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09 luglio 2013

Tataouinea hannibalis (Fanti, Cau, Hassine e Contessi 2013)

Ricostruzione in vivo di un esemplare di Tataouinea hannibalis. (Opera di D. Bonadonna).


Mi rendo conto che ormai sto diventando ripetitivo, ma per ottime ragioni che credo apprezziate: il 2013 sarà ricordato come un anno straordinario nel campo della paleontologia dei rettili mesozoici “made by Italians”. Ed è con cuore colmo di soddisfazione, e le ossa piene di sacche d'aria e di cavità, che vi annuncio – in anteprima assoluta – un altro studio del quale sono co-autore, pubblicato oggi su Nature Communications. E questa volta si tratta di qualcosa di molto grosso.




Il 18 marzo del 2011, nella casella di posta elettronica trovai un'email da Federico Fanti, di ritorno da una campagna di scavo nel sud della Tunisia. Nell'email, Federico mi allegò la foto di tre vertebre, articolate ed associate, per sentire un mio parere in proposito. Aldo Bacchetta, collaboratore del team di Federico, aveva scoperto quelle ossa una dozzina di giorni prima, in strati mesozoici a sud della città di Tataouine.

"...è, è un dinosauro!" (A. Grant, 1993)

La mia reazione confermò l'interpretazione di Federico: un dinosauro sauropode!
Non solo le vertebre erano belle ed articolate, ma erano addirittura cinque, e tutte in sequenza. E non solo le vertebre erano cinque, belle ed in sequenza, ma si connettevano ad una serie di vertebre sacrali completa! E non solo le vertebra caudali erano articolate e connesse ad un sacro completo, ma questo a sua volta era ancora articolato al bacino! Un bacino di sauropode, articolato al sacro e in connessione anatomica con cinque vertebre caudali: a quanto mi risultava, non era mai stato rinvenuto uno scheletro articolato di dinosauro dalla Tunisia, ma solo ossa sparse ed isolate. L'esemplare era quindi molto importante e significativo, e richiedeva un'indagine approfondita.

A sinistra, l'esemplare in situ, estratto dal sedimento. A destra, Federico Fanti con una delle vertebre caudali.

Purtroppo, anche se noi paleontologi fingiamo di vagare con la mente persa nel Mesozoico, viviamo pur sempre in un mondo fatto di contingenze tardo-oloceniche, e la Tunisia, come sicuramente sapete, negli ultimi due anni è stata attraversata dall'instabilità politica. E benché io sia un sostenitore delle istanze di rinnovamento politico e sociale della 'Primavera Araba', l'instabilità politica, qualunque sia la sua causa, il suo valore e le sue aspirazioni, tende sempre a sfavorire le ricerche paleontologiche. Di conseguenza, per quasi un anno, a causa delle incerte situazioni politiche, non fu possibile approfondire lo studio di questo esemplare, che nel frattempo era stato estratto dal sedimento e trasferito a Tunisi.
Finalmente, nella primavera del 2012, Federico mi confermò che si poteva procedere con lo studio vero e proprio. Purtroppo, nel frattempo l'esemplare, che è particolarmente fragile, aveva subìto alcuni danneggiamenti durante il trasporto e la sistemazione a Tunisi, che hanno compromesso la sua integrità. Nonostante ciò, fortunatamente, esso è così ricco di dettagli e caratteristiche significative che persino nella sua relativa frammentarietà, e a dispetto dei danni che ha subìto, fornisce sufficiente informazioni per interpretarlo e identificarlo agevolmente.
L'indagine stratigrafica e paleoambientale svolta da Federico e dalla sua dottoranda, Michela Contessi, indicavano che il fossile appartiene alla Formazione Ain el Guettar, che risale all'Albiano inferiore (circa 110 milioni di anni fa), e si era preservato in una barra di sabbie fluviali accumulate lungo un ampio estuario che attraversava una regione desertica. La fauna della formazione da cui proviene l'esemplare è dominata numericamente da pesci e coccodrilli di almeno 4 linee distinte (tra cui Sarcosuchus e vari notosuchi), mentre i resti vegetali sono scarsi. Alcuni frammenti isolati (riferibili a carcharodontosauridi, abelisauroidi e spinosauridi) implicano la presenza, finora non confermata da resti ulteriori, di grandi theropodi. In effetti, da una località appena oltre il confine libico, non molto distante dal sito studiato da Federico e la sua squadra, è noto un grande ceratosauro basale, molto frammentario, di età comparabile al sauropode. Chissà se in futuro resti analoghi saranno trovati in Tunisia...


