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16 luglio 2016

Epistemologia, statistica morfometrica ed icnologia di un presunto ornithomimosauro laziale

Romano e Citton (2016) analizzano morfometricamente delle impronte fossili di theropode dal Cretacico Inferiore del Lazio, precedentemete descritta da Citton et al. (2015) e concludono che esse possano essere riferite ad un ornithomimosauro. Sebbene l'idea di ornithomimosauri in Italia di per sé non è impossibile, dopo aver letto l'articolo di Romano e Citton (2015) devo concludere che la loro analisi di quelle impronte non porta alcun sostegno a tale ipotesi.
Per chiarire i motivi del mio scetticismo, è necessario che spieghi la metodologia usata da Romano e Citton (2016), cercando di non renderla troppo tecnicistica me nemmeno troppo semplicistica.
Le impronte in questione sono le tracce di metatarsi e falangi del piede di un animale tridattilo, molto probabilmente un theropode. L'impronta non mostra traccia del primo dito del piede, ma tale assenza può essere preservazionale. In ogni caso, ai fini della attribuzione ad Ornithomimosauria, la eventuale presenza del primo dito del piede non sarebbe un problema, dato che gli ornithomimosauri non-ornithomimidi (ad esempio, Garudimimus) conservano il primo dito del piede. In ogni caso, l'analisi si è concentrata sul metatarso e sulle dita II-III-IV.
Gli autori misurano l'impronta del metatarso e delle tre dita e stimano da queste le lunghezze delle ossa del piede. Questa misurazione è problematica, dato che le dimensioni di un'impronta sicuramente sovrastimano quelle delle ossa del piede che ha generato tale impronta, per la ovvia ragione che un piede è formato anche da cartilagini e tessuto connettivo, ed un'impronta in un substrato è una deformazione plastica di tale piede. Ma anche ammettendo di avere un margine di errore ridotto tra lunghezza dell'impronta e lunghezza delle pre-esistenti (e ormai perdute) ossa del piede, possiamo usare tali misure per ricavare un'attribuzione tassonomica dell'autore?
Come spiego sotto, la risposta è negativa.
Gli autori prendono 4 misure dall'impronta, e le riferiscono alle sequenti parti dello scheletro: metatarso, secondo, terzo e quarto dito. Nello specifico, Romano e Citton (2016), riferiscono il limite posteriore dell'impronta come “the area of articulation between the metatarsus and distal tarsal”. Tuttavia, i theropodi, come tutti i dinosauromorfi, hanno un contatto rigido tra metatarso e tarsali distali, mentre l'articolazione è a livello della troclea tra i tarsali prossimali (astragalo e calcagno) ed i tarsali prossimali. Questa differenza può sembrare un dettaglio cavilloso, ma non lo è se si vuole prendere una misura il più accuratamente precisa ai fini di un'analisi morfometrica, dato che assumere che quella impronta (formata da metatarso + tarsali distali) sia invece – come scrivono gli autori – la misura del solo metatarso implica automaticamente sovrastimare la lunghezza del metatarso. L'impronta in questione è quindi del tarsometatarso, non del solo metatarso. Pertanto, a rigore, essa dovrebbe essere confrontata solamente con altri tarsometatarsi e non con i soli metatarsi. Altrimenti, ripeto, si rischierà di sovrastimare tale metatarso, quindi attribuendogli una natura più allungata di quella che veramente è. 
Un problema fondamentale che risulta nell'articolo è, però, relativo alla ripetibilità delle loro misure. Gli autori sono consapevoli della soggettività di tali misure e propongono due possibili ricostruzioni del metatarso autore dell'impronta analizzata: una prima versione (Type 1) con il quarto metatarsale lungo quanto il terzo, ed una seconda (Type 2) in cui il quarto metatarsale è lungo quanto il secondo. Sebbene esista una certa variabilità nei metatarsi dei theropodi, queste due opzioni possono essere considerate come gli estremi ipotetici del possibile range di variabilità al cui interno collocare l'autore dell'impronta. Pertanto, tralasciando il problema della sovrastima del metatarso, la lunghezza del tarsometatarso e del terzo dito ottenute dagli autori sono ripetibili in base ai landmark dell'impronta proposti nello studio. Ovviamente, questa misure assumono che l'impronta sia una fedele misurazione della lunghezza prossimodistale delle parti impresse. Ciò, però, avverrebbe solamente nei casi in cui il piede viene impresso nel substrato con il proprio asse prossimodistale parallelo alla superficie del terreno, e che tale impronta fossile sia poi esposta in superficie su un piano erosivo parallelo alla superficie originaria. Tutte queste ipotesi sono, purtroppo, inverificabili (e forse eccessivamente semplicistiche).

