Sebbene sia diffusa una concezione classica del sapere, oso dire "idraulica", come un fluido inerte che scorre lungo un reticolo immateriale di tubature di cui ogni essere umano è un rubinetto o un punto di raccordo, io ritengo che la conoscenza sia più simile allo spazio-tempo di Einstein, un campo la cui forma è plasmata dalle stesse masse (cerebrali) che lo strutturano. Grandi menti sono come corpi massivi il cui ingresso nella scena perturba i moti dei corpi pre-esistenti e genera nuove traiettorie, avvia orbite, funge da fulcro per un sistema planetario. Ad esempio, la struttura e la direzione dei biologi non fu più la stessa dopo che la stella di Darwin ebbe accumulato sufficiente massa empirica per innescare una folgorante reazione concettuale, dalla quale ancora oggi traiamo buona parte della luce e calore necessari per comprendere il mondo vivente.
Ci sono modi "medievali" di diffondere il sapere. Uso "medievale" non come dispregiativo, ma come "modalità pre-moderna" di diffusione del sapere. Si tratta di sforzi eruditi, a volte quasi autoreferenziali, modalità scolastiche di parlare di un concetto o di un tema. Caposaldo del metodo medievale è la massiccia citazione di dichiarazioni altrui. Tizio disse, tizio scrisse, tizio a pagina tale scrisse ciò.
Non nego che questo metodo abbia dei punti utili (lo usiamo ancora oggi, sebbene in forma modificata, non focalizzata sull'autorità di chi è citato, ma sulla validità di ciò che scrisse), ma, temo, alla lunga non avvince e non convince il lettore, che è colui per il quale si dovrebbe scrivere.
Personalmente, preferisco due soli tipi di fonte: l'esperienza personale e la conoscenza oggettiva (ripetibile da più osservatori distinti).
Io dico, io faccio, io scrivo. Difatti, è quello che sto facendo ora. Non sto riportando le parole altrui, i pensieri altrui, bensì la mia personale (e quindi, onesta, sincera e schietta) elaborazione personale. Tuttavia, da sola la "mia parola" non vale niente. Occorre dimostrare nei fatti di conoscere ciò di cui si parla. Per questo, all'esperienza personale è necessario associare la conoscenza oggettiva: fatti, non (solo) parole. Darwin, in questo, è uno straordinario esempio da seguire: per esporre il concetto meno intuitivo possibile ai suoi tempi (l'evoluzione delle specie) parlò di come egli stesso, tramite numerose esperienze personali (sul campo e tramite sperimentazione) avesse tratto dai dati oggettivi (osservazioni di fenomeni naturali e produzione di esperimenti empirici) la sua teoria della speciazione e della selezione naturale.
Cosa è "l'essere scientifico"? La scienza è un modo di essere nei confronti del mondo dei fenomeni, un modo di essere che parla e pensa secondo logica matematica. Fin da Galileo, la scienza è stata definita così. Esistono innumerevoli modi di confrontarsi col mondo dei fenomeni, ma solo l'approccio logico-matematico è quello scientifico. Gli altri modi sono meritevoli di esistenza, sia chiaro, ma non sono scientifici. Molti approcci sono metafisici, altri artistici ed altri ancora... retorici. Tuttavia, la semplice logica-matematica non fonda la scienza, la quale, si deve ancorare sempre e comunque ai fenomeni.
Pertanto, essere scientifici significa sviluppare una descrizione logico-matematica dei fenomeni, descrizione che nasce e cresce solo in virtù della sua aderenza ai fenomeni.
La "aderenza" ha un nome preciso, nel linguaggio della logica: isomorfismo. Un isomorfismo è un'associazione logica tra due insiemi, vincolata a ben precise regole. Senza la consapevolezza di quelle regole, è difficile costruire nella propria testa l'aderenza scientifica tra fenomeni e teoria.
Gli ultimi 30 anni della mia fortunata vita li posso dividere in due fasi. Nei primi 20 anni "sono andato a scuola", ed ho imparato una grande quantità di concetti, prima ancora che nozioni. Nei successivi 10 anni, ho cercato di usare questi strumenti mentali per produrre qualcosa di nuovo ed originale, e spero a volte utile. In particolare, ho avuto la grande fortuna di essere naturalmente incline verso la scienza e la matematica, e di avere avuto insegnanti molto competenti, specialmente sul lato matematico, proprio negli anni idonei a formarsi una mente scientifica. Gli anni dell'adolescenza li ho trascorsi in un importante liceo della mia città. Per esplicita ammissione dei miei docenti, il loro obiettivo era formare "la futura classe dirigente". Il mio obiettivo personale non era quello di diventare "classe dirigente", ma nondimeno ho ex-aptato efficacemente le loro intenzioni in un'altra direzione. Io volevo diventare paleontologo. In particolare, la formazione matematica che ho avuto al liceo è stata fondamentale per i miei anni a venire. In quei cinque anni ho seguito corsi nei quali la logica matematica e i rudimenti dell'analisi matematica sono stati insegnati con lo scopo mirato di preparare ad affrontare la matematica a livelli universitari. A 16 anni questi corsi sono - ovviamente - terrificanti, persino per chi come me ha sempre provato interesse per la matematica; ma ne è valsa la pena. Il corso di matematica che poi seguii all'università fu infatti molto più facile per me che per il resto della mia classe: difatti, tra tutti i miei compagni universitari, fui l'unico a passare l'esame di matematica al primo colpo e con il massimo dei voti. Ciò, grazie ai (duri) cinque anni precedenti, che mi avevano "pre-adattato" (e qui il termine è corretto) alla complessità del corso universitario.