Ricostruzione del paleoambiente tunisino di 110 milioni di anni fa. Un sauropode spavaldo si avvicina ad una grande colonia di Sarcosuchus che si crogiola attorno a rade mangrovie. (Opera di E. Troco).
Il mio ruolo nello studio, come da prassi ormai consolidata, sarebbe stato quello di descrivere lo scheletro e di interpretarlo filogeneticamente. Come ho scritto prima, lo scheletro del sauropode comprende parte del bacino (entrambi gli ilei e i due ischii) in connessione anatomica, il sacro completo (cinque vertebre) connesso alle due lame iliache, e le vertebre caudali ancora nella posizione originaria. Anche se al profano può apparire poco completo come scheletro, per essere un dinosauro nordafricano (quasi sempre noti solo da ossa isolate) è esageratamente ricco e completo! Inoltre, la connessione anatomica tra le ossa è di per sé molto significativa.
Nonostante l'incompletezza dello scheletro, la morfologia delle caudali (proceliche, con arco neurale che ricorda quello delle dorsali, con estesa laminazione, i processi costali che si proiettano dorsalmente e le spina neurali a forma di 'petalo'), così come l'ischio (gracile, con uno stretto 'collo' a livello del peduncolo iliaco) non lasciavano alcun dubbio sulla collocazione filogenetica: l'esemplare era un Rebbachisauridae.

Rebbachisauridae è un clade di Diplodocoidea basali (non-Flagelligaudata) dalla curiosa e peculiare combinazione di apomorfie in buona parte dello scheletro, tali che permettono di attribuire a questo clade anche esemplari relativamente frammentari.

Ma quale specie di Rebbachisauridae? Forse, un nuovo esemplare di Nigersaurus, vissuto approssimativamente nello stesso momento (ma molto più a sud, in Niger)? Differenze nelle caratteristiche delle vertebre (presenza di iposfene, che invece manca in Nigersaurus, e assenza di processi laterali triangolari nelle spine neurali, che invece sono presenti in Nigersaurus) indicano che l'esemplare tunisino non sia riferibile a Nigersaurus. Inoltre, sebbene le dimensioni corporee di per sé non sono necessariamene una prova di differenziazione tassonomica, è significativo che le dimensioni del sacro (circa 80 cm di lunghezza) indichino un animale lungo almeno 14 metri (usando i diplodocoidi meglio conservati come riferimento), ovvero un animale lungo circa una volta e mezzo le dimensioni adulte pubblicate per Nigersaurus. Come mostrerò nel resto del post, questo esemplare si distingue non solo dagli altri rebbachisauridi, ma da tutti gli altri sauropodi (e dinosauri) per una serie di caratteristiche peculiari ed uniche: si tratta quindi di un nuovo taxon.

Ricostruzione scheletrica del nuovo sauropode tunisino. Le parti non preservate ricostruite per ottimizzazione a partire dagli altri rebbachisauridi e diplodocoidi. (Opera di Marco Auditore).