Purtroppo, inoltre, non è chiaro dall'articolo in che modo gli autori ottengano la misura della lunghezza del secondo dito. Di conseguenza, come ricavare la lunghezza del quarto dito nel Type 2 è altrettanto poco chiaro.

Anche ammettendo di poter ripetere le misure delle parti del piede nell'impronta, è il metodo analitico – e l'interpretazione del risultato – che sono a mio avviso i punti meno condivisibili dello studio.

Gli autori ricavano le misure del metatarso e delle dita II-III-IV di 37 theropodi le cui ossa del piede sono illustrate in letteratura. Già questo, di per sé, è epistemologicamente discutibile, dato che presume di poter confrontare misure di ossa con misure di impronte, assumendo che siano “isomorfe” sul piano logico. Senza arrivare alla metafora delle mele e delle pere, e limitandomi a rimarcare quanto scritto sopra, è difficile che una impronta di un piede in un substrato sia una cristallina documentazione delle dimensioni di elementi ossei. In che modo, quindi, l'errore di misurazione e interpretazione dell'impronta incide sulla sua correlazione con le misure prese sulle ossa vere? Non è chiaro.

Inoltre, anche le misure ossee sono soggette ad una serie di errori la cui incidenza sull'analisi è poco chiara. Ad esempio, per alcune misure gli autori sono costretti a ricorrere a stime, alcune delle quali non corrette in base a ciò che conosciamo di quei taxa. Ad esempio, gli autori stimano il secondo ungueale del piede di Sinornithosaurus – del quale scrivono di non avere misure dirette – nel modo seguente: “The ungual phalanx in digit II of Sinornithosaurus millenii was reconstructed using the average dimensions of the ungual phalanges of digits III and IV in Xu, Wang & Wu (1999, fig. 4, p. 265)”. Tale approccio per “interpolazione” su Sinornithosaurus è errato: questo taxon è un Dromaeosauridae, e nei dromaeosauridi il secondo ungueale del piede è molto più grande della misura media degli ungueali del terzo e quarto dito. Infatti, la misura delle dimensioni iperfrofiche del secondo ungueale del piede di Sinornithosaurus è confermata dalla TAC riportata da Xu e Wang (2002). Pertanto, la stima della lunghezza del secondo dito del piede di Sinornithosaurus in Romano e Citton (2016) sottostima in modo significativo la misura reale in quel theropode. Quanti altri taxa sono suscettibili di errori di misurazione? Quanto questi errori incidono sull'interpretazione delle stime tratte dalle impronte? Pare il classico caso di propagazione dell'errore oltre il limite di significatività dell'analisi.

Un aspetto molto problematico di questa propagazione dell'errore nell'analisi, che sarà chiaro in seguito, è dato dalle misure del secondo dito del piede in due taxa, Daspletosaurus e Sinovenator: in ambo i taxa il secondo dito è poco conservato, e gli autori devono quindi includere nelle loro analisi questi due taxa con indicato “?” nel valore del secondo dito. Tenete a mente questi due taxa quando illustrerò i risultati dell'analisi.

Una volta ricavate le misure per tutti i 37 theropodi, assieme alle due versioni del piede laziale (Type 1 e Type 2), gli autori utilizzano una Analisi delle Componenti Principali (PCA) dei quattro parametri per stabilire a quali taxa l'impronta italiana sia più simile morfometricamente.

Per chi non è pratico di PCA, questa analisi parte dalle 4 misure raccolte e le elabora per ricavare altri 4 valori, ognuno dei quali ottenuto da una combinazione delle 4 misure iniziali. Ognuno di questi nuovi valori è una Componente, ed il contributo dato da ognuna della misure iniziali per ciascun componente è chiamato Loading. In generale, ogni componente descrive in modo differente la varianza tra le misure iniziali, così che usando le 2 componenti “più importanti” si può avere un grafico bidimensionale che includa in sé informazioni tratte da tutte e 4 le misure iniziali.

Vediamo cosa risulta da queste 4 misure dei piedi di 37 (+2 stime) theropodi.