Ho divagato in questa storiella (c)autobiografica perché è l'esempio migliore che posso dare del valore della logica-matematica nel formare una mente "scientifica". Se sto - finalmente e a fatica - avendo qualche discreto successo nel mio campo di ricerca, lo devo in special modo alla formazione mentale che ho ricevuto negli anni dell'adolescenza, e che da allora non mi ha mai abbandonato. Mi risulta automatico e naturale "pensare in modo logico-matematico". Constato, purtroppo, che attualmente invece dominano le mentalità tecnicistiche: persone che hanno imparato (spesso molto bene) ad utilizzare strumenti specifici, forse anche una grande mole di nozioni, ma poi sono poco inclini a pensare "come scienziati". Si impara "il mestiere scientifico" ma non si impara "il pensare scientifico": si sa "fare come X" ma non si sa "spiegare il perché X".
Come "pensa" uno scienziato? Egli deve organizzare le osservazioni in base ad un
criterio. Questo criterio deve essere
un'astrazione traducibile in una forma logico-matematica (non basta l'intuizione... "eureka!" è mito cinematografico). La forma logico-matematica è niente altro che una rappresentazione formale esprimibile in linguaggio matematico. L'organizzazione delle osservazioni, tradotta in linguaggio matematico, permette di elaborare i dati, di manipolarli (in questa fase essi sono niente altro che
simboli che sottostanno a regole logiche) per produrre delle implicazioni, anche queste logico-matematiche. Queste "implicazioni" hanno due possibili sbocchi. La ri-traduzione delle implicazioni (anche solo come astrazione) in "isomorfi" nel mondo dei fenomeni può essere (almeno in teoria) un nuovo fenomeno osservabile. Ho parlato di questa eventualità quando ho citato il
"proavis" di Paul ed Aurornis. In alternativa, le implicazioni possono essere nuove "realtà fisiche", non esistenti in natura, ma ottenute artificialmente manipolando altri fenomeni naturali, che si riconoscono essere "soggetti" ai processi naturali "isomorfi" a loro volta con la teoria elaborata. Un esempio di questa seconda eventualità è la creazione di composti artificiali del carbonio, non esistenti in natura ma nondimeno previsti dalla teoria generale della chimica risultata dalla rivoluzione quantistica. Oppure, gli elementi iper-uranici prodotti dalle leggi del decadimento radioattivo, inesistenti in natura ma deducibili dalle leggi fisiche. Oppure, le porzioni di genoma artificiale introdotte nei micoplasmi, assenti in natura ma deducibili dalle leggi della biochimica. Oppure, l'atterraggio di una sonda su Marte. Tutti questi "fenomeni artificiali" sono stati elaborati a posteriori dalla teoria scientifica prima ancora di essere "provati". L'esempio della sonda su Marte è difatti impossibile da "tentare" se prima non si dispone di una teoria logico-matematica del viaggio interplanetario, una teoria del moto orbitale marziano, una teoria geologica di Marte, una teoria fisica dell'elettromagnetismo (per teleguidare il veicolo da Terra).
Fin dove si può spingere il campo di applicazione del pensiero scientifico? In teoria, ovunque, ma in pratica solamente dove l'osservazione permette di ottenere "riscontri".
Questo esempio storico chiarirà le mie parole.