Inizialmente, ritenevo che l'obiettivo principale dell'articolo fosse quello di stabilire l'identità del fossile, come in studi analoghi che ho pubblicato in questi anni. Ed in effetti, aldilà del fatto già notevole di avere a che fare con un sauropode articolato, pensavo che l'esemplare non avrebbe dato particolari sorprese. Ma – fortunatamente – così non fu.
Alla fine di marzo del 2012, iniziai ad occuparmi del sauropode, finalmente in modo sistematico. Mentre procedevo a descrivere la coda, notai che la prima vertebra caudale presentava una curiosa depressione ellittica al centro della sua superficie laterale. Forma, dimensioni e posizione della depressione corrispondevano a quella del pleurocoelo, il forame pneumatico tipico delle vertebre presacrali di molti neosauropodi, inclusi i rebbachisauridi. Tuttavia, nei sauropodi solamente i Diplodocinae hanno un pleurocoelo anche nelle vertebre caudali. Questo esemplare era chiaramente un rabbachisauride, ma allo stesso tempo presentava un pleurocoelo caudale. Stavo quindi osservando il primo caso di pleurocoeli caudali in un sauropode non-diplodocide. Già questo dato, da solo, sanciva che l'esemplare fosse significativo aldilà della sua mera identificazione e descrizione anatomica.
La presenza del pleurocoelo caudale suggeriva inoltre che l'esemplare manifestasse una marcata pneumatizzazione dello scheletro. Questo sospetto fu rapidamente confermato, perché ora che l'occhio era volutamente sintonizzato su caratteristiche 'pneumatiche' (ovvero, forami e fosse dai margini arrotondati che scavano le ossa e penetrano in camere interne), l'esemplare si stava palesando per quello che era: un sauropode estremamente pneumatizzato, persino per gli standard dei rabbachisauridi, noti per avere tra i gradi di pneumatizzazione più spinti.
Il sauropode tunisino mostra tutta la gamma nota di cavità pneumatiche note nei sauropodi: oltre al pleurocoelo caudale, ha ampie camerazioni nelle vertebre sacrali, camere appaiate nelle spine neurali sacrali associate a una più fitta serie di minute cavità (camellae), 'pleurocoeli' nelle spine neurali che penetravano le camere, e una ricca serie di fosse e forami negli archi neurali caudali.
Fino a quel momento, tuttavia, mi ero focalizzato sulle vertebre, dato che assumevo che le ossa del bacino non avrebbero fornito alcuna struttura pneumatica significativa. In effetti, nei dinosauri le ossa del bacino sono pneumatizzate solo in pochi gruppi, e comunque si tratta sempre di piccoli forami nelle lame iliache (come già noto in alcuni titanosauridi, ma anche in un rebbachisauride, Amazonsaurus). Ma proprio perché non si deve mai dare nulla per scontato, 'esplorai' il bacino con occhi nuovi, come se stessi osservando le vertebre.
Analizzando le lame dell'ileo, preservato solamente nella parte anteriore, constatai che esso presentava piccole cavità pneumatiche, esattamente come in Amazonsaurus e i titanosauri. La frattura alla base del peduncolo iliaco permetteva di osservare l'interno dello stesso, e così scoprii che l'interno del peduncolo era scavato da una serie di ampie cavità separate da setti sottili. Un'estesa pneumatizzazione del peduncolo pubico dell'ileo era nota fino a quel momento solamente nel carcharodontosauro Aerosteon. Questo era il primo caso in un sauropode!
In breve, l'esemplare era il primo rebbachisauro con pleurocoeli caudali, il primo diplodocoide con semicamelle nelle spine sacrali, ed il primo sauropode con pneumatizzazione del peduncolo pubico dell'ileo: l'animale aveva una pneumatizzazione dello scheletro veramente estrema! L'idea che stessi osservando la versione sauropodiana di Aerosteon, ovvero un taxon dallo scheletro massicciamente pneumatizzato, era molto intrigante. Fin dove si spingeva la pneumatizzazione scheletrica di questo dinosauro?
Le ultime ossa dello scheletro da indagare erano i due ischii, ossa che non presentano alcuna struttura pneumatica in alcun dinosauro noto, e quindi i candidati meno probabili per quel tipo di caratteristiche. Uno dei due ischii aveva subìto una compressione a livello del peduncolo iliaco, la cui superficie mediale era collassata internamente. Per collassare internamente, pensai, occorre una cavità interna in cui collassare... Fu allora che, rigurdando l'altro ischio, meglio conservato, constatai che nella stessa posizione in cui l'altro osso era collassato, era presente un'apertura ellittica, di forma, dimensioni e proporzioni del tutto equivalente al pleurocoelo presente nella vertebra caudale. La forma era perfettamente ellittica, quindi assolutamente genuina e naturale, e immetteva in una cavità interna: se non fosse per il fatto che si trovava nell'ischio, invece che in una vertebra, nessuno avrebbe dubitato che quello fosse un pleurocoelo!
Un 'pleurocoelo ischiatico': chi aveva visto prima un forame pneumatico nell'ischio? Nessuno, questo è in assoluto il primo caso documentato. In effetti, questo esemplare è l'unico noto, in tutto Dinosauria*, ad avere un forame pneumatico nell'ischio! Mi rendo conto che per chi non è pratico di anatomia comparata dei dinosauri questa scoperta può apparire solo un dettaglio curioso, ma per chi si occupa di osteologia e pneumatizzazioni un 'pleurocoelo ischiatico' è qualcosa di bizzarro ed inatteso, anche se perfettamente plausibile (come spiegherò in seguito).
E così, quello che pareva un discreto scheletro di rebbachisauride, già significativo per essere il primo dinosauro articolato tunisino, è risultato essere il dinosauro con il grado di pneumatizzazione pelvica più esteso e variegato noto finora. Quale è il significato di queste strutture anatomiche? Quale è il senso biologico di queste camere, cavità, forami e perforazioni nelle ossa, incluso l'ileo e, per la prima volta, l'ischio?