La PCA illustrata nell'articolo mostra che la prima componente (P1) contribuisce per il 97.2% della varianza nel campione. Ovvero, incide tantissimo: praticamente da sola essa descrive il campione. Se guardiamo i loadings di quella componente, vediamo che le 4 misure originarie contribuiscono tutte praticamente allo stesso modo (tra 0.497 e 0.502). Ciò significa che le 4 misure sono prese in ugual modo nel formare la P1, e siccome essa rappresenta il 97.2% della varianza nel campione, dobbiamo dedurre che la quasi totalità dell'informazione ricavabile dalle misura proviene in pari importanza da tutte e quattro le misurazioni. Ciò deve far nascere il sospetto che la P1 sarà quindi una mera espressione del valore numerico dato dalle dimensioni misurate nel campione. Ciò è confermato dal grafico avente la P1 come asse x. Gli stessi autori lo notano: l'asse x, espressione della P1, a sua volta mera espressione delle misure prese sulle ossa, è solamente una distribuzione delle specie campionate in base alle loro dimensioni corporee: all'estrema sinistra abbiamo i theropodi più piccoli (Avialae), all'estrema destra i giganti (Tyrannosaurus). Le due stime ricavate dall'impronta italiana si collocano, ovviamente, nella zona dei taxa di dimensioni medie. Pertanto, l'asse x della PCA, che rappresenta il 97.2% della varianza nel campione, dice solamente una cosa ovvia: l'esemplare è un theropode di medie dimensioni.

E l'asse y, ovvero, la P2? La P2 rappresenta solamente l'1.45% della varianza nel campione. I loadings dicono che questa P2 è “ricavata” in misura inversa dalla lunghezza del metatarso e direttamente dalle lunghezza del secondo dito. In pratica, quindi, le specie con metatarsi corti e secondo dito lungo avranno valori alti nell'asse y, e, viceversa, specie con metatarsi lunghi e secondo dito corto avranno valori y bassi. Tuttavia, siccome questa P2 incide solo per meno del 2% della varianza nel campione, la sua importanza è relativamente marginale. Inoltre, se guardiamo la distribuzione delle specie lungo l'asse y della PCA, appare una preoccupante anomalia: il valore massimo sull'asse y appartiene a Sinovenator, ed il minimo a Daspletosaurus: le due specie menzionate prima che erano prive di valore per il secondo dito (quello che incide in modo più importante nei loading della P2)! Ovvero, i valori estremi nella distribuzione della P2 sono quelli dei due taxa privi della misura che genera il principale loading per quella componente! Il che significa che essi sono stati collocati dal programma in quei punti in qualche modo viziato dall'assenza di informazioni relative al secondo dito. Ciò, sommato alla bassa incienza della P2 nella varianza, implica che la distribuzione delle specie lungo l'asse y della PCA sia veramente molto poco significativa, se non quasi del tutto casuale.

Il grafico avente la P1 e la P2 come assi cartesiani pertanto distribuisce le specie in base alla dimensione corporea, lungo l'asse x, ed in base ad un valore poco significativo legato anche esso alle dimensioni corporee, lungo l'asse y. Non stupisce che l'impronta laziale, fin dalla sua scoperta riferita ad un taxon di medie dimensioni, si collochi quindi nella zona delle specie di medie dimensioni. Racchiudendo le 37 specie incluse in gruppi tassonomici, l'orma laziale rientra al limite nel trapezoide includente gli ornithomimosauri. Ciò ha una significatività? Sebbene le due alternative ricostruzioni siano appena dentro l'area di distribuzione degli Ornithomimosauria, ciò non è assolutamente di rilevanza tassonomica, dato che l'area di distribuzione di Ornithomimosauria, avendo anche il gigante Deinocheirus al suo interno, si sovrappone nella sua zona sinistra praticamente a tutti i theropodi di taglia media. Inoltre, l'assenza nel campione di cladi di taglia media come Bahariasauridae e Megaraptora, e l'assenza di forme immature di specie di grande dimensione (i Tyrannosauridae immaturi hanno metatarsi indistinguibili dagli ornithomimidi!) rende quel grafico poco significativo nel definire eventuali confini morfometrici tra i theropodi di taglia media: gli ornithomimosauri sono i soli theropodi di taglia media rappresentati in modo significativo nel campione, quindi non stupisce che l'orma laziale risulti nel solo clade di taglia media incluso nell'analisi. Ma cosa accadrebbe ad includere altri taxa di dimensioni medie? Sospetto che le orme laziali risulterebbero interne anche ad altri cladi.