A metà del XIX secolo, Mendel elaborò una semplice teoria matematica sulla generazione delle varietà osservate nelle piante che egli coltivava. La teoria era elegante e semplice, e pareva quindi "funzionare". Tuttavia, perché "funzionasse" non solo nella sua testa (e, per ora, tralascio le manipolazioni dei risultati che Mendel - più o meno consciamente - impose ai suoi esperimenti affinché si conformassero alla sua elegante ipotesi matematica), Mendel doveva dare un senso naturalistico ai suoi "geni". I "geni" per Mendel, sono ancora ed unicamente degli oggetti teorici, ma non era possibile, ai suoi tempi, dire "cosa" fossero all'interno dell'organismo vegetale. Solamente la scoperta della struttura chimica dell'informazione genetica (il DNA) e l'identificazione di porzioni specifiche di codice genetico corrispondenti alle "unità genetiche" di Mendel, confermò la validità dell'ipotesi mendeliana. Una volta scoperte le "basi chimiche" della genetica, fu possibile inaugurare l'ingegneria genetica: una scienza che non solo "parla" dei geni, ma è in grado di manipolarli perché sa come sono fatti e come si possono modificare.
Lo stesso avvenne con la chimica (nata come elegante teoria matematica all'inizio del XIX secolo) ma confermata solamente un secolo dopo grazie ai progressi nella fisica nucleare e nella fisica dei quanti. Una volta scoperte le "basi fisiche" della chimica fu possibile creare a tavolino molecole che si conformassero alle nostre esigenze specifiche. La chimica, da descrizione del fenomeno, divenne produzione di nuovo fenomeno.
Lo stesso accadde con la medicina, la biologia dello sviluppo, persino con la paleontologia: oggi sappiamo simulare l'evoluzione nel Tempo Profondo, e costruire modelli predittivi sul passato geologico. Il concetto di sinapomorfia, ad esempio, non è altro che un isomorfismo tra forme del corpo astratte da un contesto anatomico, tradotte in simboli di un sistema matematico il quale può essere elaborato secondo schemi dedotti dalla teoria darwiniana, e produrre risultati che si conformano alle osservazioni. Se così non fosse, il piumaggio di Yutyrannus sarebbe il più inatteso paradosso della paleontologia, invece che una conseguenza attesa e prevista di modelli elaborati ben prima che fosse scoperto tale fossile.
Attualmente, esistono discipline che potrebbero - forse - diventare
scienza, ma che non lo sono ancora. Esistono modelli logici (più o meno
matematici) che descrivono fenomeni a grana grossolana, ma che non hanno
ancora prodotto una teoria generale su quei fenomeni tale da fornire chiari isomorfismi tra modello e fenomeni naturali. Paradossalmente,
si tratta dei fenomeni più vicini a noi: noi stessi, intesi da metafore come
"persone" e "menti" e "soggetti". Attualmente, non esiste un equivalente naturale, cerebrale e fisiologico, di ciò che chiamiamo "pensiero umano": anche se possiamo costruire dei modelli
grossolani di "pensiero" e "mente", essi sono come i geni di Mendel
prima della scoperta del DNA: eleganti astrazioni, fumose e grossolane, ma che non riusciamo a "collocare" dentro i corpi che li manifestano. Fintanto che non avremo "trovato" le basi
fisico-fisiologiche degli oggetti descritti nelle teorie della mente, essi restano eleganti astrazioni prive di supporto empirico. Non nego
che queste abbiano una qualche corrispondenza con fenomeni naturali, ma -
per ora - essi sono ancora "ottocenteschi", esattamente come l'atomo di
Lavoisier era un elegante modello, capace di fornire delle (limitate) conferme ed applicazioni, ma terribilmente grossolano (e quindi
non ugualmente operativo) rispetto all'atomo concepito (e
sperimentabile) dalla chimica moderna. Nel mondo di Lavoisier, non può esistere il fullerene, prima ancora che "fisicamente", nemmeno come concetto.
Tutti questi risultati - elencati in modo molto sbrigativo - sono possibili solamente dispondendo di una mente logico-matematica, capace di astrarre dall'enorme caos dei fenomeni le regolarità, capace di tradurre le regolarità in modello matematico, capace di stabilire isomorfismi tra risultati del modello e fenomeni prodotti, capace di manipolare i fenomeni alla luce del modello per creare nuovi fenomeni (sovente assenti in natura). In tutta questa catena di processi, il fulcro rimane l'isomorfismo, ovvero, la capacità di stabilire la corrispondenza logica tra astrazione simbolica e fenomeno osservato: tuttavia, fintanto che il fenomeno non è riproducibile (nel e dall'astrazione), l'isomorfismo resta una grossolana semplificazione, un procedere a tentoni nella nebbia, che potrebbe anche essere corretto, ma che potrebbe anche essere un vicolo cieco, inizialmente utile, persino fecondo, ma destinato a implodere al sopraggiungere di nuove osservazioni o di teorie più potenti, come fu per l'etere cosmico nella fisica della fine del XIX secolo.
Questa è la base dell'essere scientifico. In 300 anni ha prodotto più risultati (sia come conoscenza che come produzione di manufatti) che nei precedenti 30 000 anni. Se può non piacere in toto, nondimeno risulta un modo indiscutibilmente efficace di agire sul mondo.