Dettaglio di alcune ossa del sauropode tunisino, con indicati i correlati osteologici di strutture pneumatiche. A sinistra, prima vertebra caudale in situ. La freccia indica il pleurocoelo. A destra, varie ossa (vertebre e parti del bacino) con indicate le strutture aventi un'origine dall'espansione dei sacchi aerei nelle ossa.

Sappiamo, da un'ampia mole di dati negli uccelli, che i forami pneumatici dello scheletro postcraniale dei dinosauri sono prodotti dall'espansione dei sacchi aerei, espansioni viscerali del sistema di ventilazione polmonare di (almeno) i saurischi. Esistono vari tipi di sacchi aerei, alcuni dei quali – non tutti – legati direttamente alla peculiare ventilazione polmonare caratteristica degli uccelli. Ad esempio, i sacchi cervicali, presenti nel collo e fonte dei forami nelle vertebre cervicali, non partecipano alla ventilazione del polmone aviano; la presenza di forami pneumatici cervicali in uno scheletro di dinosauro implica quindi la presenza di sacchi cervicali, ma non implica necessariamente la presenza di un meccanismo aviano di ventilazione. A contrario, i sacchi addominali, posti (indovinate un po!) nella zona addominale, sono una componente fondamentale del sistema ventilatorio del polmone negli uccelli.
Prima di procedere con questa discussione, è bene distinguere due concetti: uno è la presenza di forami pneumatici nello scheletro, l'altro è la presenza di un meccanismo di ventilazione aviano tramite sacchi aerei. I due concetti sono connessi, ma non sono identici. Si discute, nello specifico, quali sacchi aerei siano la fonte dei forami pneumatici nello scheletro dei dinosauri, e quindi se e come questi forami siano indicazione di un meccanismo di ventilazione aviano. In particolare, è controverso se i forami nelle vertebre presacrali posteriori (della zona “lombare”), nelle sacrali e nelle caudali siano prodotti dai sacchi addominali o invece da espansioni posteriori dei sacchi cervicali. Nel secondo caso, i forami nelle vertebre non darebbero indicazione sulla presenza di un meccanismo di ventilazione aviano. Più sicura è invece l'associazione tra pneumatizzazione del bacino e presenza di sacchi addominali.
Tornando a Tataouinea, cosa ci può dire la sua estesa pneumatizzazione scheletrica con la questione relativa alla presenza di un meccanismo di ventilazione aviano nei sauropodi?
La presenza nel sauropode tunisino di estese pneumatizzazioni delle ossa del bacino, in particolare l'ischio, rafforza l'ipotesi che la fonte di questi forami siano i sacchi aerei addominali, piuttosto che espansioni posteriori dei sacchi cervicali. Appare improbabile che l'ischio fosse pneumatizzato dai sacchi cervicali: i sacchi addominali sono una fonte molto più plausibile di pneumatizzazione della regione posteroventrale del bacino (sede dell'ischio). E siccome i sacchi addominali sono una componente importante del meccanismo avanzato di ventilazione aviano, la conferma di una massiccia espansione di questi sacchi nel nuovo rebbachisauride implica (e conferma ulteriormente) che questi particolari sacchi aerei erano presenti e ben sviluppati anche nei sauropodi, e che quindi questi dinosauri ventilassero il polmone secondo un meccanismo comparabile a quello aviano.