Concludendo, l'analisi dice solamente che l'impronta laziale appartiene ad un theropode di taglia media. Ma questo, e non me ne vogliano male gli autori, era già noto quando l'impronta fu descritta nel 2015 senza ricorrere ad una PCA di 4 misure di ossa del piede: anche solo limitandomi al parametro più robusto, la P1, è evidente che quando il 97.2% della varianza in un campione è la mera dimensione lineare degli oggetti del campione, non è possibile estrarre alcuna informazione tassonomica dal medesimo.
Tutto questo post non deve essere letto come una critica personale agli autori. Tutt'altro, è un esempio di come la scienza sia proprio questo: produzione di ipotesi descritte nel dettaglio proprio perché siano testate da altri ricercatori. Infatti, la scienza non è tale nel produrre ipotesi inossidabili e inviolabili, ma piuttosto nel produrre ipotesi falsificabili. Romano e Citton (2015) hanno proposto un metodo per dedurre informazioni tassonomiche da misure morfometriche di impronte. La loro ipotesi tuttavia non è supportata dalla loro analisi. E perché lo dico? Perché è il loro stesso articolo che ce lo dimostra! Ed è così che dovrebbe essere nella scienza. Avendo descritto nel dettaglio il loro metodo e risultati, infatti, lo hanno reso testabile e analizzabile criticamente. Il risultato dell'analisi critica della metodologia usata fa Romano e Citton (2015) ci dice che non ci sono motivi validi per ritenere quell'impronta riferibile ad Ornithomimosauria. Mi spiace per l'ornithomimosauro italiano (e per la bella ricostruzione di Davide Bonadonna) ma esso non esiste, o perlomeno non è deducibile da quell'impronta, proprio per i motivi che ho descritto sopra, motivi che ognuno può ricavare dall'articolo di Romano e Citton (2016). Ovvero, l'ipotesi di Romano e Citton (2016) proprio perché è falsificata dal suo interno, quindi è falsificabile, risulta scientifica (sebbene non corretta).

Bibliografia:
Citton P. et al. (2015). Elongated theropod tracks from the Cretaceous Apenninic Carbonate Platform of southern Latium (central Italy). Palaeontologia Electronica 18.3.49a, 1–12.
M. Romano and P. Citton (2016) Crouching theropod at the seaside. Matching footprints with metatarsal impressions and theropod autopods: a morphometric approach. Geological Magazine (advance online publication) DOI: http://dx.doi.org/10.1017/S0016756816000546

9 commenti:

  1. Sei a conoscenza di casi in cui è stato possibile associare l'impronta a un taxon o a un clade meno inclusivo di theropoda? In questi casi quali parametri e analisi sono state usate?
    Grazie in anticipo per la riposta

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  2. Le impronte dei dromaeosauridi sono diagnostiche in quanto non hanno traccia del secondo dito. Ne parlai in passato nel blog.

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  3. Alessandro Ruggiero17/7/16 13:44

    Ci sono criteri per stabilire se un'impronta appartenga ad un esemplare giovanile piuttosto che ad un adulto?

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  4. Francesco Nobile17/7/16 15:10

    Ciao seguo il blog da un po', posso farti un paio di domande su che percorso universitario intraprendere per diventare paleontologo?

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    1. Il percorso universitario per diventare paleontologo non esiste.
      Occorre una formazione scientifica molto ampia, che va ben oltre il programma formativo delle università attuali. In 20-30 anni di studio e ricerca, in larga parte in autonomia, uno acquisce la mente del paleontologo.
      L'università serve ad avere un pezzo di carta.

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  5. 10 anni fa andai a fare un pic nic in un uliveto di amici in montagna, nel comune di Sonnino, Latina, Lazio, e parlando di queste montagne mi dissero che poco piú su sempre tra gli ulivi vi era un'impronta di dinosauro su una pietra, mi portarono in quel punto e ciò che vidi fu un'impronta della pianta di un piede a 3 dita grande per fare un esempio come la ruota di un automobile, la forma era chiara e definita, lasciava poco all'immaginazione, e in più sulla punta di una falange vi era un ulteriore solco che andava più in profondità e che sembrava proprio fatto dall'artiglio. Rimasi molto colpito. Purtroppo le amicizie vengono e vanno, e non ci siamo più frequentati, però tra quegli ulivi c'é qualcosa che sicuramente andrebbe visto da un esperto.

    Flavio

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