li conosceremmo un po' meglio.

    Sue

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    1. si, mi sembra di aver detto più o meno le stesse cose :) per me l'aspetto più affascinante è la vicenda evolutiva, non l'aspetto che gli animali hanno nelle ricostruzioni.
      Emiliano

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  3. I don't care how they are portrayed in the mind's eye, I just wish there was a small group of quality artists who actually putting brushes to canvas rather than two or three times as many second or third grade artists using computer software.

    Paul W.

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  4. Questo post fa molto riflettere.
    Io sono ancora un ragazzo, e amo le illustrazioni di J. Sibbick: molti anni fa ebbi un libro pieno di sue illustrazioni, e me ne innamorai. quelle creature erano vive per me, e se una di quelle tavole mi capita sotto gli occhi oggi mi emoziono (e non solo per nostalgia). Allora ero un bambino e le consideravo ricostruzioni perfette e intoccabili, ma oggi sono solo splendide opere d'arte, e di intoccabile hanno ben poco... :'-(
    Tuttavia non ho avuto problemi ad accettare (per esempio) le piume sui Coelurosauria, e mi ha sempre fatto schifo un Tyrannosaurus che struscia la coda per terra. Nella mia breve vita ho già assistito (sempre in ritardo) a tre di queste rivoluzioni iconografiche.
    Ma secondo me queste estremizzazioni si stanno moderando negli ultimi anni, in cui molti appassionati sono molto flessibili e non rifiutano categoricamente nuove teorie.
    Chissà quando sarò grande come le cose saranno cambiate...

    Giulio, Torino

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  5. Potendo solo teorizzare sull'aspetto reale di questi animali del profondo passato un qualsiasi illustratore, con la complicità di uno o più scienziati paleontologi, si troverebbe comunque costretto ad usare una buona parte di fantasia per costruire uno di questi animali misteriosi.
    Però, dal mio punto di vista, dopo le scoperte di questi ultimi 10 anni, fra nuovi studi osteologici e chimici eseguiti con più attenzione grazie alle nuove tecnologie, intravedo una sempre più marcata analogia con molti uccelli odierni.
    Sapendo osservare meglio la natura che ci circonda molte cose si potrebbero capire, e molto altro si potrà azzardare su nuove ricostruzioni di questi animali del passato.

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  6. I dinosauri di Burian sono la mia infanzia, il primo libro illustrato che ho consumato a forza di sfogliare, è ovvio che mi rimanga nel cuore e magari una lacrima di nostalgia.
    Ma una cosa sono i ricordi, una cosa l'infanzia una cosa un dibattito scientifi.
    Burian è fedelmente conservato nella libreria alle mia spalle, ma accanto a lui ci sono Feathered Dinosaurs di Long e Schouten e All Yesterdays di Comway e Kosemen... ed è bellissimo così

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