A sinistra, scheletro del sauropode tunisino, con indicate le parti note, ed un ingrandimento dell'ischio in vista mediale. A destra, possibile estensione del sacco aereo addominale e sue espansioni nello scheletro.

Infine, una menzione sul nome che abbiamo dato a questo nuovo sauropode: Tataouinea hannibalis. La pronuncia canonica del genere è, scritta in italiano, “Tatuinia” [Ta-too-ee-nee-ah se siete anglofoni].
Tataouinea, in riferimento alla provincia tunisina in cui è stato scoperto (Tataouine), mentre “hannibalis si riferisce ad Annibale Barca, il generale cartaginese (quindi, tunisino), acerrimo nemico di Roma, che condusse un'armata di elefanti dall'Africa all'Europa ai tempi delle Guerre Puniche: il nome allude indirettamente alle implicazioni paleo-geografiche dell'analisi filogenetica sui sauropodi in cui abbiamo inserito Tataouinea. Difatti, il nostro sauropode risulta sister-taxon di Demandasaurus, un rebbachisauride spagnolo di età barremiana, e, a loro volta, il nodo di questi due rebbachisauridi risulta sister-taxon di Nigersaurus. Pertanto, l'analisi paleo-geografica colloca l'europeo Demandasaurus nidificato da due forme africane: ciò avvalora l'ipotesi che i rebbachisauridi europei derivino da immigrazioni africane, e che, quindi, rebbachisauridi non molto diversi da Tataouinea abbiano “invaso” l'Europa proveniendo dal Nord Africa, al pari degli elefanti cartaginesi.

Paleomappa semplificata di Eurasia e parte del Gondwana nel Cretacico Inferiore, con sovraimposte le relazioni filogenetiche tra i rebbachisauridi nigersaurini. Notare che la serie cladogenetica implica una migrazione Afro-Europea.

Questo primo articolo, relativamente sintetico, ha lo scopo principale di introdurre Tataouinea e di menzionarne le caratteristiche più significative. Uno studio più dettagliato, che descriverà anche del nuovo materiale – scoperto di recente – è attualmente in preparazione.

Un grazie sauropodomorfo a Federico per avermi ingaggiato per lo studio di questo eccezionale dinosauro. Inoltre, un grazie a Marco Auditore per l'eccellente – come sempre – ricostruzione scheletrica di Tatauoinea (inclusa nell'articolo), a Davide Bonadonna per la ricostruzione in vivo dell'animale, ed a Emiliano Troco per il quadro sull'ambiente di Tataouinea.

E siamo solo a metà dell'anno!


Bibliografia:

Fanti F., Cau A., Hassine M., Contessi M. 2013. A new sauropod dinosaur from the Early Cretaceous of Tunisia with extreme avian-like pneumatization. Nature Communications 4, 2080:1-7. doi:10.1038/ncomms3080.

*Aggiornamento: Mickey Mortimer mi segnala che un forame ischiatico è presente in alcuni grandi uccelli moderni. Tataouinea quindi è il primo caso mesozoico, e il primo caso non-aviano.

28 commenti:

  1. Sono veramente molto contento per te e per gli altri autori. Vivissimi complimenti.
    E' questo lo scheletro presentati da Fanti a Piacenza un paio di anni fa?
    Con questo post ho avuto l'indubbbio piacere di vedere un ischio e riuscire a capire come si incastra con le altre ossa. So che per te è banale, ma per me è una conquista.
    Anche se immeritatamente mi sento parte di una piccola comunità di scienziati e appassionati di paleontologia e questa è per me importante.

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    1. Grazie, Diego: sì, è quell'esemplare che Federico mostrò a Piacenza.

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  2. Scoperta assolutamente emozionante; l'esser ripetitivo per quanto riguarda la straordinarietà del 2013 dal punto di vista paleontologico non fa che alimentare queste emozioni, in vista di nuove scoperte o elaborazioni di precedenti.

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  3. Complimenti! Fantastico nuovo taxon! Soprattutto per il forame pneumatico ischiatico! (Potrei andare avanti ad oltranza con esclamazioni del genere...)
    Ah e... i Diplodocoidea di Bonadonna rimangono sempre i più belli!

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  4. Una domanda: la presenza di pleurocoeli caudali in Tataouinea, essendo condivisa solamente con Diplodocinae, è una simplesiomorfia, una convergenza o un'omoplasia?

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    1. Dalla domanda si evince che tu non sia perfettamente consapevole del significato dei termini... :-P
      La convergenza è un tipo di omoplasia. Difficilmente un carattere condiviso esclusivamente tra un Nigersaurinae e Diplodocinae può essere simplesiomorfico.
      Ad ogni modo, è una convergenza.

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    2. Grazie. Più che altro non ero perfettamente consapevole della differenza tra i tre termini, dato che indicano concetti analoghi.

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    3. Non è vero: non sono affatto concetti analoghi. "Simplesiomorfia" indica la condivisione di plesiomorfie, "convergenza" indica il processo di acquisizione indipendente di caratteristiche simili, "omoplasia" indica la somiglianza non dovuta ad eredità, dedotta a posteriori: non sono affatto "concetti analoghi". Ovvio che se non si conosce il significato dei termini li si confonde, e li si menziona a sproposito.

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    4. Non voglio insistere troppo ma per "analoghi" non intendevo "sinonimi". Tutti e tre indicano una somiglianza tra da due taxa, per motivi diversi. In questo senso sono "analoghi".

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  5. I have read elsewhere, can't recall source, that the rebbachisauridae were arid adapted specialist sauropods. Can anyone shed any light on what types of vegetation existed here in this habit of Tatouinea?

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    1. Analyses by Federico Fanti on the paleo-environment indicated the presence of rare in situ-preserved plant roots, and a sparsely vegetated ground of mangrove-like type.

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  6. Al di là della fantastica scoperta, ma sarei anche interessato alla descrizione (se possibile) dei coccodrilli.
    Simone

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    1. Simone, una cosa alla volta. Alla fine, siamo due piccoli paleontologi con pochissimi fondi che cercano di fare i miracoli ;-)
      A parte le battute, è un progetto futuro la descrizione del materiale coccodrilliano del sito. Ci sono alcuni resti molto interessanti, ma non posso dire nulla per ora.

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    2. Diamine! Ora mi fai venire l'acquolina in bocca :D
      Non vedo l'ora. Attendo con trepidazione.
      Ps Ricorda che nella botte piccola sta il vino buono ;)
      Simone

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  7. Se già per _Aerosteon_ ti sei lamentato che sulla rete circolava solo la notizia che "respirava come un uccellino", allora preparati, ho visto gli articoli della stampa generalista che circolano in rete...

    Comunque super complimenti, una scoperta affascinante, interessante, appagante e scientificamente bellissima.

    Piccola nota nerd, mai coming soon è stato più azzeccato, Tatooine... quanto dista la location dal sito (approsimativamente?).

    Valerio

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    1. Nell'ordine della cinquantina di km.

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    2. Preticamente nella valle dei Tusken, secondo me in realtà è un Bantha...

      Valerio

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  8. incredibile c'è già la pagina wiki...
    fai un lavoro che invidio e ammiro, in condizioni che immagino persino peggiori (finanziamenti, sensibilità pubblica, comprensione fuori dal circolo degli addetti ai lavori, fraintendimenti di massa...) di quelle in cui io svolgo il mio è bello seguirlo "in diretta", entrare nel vivo...si imparano e comprendono un sacco di cose.

    piccola nota "ingorant" ero convinto che tataouinea si pronunciasse tatuinea non tatuinia... ero sicuro si seguissero regole latine nella pronuncia dei dittonghi finali, la e che diventa i mi ha molto sorpreso. c'è da imparare perfino nei dettagli meno sostanziali

    Emiliano

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  9. Nice find, but other dinosaurs have pneumatic ischial foramina too, like Dromaeus (Boas, 1933).

    Boas, J. E. V. 1933. Kreuzbein, Becken und Plexus lumbosacralis der Voegel. Det Kongelige Danske Videnskabernes Selskabs Skrifter, Naturvidenskabelig og Mathematisk Afdeling. 9, 1-74.

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    1. Thanks, Mickey, I was not aware of that publication. Is it available in pdf? I suspected that some large bird showed some ischial foramen but did not find any reference.
      Is the foramen in Dromaeus proportionally as large as the one in Tataouinea or is more similar to the small foramina in saltasaurine iliac blades?

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    2. I'm not aware of a pdf existing. I learned of it from Christiansen and Bonde's (2000) Archaeopteryx pneumaticity paper, where they state "All four taxa [including Rhea, Struthio and Casuarius] have hollow ischia, and in Dromaius there are medial pneumatic foramina on the medial face of the ischium, adjacent to the acetabulum (Boas 1933)."

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    3. Thanks: I have to find that work (Boas 1933) for the Tataouinea monograph we are preparing. :-)

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  10. Una curiosità: le ossa del Tataouinea hannibalis chi le detiene (se così si può dire)? Rimangono in Tunisia o vengono lasciate ai ricercatori che le hanno scoperte e studiate e quindi poi visionabili in un museo italiano (suppongo il Cappellini di Bologna)?
    Alessandro (Bologna)

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    1. Sono custodite a Tunisi, ma ci stiamo lavorando noi del Capellini.

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  11. Aldo Luigi Bacchetta31/10/14 00:29

    Mi permetto di aggiungere: custodite a Tunisi e non visionabili, purtroppo! Mi auguro che le ossa di " Tata" vengano al più presto portate nel museo di geologia della città di Tataouine, dove ha vissuto 110 milioni di anni fa...... Grazie e complimenti ad Andrea Cau per il bellissimo lavoro fatto, e per quello che ....farà!!

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  12. Aldo Luigi Bacchetta31/10/14 00:35

    complimenti per il bellissimo lavoro fatto a tutta la "GRANDE SQUADRA" del museo Capellini di Bologna. BRAVI !!

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    1. Aldo, grazie mille anche a te: senza il tuo apporto non saremmo qui a parlare di Tataouinea!

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